Il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività esige che in nome di esso, e quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno possa essere obbligato, restando così legittimamente limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo importi un rischio specifico, ma non postula il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri.
Un corretto bilanciamento fra le due suindicate dimensioni del valore della salute - e lo stesso spirito di solidarietà (da ritenere ovviamente reciproca) fra individuo e collettività che sta a base dell'imposizione del trattamento sanitario - implica il riconoscimento, per il caso che il rischio si avveri, di una protezione ulteriore a favore del soggetto passivo del trattamento. In particolare finirebbe con l'essere sacrificato il contenuto minimale proprio del diritto alla salute a lui garantito, se non gli fosse comunque assicurato, a carico della collettività, e per essa dello Stato che dispone il trattamento obbligatorio, il rimedio di un equo ristoro del danno patito.
E parimenti deve ritenersi per il danno - da malattia trasmessa per contagio dalla persona sottoposta al trattamento sanitario obbligatorio o comunque a questo ricollegabile - riportato dalle persone che abbiano prestato assistenza personale diretta alla prima in ragione della sua non autosufficienza fisica (persone anche esse coinvolte nel trattamento obbligatorio che, sotto il profilo obbiettivo, va considerato unitariamente in tutte le sue fasi e in tutte le sue conseguenze immediate).
Se così è, la imposizione legislativa dell'obbligo del trattamento sanitario in discorso va dichiarata costituzionalmente illegittima in quanto non prevede un'indennità come quella suindicata.
CORTE COSTITUZIONALE
Sentenza 307/1990 (ECLI:IT:COST:1990:307)
Presidente: SAJA
Camera di Consiglio del 31/01/1990; Decisione del 14/06/1990
Deposito del 22/06/1990; Pubblicazione in G. U. 27/06/1990 n. 26
composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 della legge 4 febbraio 1966, n. 51 (Obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica), promosso con ordinanza emessa il 23 febbraio 1989 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Oprandi Iside e il Ministero della Sanità, iscritta al n. 461 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42 prima serie speciale dell'anno 1989;
Udito nella camera di consiglio del 31 gennaio 1990 il giudice relatore Aldo Corasaniti;
Ritenuto in fatto
1. - OI conveniva innanzi al Tribunale di Milano il Ministero della sanità per ottenere il risarcimento del danno derivatole da poliomelite contratta per contatto con il figlio D, sottoposto a vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica, lamentando che gli organi sanitari, in tale occasione, non l'avevano messa al corrente del pericolo né istruita su particolari cautele da osservare nel contatto con feci e muco del bambino vaccinato, da lei personalmente accudito.
Espletata consulenza tecnica - che confermava l'eziologia della forma morbosa contratta dall' attrice -, il Tribunale, con ordinanza emessa il 23 febbraio 1989, sollevava questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 32 della Costituzione, della legge 4 febbraio 1966 n. 51 (Obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica) con particolare riguardo agli artt. 1, 2 e 3, in quanto non prevedono un sistema di indennizzo e/o di provvidenze precauzionali e/o assistenziali per i danni all'integrità fisica conseguenti alla vaccinazione.
Osserva il giudice a quo che nel caso in esame non sarebbe ravvisabile responsabilità della Pubblica Amministrazione ai sensi dell'art. 2043 c.c., neppure sotto il profilo dell'omessa adozione di sistemi precauzionali incentrati su comunicazioni diffuse - difficilmente conciliabili d'altronde con i fini della vaccinazione obbligatoria, essendo, allo stato delle conoscenze, percentualmente minimo il rischio del contagio.
Esclusa, quindi, la responsabilità da fatto illecito, osserva il Tribunale che non è neppur configurabile, nella specie, una responsabilità della P.A. per atti legittimi, poiché la previsione del ristoro indennitario del diritto soggettivo del singolo, sacrificato nel perseguimento del pubblico interesse, è eccezionale e tassativa, e non è contemplata da alcuna specifica disposizione in riferimento alla lesione dell'integrità fisica, come invece avviene per la lesione del diritto di proprietà, ex art. 46 della legge 25 giugno 1865 n. 2359.
Osserva peraltro il giudice a quo che l'art. 32 della Costituzione tutela la salute non solo come interesse della collettività, ma anche e soprattutto come diritto primario ed assoluto del singolo (Corte cost. n. 88/1979), e che siffatta tutela si realizza nella duplice direzione di apprestare misure di prevenzione e di assicurare cure gratuite agli indigenti, anche mediante intervento solidaristico (Corte cost. n. 202/1981). Laddove, quindi, manchino del tutto provvidenze del genere, né sia dato ricorrere a forme risarcitorie alternative, la garanzia costituzionale di tutela dell'integrità fisica della persona risulta vanificata. Ed in particolare ciò avviene nel caso in esame, nel quale tale fondamentale diritto dell'individuo può essere sacrificato in conseguenza dell'esercizio da parte dello Stato di attività legittima a favore della collettività (trattamento vaccinale obbligatorio), senza previsione di un compenso equivalente, od altro equipollente proporzionato al sacrificio eventualmente occorso al singolo nell'adempimento di un obbligo imposto nell'interesse della sanità pubblica. Al riguardo, infatti, nessuna previsione in tal senso è contenuta nella legge n. 51 del 1966.
2. - Non vi è stata costituzione di parti private né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1. - L'ordinanza di rimessione ha messo in dubbio la legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 32 della Costituzione, della legge 4 febbraio 1966, n. 51 (Obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica) con particolare riguardo agli artt. 1, 2 e 3.
La normativa è impugnata in quanto - mentre pone l'obbligo della vaccinazione antipoliomielitica per i bambini entro il primo anno di età, considerando responsabile (anche penalmente) dell'osservanza dell'obbligo l'esercente la patria potestà (oggi la potestà genitoriale) o la tutela sul bambino (o il direttore dell'Istituto di pubblica assistenza in cui il bambino è ricoverato, o la persona cui il bambino sia stato affidato da un Istituto di pubblica assistenza), e attribuendo al Ministero della sanità il compito di provvedere a proprie spese all'acquisto e alla distribuzione del vaccino - "non prevede un sistema di indennizzo e/o di provvidenze precauzionali e/o assistenziali per gli incidenti vaccinali".
Nel corso di un giudizio civile intentato nei confronti del Ministro della sanità in relazione ai danni riportati da una madre per avere contratto la poliomielite, con paralisi spinale persistente, in quanto a lei trasmessa per contagio dal figlio, sottoposto a vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica, il giudice a quo, considerato che non sembravano ricorrere estremi di responsabilità ai sensi dell'art. 2043 c.c., ha prospettato il possibile contrasto della denunciata carenza di previsione di rimedi come quelli suindicati per l'evenienza di lesioni derivanti da un trattamento sanitario obbligatorio, da parte della norma che lo introduce, con il principio, espresso nell'art. 32 della Costituzione, della piena tutela dell'integrità fisica dell'individuo.
2. - La questione è fondata.
La vaccinazione antipoliomielitica per bambini entro il primo anno di vita, come regolata dalla norma denunciata, che ne fa obbligo ai genitori, ai tutori o agli affidatari, comminando agli obbligati l'ammenda per il caso di inosservanza, costituisce uno di quei trattamenti sanitari obbligatori cui fa riferimento l'art. 32 della Costituzione.
Tale precetto nel primo comma definisce la salute come "fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività"; nel secondo comma, sottopone i detti trattamenti a riserva di legge e fa salvi, anche rispetto alla legge, i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Da ciò si desume che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l'art. 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell'uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale.
Ma si desume soprattutto che un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili.
Con riferimento, invece, all'ipotesi di ulteriore danno alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio - ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica - il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività non è da solo sufficiente a giustificare la misura sanitaria. Tale rilievo esige che in nome di esso, e quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno possa essere obbligato, restando così legittimamente limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo importi un rischio specifico, ma non postula il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri. Un corretto bilanciamento fra le due suindicate dimensioni del valore della salute - e lo stesso spirito di solidarietà (da ritenere ovviamente reciproca) fra individuo e collettività che sta a base dell'imposizione del trattamento sanitario - implica il riconoscimento, per il caso che il rischio si avveri, di una protezione ulteriore a favore del soggetto passivo del trattamento. In particolare finirebbe con l'essere sacrificato il contenuto minimale proprio del diritto alla salute a lui garantito, se non gli fosse comunque assicurato, a carico della collettività, e per essa dello Stato che dispone il trattamento obbligatorio, il rimedio di un equo ristoro del danno patito.
E parimenti deve ritenersi per il danno - da malattia trasmessa per contagio dalla persona sottoposta al trattamento sanitario obbligatorio o comunque a questo ricollegabile - riportato dalle persone che abbiano prestato assistenza personale diretta alla prima in ragione della sua non autosufficienza fisica (persone anche esse coinvolte nel trattamento obbligatorio che, sotto il profilo obbiettivo, va considerato unitariamente in tutte le sue fasi e in tutte le sue conseguenze immediate).
Se così è, la imposizione legislativa dell'obbligo del trattamento sanitario in discorso va dichiarata costituzionalmente illegittima in quanto non prevede un'indennità come quella suindicata.
3. - La dichiarazione di illegittimità, ovviamente, non concerne l'ipotesi che il danno ulteriore sia imputabile a comportamenti colposi attinenti alle concrete misure di attuazione della norma suindicata o addirittura alla materiale esecuzione del trattamento stesso. La norma di legge che prevede il trattamento non va incontro, cioè, a pronuncia di illegittimità costituzionale per la mancata previsione della tutela risarcitoria in riferimento al danno ulteriore che risulti iniuria datum. Soccorre in tal caso nel sistema la disciplina generale in tema di responsabilità civile di cui all'art. 2043 c.c.
La giurisprudenza di questa Corte è infatti fermissima nel ritenere che ogni menomazione della salute, definita espressamente come (contenuto di un) diritto fondamentale dell'uomo, implichi la tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c. Ed ha chiarito come tale tutela prescinda dalla ricorrenza di un danno patrimoniale quando, come nel caso, la lesione incida sul contenuto di un diritto fondamentale (sentt. nn. 88 del 1979 e 184 del 1986).
È appena il caso di notare, poi, che il suindicato rimedio risarcitorio trova applicazione tutte le volte che le concrete forme di attuazione della legge impositiva di un trattamento sanitario o di esecuzione materiale del detto trattamento non siano accompagnate dalle cautele o condotte secondo le modalità che lo stato delle conoscenze scientifiche e l'arte prescrivono in relazione alla sua natura. E fra queste va ricompresa la comunicazione alla persona che vi è assoggettata, o alle persone che sono tenute a prendere decisioni per essa e/o ad assisterla, di adeguate notizie circa i rischi di lesione (o, trattandosi di trattamenti antiepidemiologici, di contagio), nonché delle particolari precauzioni, che, sempre allo stato delle conoscenze scientifiche, siano rispettivamente verificabili e adottabili.
Ma la responsabilità civile opera sul piano della tutela della salute di ciascuno contro l'illecito (da parte di chicchessia) sulla base dei titoli soggettivi di imputazione e con gli effetti risarcitori pieni previsti dal detto art. 2043 c.c.
Con la presente dichiarazione di illegittimità costituzionale, invece, si introduce un rimedio destinato a operare relativamente al danno riconducibile sotto l'aspetto oggettivo al trattamento sanitario obbligatorio e nei limiti di una liquidazione equitativa che pur tenga conto di tutte le componenti del danno stesso. Rimedio giustificato - ripetesi - dal corretto bilanciamento dei valori chiamati in causa dall'art. 32 della Costituzione in relazione alle stesse ragioni di solidarietà nei rapporti fra ciascuno e la collettività, che legittimano l'imposizione del trattamento sanitario.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l'illegittimità costituzionale della legge 4 febbraio 1966, n. 51 (Obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica) nella parte in cui non prevede, a carico dello Stato, un'equa indennità per il caso di danno derivante, al di fuori dell'ipotesi di cui all'art. 2043 c.c., da contagio o da altra apprezzabile malattia causalmente riconducibile alla vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica, riportato dal bambino vaccinato o da altro soggetto a causa dell'assistenza personale diretta prestata al primo.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 giugno 1990.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: CORASANITI
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 22 giugno 1990.
Il direttore della cancelleria: MINELLI