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Controdenuncia per calunnia non impedisce testimonianza (Cass. 4001/24)

30 gennaio 2024, Cassazione penale

La persona offesa di un reato, che sia stata a sua volta denunciata per altri reati dal soggetto asseritamente autore di quello in suo danno, non versa in situazione di incompatibilità con l’ufficio di testimone nel procedimento per il reato che le ha recato offesa, e può essere sentita senza le garanzie dell’assistenza difensiva, perché nella nozione di reati «commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre», di cui all’art. 371, comma 2, lett. b), cod. proc. pen., rientrano soltanto quelli commessi nel medesimo contesto spazio-temporale e, quindi, in stretto collegamento naturalistico.

Se così non fosse, si lascerebbe spazio alla possibilità di denunce strumentalmente finalizzate a creare situazioni di incompatibilità a testimoniare, così venendo inammissibilmente ad incidere sul corretto esercizio della giurisdizione penale, laddove la negazione ai soggetti che versano nella descritta situazione di "reciprocità" della piena capacità di testimoniare deve ritenersi costituzionalmente legittima unicamente se il presupposto dell'incompatibilità sia ancorato ad un elemento oggettivo e neutro, come tale non soggettivamente determinabile a piacimento da uno dei soggetti coinvolti. 

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

(data ud. 09/01/2024) 30/01/2024, n. 4001

SENTENZA

sul ricorso proposto dal

Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano nel procedimento a carico di

A.A., nata in Svizzera il (Omissis);

avverso la sentenza del 10 marzo 2023 emessa dalla Corte di appello di Milano;

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;

udita la relazione del consigliere Fabrizio D'Arcangelo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Antonietta Picardi, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso,

udita l'avvocato LP, difensore dell'imputata, che ha chiesto di dichiarare l'inammissibilità o, comunque, di rigettare il ricorso.

Svolgimento del processo

1. A.A., con decreto emesso in data 17 dicembre 2020, è stato rinviato a giudizio dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Milano, per rispondere del reato di peculato, commesso in Milano, in data anteriore e prossima al 27 luglio 2018, per essersi appropriata, in qualità di infermiera in servizio presso l'Ospedale San Carlo Borromeo di Milano, di medicinali e di materiale sanitario, dei quali aveva la disponibilità per ragione del suo servizio.

2. Il Tribunale di Milano, con sentenza emessa in data 13 maggio 2021, ha dichiarato l'imputata colpevole del reato ascrittole e, riconosciuta l'attenuante di cui all'art. 323-bis, primo comma, cod. pen. e le circostanze attenuanti generiche, l'ha condannata alla pena di due anni di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e all'applicazione delle sanzioni accessorie previste dalla legge.

3. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano, in riforma della pronuncia di primo grado, ha assolto l'imputata appellante perché il fatto non sussiste.

Secondo la Corte di appello, infatti, la prova decisiva costituita dalla testimonianza dell'ex coniuge dell'imputata, B.B., sarebbe stata inutilizzabile, in quanto la sua testimonianza avrebbe dovuto essere assunta nelle forme di cui agli artt. 210, comma 6, e 197-bis cod. proc. pen.

Il B.B., infatti, all'atto della sua escussione in dibattimento era sottoposto ad indagini, in quanto denunciato per calunnia dalla A.A. proprio in relazione alle accuse che questi le aveva rivolte e che sono all'origine del presente processo.

Ad avviso della Corte di appello, il B.B. avrebbe, dunque, dovuto essere escusso quale testimone assistito, sussistendo un collegamento probatorio fondato sulla reciprocità dei reati commessi ai sensi dell'art. 371cod. proc. pen., comma 2, lett. b), cod. proc. pen.

L'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal B.B. avrebbe, peraltro, determinato il venir meno della principale e fondamentale prova posta a fondamento della sentenza di primo grado.

4. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l'annullamento, deducendo, con unico motivo, la violazione degli artt. 210, comma 6, e 197 bis cod. proc. pen.

Il Procuratore generale eccepisce che il B.B. è stato legittimamente escusso come testimone dal giudice di primo grado, in quanto la denuncia per calunnia sporta nei suoi confronti dell'imputata è stata archiviata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano in data 6 aprile 2022 e, dunque, un

anno prima della pronuncia della sentenza di appello (10 marzo 2023).

La parte pubblica ricorrente rileva, inoltre, che, secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di prova dichiarativa, sono utilizzabili le dichiarazioni rese in qualità di testimone dalla persona offesa che sia stata a sua volta denunciata dall'imputato per calunnia, in quanto l'incompatibilità non sussiste nel caso in cui i reati reciprocamente commessi si collochino in contesti spaziali e temporali diversi (e cita, in proposito, Sez. 6, n. 6938 del 22/01/2019, Ricciardi, Rv. 275081-01; Sez. 2, n. 4128 del 09/01/2015, Cecoro, Rv. 262369 - 01).

Anche ove si ravvisasse un collegamento probatorio, peraltro, l'art. 210, comma 6, cod. proc. pen. riguarda le persone "che non hanno reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell'imputato" e, nel caso di specie, il procedimento penale aveva tratto origine proprio dalle dichiarazioni rese dal B.B. contro la A.A.

5. Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 18 dicembre 2023, il Procuratore generale, Antonietta Picardi, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.

Con memoria depositata in data 9 gennaio 2023 l'avvocato LP, difensore dell'imputata, ha chiesto di dichiarare l'inammissibilità o, comunque, di rigettare il ricorso della Procura generale.

Il difensore ha rilevato che G.B.B. è stato escusso quale testimone all'udienza delI'11 marzo 2021, quando era ancora indagato per il reato di calunnia; il B.B., dunque, avrebbe dovuto essere escusso quale testimone assistito, nelle forme dell'art. 197-*/s cod. proc. pen., e la violazione delle garanzie di cui agli artt. 210, comma 6, e 197-bis cod. proc. pen. determina l'inutilizzabilità della testimonianza.

Il Procuratore generale, inoltre, deducendo il difetto di reciprocità dei reati commessi avrebbe introdotto un tema di merito, relativo alla strumentalità della denuncia per il delitto di calunnia, precluso in sede di legittimità.

Motivi della decisione

1. Il ricorso deve essere accolto.

2. Con unico motivo di ricorso, il Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano ha dedotto la violazione degli artt. 210, comma 6, e 197-bis cod. proc. pen.

3. Il motivo è fondato.

La Corte di appello ha ritenuto che le dichiarazioni rese nel giudizio di primo grado dal B.B. fossero inutilizzabili, in quanto il medesimo avrebbe dovuto essere escusso quale testimone assistito in ragione della propria qualità di persona sottoposta ad indagine per il delitto di calunnia denunciato dall'imputata.

Il collegamento probatorio, fondata sulla reciprocità dei reati commessi di cui all'art. 371 cod. proc. pen., comma 2, lett. b), cod. proc. pen., avrebbe, dunque, imposto l'adozione delle forme e delle garanzie di cui all'art. 197 bis cod. proc. pen., sanzionate dall'inutilizzabilità della prova assunta in loro violazione.

Questa argomentazione è, tuttavia, errata e contrasta con la disciplina del codice di rito.

Se, infatti, la giurisprudenza meno recente (Sez. 5, n. 599/09 del 17/12/2008, Mastroianni, Rv. 242384; Sez. 6, n. 32841 del 28/05/2009, Rv. 244448), non operava distinzioni di sorta accontentandosi del mero dato formale della "reciprocità", l'orientamento ormai costante di questa Corte ha precisato che la persona offesa di un reato, che sia stata a sua volta denunciata per altri reati dal soggetto asseritamente autore di quello in suo danno, non versa in situazione di incompatibilità con l'ufficio di testimone nel procedimento per il reato che le ha recato offesa, e può essere sentita senza le garanzie dell'assistenza difensiva, perché nella nozione di reati "commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre", di cui all'art. 371, comma 2, lett. b), cod. proc. peri, rientrano soltanto quelli commessi nel medesimo contesto spazio-temporale e, quindi, in stretto collegamento naturalistico (explurimis: Sez. 6, n. 6938 del 22/01/2019, Ricciardi, Rv. 275081-01; Sez. 2, n. 4128 del 09/01/2015, Cecoro, Rv. 262369 - 01; Sez. 3, n. 26409 del 08/05/2013, C., Rv. 255578 - 01, con riferimento alle dichiarazioni rese in qualità di testimone dalla persona offesa del reato di violenza sessuale che sia stata denunciata dall'imputato dello stesso reato per calunnia; Sez. 5, n. 1898/11 del 28/10/2010, Micheli Clavier, non massimata sul punto, e Sez. 2, n. 26819 del 10/04/2008, Dell'Utri e altro, Rv. 240947)

L'incompatibilità a testimoniare in coloro che siano contestualmente imputati e persone offese di reati reciproci, dunque, non opera con riferimento a quei reati che, seppure formalmente "reciproci", nel senso cioè di essere stati commessi in danno reciproco, siano tuttavia stati consumati in contesti spaziali e temporali del tutto distinti e che, dunque, sono estranei, sulla base di un'interpretazione costituzionalmente orientata, all'ambito applicativo dell'art. 371, comma 2, lett. b), cod. proc. pen.

Invero, se così non fosse, si lascerebbe spazio alla possibilità di denunce strumentalmente finalizzate a creare situazioni di incompatibilità a testimoniare, così venendo inammissibilmente ad incidere sul corretto esercizio della giurisdizione penale, laddove la negazione ai soggetti che versano nella descritta situazione di "reciprocità" della piena capacità di testimoniare deve ritenersi costituzionalmente legittima unicamente se il presupposto dell'incompatibilità sia ancorato ad un elemento oggettivo e neutro, come tale non soggettivamente determinabile a piacimento da uno dei soggetti coinvolti (Sez. 6, n. 6938 del 22/01/2019, Ricciardi, Rv. 275081-01; Sez. 3, n. 26409 del 08/05/2013, C., Rv. 255578 - 01, con riferimento alle dichiarazioni rese in qualità di testimone dalla persona offesa del reato di violenza sessuale che sia stata denunciata dall'imputato dello stesso reato per calunnia).

Nel caso di specie, il vincolo della reciprocità sarebbe determinato dal comportamento di uno dei soggetti coinvolti (e, segnatamente, dalla denuncia per calunnia sporta dall'imputata) e, dunque, non sussiste la violazione di legge ravvisata dalla Corte di appello di Milano.

Il difetto della contestualità risulta, peraltro, obiettivamente dalla stessa cronologia delle denunce reciproche e non involge alcun accertamento di fatto precluso in sede di legittimità; l'imputata ha, infatti, denunciato in data 13 giugno 2019 il B.B. per calunnia proprio in relazione alle accuse che questi le aveva rivolte, con la denuncia sporta in data 27 luglio 2018, e che sono all'origine del presente processo.

Con riferimento alle dichiarazioni rese dal B.B. in dibattimento, dunque, non sussiste una questione di inutilizzabilità, conseguente ad una incompatibilità a testimoniare e al mancato rispetto delle garanzie di legge per i testimoni assistiti, quanto un tema, al pari di ogni altra testimonianza legittimamente assunta, di attendibilità del dichiarante e di valutazione della propria efficacia probatoria.

4. La Corte di appello ha, dunque, illegittimamente dichiarato inutilizzabili le dichiarazioni, ritenute decisive, rese da Gennaro B.B.

Alla stregua di tali rilievi la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2024.Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2024.