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Consegna di ricercato a Regno Unito fra estradizione e MAE (Cass. 34466/21)

16 settembre 2021, Cassazione penale

Il Regno Unito e l'Unione Europea hanno concluso il 24 gennaio 2020 un Accordo sul recesso, che stabilisce le condizioni del recesso del Regno Unito dall'Unione, conformemente all'art. 50 del Trattato sull'Unione Europea.

Tale Accordo è entrato in vigore, ai sensi dell'art. 185, primo paragrafo, il 1 febbraio 2020 (cfr. la Nota relativa all'entrata in vigore dell'accordo sul recesso del Regno Unito dall'Unione Europea, pubblicata in G.U.U.E., L. del 31 gennaio 2020), dopo il completamento della procedura di approvazione, e, a partire da tale data, il Regno Unito non è più uno Stato membro dell'Unione Europea, diventando un paese terzo.

L'entrata in vigore dell'Accordo di recesso ha segnato la fine del periodo di cui all'art. 50 T.U.E. e l'inizio di un periodo transitorio concordato, la cui durata è stata prevista fino al 31 dicembre 2020, volto a consentire alle parti di concludere un accordo sulle loro relazioni future.

L'Accordo di recesso, a tal fine, ha dettato disposizioni per l'applicazione in questo periodo transitorio nei confronti del Regno Unito degli strumenti dell'U.E., tra i quali anche quelli di cooperazione giudiziaria penale (Titolo V, artt. 62 e ss.).

Dal 10 gennaio 2021 - quindi alla fine del periodo di transizione e dell'applicazione della normativa transitoria contenuta nell'Accordo di recesso - è entrato in vigore in via provvisoria l'Accordo, approvato il 24 dicembre 2020, sugli scambi commerciali e la cooperazione tra l'Unione Europea e il Regno Unito, che ha dettato disposizioni per regolare vari settori di interesse, tra i quali quello della cooperazione giudiziaria penale.

Anche questo Accordo contiene disposizioni di diritto transitorio, stabilendo all'art. 632 (ex art. LAW.SURR.112) (Applicazione ai mandati d'arresto Europei esistenti), che le nuove norme da esso previste si applicano "ai mandati d'arresto Europei emessi, conformemente alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, da uno Stato prima della fine del periodo di transizione qualora la persona ricercata non sia stata arrestata in esecuzione del mandato prima della fine del periodo di transizione".

Come stabilisce l'art. 783 (Entrata in vigore e applicazione provvisoria), le parti hanno convenuto di applicare in via provvisoria detto Accordo a decorrere dal 10 gennaio 2021 sino al 30 aprile 2021 (cfr. la decisione n. 1 del 23 febbraio 2021 del Consiglio di Partenariato, pubblicata in G.U. n. 33 del 2021).

Dal primo maggio 2021 dunque è cessata l'applicazione provvisoria con l'entrata in vigore definitiva dell'Accordo (cfr. la decisione del Consiglio n. 689/2021 del 29 aprile 2021, pubblicata in G.U.U.E. L. 149 del 30 aprile 2021).

L'Accordo è stato concluso sulla base dell'art. 217 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), che prevede l'approvazione all'unanimità degli Stati Membri dell'Unione Europea in sede di Consiglio e l'approvazione del Parlamento Europeo.

L'Accordo, essendo riferito a materie di competenza esclusiva dell'Unione Europea e, non essendo un accordo c.d. misto, non richiede la ratifica di ciascun Stato membro dell'Unione secondo le rispettive norme costituzionali, con la conseguente necessità di una ratifica da parte dei Parlamenti nazionali.

Dal momento della sua entrata in vigore, il quadro delle relazioni tra Unione Europea e Regno unito è dunque regolato dal nuovo Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione nonchè dall'Accordo di recesso che ha disciplinato per il futuro alcune situazioni giuridiche connesse alla partecipazione del Regno Unito all'Unione Europea.

 

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE FERIALE

Sent., (ud. 24/08/2021) 16-09-2021, n. 34466

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZAZA Carlo - Presidente -

Dott. GENTILI Andrea - Consigliere -

Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere -

Dott. CENCI Daniele - Consigliere -

Dott. SILVESTRI Pietro - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

D.S.D., nato in (OMISSIS);

avverso la sentenza emessa il 15/07/2021 dalla Corte di appello di Milano;

udita la relazione svolta dal Consigliere, SILVESTRI Pietro;

lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Di Leo Giovanni, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

Svolgimento del processo

1.La Corte di appello di Milano ha disposto la consegna all'Autorità Giudiziaria del Regno Unito di Gran Bretagna di D.D.S., arrestato il 10/06/2021 in esecuzione di un mandato di arresto processuale emesso il 30/03/2021 dalla stessa Autorità giudiziaria per i reati di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e per aver incoraggiato la commissione dei reati scopo, consentendo all'organizzazione l'uso del proprio veicolo.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore del consegnando articolando cinque motivi.

La premessa da cui muove il ricorrente è che la vicenda in esame ha ad oggetto un mandato di arresto emesso da un Paese non più parte dell'Unione Europea e la cui disciplina non è rinvenibile nè nella L. 22 aprile 2005, n. 69 e neppure nella Convenzione Europea sulla estradizione firmata a Parigi il 13 dicembre 1957, ratificata con la L. n. 300 del 30 gennaio 1963.

La disciplina del mandato di cui si chiede la esecuzione, si argomenta, troverebbe invece il proprio riferimento normativo nell'Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione giudiziaria, entrato in vigore il 1 maggio 2021, sottoscritto direttamente dal Parlamento dell'Unione Europea con il Regno unito (da ora Accordo).

L'Accordo, che dedica la parte terza alla cooperazione giudiziaria, pur disciplinando i presupposti per la emissione del mandato di arresto, non conterrebbe tuttavia disposizioni sulla procedura da osservare da uno Stato Membro dell'Unione per decidere sulla esecuzione del mandato di arresto emesso dal Regno Unito e, dunque, sulla richiesta di consegna.

In particolare, l'Accordo non conterrebbe le norme riguardanti: a) il mezzo di impugnazione da proporre avverso la decisione emessa dall'autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione; b) i termini entro cui proporre l'impugnazione; c) i poteri di verifica attribuiti alla Corte territoriale; d) la procedura relativa al deposito della documentazione da parte dello Stato emittente.

2.1. Sulla base di tali dati di presupposizione con il primo motivo si chiede alla Corte di domandare una pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, ai sensi dell'art. 111 Cost., 267, lett. a), Trattato sul funzionamento dell'Unione, 47 Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, relativa alla interpretazione delle disposizioni contenute nell'Accordo sugli scambi commerciali e l'indicazione delle norme procedurali applicabili ai casi in esso disciplinati.

Si sottolinea che proprio la mancanza di norme sulla procedura di impugnazione avrebbe comportato per il ricorrente la necessità di ricorrere in Corte di cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost..

La situazione creatasi implicherebbe innanzitutto una violazione dell'art. 2 Protocollo 7 della Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo, secondo cui l'esercizio del diritto di far esaminare la dichiarazione di colpevolezza da una giurisdizione superiore - ivi compresi i motivi per cui può essere esercitato- è disciplinato dalla legge.

Secondo il ricorrente, solo la Corte di Giustizia Europea potrebbe colmare temporaneamente il vuoto normativo in questione, non potendo nella specie trovare applicazione la legge sul mandato di arresto Europeo, come erroneamente avrebbe fatto la Corte di appello, attesa ormai la terzietà e la estraneità del Regno Unito di Gran Bretagna dal contesto Europeo e il divieto di analogia che vige anche nel diritto comunitario.

La pronuncia pregiudiziale della Corte di giustizia Europea sarebbe necessaria anche alla luce del principio di cui all'art. 6 della Convenzione EDU, al fine di garantire la tutela dei diritti fondamentali.

2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge processuale per non avere la Corte applicato la disciplina "interna" e, in particolare, l'art. 696 c.p.p., comma 3.

La tesi è che nella specie non potrebbe applicarsi l'art. 696 c.p.p., comma 2, relativo ai rapporti tra Stati diversi da quelli membri dell'Unione Europea, che fa riferimento "alle norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato ed alle norme di diritto internazionale generale", perchè l'Accordo di scambio stipulato con il Regno Unito sarebbe incompleto, e sarebbe invece applicabile l'art. 696 c.p.p., comma 3, e, quindi, le norme del codice di procedura penale relative ai rapporti giurisdizionali con autorità straniere.

La sentenza impugnata sarebbe viziata per non avere la Corte compiuto nessuna valutazione in ordine alla corretta applicazione delle norme interne in tema di estradizione e per aver applicato la disciplina del mandato di arresto Europeo (si fa riferimento alla fascicolazione del procedimento, all'invito alla difesa a proporre ricorso per cassazione entro il termine di cinque giorni, cioè quello previsto dalla L. n. 69 del 2005, così come modificata dal D.Lgs. 2 febbraio 2021, n. 10).

L'applicazione dell'art. 696 c.p.p., comma 3, avrebbe invece imposto di osservare una serie di profili di garanzia, in realtà del tutto omessi, quali la possibilità di richiedere i documenti posti a fondamento del mandato di arresto e di valutare le fonti di prova del provvedimento, la garanzia del contraddittorio sul merito degli addebiti, la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, la possibilità di ricorrere in Corte anche per vizio di motivazione, un diverso termine di impugnazione.

2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione dell'art. 705 c.p.p., per non essere stata valutata la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati contestati al ricorrente.

Si tratta di un motivo che ha una portata residuale rispetto ai precedenti e che muove dal presupposto che l'estradizione sia nella specie regolata su base convenzionale, cioè in base all'Accordo; si assume che anche in tal caso lo Stato richiesto dovrebbe compiere una valutazione sulla sussistenza degli elementi a carico dell'estradando ai sensi dell'art. 705 c.p.p..

In tal senso, si argomenta, la relazione inviata dal Regno Unito sarebbe del tutto vaga ed anche la documentazione ricevuta sarebbe generica; dei quarantadue punti segnalati dal Pubblico Ministero inglese, trentasei riguarderebbero altri soggetti e quello relativo al ricorrente non espliciterebbe elementi a carico.

In particolare, non vi sarebbe nessun elemento dimostrativo della partecipazione dell'indagato all'associazione nel periodo oggetto di contestazione (1.5.2018-31.7.2019), ma, piuttosto, vi sarebbero una serie di elementi, puntualmente indicati, dimostrativi della inesistenza indiziaria della partecipazione al sodalizio, fatta discendere, si sostiene, solo dalla presunta commissione di un reato fine.

La Corte avrebbe valorizzato in tal senso: a) la presenza del ricorrente in Inghilterra all'epoca dei fatti; b) la circostanza che il ricorrente sarebbe stato in contatto con tale Dr., cioè con un soggetto che avrebbe rivestito un ruolo di vertice all'interno dell'associazione; c) l'avere il ricorrente soggiornato presso una determina fattoria, ritenuta essere il luogo di smistamento dei migranti clandestini.

Secondo il difensore, invece, Dr. sarebbe stato indagato dopo l'invio del mandato di arresto per D.S.D. e la valorizzazione in chiave accusatoria da parte della Corte di appello di tale rapporto sarebbe stata compiuta solo a seguito delle dichiarazioni dello stesso consegnando; non diversamente, la sentenza sarebbe viziata nella parte relativa al soggiorno nella fattoria indicata, elemento, questo, che non troverebbe nessun riscontro e sarebbe stato "inventato" (così il ricorso) dalla Corte.

Quanto alla contestazione sub b), anche in tal caso mancherebbe la descrizione ei gravi indizi di colpevolezza: il furgone sarebbe stato messo per sole tre volte a disposizione di soggetti con cui il ricorrente non aveva in realtà alcuna interazione e la prospettazione d'accusa sarebbe stata costruita valorizzando solo l'episodio accaduto nella notte tra il (OMISSIS), in cui sarebbe stata accertata la presenza in prossimità della fattoria, di cui si è detto, del ricorrente, che avrebbe dovuto trasportare a Londra alcuni cittadini vietnamiti, una volta giunti alla fattoria; un trasferimento poi non realizzato per la morte di questi per asfissia nel tragitto dal Belgio al Regno Unito.

La tesi accusatoria è che il ricorrente avrebbe dovuto svolgere il ruolo di autista e tale inferenza sarebbe derivante dal fatto che il telefono di questi si sarebbe nell'occasione illuminato tre volte all'interno del camion. 2.4. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge in relazione all'art. 604, lett. c), dell'Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione giudiziaria.

Il tema attiene alla decisione della Corte di appello di non richiedere informazioni al Regno Unito sull'istituto penitenziario presso il quale D. sarà detenuto, esponendo in tal modo questi al rischio di trattamenti inumani o degradanti.

La Corte avrebbe erroneamente ritenuto non sussistenti elementi concreti volti a comprovare il rischio in questione, ma non avrebbe tenuto conto delle allegazioni difensive e, in particolare, della documentazione riguardante un provvedimento dell'autorità giudiziaria olandese che aveva negato l'estradizione di un cittadino britannico nel Regno unito proprio in ragione delle condizioni carcerarie, accertate a seguito di informazioni richieste alle autorità inglesi.

2.5. Con il quinto motivo si lamenta violazione di legge per mancata applicazione dell'art. 3 Cedu e dell'art. 524 dell'Accordo sugli scambi commerciali: la Corte non avrebbe valutato adeguatamente il rischio alla salute cui il ricorrente sarebbe sottoposto nel caso di consegna, in un periodo di pandemia mondiale a causa del Ciovid-19 e, dunque, per non avere chiesto informazioni al riguardo alle autorità del Regno Unito.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è nel complesso infondato.

2. I primi due motivi, che possono essere valutati congiuntamente, sono infondati.

2.1. Quanto ai rapporti tra Regno Unito di Gran Bretagna e Unione Europea è necessario ricostruire brevemente il quadro normativo.

Il Regno Unito e l'Unione Europea hanno concluso il 24 gennaio 2020 un Accordo sul recesso, che stabilisce le condizioni del recesso del Regno Unito dall'Unione, conformemente all'art. 50 del Trattato sull'Unione Europea.

Tale Accordo è entrato in vigore, ai sensi dell'art. 185, primo paragrafo, il 1 febbraio 2020 (cfr. la Nota relativa all'entrata in vigore dell'accordo sul recesso del Regno Unito dall'Unione Europea, pubblicata in G.U.U.E., L. del 31 gennaio 2020), dopo il completamento della procedura di approvazione, e, a partire da tale data, il Regno Unito non è più uno Stato membro dell'Unione Europea, diventando un paese terzo.

L'entrata in vigore dell'Accordo di recesso ha segnato la fine del periodo di cui all'art. 50 T.U.E. e l'inizio di un periodo transitorio concordato, la cui durata è stata prevista fino al 31 dicembre 2020, volto a consentire alle parti di concludere un accordo sulle loro relazioni future.

L'Accordo di recesso, a tal fine, ha dettato disposizioni per l'applicazione in questo periodo transitorio nei confronti del Regno Unito degli strumenti dell'U.E., tra i quali anche quelli di cooperazione giudiziaria penale (Titolo V, artt. 62 e ss.).

Dal 10 gennaio 2021 - quindi alla fine del periodo di transizione e dell'applicazione della normativa transitoria contenuta nell'Accordo di recesso - è entrato in vigore in via provvisoria l'Accordo, approvato il 24 dicembre 2020, sugli scambi commerciali e la cooperazione tra l'Unione Europea e il Regno Unito, che ha dettato disposizioni per regolare vari settori di interesse, tra i quali quello della cooperazione giudiziaria penale.

Anche questo Accordo contiene disposizioni di diritto transitorio, stabilendo all'art. 632 (ex art. LAW.SURR.112) (Applicazione ai mandati d'arresto Europei esistenti), che le nuove norme da esso previste si applicano "ai mandati d'arresto Europei emessi, conformemente alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, da uno Stato prima della fine del periodo di transizione qualora la persona ricercata non sia stata arrestata in esecuzione del mandato prima della fine del periodo di transizione".

Come stabilisce l'art. 783 (Entrata in vigore e applicazione provvisoria), le parti hanno convenuto di applicare in via provvisoria detto Accordo a decorrere dal 10 gennaio 2021 sino al 30 aprile 2021 (cfr. la decisione n. 1 del 23 febbraio 2021 del Consiglio di Partenariato, pubblicata in G.U. n. 33 del 2021).

Dal primo maggio 2021 dunque è cessata l'applicazione provvisoria con l'entrata in vigore definitiva dell'Accordo (cfr. la decisione del Consiglio n. 689/2021 del 29 aprile 2021, pubblicata in G.U.U.E. L. 149 del 30 aprile 2021).

L'Accordo è stato concluso sulla base dell'art. 217 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), che prevede l'approvazione all'unanimità degli Stati Membri dell'Unione Europea in sede di Consiglio e l'approvazione del Parlamento Europeo.

L'Accordo, essendo riferito a materie di competenza esclusiva dell'Unione Europea e, non essendo un accordo c.d. misto, non richiede la ratifica di ciascun Stato membro dell'Unione secondo le rispettive norme costituzionali, con la conseguente necessità di una ratifica da parte dei Parlamenti nazionali.

Dal momento della sua entrata in vigore, il quadro delle relazioni tra Unione Europea e Regno unito è dunque regolato dal nuovo Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione nonchè dall'Accordo di recesso che ha disciplinato per il futuro alcune situazioni giuridiche connesse alla partecipazione del Regno Unito all'Unione Europea.

2.2. Sulla base del quadro normativo descritto non è dunque in contestazione che il mandato di arresto in esame - per il quale il ricorrente è stato arrestato il 10/06/2021, è formalmente regolato dalle norme previste dall'Accordo.

L'Accordo istituisce la base per un'ampia relazione tra l'Unione Europea e il Regno Unito, comportante diritti ed obblighi reciproci, azioni comuni e procedure speciali e si contraddistingue per avere una caratteristica peculiare, quella cioè di non riguardare uno Stato terzo che in prospettiva desideri aderire all'Unione, ma uno Stato da essa receduto.

L'Accordo si fonda su disposizioni che garantiscono condizioni di parità e il rispetto dei diritti fondamentali; il preambolo si apre con l'affermazione del comune "impegno a favore dei principi democratici, dello Stato di diritto, dei diritti umani, della lotta contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa e della lotta ai cambiamenti climatici, che costituiscono elementi essenziali del presente Accordo".

E' fondato affermare, come fatto dai primi commentatori, che dall'esame della struttura dell'Accordo emerge lo scopo ad esso sotteso, quello cioè di proteggere gli interessi dell'Unione Europea, garantire condizioni di concorrenza leale e proseguire la collaborazione in settori di interesse e stabilire regimi preferenziali in settori quali gli scambi di merci e servizi, il commercio digitale, la proprietà intellettuale, gli appalti pubblici, l'aviazione e i trasporti su strada, l'energia, la pesca, il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, la cooperazione delle Autorità di contrasto e di quelle giudiziarie in materia penale.

La violazione di uno qualsiasi di questi elementi essenziali consente alle parti di denunciare e sospendere, in tutto o in parte, l'applicazione dell'Accordo.

L'Accordo è basato su tre pilastri fondamentali: un'intesa di libero scambio e di collaborazione in materia economica, sociale, ambientale e nel settore della pesca; una stretta collaborazione per quanto riguarda la sicurezza dei cittadini; un assetto generale di governance.

Dunque, l'Accordo costituisce una solida base di collaborazione di lungo termine ben più ampia dei tradizionali Accordi di libero scambio in quanto la base della cooperazione tra il Regno Unito e gli Stati membri dell'Unione si situa indubbiamente ad un livello obiettivamente elevato, in particolare quanto allo spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia.

2.3. Quanto alla protezione dei dati dei cittadini Europei e britannici, a fronte del venir meno dell'accesso diretto da parte del Regno Unito ai dati dell'Unione, lo scambio di essi proseguirà sulle nuove basi offerte dall'Accordo stesso, tanto per ciò che riguarda i dati dei passeggeri dei voli aerei, quanto per le materie già oggetto del trattato intergovernativo di Prum del 2005 (essenzialmente centrato sullo scambio di dati in materia di impronte digitali, DNA e autoveicoli rubati), successivamente divenuto parte dell'acquis dell'Unione.

Proseguirà anche, pur su basi rinnovate, la cooperazione con Europol ed Eurojust, agenzie delle quali il Regno Unito cessa comunque di fare direttamente parte; in particolare, secondo le disposizioni del titolo VI dell'Accordo, dedicato alle relazioni con Eurojust, il Regno Unito potrà distaccare presso l'agenzia dell'Unione un punto di contatto ed un liaison prosecutor, con propri assistenti, mentre Eurojust potrà inviare a Londra un proprio liaison magistrate.

La Corte di giustizia dell'Unione, invece, non è implicata nella soluzione delle controversie, salvo quando esse riguardino i programmi dell'Unione a cui il Regno Unito partecipa.

Per quel che concerne il settore della cooperazione giudiziaria penale, l'Accordo prevede l'assistenza giudiziaria reciproca in materia penale, compreso il congelamento dei beni e la cooperazione in materia di lotta al riciclaggio e di contrasto al finanziamento del terrorismo ed una collaborazione in materia di cybersicurezza.

Quanto alla consegna delle persone ricercate, si è fatto notare correttamente da più parti come non si sia assistito ad una Brexit giudiziaria; la posizione di Stato terzo esclude certamente che il Regno Unito continui a partecipare allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell'Unione Europea, ma l'Accordo impone al Regno Unito e agli Stati membri dell'Unione di continuare a rispettare la democrazia e lo Stato di diritto, nonchè a proteggere i diritti fondamentali tutelati ai sensi della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo (CEDU) ed in tal senso merita di essere segnalata la previsione secondo cui detta cooperazione può essere reciprocamente sospesa nel caso in cui il Regno Unito o qualsiasi Stato membro dell'Unione denunci la CEDU o taluni suoi protocolli (segnatamente il primo, il sesto o il tredicesimo).

E' senz'altro vero, dunque, che il Regno Unito non partecipa più allo strumento del mandato d'arresto Europeo, che regola, così come sostiene il ricorrente, solo le relazioni reciproche tra gli Stati membri dell'Unione, e tuttavia, come notato in maniera condivisibile dalla dottrina, l'Accordo, prevedendo un livello di cooperazione mai prima sperimentato con un Paese terzo, consente, come meglio si dirà, la consegna in tempi rapidi dei ricercati sulla base di presupposti e condizioni predeterminate evocativi del modello del mandato di arresto Europeo, evitando i tradizionali meccanismi estradizionali.

Assume rilievo in tal senso l'art. 629 dell'Accordo che prevede espressamente che "Fatta salva la loro applicazione nelle relazioni tra Stati e paesi terzi, le disposizioni contenute nel presente titolo sostituiscono, a partire dalla data della entrata in vigore del presente accordo, le corrispondenti disposizioni delle convenzioni seguenti applicabili in materia di estradizione nelle relazioni tra il Regno Unito, da un lato, e gli Stati membri, dall'altro" tra cui la "a) la convenzione Europea di estradizione, firmata a Parigi il 13 dicembre 1957, e i relativi protocolli addizionali...".

In particolare, il Titolo VII della parte terza dell'Accordo di scambio ha come obiettivo quello di garantire un sistema di estradizione tra gli Stati membri, da un lato, e il Regno Unito, dall'altro, fondato su presupposti, condizioni e principi che trovano il loro riferimento costitutivo in un provvedimento (il mandato d'arresto) conforme ai termini del titolo in questione (Art. 596).

Viene delineato un dettagliato regime di consegna, in cui la materia e la decisione finale continua ad essere attribuita - ed a rimanere riservata - alle sole competenti Autorità giudiziarie degli Stati, senza sostanziale ingerenza dei Ministri e, più in generale, della Autorità politica.

Un diverso sistema non uguale a quello disegnato dalla decisione quadro del 2002, in cui una esplicita centralità è assegnata al principio di proporzionalità, oggetto di specifica disposizione di apertura (art. 597), che entra a pieno titolo nei criteri che sovrintendono alla decisione sulla consegna ed impone di tener conto dei diritti della persona ricercata, degli interessi della vittima, della gravità del fatto, della pena probabilmente inflitta, della possibilità che uno Stato adotti misure meno coercitive della consegna del ricercato, e ciò al fine di evitare periodi inutilmente lunghi di custodia cautelare.

Un sistema che prevede una dettagliata disciplina sull'ambito di applicazione e sui presupposti per la emissione del mandato di arresto (art. 599), sul contenuto e sulla forma del mandato di arresto (art. 606), sulle modalità di trasmissione (607-608), sui motivi obbligatori e facoltativi di non esecuzione del mandato (artt. 600-601), sui diritti del ricercato (art. 609 - 610- 612- 617), sulle eccezioni di cittadinanza e della natura politica del reato (artt. 602- 603) sulla decisione sulla consegna (art. 613 e ss.), sui termini e sulla modalità della consegna (art. 621 e ss.), sul diritto di deduzione del periodo di custodia scontato nello Stato di esecuzione.

E' fondato dunque affermare che, a seguito dell'entrata in vigore dell'Accordo nelle relazioni tra Unione Europea e Regno unito di Gran Bretagna, la disciplina del mandato di arresto Europeo è sostituita da un nuovo modello di cooperazione che ha una autonoma base legale - quella contenuta nel titolo VII dell'Accordo- ma che prevede un regime di consegna dei soggetti ricercati sostanzialmente modellato su quello previsto in tema di mandato di arresto Europeo.

Un modello di cooperazione fondato sul principio della fiducia reciproca e del reciproco riconoscimento, sulla collaborazione diretta e bilaterale tra Autorità giudiziarie, sulla evidente presa di distanza da modelli procedimentali che impediscano l'attuazione in tempi celeri e l'effettività del nuovo modello legale di consegna, sull'impegno a rispettare la Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo.

In tal senso assume rilievo e si giustifica la scelta del legislatore italiano di attribuire alle Corte di appello la competenza "for the execution of an arrest warrant", così ancora una volta chiarendo, ove ve ne fosse bisogno, che l'Accordo non prevede sul punto interventi dell'Autorità politica.

Un modello di cooperazione che, proprio in ragione di tale presupposto costitutivo, obbliga le parti dell'Accordo a dare esecuzione al mandato di arresto, a meno che la predetta fiducia venga meno in ragione della sussistenza di uno dei motivi ostativi previsti dall'Accordo; diversamente, la mancata esecuzione di un mandato di arresto realizzerebbe una sospensione unilaterale delle disposizioni dello stesso Accordo.

Una normativa comune per la consegna degli imputati o condannati, quale forma di diretta cooperazione giudiziaria, che presuppone per i paesi aderenti all'Accordo il rispetto dei principi ed i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali.

L'"elevato livello di fiducia" origina una presunzione che lo Stato richiedente dia adeguate garanzie, ma non esime l'Autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione dagli accertamenti necessari e prodromici alla consegna.

2.4. In tale articolato quadro di riferimento, i primi due motivi di ricorso rivelano la loro infondatezza.

L'assunto costitutivo del ricorrente è che l'Accordo di cui si è detto sarebbe incompleto, quanto meno nella parte relativa al procedimento funzionale ad adottare la decisione sulla richiesta di consegna del ricercato; ciò, si argomenta, implicherebbe, di fatto la non applicazione dell'Accordo e, ai sensi dell'art. 696 c.p.p., comma 3, l'applicazione "delle norme del codice di procedura penale Libro XI" relative ai Rapporti giurisdizionali con autorità straniere", cioè le norme estradizionali (così il ricorso).

Sulla base di tale presupposto, argomenta in sostanza il ricorrente, la Corte di appello di Milano e, più in generale, l'Autorità giudiziaria dello Stato italiano, in tanto potrebbe disporre la consegna del ricercato al Regno Unito di Gran Bretagna, in quanto, da una parte, fosse verificata - nel caso di mandato di arresto fondato su un titolo cautelare-la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, anche sulla base dell'esame dei documenti posti a base dell'arresto - che, nel caso di specie, sarebbero insussistenti-, e, dall'altra, adottasse il modulo procedimentale previsto dagli artt. 704 e 706 c.p.p..

In tale contesto, si invoca, come detto, il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea al fine di ottenere "l'interpretazione delle disposizioni contenute nell'Accordo... nonchè l'indicazione delle norme procedurali applicabili nei casi disciplinati dall'Accordo" (così il ricorso).

2.5. Si tratta di un assunto che non può essere condiviso perchè volto a disapplicare l'Accordo che, invece, come detto, ha una struttura dettagliata, autosufficiente, completa sul modello di cooperazione che le parti hanno inteso recepire e sulla disciplina che gli Stati membri dell'Unione sono tenuti ad applicare nel caso di richiesta di consegna di un ricercato da parte del Regno Unito.

In tal senso non è irrilevante come il Consiglio dell'Unione Europea (cfr., il parere del servizio giuridico del Consiglio, The Brexit deal - Council legai service opinion, in EU Law Analysis, 27 gennaio 2021), accogliendo la proposta avanzata dalla Commissione Europea, in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia (cfr., parere 2/15 della Corte, del 16 maggio 2017, sul progetto di accordo di libero scambio tra l'Unione Europea e la Repubblica di Singapore) abbia ritenuto che L'Accordo riguardi materie di competenza esclusiva dell'Unione o concorrente dell'Unione e degli Stati membri e non pure incidenti sulla competenza riservata a questi ultimi.

Si è compiuta una chiara scelta che ha escluso, come detto, il ricorso all'accordo misto che avrebbe richiesto, invece, la ratifica dei ventisette Stati membri, previa la relativa autorizzazione dei parlamenti nazionali e, in taluni ordinamenti, anche di quelli regionali, secondo le rispettive norme costituzionali.

Non è irragionevole ritenere che la scelta di non ricorrere all'accordo misto sia in qualche modo legata alla consapevolezza che, se cosi fosse stato fatto, non ci sarebbe stata la tempistica necessaria per consentire l'entrata in vigore il 1 gennaio 2021 degli accordi nella loro interezza.

Un modello di sistema che, sul piano procedimentale, giustifica ampiamente la previsione di cui all'art. 613, secondo cui:

"1. L'autorità giudiziaria dell'esecuzione decide la consegna della persona nei termini e alle condizioni stabilite dal presente titolo, in particolare il principio di proporzionalità di cui all'art. 597.

2. L'autorità giudiziaria dell'esecuzione che non ritiene le informazioni comunicatele dallo Stato emittente sufficienti per permetterle di prendere una decisione sulla consegna, richiede urgentemente le informazioni complementari necessarie segnatamente in relazione all'art. 597, agli artt. da 600 a 602, e agli artt. 604 e 606 e può stabilire un termine per la ricezione delle stesse, tenendo conto dell'esigenza di rispettare i termini fissati all'art. 615.

3. L'autorità giudiziaria emittente può in qualsiasi momento trasmettere tutte le informazioni supplementari utili all'autorità giudiziaria dell'esecuzione".

Un sistema del tutto coerente, quanto ai termini ed alle modalità con cui la decisione di esecuzione del mandato d'arresto deve essere assunta, con la previsione dell'art. 615 dell'Accordo secondo cui:

"1. Un mandato d'arresto deve essere trattato ed eseguito con la massima urgenza.

2. Nei casi in cui il ricercato acconsente alla propria consegna, la decisione definitiva sull'esecuzione del mandato d'arresto è presa entro dieci giorni dalla comunicazione del consenso.

3. Negli altri casi, la decisione definitiva sull'esecuzione del mandato d'arresto è presa entro 60 giorni dall'arresto del ricercato.

4. In casi particolari, se il mandato d'arresto non può essere eseguito entro i termini di cui al paragrafo 2 o 3, l'autorità giudiziaria dell'esecuzione ne informa immediatamente l'autorità giudiziaria emittente e ne indica i motivi. In questi casi i termini possono essere prorogati di 30 giorni. 5. Fintanto che l'autorità giudiziaria dell'esecuzione non prende una decisione definitiva sull'esecuzione del mandato d'arresto, essa si accerterà che siano soddisfatte le condizioni materiali necessarie per la consegna effettiva.

6. Qualsiasi rifiuto di eseguire un mandato d'arresto deve essere motivato".

Un modello di cooperazione che, per le ragioni indicate, richiede, ai sensi dell'art. 613, par. 2, sul piano sostanziale allo Stato di esecuzione del mandato di accertare non già la sussistenza dei gravi indizi colpevolezza, ma "solo" il rispetto del principio di proporzionalità (art. 597), la non configurabilità di un motivo di non esecuzione del mandato (artt. 600- 601 - 602 - 604), che il mandato di arresto abbia i requisiti previsti dall'Accordo (art. 606) e che solo a tal fine, attribuisce il potere di richiedere urgentemente le informazioni complementari necessarie, tenendo conto di "rispettare i termini fissato dall'art. 615" (art. 613, par.2, ultima parte).

Un sistema che, in ragione dell'ambito del potere di accertamento riservato allo Stato di esecuzione, impone a questo di trattare ed eseguire il mandato "con la massima urgenza" (art. 615, paragrafo 1) e di adottare la decisione definitiva sull'esecuzione entro 60 giorni dall'arresto del ricercato.

Perde allora di capacità persuasiva l'assunto difensivo, secondo cui, poichè l'Accordo non indicherebbe espressamente il modulo procedimentale da seguire per emettere la decisione sulla esecuzione del mandato, l'Autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione non dovrebbe applicare l'intero Accordo per ripiegare sulle norme interne dettate per l'estradizione.

Non è chiaro innanzitutto perchè non si dovrebbe dare attuazione ad un Accordo vigente, esecutivo, ampio, di sistema, autosufficiente e dettagliato, per adottare invece un modello di cooperazione giudiziaria, quello estradizionale, previsto dal codice di procedura penale, che le parti dell'Accordo hanno mostrato sul piano soggettivo chiaramente, per tutte le ragioni già indicate, di non voler recepire.

Sotto altro profilo, sul piano oggettivo, non è chiaro perchè si dovrebbero applicare le norme interne in tema di estradizione, che delineano un modello di cooperazione strutturalmente incompatibile con quello disegnato dall'Accordo; a fronte di un modello di cooperazione caratterizzato da un elevato livello di fiducia tra le parti, da un rapporto diretto bilaterale tra Autorità giudiziarie, si dovrebbe invece fare riferimento ad un modello, quello estradizionale del codice, dominato invece dalla presenza dell'Autorità politica e dalla assai limitata fiducia nei rapporti tra Stati, atteso che solo detta limitata fiducia giustifica la necessità per lo Stato italiano di verificare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza posti a fondamento del titolo.

Sotto ulteriore profilo, non è chiaro perchè rispetto ad un Accordo che delinea chiaramente gli ambiti del potere di accertamento riconosciuto allo Stato di esecuzione, improntato al principio per cui la consegna del ricercato non può essere rifiutata se non in presenza dei casi previsti dall'Accordo, si dovrebbe ripiegare sul modello estradizionale solo perchè l'Accordo non prevede espressamente il modulo procedimentale da seguire per giungere ad una decisione che, tuttavia, deve intervenire con urgenza e comunque entro sessanta giorni dalla esecuzione dell'arresto.

Un modello di cooperazione, quello estradizionale delineato dal codice ed invocato dal ricorrente, che realizzerebbe soggettivamente ed oggettivamente un arretramento nei rapporti tra le parti in quanto sostanzialmente incompatibile con quanto recepito nell'Accordo.

Dunque, il motivo è chiaramente infondato nella parte in cui ritiene che sostanzialmente l'Accordo non sarebbe applicabile e che quindi la Corte di appello avrebbe dovuto accertare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, in applicazione dei principi dettati in tema di estradizione (sulla immediata applicazione delle norme contenute nell'Accordo, integrate, quanto al modello procedurale sui tempi e sulle modalità di assunzione della decisone sulla esecuzione del mandato si è già espressa l'Audiencia Nacional spagnola).

2.6. Quanto al profilo procedimentale, è senz'altro vero che l'Accordo non descrive il procedimento da adottare per giungere alla decisone sulla esecuzione del mandato, ma è altrettanto vero che, oltre a prevedere garanzie e tutele dei diritti del ricercato, pone un principio chiaro, fondante, giustificato dal contesto generale, quello per cui il mandato deve essere "trattato" ed "eseguito" con la massima urgenza e la decisone definitiva sulla esecuzione deve intervenire entro il termine di sessanta giorni dall'arresto del ricercato.

Un principio che vincola i singoli Stati membri dell'Unione, i quali devono adottare modelli procedimentali in grado di assicurare applicazione ed attuazione al principio cardine fissato dall'art. 615 dell'Accordo.

Gli accordi sono strumenti disciplinati dal diritto internazionale e la loro interpretazione dev'essere effettuata in buona fede, alla luce dell'oggetto e della finalità perseguita e non, invece, sulla base del diritto interno dell'uno o dell'altro contraente.

Il tema allora attiene alla verifica del se, nell'ambito dell'ordinamento interno, esistano norme che, allo stato, consentano di dare attuazione, nel silenzio del legislatore, al principio di cui all'art. 615 dell'Accordo e, quindi, alla finalità sottesa all'Accordo.

Sul punto pare ragionevole ritenere che gli artt. 704, 705 e 706 c.p.p., che, a dire del ricorrente, dovrebbero essere applicati attesa la incompletezza dell'Accordo, disegnano un modulo procedimentale non compatibile con la esigenza di definire il procedimento entro sessanta giorni dall'arresto del ricercato e che, se applicati, finirebbero per disapplicare e non dare attuazione all'Accordo.

Un modulo procedimentale, quello previsto dall'art. 704 c.p.p., disegnato per un diverso modello di cooperazione giudiziaria e che, se applicato, avrebbe un sapore ed una valenza latamente ed ingiustificatamente punitiva rispetto ad un Accordo che, al di là delle difficoltà che hanno contrassegnato i negoziati tra le Parti, ha un contenuto dettagliato e, come detto, oggettivamente ispirato alla fiducia ed al reciproco riconoscimento.

Un modulo procedimentale, quello previsto in tema di estradizione, che invece si giustifica in concreto - sul piano della scansione temporale - solo in ragione dell'ampiezza dell'oggetto dell'accertamento demandato alla Corte di appello.

Escluso quindi il riferimento alle norme in questione, ed escluso che possa farsi riferimento al modulo procedimentale generale previsto per i procedimenti camerali dall'art. 127 c.p.p., che comunque non renderebbe agevole l'osservanza del termine di cui all'art. 615 dell'Accordo, ritiene il Collegio che, allo stato, in assenza di una norma specifica, non vi siano ragioni ostative per ritenere che la decisione sulla esecuzione del mandato debba essere assunta applicando le regole previste dall'Accordo e, solo sul piano procedimentale, quanto alle modalità ed ai tempi di assunzione della decisione, le poche norme previste dalla L. n. 69 del 2005 al riguardo, in quanto compatibili (artt. 17- 22-22 bis).

Si tratterrebbe di una applicazione che, diversamente dagli assunti difensivi:

a) garantisce piena attuazione ed effettività delle norme dell'Accordo e, in particolare, all'art. 615, essendo la disciplina in questione idonea ad assicurare una decisione definitiva sulla esecuzione del mandato entro sessanta giorni dall'arresto del ricercato;

b) è compatibile, in relazione alle poche norme in questione ed a differenza delle invocate norme interne in tema di estradizione, con il modello di cooperazione a cui le parti dell'Accordo mostrano di avere avuto riguardo;

c) non viola l'art. 2 protocollo 7 della Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo, perchè assicura il diritto al doppio grado di giudizio;

d) non è in contrasto con l'art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo;

e) non viola nemmeno il divieto di analogia, ai sensi dell'art. 7 della Cedu - evocato dal ricorrente, senza peraltro indicare in cosa consisterebbe nella specie la violazione di detto principio- trattandosi dell'applicazione analogica di norme meramente procedurali a cui, come meglio si dirà, può essere attribuita una valenza generale in materia e che non intaccano la valenza del principio di legalità penale e le sua implicazioni sostanziali (cfr., Corte Cost, n. 238 del 2020) e neppure assumono rilievo rispetto al criterio della incidenza qualitativa (e, a maggior ragione, quantitativa) della norma sulla libertà personale (Corte Cost. n. 32 del 2020).

In particolare, quanto alla supposta violazione del divieto di analogia e dell'art. 7 della Convenzione Europea di diritti dell'Uomo, il tema attiene alla individuazione ed ai confini della nozione di "materia penale".

La Convenzione vieta l'interpretazione estensiva e analogica per quanto attiene la definizione dell'illecito (cfr. Corte Edu, Coeme c. Belgio 22 giugno 2000, par. 145) e della pena (cfr., Corte Edu, Baskaya e Okcuoglu, c. Turchia, 8 luglio 1999).

La Corte Costituzionale, nella interpretazione dell'art. 25 Cost., ha tenuto conto della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'Uomo sul punto della identificazione degli illeciti cui si applica il principio di legalità e la garanzia del divieto di retroattività della legge penale e di analogia, chiarendo come la formula " nessuno può essere punito" si riferisca ad ogni misura di carattere afflittivo, indipendentemente dalla qualificazione dell'illecito come penale.

Le disposizioni di natura solo processuale, anche se relative a procedimenti che riguardano la materia penale, non ricadono nell'ambito del divieto di retroattività e per esse la Convenzione ammette la interpretazione analogica; le regole di diritto processuale sono infatti esterne rispetto alla nozione di materia penale, ad eccezione dei casi in cui abbiano capacità di incidenza sulla commisurazione della pena.

Nella sentenza della Corte Europea del 17 settembre 2009 nel caso Scoppola c. Italia, la Corte ha chiarito che l'art. 7 p. 1 della Convenzione non si limita a vietare l'applicazione retroattiva del diritto penale a scapito dell'imputato ma statuisce anche, in modo più generale, il principio della legalità dei reati e delle pene (nullum crimen, nulla poena sine lege).

L'art. 7 Cedu, se vieta in particolare di estendere il campo di applicazione dei reati esistenti ai fatti che anteriormente non costituivano dei reati, impone di non applicare la legge penale in modo esteso a scapito dell'imputato, per esempio per analogia.

Ne consegue, argomenta la Corte, che la legge deve definire chiaramente i reati e le pene che li reprimono; questa condizione si trova assolta quando l'imputato è in grado di sapere, a partire dalla formulazione della disposizione pertinente e, all'occorrenza, con l'aiuto dell'interpretazione che ne viene data dai tribunali, quali atti ed omissioni impegnano la sua responsabilità penale (Kokkinakis c. Grecia, 25 maggio 1993; Sud Fondi Srl ed altri c. Italia, 20 gennaio 2009).

La Corte Europea nell'occasione ha ricordato che "le regole sulla retroattività di cui all'art. 7 della Convenzione si applicano solamente alle disposizioni che definiscono i reati e le pene che li reprimono; diversamente, in altre cause, la Corte ha stimato ragionevole l'applicazione, da parte delle giurisdizioni interne, del principio tempus regula actum per ciò che riguarda le leggi di procedura (cfr., in proposito, una nuova regolamentazione dei termini per l'introduzione di un ricorso, Mione c. Italia, n. 7856/02, 12 febbraio 2004, e Rasnik c. Italia, n. 45989/06, 10 luglio 2007".

In continuità con tale principio si pone Corte Cost. n. 32 del 2020 secondo cui anche le norme modificative in peius della disciplina delle modalità esecutive della pena possono assumere valenza sostanziale e dunque essere soggette alle garanzie sottese al principio di legalità penale; si tratta tuttavia di norme che assumono valenza sostanziale, che incidono sulla qualità e quantità della pena e che per ciò stesso modificano il grado di privazione della libertà personale imposto al detenuto.

Nel caso di specie, le norme procedurali previste nella L. n. 69 del 205, relative ai tempi ed alle modalità di assunzione della decisione sulla esecuzione del mandato non hanno incidenza diretta sulla definizione del reato e delle pene e dunque non attengono alla materia penale e non sono soggette al divieto di analogia di cui all'art. 7 CEDU. Sotto altro profilo, è indubbio che l'applicazione delle norme procedurali di cui si è detto, previste dalla L. n. 69 del 2005, avverrebbe nonostante le parti avessero previsto, al fine di regolare i loro rapporti, un limite temporale all'applicazione delle norme previste in tema di mandato di arresto Europeo.

Si è già detto infatti di come: a) alla fine del periodo di transizione e dell'applicazione della normativa transitoria contenuta nell'Accordo di recesso, sia entrato in vigore in via provvisoria l'Accordo; b) anche questo Accordo contiene disposizioni di diritto transitorio, stabilendo all'art. 632 (ex art. LAW.SURR.112) (Applicazione ai mandati d'arresto Europei esistenti), che le nuove norme da esso previste si applicano "ai mandati d'arresto Europei emessi, conformemente alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, da uno Stato prima della fine del periodo di transizione qualora la persona ricercata non sia stata arrestata in esecuzione del mandato prima della fine del periodo di transizione".

Si tratta, tuttavia, di un dato a cui non può essere attribuita decisiva valenza, non essendo irragionevole ritenere che la previsione di detto limite temporale fosse rivelatore dell'intenzione delle parti di consentire - da un dato momento - l'attuazione del nuovo modello di cooperazione previsto dall'Accordo, ma non certo di impedire l'applicazione di pochissime norme di carattere processuale previste in tema di mandato di arresto Europeo, strumentali, peraltro, come nel caso dello Stato italiano, a consentire - in assenza di altre norme interne idonee- a garantire l'attuazione dell'Accordo e, in particolare, la celerità della definizione del procedimento e la tempestività delle decisione sul mandato di arresto.

Sotto ulteriore profilo, se è vero che allo stato non vi è una specifica norma che consenta di richiamare, in quanto compatibili, le poche norme previste dalla L. n. 69 del 2005 che regolano tempi e modalità di assunzione della decisione, è altrettanto vero che assume significato la scelta compiuta dal legislatore con la L. 3 maggio 2019, n. 37, "Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea" a seguito della entrata in vigore dell'Accordo tra l'Unione Europea e la Repubblica di Islanda e il Regno di Norvegia, fatto a (OMISSIS), relativo alla procedura di consegna tra gli Stati membri e l'Islanda e la Norvegia.

L'Accordo, quanto ai rapporti degli Stati membri con l'Islanda e la Norvegia, introduce una disciplina della procedura di consegna quasi integralmente modellata a quella prevista nella decisione quadro 2002/584/GAI in tema di mandato di arresto Europeo.

Nel preambolo dell'Accordo le Parti contraenti motivano l'istituzione di una procedura semplificata di consegna con la finalità di migliorare la cooperazione giudiziaria in materia penale per una più efficace lotta alla criminalità, ed in ragione della reciproca fiducia nella struttura e funzionamento dei rispettivi sistemi giuridici e nella capacità delle Parti contraenti di garantire un equo processo.

Con decisione 2014/835/UE del 27 novembre 2014 il Consiglio dell'Unione Europea ha approvato il predetto Accordo.

Con la L. n. 37 del 2019 l'Italia ha pertanto proceduto al recepimento dell'Accordo. In particolare l'art. 8 dispone che alla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 1, dopo il comma 4, sono aggiunti i seguenti commi:

"4 - bis. Le disposizioni della presente legge costituiscono altresì attuazione dell'Accordo tra l'Unione Europea e la Repubblica d'Islanda e il Regno di Norvegia, fatto a (OMISSIS), relativo alla procedura di consegna tra gli Stati membri dell'Unione Europea e l'Islanda e la Norvegia, Accordo che si applica nei limiti in cui le disposizioni non sono incompatibili con i principi dell'ordinamento costituzionale in tema di diritti e libertà fondamentali.

4 - ter. I riferimenti delle disposizioni della presente legge al "mandato d'arresto Europeo" e allo "Stato membro" devono intendersi fatti, nell'ambito della procedura di consegna con l'Islanda o la Norvegia, rispettivamente, al "mandato di arresto" che costituisce l'oggetto dell'Accordo di cui al comma 4-bis e alla Repubblica d'Islanda o al Regno di Norvegia"".

Si tratta di una norma che, in assenza di un intervento del legislatore volto a regolamentare i tempi e le modalità di assunzione della decisone sulla esecuzione del mandato di arresto nei rapporti con il Regno di Gran Bretagna, assume rilievo perchè rivela come le norme in questione siano quelle che maggiormente paiono compatibili e funzionali ad attuare modelli di cooperazione obiettivamente contigui.

A ragionare diversamente, si dovrebbe ritenere che per l'attuazione di Accordi con paesi terzi, ispirati a modelli di cooperazione contigui, si dovrebbe avere riguardo, quanto alla disciplina dei tempi e delle modalità di assunzione della decisione sulla richiesta di esecuzione del mandato di arresto, a normative asimmetriche.

Dunque:

- l'Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione tra l'Unione Europea ed il Regno di Gran Bretagna è un accordo dettagliato e vigente, ispirato, quanto al modello di cooperazione penale, ad un rapporto di fiducia, di reciproco riconoscimento, di rapporti diretti tra Autorità giudiziarie e dunque "distante" da quello che caratterizza il modello estradizionale;

- la consegna di persone ricercate è subordinata alla emissione di un mandato di arresto, di cui l'Accordo stesso definisce in maniera stringente presupposti, requisiti, contenuto, esecuzione;

- l'Autorità giudiziaria dello Stato italiano deve verificare, ai fini della esecuzione del mandato di arresto e della consegna della persona ricercata, che non sussistano motivi che impediscano la esecuzione del mandato;

- quanto alla procedura relativa ai tempi ed alle modalità di assunzione della decisione sulla esecuzione del mandato, l'Accordo prevede che la decisione definitiva debba essere assunta entro 60 giorni dall'arresto del ricercato (art. 615);

- in assenza di un intervento del legislatore volto ad indicare il modulo procedimentale da seguire per garantire effettività al principio suddetto, per i tempi e le modalità di assunzione della decisione, devono essere applicate le norme previste al riguardo dalla L. n. 69 del 2005, in quanto compatibili.

Ne discende l'infondatezza del secondo motivo di ricorso e della richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea di cui al primo motivo di ricorso.

3. Le considerazioni esposte rendono inammissibile il terzo motivo di ricorso atteso che la Corte, che pure ha indicato le ragioni poste a fondamento del mandato di arresto e la configurabilità astratta dei reati contestati, non avrebbe dovuto accertare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

4. E' inammissibile anche il quarto motivo di ricorso, con cui si è dedotta la violazione di legge in relazione all'art. 604, lett. c) dell'Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione giudiziaria; il tema attiene alla decisione della Corte di non ritenere esistenti elementi concreti per richiedere informazioni al Regno Unito sulle condizioni carcerarie dell'istituto penitenziario presso il quale D. sarà detenuto, esponendo in tal modo questi al rischio di trattamenti inumani o degradanti.

Diversamente dagli assunti difensivi, la Corte di appello ha correttamente spiegato come dalla documentazione prodotta dal ricorrente non emerga affatto che il Comitato prevenzione della Tortura e delle Pene o Trattamenti inumani (CPT) abbia attualmente rilevato in concreto situazioni dimostrative della esistenza attuale del rischio di sottoposizione dei detenuti a trattamento inumani o degradanti.

Sul punto specifico il ricorso è silente, avendo il ricorrente fatto riferimento ad informazioni relative al 2017- 2018 ed ad un indagine più attuale il cui esito non sono noti.

5. E' infondato infine anche il quinto motivo di ricorso relativo alla mancata applicazione dell'art. 524 dell'Accordo, per avere la Corte sottovalutato il rischio per la salute che la consegna di D. implicherebbe per questi a causa della pandemia Covid - 19.

A prescindere dalla comunanza del fenomeno in atto per tutti i Paesi Europei, le deduzioni rivelano una genericità strutturale non essedo correlate a situazioni specifiche e rilevanti.

6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.

Così deciso in Roma, il 24 agosto 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021