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Corteggiamento ossessivo non è sempre reato (Cass. 46179/13)

18 novembre 2013, Cassazione penale

Messaggi ossessivi (ma non minacciosi  né offensivi) non configurano necessariamente il reato di stalking: se infatti il destinatario prosegue i contatti con il mittente, va valutato se si tratti di una modalità di rapporto di coppia, essendo notorio che in Casio di relazione sentimentale vi è un elevato numero dei contatti.

Non è onere dell'imputato fornire una versione dei fatti tale da dimostrare la inattendibilità della dichiarazione testimoniale della parte offesa, essendo, al contrario, obbligo del giudice spiegare, con una rigorosa analisi intrinseca ed estrinseca, perché ritiene attendibile la suddetta dichiarazione testimoniale, considerata la natura particolarmente delicata di questo tipo di prova dichiarativa che si origina dal profondo coinvolgimento nella condotta asseritamente criminosa del soggetto che ne è fonte, delicatezza che si intensifica qualora vi sia anche la sua costituzione come parte civile.

Il dolo del reato di cui all'articolo 612 bis c.p. è un dolo generico, ma include la consapevolezza che le condotte poste in essere sono idonee a causare uno degli eventi pregiudizievoli alternativamente previsti dalla norma (stato d'ansia di paura, timore per l'incolumità propria o di una persona a sé legata,
costrizione a mutare le proprie abitudini di vita).

 

CORTE DI CASSAZIONE

SEZ. III PENALE - SENTENZA 18 novembre 2013, n.46179 - Pres. Mannino – est. Graziosi


Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 22 agosto 2012 la Corte d'appello di Bologna, a seguito di appello proposto da B.S. avverso sentenza del 29 giugno 2011 con cui il Tribunale di Rimini lo aveva condannato alla pena di anni cinque e mesi dieci di reclusione per i reati di cui agli articoli 609 bis c.p. (capo a), 635 e 61 n.2 c.p. (capo b), 61 n.2, 582, 585 e 576 c.p. (capo e) - reati commessi in (omissis) nei confronti della ex fidanzata L.I. -, 609 bis c.p. (capo d), 609 bis c.p. (capo e) - reati commessi nei confronti della stessa vittima il (omissis) -, 609 bis c.p. (capo f; reato commesso il (omissis) nei confronti della stessa vittima) e 612 bis c.p. (capo g: reato commesso nei confronti della stessa vittima nel circondario di (omissis) ), in parziale riforma, applicate le attenuanti generiche in misura non piena, ha rideterminato la pena in anni quattro e mesi dieci di reclusione, confermandola nel resto.

2. Ha presentato ricorso il difensore adducendo sei motivi. I primi cinque sono stati tutti presentati sotto forma di violazione di legge e vizio motivazionale: il primo concerne l'avere la corte territoriale ritenuta attendibile la testimonianza della parte offesa; il secondo contesta l'esistenza del reato di cui all'articolo 612 bis c.p.; il terzo adduce la inesistenza del reato di violenza sessuale nei vari capi in cui è stato contestato; il quarto contesta la negazione dell'ipotesi attenuata di cui all'articolo 609 bis, comma 3, c.p.; il quinto adduce l'inesistenza dei reati di danneggiamento e di lesioni personali. Il sesto motivo, infine, presentato solo come vizio motivazionale, censura l'applicazione delle attenuanti generiche non in misura piena.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è fondato.

3.1 Pur articolate in distinte doglianze, le prime cinque censure presentate dal ricorrente hanno in realtà una sostanza unitaria, come si verrà a esaminare, che ne rendono opportuna una trattazione accorpata.

Le imputazioni si articolano in tre episodi di violenza. Il primo, avvenuto il (omissis) , sarebbe consistito come capo a) nell'aver afferrato la vittima strattonandola 'per poi baciarla in bocca contro la sua volontà tentando nuovamente di baciarla nonostante la ragazza si dimenasse ed urlasse', come capo b) nell'avere danneggiato la maniglia dell'auto della vittima finché questa non ne usciva e come capo c) nell'avere con la condotta descritta cagionato alla donna 'trauma cranico minore' con prognosi di un giorno. Il secondo, del (omissis) , si comporrebbe di due violenze sessuali: nella prima l'imputato afferrava la vittima 'per le braccia per poi baciarla in bocca contro la sua volontà, quindi la sollevava di peso portandola con le gambe e la zona genitale all'altezza della sua, quindi la spingeva contro un albero e le strusciava il pene in erezione contro il corpo all'altezza della zona genitale (sopra i vestiti)' (capo d); nella seconda, profittando che la vittima si era appartata per urinare, improvvisamente da tergo le infilava un dito nella vagina (capo e). Il terzo - avvenuto il (omissis) - sarebbe consistito nell'avere costretto la vittima, che andava in bicicletta, a scenderne e dapprima sedersi con l'imputato che le strusciava il pene in erezione sulle natiche, poi, strattonata fino all'argine del fiume (omissis), a subire una penetrazione della vagina dall'imputato prima con le dita e poi con il pene, imputato che infine la costringeva a masturbalo fino a raggiungere l'orgasmo (capo f).

Tutti e tre questi episodi criminosi si sarebbero inquadrati cronologicamente nello snodarsi dell'attività criminosa di cui al capo g) ex articolo 612 bis c.p.: dal novembre 2009 al 14 giugno 2010 l'imputato avrebbe fatto alla vittima, a qualsiasi ora del giorno e della notte, numerosissime telefonate, e inviato numerosissimi S.M.S. e messaggi via e-mail, l'avrebbe pedinata ovunque, l'avrebbe minacciata 'di menarla ove l'avesse lasciato o comunque allacciato una relazione con terze persone', la avrebbe pedinata cercando di fermarla quando girava in auto o in bicicletta, avrebbe cercato di introdursi o si sarebbe introdotto con forza all'interno dell'auto della vittima, l'avrebbe afferrata e le avrebbe sottratto le chiavi per non farla allontanare danneggiando la maniglia esterna per entrar nell'abitacolo in cui la ragazza si era barricata (è evidente qui la coincidenza con la condotta già contestata quale capo b), l'avrebbe insultata e minacciata 'di morte ovvero di metterla in riga', avrebbe interrotto con violenza una sua telefonata appropriandosi del cellulare per carpirne la nuova utenza, avrebbe insistentemente chiesto alla vittima di vedersi e perciò 'la seguiva ovunque, in tal modo costringendo la ragazza a cambiare utenza telefonica, a mutare abitudini di vita inducendola a 'guardarsi sempre attorno' per paura di incontrarlo, a cambiare gli orari abituali', i luoghi di aggregazione e gli itinerari, procurandole 'stato di ansia e di paura': il tutto con l'aggravante di aver commesso il fatto anche dopo la rottura del rapporto sentimentale con la vittima.

3.2 Sotto forma di vizio motivazionale, il ricorrente in sostanza censura la corte territoriale per non avere tenuto conto in modo completo ed adeguato di alcuni degli elementi fattuali emersi ai fini della valutazione della attendibilità della testimonianza della parte offesa, e altresì ai fini della valutazione della sua volontà effettiva nella prosecuzione, seppure tormentata (secondo il ricorrente, per l'ossessiva gelosia di lei), della relazione sentimentale e nei pretesi episodi di violenza sessuale. In particolare, secondo il ricorrente non sono stati considerati affatto alcuni elementi contrastanti con la struttura accusatoria e non definibili, quindi, come irrilevanti o 'assorbiti' dalle argomentazioni del giudice di merito (non può non ricordarsi fin d'ora che il giudice di merito può adempiere al suo obbligo motivazionale anche in modo implicito, se costruisce una struttura tale da vincere la prova di resistenza rispetto agli elementi non espressamente considerati: 'La sentenza di merito non è tenuta a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata': così, tra i più recenti arresti, Cass. sez. IV, 13 maggio 2011 n. 26660; conforme, ancora da ultimo, Cass. sez. VI, 4 maggio 2011 n. 20092).

Si tratta, anzitutto, di una asserita personalità 'ondivaga' della ragazza che dopo l'ottobre del 2009 - data in cui, secondo l'accusa, aveva chiuso formalmente il rapporto sentimentale con il B. , avendo trovato un altro uomo - aveva mantenuto spontaneamente contatti con l'imputato. Tra l'altro, non sarebbe stato considerato che la pretesa vittima non solo apriva i messaggi dell'imputato ricevuti per SMS o via e-mail - effettivamente plurimi ma comunque non di contenuto minaccioso, bensì di 'corteggiamento' - ma pure rispondeva, ed ella stessa ne mandava al suo asserito persecutore senza riferimenti alle pretese violenze (viene addotto l'esempio di un messaggio sulle sue difficoltà lavorative inviato il (OMISSIS) - certo cronologicamente non distante dall'episodio di violenza sessuale, lesioni colpose e danneggiamento che la donna avrebbe subito dal destinatario il (OMISSIS) - che concludeva affermando che non intendeva riprendere la relazione col B. e che avrebbe affrontato da sola i problemi lavorativi - di cui però così in effetti l'aveva informato -, nonché quello di ben sei SMS in un'ora il giorno prima dell'arresto dell'imputato per comunicargli di aver intrapreso una relazione con il carabiniere M.P. , relazione che poi questi negava). Né sarebbe stato adeguatamente tenuto in conto il fatto che la donna (pur avendo ella stessa, i poliziotti e suo padre affermato che la condotta del B. la metteva in ansia, e analoga sarebbe stata la testimonianza di una psicologa - dottoressa S. - che però la seguiva da poco tempo) già da sette anni era sottoposta a una terapia per cui assumeva ansiolitici e psicofarmaci. La Corte territoriale inoltre non avrebbe motivato specificamente sull'asserito cambio di abitudini cui l'imputato avrebbe costretto la pretesa vittima, e non avrebbe neppure considerato, per valutare l'attendibilità delle sue dichiarazioni testimoniali, il consistente interesse economico a suo favore sopravvenuto, avendo questa chiesto un risarcimento di Euro 300.000. Infine, per tutti i reati di violenza sessuale la corte avrebbe ipotizzato una, mai contestata, fattispecie ex articolo 609 bis, comma 2, n. 1, c.p., e a proposito del capo f), la stessa parte offesa avrebbe dichiarato di non avere manifestato dissenso ma nonostante ciò la corte avrebbe individuato la violenza nell'approfittamento di un preteso stato di prostrazione psicologica, senza neppure considerare l'errore sul consenso che la condotta passiva avrebbe potuto generare nell'imputato.

Quelli appena sintetizzati sono elementi che possono in effetti assumere, logicamente, un ruolo di decisività perché possono condurre a un quadro nettamente opposto rispetto a quello evincibile dalle imputazioni: gli episodi avvenuti non avrebbero rilevanza penale, o quantomeno non l'avrebbero come contestato, perché non sarebbero derivati da azioni di violenza e persecuzione poste in essere da un prepotente fidanzato respinto e con il quale la ragazza non voleva avere più niente a che fare, bensì sarebbero da ricondursi a un rapporto di coppia in realtà protrattosi oltre l'(omissis) , e quindi persistente ma dal contenuto instabile e tormentato, che però la stessa vittima avrebbe contribuito, nonostante le liti e la precarietà sentimentale (non insignificante, in tal caso, sarebbe come si vedrà infra la cronologia degli interventi delle forze dell'ordine da lei suscitati) a preservare e nel cui ambito, perciò, sarebbe configurabile un consenso della donna o un errore dell'imputato in ordine a un effettivo di lei dissenso rispetto agli episodi sessuali. Proprio per l'incidenza nella struttura accusatoria se sussistenti, sia per quanto concerne l'attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa, sia per quanto concerne direttamente le caratteristiche degli eventi verificatisi, ovvero la loro riconducibilità o meno a un rapporto di coppia ancora in atto, questi elementi, essendo stati addotti nelle doglianze d'appello, meritavano una motivazione non pretermittente, bensì congruamente focalizzata per dimostrare, in concreto, l'assenza effettiva di qualunque corrosione da essi derivante sulla struttura accusatoria (cfr. da ultimo Cass. sez. II, 26 settembre 2012 n. 37709: 'il vizio di motivazione che denunci la mancata risposta alle argomentazioni difensive, può essere utilmente dedotto in Cassazione unicamente quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano un chiaro ed inequivocabile carattere di decisività, nel senso che una loro adeguata valutazione avrebbe dovuto necessariamente portare, salvo intervento di ulteriori e diversi elementi di giudizio, ad una decisione più favorevole di quella adottata').

E ciò tenendo conto del fatto che, nel caso in esame, la maggior parte degli episodi, sia riconducibili all'articolo 609 bis c.p. sia riconducibili all'articolo 612 bis c.p., si sorregge fondamentalmente sulle dichiarazioni testimoniali della stessa persona offesa: dichiarazioni che, pur non essendo comparabili, come hanno definitivamente chiarito le Sezioni Unite di questa Suprema Corte (S.U. 19 luglio 2012 n. 41461), con le dichiarazioni del soggetto non terzo sotto il profilo della colpevolezza perché non rientranti nella fattispecie di cui all'articolo 192, comma 3, c.p.p., non si può non considerare che provengono anch'esse da un soggetto non terzo, cioè da una persona profondamente coinvolta, perché (e ciò anche a prescindere dalla sua costituzione come parte civile e quindi dai correlati interessi economici) sarebbe la vittima del reato alla dimostrazione della cui esistenza contribuisce (e questo, data la frequenza dei casi in cui la dichiarazione del testimone-parte offesa è dominante in difetto di altri testi che abbiano assistito direttamente alla condotta criminosa, era già stato nettamente percepito per i reati di violenza sessuale: v. Cass. sez. IV, 18 ottobre 2011, n. 44644 per cui 'nell'ambito dell'accertamento di reati sessuali, la deposizione della persona offesa, seppure non equiparabile a quella del testimone estraneo, può essere assunta anche da sola come fonte di prova della colpevolezza, ove venga sottoposta ad un'indagine positiva sulla credibilità soggettiva ed oggettiva di chi l'ha resa, dato che in tale contesto processuale il più delle volte l'accertamento dei fatti dipende necessariamente dalla valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilità, dall'esterno, all'una o all'altra tesi').

Insegnano, allora, le citate Sezioni Unite che 'le regole dettate dall'art. 192, comma terzo, c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone', peraltro significativamente rimarcando, in motivazione, il rilievo in questi casi dei riscontri, qualora sussistano, se la vittima si è costituita - come nel caso de quo, e per un importo risarcitorio ingente, come correttamente evidenzia la difesa dell'imputato - parte civile ('nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi').

Non necessitano dunque - anche se, si è appena visto, sono indubbiamente opportuni in presenza di un interesse economico - riscontri oggettivi esterni alle dichiarazioni della pretesa vittima; ciò non significa che la sua dichiarazione sia dotata ab origine di una forza probatoria effettiva, occorrendo, secondo le modalità indicate dalle Sezioni Unite, un'analisi particolarmente attenta e decisamente più approfondita rispetto a quella che merita la dichiarazione testimoniale di un soggetto terzo: un'impronta di rigore chiaramente collegabile al noto e fondamentale principio dell'articolo 533, comma 1, c.p.p..

Il che significa che l'attendibilità della pretesa vittima non è sussistente fino a prova contraria, bensì, al contrario, che l'attendibilità di questo particolare testimone deve essere costruita sulla base di un completo vaglio intrinseco ed estrinseco, nonché, in caso di riscontri, contestualizzante, che è compito del giudice effettuare, e ciò anche per non incorrere in una sostanziale inversione dell'onere della prova per cui l'accusato dalla vittima sia egli stesso tenuto a dimostrarne la inattendibilità (v. da ultimo Cass. sez. III, 18 luglio 2012: 'in tema di valutazione della prova, le dichiarazioni della persona offesa, specie se costituitasi parte civile, non sono assistite da alcuna presunzione di credibilità, con la conseguenza che il giudice deve procedere anche d'ufficio ad una rigorosa e penetrante verifica di attendibilità intrinseca ed estrinseca del racconto accusatolo, che deve essere confrontato con tutti gli altri elementi processuali, non potendo gravare sull'imputato l'onere di provare la falsità della deposizione').

3.3 Occorre a questo punto un esame più ravvicinato della motivazione della sentenza impugnata, per verificare come abbia esternato, in riferimento agli elementi suddetti, il percorso logico-decisionale.

La Corte territoriale ha preso le mosse dall'esistenza o meno del reato di cui all'articolo 612 bis c.p., affermando, condivisibilmente per quanto già sopra accennato (quasi tutto dipende infatti dalla sussistenza o di una persecuzione o di una tempestosa relazione), che 'l'intera vicenda va interpretata alla luce del delitto di atti persecutori'. Non può non ricordarsi che tale norma, di recente introduzione (d.l. 23 febbraio 2009 n. 11, convertito con modifiche nella I. 23 aprile 2009 n. 38) per contrastare il quanto mai negativo fenomeno sociale del c.d. stalking - aggravatosi in sostanza in correlazione al mutamento del ruolo femminile, anteriormente ben più passivo, nei rapporti di coppia, ma comunque prescindente da un presupposto di genere -, punisce 'chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita'. Si tratta evidentemente di un reato ad evento di danno e non di pericolo - il che lo differenzia dall'ipotesi di cui all'articolo 612 c.p. - (Cass. sez. V, 27 novembre 2012-15 maggio 2013 n. 20993; Cass. sez. V, 5 giugno 2012 n. 39519; Cass. sez. V, 5 febbraio 2010 n. 17698) che si concreta in tre condotte alternative:

  • innescare uno stato d'ansia di paura,
  • indurre a temere fondatamente per l'incolumità propria o di una persona a sé legata,
  • costringere la vittima a mutare le proprie abitudini di vita.

Nel caso di specie, sarebbero state realizzate la prima e la terza delle condotte in questione.

La sostanza della condotta criminosa, comunque, a ben guardare è comune, ed è identificabile nella costrizione (da ultimo Cass. sez. III, 20 marzo 2013 n. 25889, che ne trae il discrimen dal reato di cui all'articolo 610 c.p., speciale rispetto alla fattispecie di cui all'articolo 612 bis c.p. per l'”elemento specializzante dato dallo scopo di costringere altri a fare, tollerare od omettere qualcosa, impedendone la libera determinazione con una condotta immediatamente produttiva di una situazione idonea ad incidere sulla libertà psichica del soggetto passivo'); ed esso rende centrale, sul piano probatorio del reato, la dimostrazione del nesso causale tra la condotta di minaccia o molestia 'in modo da cagionare' e l'insorgenza degli eventi di danno alternativi, prova che non può limitarsi alla dimostrazione dell'esistenza dell'evento, né tanto meno collocarsi su un piano astratto di idoneità della condotta ad integrare causa dell'evento, occorrendo identificare il concreto nesso causale tenendo conto della conformazione effettiva assunta dall'evento e anche - il che in ciò è insito - della condotta posta in essere dalla vittima (cfr. Cass. sez. V, 28 febbraio 2012 n. 14391, che, per un caso di provocazione di un perdurante e grave stato di ansia e di paura, evidenzia come la prova dell'evento del delitto in riferimento alla causazione nella persona offesa di un siffatto stato 'deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata'). Sul piano dell'elemento soggettivo, infine, occorre la presenza di un dolo generico, che si integra nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia o molestia, volontà che peraltro deve sussistere nella consapevolezza della loro idoneità a causare uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma (così ancora Cass. sez. V, 27 novembre 2012-15 maggio 2013 n. 20993).

Non adeguatamente tenendo conto dell'inquadramento giurisprudenziale che la fattispecie criminosa ha così già ricevuto a livello nomofilattico, la Corte territoriale afferma che il reato ex articolo 612 bis c.p. - alla luce del quale, si ripete, ritiene sia da interpretarsi la vicenda - è 'provato per tabulas' (pagine 24-25 della motivazione) in sostanza perché 'il tribunale ha dato conto dell'acquisizione agli atti di una abnorme serie di messaggi e-mail inviati dall'imputato, in un breve periodo di tempo, alla persona offesa' così realizzando 'una pesantissima invasione della sfera privata altrui' e una pressione ossessiva su 'una persona che aveva già ampiamente manifestato l'intenzione di interrompere la relazione sentimentale' (pagina 26).

Anzitutto, non si può non rilevare che una cosa è la lesione della privacy o anche una pressione ossessiva, un'altra è la provocazione di uno dei tre eventi richiesti dall'articolo 612 bis c.p. per integrare la fattispecie criminosa.

In particolare, subire una pressione ossessiva di riapertura di una relazione sentimentale non include, in re ipsa, vivere in un perdurante e grave stato di ansia o di paura: può cagionare anche altri e diversi stati psicologici, come per esempio una forte irritazione.

Ma vi è di più.

La stessa Corte territoriale (pagina 27) ammette che la pretesa vittima 'appalesava sentimenti e comportamenti ambivalenti' nei confronti dell'imputato, manifestati anche con la 'prosecuzione di contatti' via SMS o e-mail, anche se ciò, secondo il giudice d'appello, non incide sull'esistenza del reato.

In realtà, ictu oculi non assume l'irrilevanza che il giudice di merito gli ha attribuito. Infatti, come si è visto, per valutare che sussista o meno uno degli eventi di danno descritte dall'articolo 612 bis c.p. non si può prescindere dalla conformazione della condotta della pretesa vittima (cfr. ancora Cass. sez. V, 28 febbraio 2012 n. 14391): e se questa prosegue i contatti con l'altra persona, in una situazione in cui il contenuto dei messaggi non era tale da incutere paura o da considerarsi offensivo (la corte territoriale, a pagina 14, richiama la valutazione del primo giudice che qualificava il contenuto dei messaggi del B. 'melenso, petulante', e la conferma indirettamente laddove, a pagina 27, in sostanza ammette - per giudicarlo irrilevante - che l'imputato intendeva 'riconquistare la persona offesa', e non farle del male ma soltanto ripristinare la relazione amorosa), è difficoltoso sostenere che la fluviale comunicazione incide sulla sua psiche nel senso negativo di uno dei tre eventi descritti dall'articolo 612 bis c.p., apparendo piuttosto conforme (l'elevato numero dei contatti in caso di relazione sentimentale rientra nel notorio) ad un rapporto di coppia: e la corte riconosce che la stessa pretesa vittima 'ha ammesso' quel che la difesa del B. prospettava, e cioè che 'probabilmente era ancora innamorata' dell'imputato (motivazione, pagina 28).

Dove sia, a questo punto, la prova per tabulas della fattispecie ex articolo 612 bis c.p. nella motivazione della sentenza impugnata è molto difficile intravederlo; anche perché la motivazione non adduce, come prova in tal senso, neppure il contenuto di messaggi della pretesa vittima; né può trovarsi soluzione nell'esistenza di richieste di intervento (il cui contenuto non emerge poi con specificità dalla motivazione, che si limita a riportare la deposizione della persona offesa che, per la prima richiesta, definisce i comportamenti da diffidare semplicemente 'molesti' - motivazione, pagina 10 - senza indicazioni invece sul contenuto della seconda) delle forze dell'ordine, visto l'ampio iato temporale tra la prima (l'istanza di diffida del (omissis) ; non è dato conoscere neppure in quale periodo del mese di ottobre 2009 la donna avrebbe deciso di troncare la relazione sentimentale con l'imputato) e la seconda (istanza di ammonimento del (omissis) ).

Quanto poi al cambio dell'utenza del cellulare effettuato dalla pretesa vittima, risulta soltanto dalla deposizione testimoniale di questa (pagina 10) che ella abbia cambiato il numero del cellulare dopo la richiesta del (omissis) ai carabinieri di diffidare il B. e in rapporto ai suoi SMS; sempre secondo la versione della donna, il B. avrebbe allora cominciato a inviarle numerosissime e-mail, nonché ad attenderla in luoghi dove si recava o anche pedinarla; e poi sarebbe avvenuto l'episodio del (omissis) .

Peraltro, sempre dalla motivazione (pagina 14), si evince che quello che viene definito 'numerose decisive conferme' delle dichiarazioni della parte offesa non è del tutto congruo in relazione ad esse, laddove si osserva che 'dagli accertamenti tecnici erano stati estrapolati 209 messaggi inviati tra il (omissis) e il (omissis) e tra il (omissis) successivi; dal computer della persona offesa erano stati estrapolati innumerevoli messaggi inviati tra il XXXXXXXX e il (omissis)'.

Se, allora, il cambio dell'utenza di cellulare fosse avvenuto in prossimità posteriore rispetto alla richiesta di diffida del (omissis) , e comunque in data tale da consentire l'invio di numerosissime e-mail prima dell'episodio del (omissis) , non si può non riconoscere una certa tardività nell'afflusso di messaggi riscontrato dagli accertamenti tecnici, che si colloca non tanto in prossimità del (omissis) , bensì ben più avanti nel tempo; inoltre il passo motivazionale in esame è affetto da genericità, sia dove non indica da che cosa siano stati estrapolati i 209 messaggi (che peraltro, intercorrendo tra il (omissis) soltanto tre giorni, possono ragionevolmente ritenersi inviati in un periodo unico, dal (omissis) , nella cui durata è discutibile che si tratti di un numero da qualificare eccessivo, tenuto conto anche del fatto, insegnato dal notorio, che sovente i messaggi non sono isolati, bensì costituiscono i segmenti di dialoghi), sia dove, a proposito dei messaggi estrapolati dal computer della pretesa vittima tra il XXXXXXXX e il (omissis), si limita a definirli 'innumerevoli', senza fornire un dato numerico oggettivo come invece era stato fornito per il dato precedente. L''abnorme serie' di SMS e di e-mail affermata dalla corte territoriale (come già citato, a pagina 26) non è dunque illustrata con la specifica trasparenza necessaria.

3.4 Occorre allora passare all'esame degli ulteriori elementi che non possono essere qualificati prova per tabulas, essendo rappresentati da prove dichiarative.

Si è già ricordato, più sopra, che non è onere dell'imputato fornire una versione dei fatti tale da dimostrare la inattendibilità della dichiarazione testimoniale della parte offesa, essendo, al contrario, obbligo del giudice spiegare, con una rigorosa analisi intrinseca ed estrinseca, perché ritiene attendibile la suddetta dichiarazione testimoniale, considerata la natura particolarmente delicata di questo tipo di prova dichiarativa che si origina dal profondo coinvolgimento nella condotta asseritamente criminosa del soggetto che ne è fonte, delicatezza che si intensifica qualora vi sia anche la sua costituzione come parte civile.

La Corte territoriale ha invece proceduto in modo inverso. Dopo aver affermato la presenza di una prova per tabulas che in effetti non è emersa dalla sua motivazione - e che comunque, se fosse stata davvero evincibile dagli elementi sopra analizzati, avrebbe dimostrato soltanto la condotta ma non il nesso causale e l'evento di danno, questo, in particolare, non superando il livello della molestia - la Corte elenca gli elementi addotti dalla difesa dell'imputato per qualificarli irrilevanti o incredibili.

Irrilevante sarebbe l'esistenza di una eccessiva gelosia della donna, perché questa aveva deciso comunque, qualunque ne fosse stata all'origine, di troncare la relazione (motivazione, pagina 26); incredibile la tesi dell'imputato che questi la incontrava casualmente, perché invece egli la pedinava, come affermato dalla vittima e 'come confermato anche da persone estranee' come, ad esempio, la teste F. (pagina 27; nessuna menzione, però, vi è del contenuto della testimonianza della F. , di cui soltanto si apprende, a pagina 15, che era amica della persona offesa come un'altra teste di nome M. , e che entrambe queste amiche 'avevano assistito alle prevaricazioni ossessivamente poste in essere' dal B. , anche in questo passo, però, non specificando in alcun modo né che cosa si intendeva per prevaricazioni né comunque il contenuto delle testimonianze delle amiche); irrilevante è che l'imputato, 'con i suoi comportamenti persecutori, non intendesse far del male alla persona offesa ma soltanto ripristinare la relazione', poiché era già stato diffidato ed era a conoscenza della volontà della ragazza di rompere i rapporti (motivazione, pagina 27; peraltro era appena stato riconosciuto che la donna 'appalesava sentimenti e comportamenti ambivalenti' nei suoi confronti, quindi è contraddittorio dire che la sua volontà era così ben identificabile, anche perché, logicamente, avere chiesto una diffida il (omissis) non significa che la pretesa vittima non abbia poi potuto/voluto cambiare idea - e infatti la successiva istanza di ammonimento si colloca, come si è visto, non certo in prossimità cronologica con la prima, essendo presentata il (omissis) ); l'uomo, nonostante tale chiara e 'ribadita' volontà, approfittava della 'conosciuta fragilità psicologica dell'ex fidanzata' e aveva adottato un comportamento persecutorio per abbatterne le deboli difese psicologiche, 'ponendo in essere col telefono, con le e-mail, con i pedinamenti e i finti incontri casuali un vero e proprio atteggiamento ossessivo finalizzato a recuperare la relazione' (motivazione, pagine 27-28).

Da dove, improvvisamente, siano emerse le prove di questa 'conosciuta fragilità psicologica' non è chiaro nella motivazione; e d'altronde, non è esente da contraddittorietà affermare che la ragazza aveva 'deboli difese psicologiche' nel momento stesso in cui le si attribuisce la capacità di formulare una volontà ferma e 'ribadita' di rompere la relazione con l'uomo di cui, tra l'altro, aveva in sostanza ammesso di essere ancora innamorata, come subito dopo la motivazione mette in luce ('come evidenziato dalla difesa - ed ammesso dalla stessa persona offesa -... probabilmente era ancora innamorata': motivazione, pagina 28).

Questa è la parte, si può dire, principale della ricostruzione dell'elemento oggettivo del reato dell'articolo 612 bis c.p.: una ricostruzione che, chiaramente, è mirata a demolire - in modo peraltro abbastanza contraddittorio o comunque debole sul piano argomentativo oppure generico, come si è appena sintetizzato - gli elementi allegati a difesa dall'imputato, e in cui manca, invece, un'analisi dell'attendibilità della persona offesa, persona di cui peraltro si segnala una 'fragilità psicologica' che di per sé già non è favorevole a una stabile credibilità.

A ciò si aggiunge, poi, l'affermazione che la donna si trovava in 'perdurante grave stato d'ansia (e paura)', e questo 'risulta provato dalle dichiarazioni della persona offesa, dalle deposizioni rese dai pubblici ufficiali che ne avevano raccolto le segnalazioni, dalle dichiarazioni della dottoressa S. (che ha diagnosticato il grave stato di ansia e agitazione con compromissione dei normali ritmi del sonno in conseguenza degli episodi di persecuzione subiti dalla persona offesa), da quelle del padre' (motivazione, pagina 29).

Come sopra si è rimarcato, il nesso causale è, per così dire, il centro della necessità probatoria in una fattispecie come quella dell'articolo 612 bis c.p.; e nel caso di specie la motivazione è ancora una volta generica e carente.

Sull'attendibilità della dichiarazione della persona offesa, si è appena evidenziato che la corte territoriale non ha effettuato il vaglio richiesto dalla natura della teste. Sulle dichiarazioni testimoniali dei pubblici ufficiali, il riferimento è del tutto generico e non consente di apprendere alcunché. Nella sintesi precedente della sentenza di primo grado (pagina 15) si era evidenziato che le deposizioni degli ufficiali della polizia giudiziaria intervenuti di volta in volta su richiesta della persona offesa 'avevano descritto lo stato di prostrazione psicofisica e di agitazione in cui la stessa versava': in qual modo, però, non è dato sapere; inoltre uno stato di prostrazione e di agitazione può derivare, se la persona è ancora innamorata, anche da fattori diversi, come quello della eccessiva gelosia che l'imputato ha ripetutamente addotto come causa della 'negatività' del loro rapporto, pur a suo dire persistente.

Ma la corte territoriale aveva già affermato che l'esistenza di 'una 'insana' o comunque esagerata 'gelosia' è del tutto irrilevante' (motivazione, pagina 26, a proposito della decisione di rompere il rapporto) e che irrilevante era anche la circostanza che la donna nei confronti dell'uomo 'appalesava sentimenti e comportamenti ambivalenti...con indecisioni, recriminazioni, prosecuzione di contatti via SMS o mail' (pagina 27): affermazioni non esenti da una certa precipitazione e da una eccessiva semplificazione, che le inficiano, in ultima analisi, sul piano logico. Infine, il nesso causale verrebbe dimostrato dalla diagnosi della dottoressa S. .

Al riguardo, però, l'appellante aveva evidenziato che tale psicologa aveva avuto il primo colloquio con la pretesa vittima il (omissis) : dunque, è inevitabile desumere che non aveva potuto valutare la sua condizione psicologica durante la condotta criminosa, poiché il reato ex articolo 612 bis c.p. sarebbe stato commesso dal (omissis) al (omissis) .

Inoltre l'appellante segnalava che il percorso terapeutico con la psicologa non era stato effettuato in modo completo (solo sette incontri rispetto ai diciotto programmati): e questo non può non incidere sul livello di comprensione della effettiva condizione psicologica della paziente. Ma soprattutto, l'appellante aveva sottolineato che 'la ragazza assumeva ansiolitici da oltre sette anni...i disturbi dell'ansia e del sonno erano esistenti anche prima' (motivazione, pagina 23). A questo dato specifico, senz'altro rilevante ai fini della determinazione dell'origine dei disturbi emotivi della pretesa vittima - se li si considera dimostrati come sussistenti -, la corte territoriale non da risposta alcuna; anzi, conferma l'esistenza del dato in un'ulteriore passaggio (motivazione, pagine 29-30) laddove, ancora per dimostrare l'azione criminosa, come prova, singolarmente, adduce un comportamento posteriore ad essa, cioè il fatto che, posto agli arresti domiciliari dopo essere stato per un certo tempo custodito in carcere, l'imputato, nonostante il divieto, aveva telefonato alla donna, facendola oggetto di scherno: e ciò dimostrerebbe che il comportamento ossessivo del B. , nonostante i pregressi disturbi della donna, le causavano stato d'ansia.

Argomento palesemente incongruo, poiché è logico ritenere che, dopo essere stato ristretto in carcere a seguito delle querele di quella che così era diventata ormai, senza ambivalenza, una sua 'controparte', l'imputato sia stato portato a fare una telefonata di ostilità reattiva, non automaticamente equiparabile, quindi, ai contatti anteriori all'arresto. Rimane, pertanto, vista la conformazione della motivazione, un più che ragionevole dubbio che i problemi psicologici o addirittura psichici della donna fossero eziologicamente avulsi dalla condotta dell'imputato; dubbio che non è certo sufficiente a sanare, visto il vincolo di stretta parentela, la, peraltro oggetto di richiamo ancora generico, deposizione testimoniale del padre della pretesa vittima, il quale peraltro avrebbe fatto riferimento a uno 'stato di agitazione' e a un 'progressivo chiudersi in se stessa' della figlia, il che non è l’inequivoco equivalente di un 'perdurante e grave stato di ansia o di paura' (motivazione, pagina 15).

3.5 Per quel che poi riguarda l'alternativa dell'evento di danno prospettata nella sentenza impugnata, cioè il mutamento delle abitudini, non si può non condividere la censura di genericità che vi ha apportato il ricorrente.

Motiva la corte territoriale (pagina 30): 'Nessun dubbio sussiste neppure sull'intervenuta alterazione delle abitudini di vita della p.o.: non è necessaria una modifica radicale delle condizioni di vita essendo sufficiente la necessità di cambiarle in conseguenza delle reiterate condotte moleste; in ogni caso la persona offesa era stata costretta a cambiare utenza cellulare e a modificare le proprie uscite, soprattutto serali da sola o con le amiche'. Del cambiamento dell'utenza cellulare si è sopra già rilevato la equivocità quanto alla connessione ai contatti del B.con la pretesa vittima; e le dichiarazioni soltanto di lei ne sarebbero la prova, pur non essendo stata espletata, già si è detto, l'analisi necessaria per accertarne l'attendibilità. Quanto alle modifiche delle uscite, la genericità è perspicua. L'appellante aveva mosso al riguardo una specifica doglianza, tra l'altro adducendo che la ragazza frequentava una palestra e aveva continuato ad andarci fino al 14 giugno, data dell'arresto dell'imputato, smettendo di frequentarla non per le condotte di questi bensì perché l'arresto era divenuto di dominio pubblico e quindi aveva smesso 'per la vergogna'; 'non aveva cambiato auto né indirizzo mail e neppure i locali che da sempre frequentava' (motivazione, pagina 22).

Per corrispondere adeguatamente all'esercizio del diritto di difesa così effettuato dall'imputato, la corte territoriale avrebbe pertanto dovuto indicare in maniera più dettagliata in che modo la donna avrebbe modificato le proprie uscite, a che cosa avrebbe rinunciato, che cosa avrebbe fatto da sola o con le amiche in sostituzione delle originarie sue abitudini. Senza queste concretezze, la sua motivazione è un asserto, non una spiegazione sull'esistenza della prova dell'evento di danno.

3.6 Infine, la motivazione incorre in défaillance anche sul piano dell'elemento soggettivo.

Come già si è visto, il dolo del reato di cui all'articolo 612 bis c.p. è sì un dolo generico, ma include la consapevolezza che le condotte poste in essere sono idonee a causare uno degli eventi pregiudizievoli alternativamente previsti dalla norma (Cass. sez. V, 27 novembre 2012-15 maggio 2013 n. 20993, già citata). La Corte territoriale (motivazione, pagina 28) afferma che il comportamento dell'imputato 'era caratterizzato da un dolo intenso: l'atteggiamento ossessivo era finalizzato a provocare uno stato di continuo stress psicologico lasciando intravedere alla vittima, come unica possibilità di porre fine a quell'atteggiamento asfissiante, il ripristino della relazione'.

Ora, anche a prescindere dal fatto che la Corte non spiega da dove trae specificamente prova di un siffatto 'dolo intenso', non si può non richiamare che, immediatamente prima, aveva dichiarato - dopo aver dato atto che il B.'era animato dall'intenzione di riconquistare la persona offesa, approfittando della circostanza che essa appalesava sentimenti e comportamenti ambivalenti nei suoi confronti, con indecisioni, recriminazioni, prosecuzione di contatti' - essere 'irrilevante che il B. , con i suoi comportamenti persecutori, non intendesse far del male alla persona offesa' (motivazione, pagina 27): da ciò, in realtà, scaturisce un dubbio tutt'altro che irragionevole nel senso che non è pienamente dimostrata la consapevolezza del B. di far del male, appunto, alla donna, quantomeno nel senso di gettarla in uno stato di perdurante e grave ansia. Né può ritenersi irrilevante, ai fini della determinazione dell'elemento soggettivo, la sussistenza dei comportamenti ambivalenti della donna (che ancora nella dichiarazione testimoniale aveva confermato la persistenza del suo innamoramento) nei confronti dell'uomo, che potevano effettivamente indurlo nella convinzione di scioglierla, con la sua condotta, da una situazione di sgradevole impasse psicologica (questo quantomeno relativamente ai rapporti sessuali, potendosi intendere ragionevolmente anche in tal senso la frase 'dai che dopo stai bene anche te, io ti amo, insomma me lo devi dire anche tu che mi ami, perché tanto si sa che mi ami' che, sempre secondo la - non vagliata, si ricorda - deposizione testimoniale della pretesa vittima, l'imputato avrebbe pronunciato nell'episodio del capo F, tanto più che in questo episodio la stessa donna ammette di non aver manifestato dissenso al rapporto sessuale; frase che, invece, secondo la Corte territoriale avvalora il dolo intenso di ossessionare la vittima).

In conclusione, la ricostruzione del reato di cui all'articolo 612 bis c.p., che costituisce una sorta di piattaforma per gli altri episodi contestati come reati, non solo non è adeguata all'insegnamento giurisprudenziale sulle modalità di vaglio delle dichiarazioni della persona offesa come teste, ma altresì non è depurata da una serie di contraddizioni e non raggiunge un livello di specificità e validità logica tale da potersi qualificare una struttura realmente fondata su fatti decisivi, avendo invece pretermesso elementi evidenziati dalla difesa seguendo però un iter argomentativo non idoneo ad assorbirli e a renderli irrilevanti.

3.7 È del tutto evidente che, a cascata, questa impostazione motivazionale erronea e carente si riflette sulla motivazione attinente agli episodi di violenza sessuale, lesione e danneggiamento che si sarebbero verificati, come momenti apicali, lungo il periodo di pretesa persecuzione della donna da parte dell'imputato. E sui reati sessuali alle carenze di impostazione (soprattutto sul vaglio dell'attendibilità della pretesa vittima) appena evidenziate si assomma un'ulteriore criticità, esattamente denunciata dal ricorrente (nel terzo motivo, per tutti i reati di violenza sessuale) affermando la corte che 'l'imputato sfruttava la debolezza psicologica della persona offesa e la sua condizione di ansia e fragilità; si trattava dell'ex fidanzato ed era sufficiente un minimo di violenza per abbattere le difese della vittima e costringerla a subire atti sessuali in realtà non voluti' (motivazione, pagine 22-23). Ora, a prescindere dal fatto che se la donna fosse stata una persona così psicologicamente 'viziata' non si comprende per quale motivo ciò non sia stato affrontato ai fini di valutarne l'attendibilità dal giudice di merito, deve riconoscersi la fondatezza della censura del ricorrente nel senso che, in siffatto caso, avrebbe dovuto essere contestata la fattispecie dell'articolo 609 bis, comma 2, n. 1, c.p., non invocata in nessun capo di imputazione. Non può non insorgere, quindi, la prospettiva di un tentativo di 'correzione' da parte della Corte territoriale a fronte di una eccessiva povertà di prova in ordine alla manifestazione, da parte della pretesa vittima, di un dissenso rispetto agli atti sessuali subiti: si consideri infatti che in tutta la vicenda, pur avendo tra l'altro la corte affermato che (a proposito del capo f), pagine 32-33) la donna 'era ben a conoscenza del carattere anche irascibile del prevenuto e ben poteva prevedere - e temere - quale poteva essere la sua reazione di fronte a tentativi di resistenza 'fisica', con l'impiego della forza', l'unica lesione che avrebbe subito la parte offesa sarebbe consistita (capo e) in un 'trauma cranico minore' con prognosi di un giorno, peraltro non cagionato direttamente da un colpo inferto dall'imputato, bensì provocato dall'urto della donna con la testa contro l'abitacolo della sua vettura mentre, secondo l'accusa, si stava dimenando per impedire all'imputato di baciarla; e a ciò si aggiunga che il teste R. , che avrebbe assistito all'episodio del (omissis) , ha dichiarato di aver intimato all'imputato: 'Non mettere le mani addosso alla ragazza sennò chiamo i carabinieri!' aggiungendo che 'però lui non aveva messo le mani addosso alla ragazza', in seguito soltanto precisando che, nel culmine della lite, la ragazza 'andava verso la M. , il ragazzo la tirava indietro' e che poi, essendo andata la ragazza in macchina, 'lui andò per aprire la porta della macchina con un po' di forza, mi sembra che gli ruppe anche la maniglia, mi sembra' (motivazione, pagina 36). Questo episodio del ..., che è palesemente unitario, pur essendo rubricato in capi d'imputazione distinti ai fini della qualificazione giuridica, è però trasformato dalla Corte territoriale in 'precedenti episodi' in cui l'imputato 'aveva già agito con violenza' (motivazione, pagina 31): proprio per questo, sembra, la persona offesa avrebbe dovuto tenere una arrendevolezza nell'episodio del capo f) tale da non togliere la natura violenta del rapporto sessuale e da non indurre in errore sul consenso l'imputato. Anche questo argomento è evidentemente più apodittico che logico: per un unico episodio, nel quale, si ripete, la donna non aveva ricevuto lesioni in modo diretto dall'imputato, e l'unica lesione era stata realmente minimale (a prescindere dai problemi di prova relativi all'episodio stesso, poiché quanto avvenne entro l'abitacolo della vettura riguardo ai capi a) e c) si fonda solo sulla dichiarazione testimoniale della parte offesa, la cui attendibilità, come si è visto, è stata in sostanza presunta e non vagliata), e in un contesto in cui la donna aveva condotte ambivalenti e persisteva nell'innamoramento, non è sostenibile che nell'ulteriore episodio del capo f) la sua completa passività non abbia potuto avere incidenza alcuna sull'elemento soggettivo dell'imputato.

In conclusione, sia sotto il profilo dell'inadeguata utilizzazione della testimonianza di parte offesa, sia sotto il profilo dei vizi motivazionali, soprattutto sulla sussistenza degli elementi integranti il reato di cui all'articolo 612 bis c.p., i primi cinque motivi del ricorso risultano fondati, conseguentemente assorbendosi il sesto (che concerne la determinazione della pena) e dichiarandosi l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna. La natura dei reati impone, in caso di diffusione del presente provvedimento, l'omissione dei dati identificativi a norma di legge.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna.