IL cd. "principio di specialità" costituisce un limite alla perseguibilità del soggetto estradato o consegnato o all’esecuzione di una sentenza nei suoi confronti per reati diversi da quelli posti a fondamento del provvedimento di consegna, commessi prima di quest’ultima.
Circolare in tema di principio di specialità nelle procedure di consegna
14 giugno 2018
Dipartimento per gli affari di giustizia
Il Capo del Dipartimento
Al Primo Presidente della Corte di cassazione
Al Procuratore generale presso la Corte di cassazione
Al Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo
Ai Presidenti delle Corti d’appello
Ai Procuratori generali presso le Corti d’appello
LORO SEDI
Al Membro Nazionale di Eurojust
Al Presidente della Scuola superiore della magistratura
per conoscenza
al Capo di Gabinetto
al Capo dell’Ufficio Legislativo
al Capo della Segreteria del Ministro
al Direttore generale della giustizia penale
al Direttore dell’Ufficio di coordinamento delle attività internazionali
Ai Magistrati di collegamento del Regno Unito, del Regno di Spagna, del Regno dei Paesi Bassi, della Repubblica di Francia
Cooperazione internazionale in materia penale – Estradizione e Mandato di arresto europeo - Circolare in tema di principio di specialità nelle procedure di consegna
Sommario
1. Premessa
1.1 La nozione di fatto diverso rilevante ai fini della garanzia di specialità
1.2 L’anteriorità del fatto rispetto alla data della consegna
1.3 La consegna per un determinato fatto-reato come presupposto operativo del principio di specialità
2. Attività giurisdizionali non impedite dalla clausola di specialità
3. Disciplina del codice in tema di estradizione in passivo
4. Disciplina del codice in tema di estradizioni attive
4.1 Contesto extra-convenzionale
4.2 Contesto convenzionale
4.2.1. L’ordinanza di sospensione del processo
4.2.2. L’ordinanza cautelare strumentale
5. Altre declinazioni convenzionali della clausola di specialità
6. Errori di prospettiva
7. La purgazione della garanzia
8. La garanzia di specialità nella procedura di mandato di arresto europeo
9. Operatività della garanzia di specialità nel giudizio di esecuzione
1. Premessa
Emerge da alcuni casi critici segnalati dall’Ufficio II della Direzione generale della giustizia penale e dalla recente riforma del libro XI del codice di procedura penale (d. lgs. 3 ottobre 2017, n. 149) la necessità di raccomandare la precisa osservanza della garanzia di specialità nelle procedure di consegna, dando conto delle innovazioni normative e della più recente elaborazione giurisprudenziale della materia.
La garanzia in parola costituisce regola tradizionale del sistema estradizionale e si atteggia come limite alla perseguibilità del soggetto estradato o consegnato o all’esecuzione di una sentenza nei suoi confronti per reati diversi da quelli posti a fondamento del provvedimento di consegna, commessi prima di quest’ultima.
Il suo ambito applicativo è dunque delimitato dai casi nei quali il giudicato o giudicabile sia stato estradato o sia stato consegnato in esecuzione di un mandato di arresto europeo.
La ratio consiste nell’evitare che dell’avvenuta consegna del soggetto per un determinato fatto - reato lo Stato ricevente possa profittare per giudicarlo o per eseguire una pena relativa ad altro fatto-reato commesso prima della consegna, con aggiramento delle verifiche e delle decisioni (motivi obbligatori e facoltativi di rifiuto) che devono precedere la decisione dello Stato al quale è richiesta la consegna. A tale ratio rimanda l’origine storica dell’istituto che nasce agli inizi dell’800 come strumento di derivazione illuministica volto ad impedire la consegna di persone accusate di reati politici.
Il principio di specialità può assumere connotazioni diverse.
Come è stato autorevolmente precisato dalla dottrina e da alcuni rilevanti interventi della Corte di legittimità, la regola può estrinsecarsi nelle seguenti forme:
- specialità crassa, che non consente allo stato richiedente, non solo di processare e punire per fatti diversi da quelli indicati nella domanda, ma neppure di mutare nel corso della procedura la qualificazione giuridica di tali fatti: la formula convenzionale è, in tali casi, di questo tipo: "l’imputato o condannato consegnato non potrà essere carcerato o sottoposto a giudizio dello Stato a cui fu consegnato per reato o altra imputazione diversa da quella per la quale avvenne l’estradizione";
- specialità forte la quale, fermo restando il divieto di procedere e punire per fatti diversi da quelli per i quali fu concessa l’estradizione, consente che la qualificazione giuridica di questi ultimi possa venir mutata nel corso della procedura, purché tale qualificazione corrisponda ad un titolo di reato per il quale il trattato consenta l’estradizione: la formula convenzionale potrebbe essere di questo tipo: "quando la qualificazione data al fatto sarà modificata nel corso della procedura, l’individuo estradato non sarà perseguito o giudicato che quando la misura o gli elementi costitutivi dell’infrazione nuovamente qualificata consentano l’estradizione";
- alla specialità attenuata, vicina alle prescrizioni della Convenzione italo-americana la quale consente, a determinate condizioni, che la persona estradata possa essere anche processata e punita per fatti diversi e anteriori a quelli per i quali l’estradizione è stata concessa, purché si tratti di fatti connessi con il fatto per il quale è stata concessa l’estradizione.
1.1 La nozione di fatto diverso rilevante ai fini della garanzia di specialità
Assume rilevanza centrale nella struttura della clausola di specialità la nozione di fatto diverso da quello per il quale è stata ottenuta l’estradizione, che conferisce rilevanza non alla fattispecie astratta contestata nel provvedimento estradizionale ma all’accadimento storico, così come delineato nei suoi elementi costitutivi.
Ne consegue che le operazioni di mera riqualificazione giuridica, anche quando consistenti nella contestazione di elementi circostanziali non modificativi del nucleo essenziale del fatto storico, non richiedono di norma la trasmissione di una richiesta di estradizione suppletiva. Occorrerà naturalmente prestare attenzione:
- alla formulazione della clausola contenuta nel trattato posto a base della consegna, essendovi previsioni convenzionali (risalenti) che declinano la garanzia nei termini che abbiamo sopra definito di specialità crassa;
- al fatto che, anche laddove ammessa dal trattato, la riqualificazione non comporti la riconduzione del fatto ad una tipologia di reato o ad una cornice edittale per la quale la fonte pattizia o la legge interna dello Stato estradante vietano o non consentono l’estradizione
Nella giurisprudenza più recente il principio è stato affermato per escludere la necessità di un’estradizione suppletiva nel caso di contestazione, sopravvenuta alla consegna, della circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 7 del d.l. n. 203 del 1991 (C. II, n. 8945/16; C. I, n. 27684/07); nonché, a maggior ragione, nel caso di integrazione dell’imputazione con la contestazione della recidiva che “non implica la punizione per un fatto antecedente ma la sola possibilità di aumento della pena per il reato commesso, commisurandola alla personalità dell’imputato” (C. VI, n. 49995/17).
Con riferimento al contesto operativo del mandato di arresto europeo (di seguito, MAE) la nozione di fatto diverso rilevante ai fini della garanzia è chiaramente scolpita, in termini consonanti con i tradizionali assetti del sistema estradizionale, dalla decisione CGUE, 1 dicembre 2008, c. Leymann-Pustovarov:
Per stabilire se il reato considerato sia o no un «reato diverso» da quello che ha determinato la consegna, ai sensi dell’art. 27, n. 2, della decisione quadro del Consiglio 13 giugno 2002, 2002/584/GAI, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, tale da imporre lo svolgimento della procedura di assenso contemplata dall’art. 27, nn. 3, lett. g), e 4, della medesima decisione, occorre verificare se gli elementi costitutivi del reato, in base alla descrizione legale di quest’ultimo fatta nello Stato membro emittente, siano quelli per i quali la persona è stata consegnata e se esista una corrispondenza sufficiente tra i dati contenuti nel mandato di arresto e quelli menzionati nell’atto procedurale successivo. Eventuali mutamenti nelle circostanze di tempo e di luogo sono ammessi, a condizione che derivino dagli elementi raccolti nel corso del procedimento instaurato nello Stato membro emittente in relazione ai comportamenti descritti nel mandato di arresto, che non alterino la natura del reato e che non comportino l’insorgenza di motivi di non esecuzione ai sensi degli artt. 3 e 4 della detta decisione quadro.
E’, invece, pacifica la rilevanza della garanzia di specialità nel caso in cui, estradato il soggetto per un delitto associativo, si intenda estendere la contestazione a delitti-scopo consumati in epoca anteriore alla consegna (C. V, n. 6825/07).
E’ naturalmente estranea all’area operativa del principio di specialità l’applicazione del regime differenziato previsto dall’art. 41 bis Ord. Pen., con riferimento al fatto per il quale è stata effettuata la consegna poiché questa disciplina riguarda esclusivamente le modalità di esecuzione della pena da scontare per il reato in relazione al quale l'estradizione è stata chiesta e concessa e, pertanto, costituisce solamente un particolare regime carcerario, le cui caratteristiche non sono state ritenute inumane dalla Corte Costituzionale e, per larga parte, rientrano nella discrezionalità delle amministrazioni penitenziarie di ogni paese (C. I, n. 52054/2014 che afferma il principio con riguardo al trattamento applicato a detenuto consegnato alle autorità italiane in esecuzione di mandato di arresto europeo).
1.2 L’anteriorità del fatto rispetto alla data della consegna
Per stabilire l’anteriorità del fatto non contemplato dal provvedimento estradizionale rispetto alla data della consegna, occorre considerare con attenzione la struttura del reato e il suo momento consumativo.
Con riferimento al reato permanente iniziato in epoca anteriore alla consegna e proseguito dopo la medesima, il principio di specialità non limita l’esercizio della giurisdizione per la parte di condotta successiva alla consegna, anche se questa costituisce protrazione ulteriore del medesimo illecito (C. VI, n. 12514/15; C., VI, n. 998/98).
La precisazione assume particolare rilievo con riferimento ai reati associativi di tipo mafioso, nei quali la detenzione conseguente al rapporto estradizionale non implica necessariamente la cessazione della partecipazione del soggetto al sodalizio criminale (C. IV, n. 2893/05; C. I, n. 46103/14).
1.3 La consegna per un determinato fatto-reato come presupposto operativo del principio di specialità
Tutte le previsioni di fonti internazionali dedicate al principio di specialità (per esempio, l’art. 14 della Convenzione europea di estradizione, l’art. 26 della legge n. 69 del 2005 in tema di mandato di arresto europeo) presuppongono che il soggetto sia stato consegnato allo Stato procedente per un determinato reato.
Se la consegna non è avvenuta perché mai richiesta, perché negata dal Paese di rifugio o perché accordata ma non eseguita per concomitanti ragioni di giustizia interna del Paese richiesto (per esempio, per la necessità di consentire l’espletamento del processo e/o l’esecuzione della pena per un fatto commesso nel Paese richiesto), il principio non opera.
Il soggetto potrà pertanto essere processato a piede libero attraverso videoconferenza internazionale anche per i fatti diversi e anteriori a quelli che hanno dato luogo all’eventuale richiesta di estradizione respinta o ineseguita, sempreché naturalmente ricorrano le ulteriori condizioni previste dall’art. 205-ter disp. att. c.p.p. ovvero dall’art. 729-quater c.p.p. recentemente introdotto.
La partecipazione a distanza, infatti, non può essere assimilata a “una forma indiretta e surrettizia di estradizione mediante consegna virtuale” (C. II, n. 37881/17; C. sez. un., n. 45276/03).
2. Attività giurisdizionali non impedite dalla clausola di specialità
La ricaduta operativa della garanzia di specialità consiste nella necessità per le autorità giudiziarie interne di munirsi del consenso dello Stato estradante (estradizione suppletiva) per poter esercitare la giurisdizione cognitiva ed esecutiva su fatti-reato diversi da quelli posti a fondamento della concessa estradizione, commessi prima della consegna.
Ora, l’estradizione suppletiva - species della categoria generale estradizione - in tutte le discipline pattizie e interne che la prevedono, è costruita per rendere possibile la celebrazione di un processo penale orientato all’irrogazione di una pena detentiva o di una misura di sicurezza restrittiva della libertà personale, ovvero per consentire l’esecuzione di sanzioni di tale natura già irrevocabilmente irrogate.
Discende dalla necessaria simmetria tra il perimetro della garanzia e quello dell’istituto deputato ad attuarla l’esclusione di qualsiasi limite all’esercizio della giurisdizione nei confronti del soggetto estradato in ambiti estranei al processo penale ovvero in processi penali non orientati all’irrogazione o all’esecuzione di pene detentive.
Sarà dunque possibile per lo Stato richiedente, senza necessità di munirsi del consenso integrativo dello Stato estradante:
- perseguire e giudicare l’estradato per reati sanzionati dal legislatore con la sola pena pecuniaria ed eseguire quest’ultima in caso di condanna;
- svolgere il procedimento di prevenzione personale e patrimoniale regolato dal d. lgs. n. 159 del 2011 ed eseguire le misure eventualmente applicate all’esito dello stesso.
A tale ultimo riguardo, giova richiamare la decisione Sez. un. n. 10281/08, Gallo per la quale:
In materia di estradizione attiva, il principio di specialità previsto dall'art. 14, par. 1, della Convenzione europea di estradizione non è riferibile alle misure di prevenzione personali e al relativo procedimento di applicazione, sicché la persona estradata in Italia può essere assoggettata a misure di prevenzione personali e al relativo procedimento, senza la necessità di una preventiva richiesta di estradizione suppletiva allo Stato che ne ha disposto la consegna.
La motivazione, muovendo dall’esigenza di simmetria sopra evidenziata, sottolinea tra l’altro, con argomenti ancora attuali:
“la differenza strutturale tra la fattispecie astratta delle misure di prevenzione e il "fatto" al quale si ricollega il procedimento di estradizione, il cui ambito operativo, è circoscritto al perseguimento di un reato ovvero all'esecuzione, conseguente a pronuncia di condanna, di una pena o di una misura di sicurezza, laddove le misure di prevenzione non sono connesse a responsabilità penali del soggetto, né si fondano sulla colpevolezza, che è elemento proprio del reato, né hanno carattere sanzionatorio di doveri giuridici, ma sono collegate a un complesso di comportamenti integranti una "condotta di vita", che il legislatore assume come indice di pericolosità sociale, e sono funzionali alla tutela della sicurezza pubblica”.
3. Disciplina del codice in tema di estradizione in passivo
Nella disciplina del codice dedicata alle estradizioni non regolate da fonti convenzionali ovvero a quelle nelle quali la fonte convenzionale non contenga specifiche disposizioni sul tema (secondo il principio di sussidiarietà dettato dall’art. 696, commi 2 e 3), il principio ha una portata limitata alla sola restrizione della libertà personale.
La previsione relativa alle procedure estradizionali passive, l’art. 699, comma 1, si rivolge all’autorità politica investita della decisione finale di concessione dell’estradizione e declina il principio prevedendo la necessaria subordinazione del decreto ministeriale alla condizione espressa che l’estradato non venga sottoposto a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza detentiva, né venga assoggettato ad altra misura restrittiva della libertà personale per un fatto commesso prima della consegna e diverso da quello per il quale l’estradizione è stata concessa.
La norma (non innovata dal recente intervento di riforma) contempla poi, al secondo comma, le ipotesi di estinzione della clausola di specialità, le cosiddette cause di purgazione, in presenza delle quali lo Stato richiedente si riappropria della sua giurisdizione anche in relazione ai fatti commessi prima della consegna. Si tratta del volontario mancato allontanamento dell’estradato dal territorio dello Stato richiedente, sul quale più diffusamente ci si soffermerà in seguito.
Sul versante delle procedure passive è rimessa al Ministro anche la verifica dell’osservanza della condizione di specialità e delle altre condizioni eventualmente apposte ai sensi dell’art. 699, comma 3, la cui inosservanza potrà in ogni caso essere fatta valere dall’estradato presso le autorità competenti dello Stato di consegna.
4. Disciplina del codice in tema di estradizioni attive
Nella disciplina delle procedure estradizionali attive - che in questa sede assumono precipuo rilievo in quanto interpellano i compiti e le responsabilità delle autorità giudiziarie interne - occorre dar conto dei diversi ambiti applicativi considerati dal riformato art. 721.
Diversamente dalla norma previgente, la nuova disposizione non si fa carico soltanto della regolazione sussidiaria delle procedure governate dalla cortesia internazionale a condizioni di reciprocità o di quelle regolate da trattati che non recano specifiche disposizioni sul tema; ma si preoccupa di regolare anche gli effetti processuali (interni) del principio nelle procedure regolate da alcune Convenzioni.
4.1 Contesto extra-convenzionale
Il primo comma dell’art. 721 riformato è dedicato al contesto extra-convenzionale e definisce la garanzia nei medesimi termini dell’art. 699, circoscrivendolo cioè alle sole limitazioni della libertà personale. In tale ambito la garanzia subordina al previo ottenimento dell’estradizione suppletiva non già lo svolgimento delle indagini e del processo per i fatti diversi e anteriori alla consegna, ma soltanto le restrizioni della libertà personale connesse all’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza detentive, ovvero all’applicazione di una misura cautelare personale (art. 721, comma 1).
In quanto riferibile anche alle procedure regolate da trattati che nulla prevedano in tema di specialità, la preclusione dell’esecuzione di atti coattivi nei confronti dell’estradato per fatti anteriori alla consegna e diversi da quelli che hanno dato luogo a quest’ultima è comunemente intesa come tutela minima apprestata dal legislatore interno per salvaguardare quel nocciolo duro della garanzia che può ritenersi recepito dal diritto internazionale consuetudinario.
4.2 Contesto convenzionale
I commi successivi dell’art. 721 si fanno carico, invece, di regolare il comportamento delle autorità giudiziarie nazionali e gli effetti processuali interni della specialità nei casi in cui il perimetro della clausola è definito dalle convenzioni vigenti con lo Stato estero interessato o dalle condizioni apposte da quest’ultimo alla decisione di consegna in termini più estesi rispetto al contenuto minimo recepito dal diritto consuetudinario.
Ora, la fonte pattizia più diffusamente applicata - la Convenzione europea di estradizione fatta a Parigi il 13 dicembre 1957 e ratificata dall’Italia con legge 30 gennaio 1963, n. 300 entrata in vigore il 4 novembre 1963 – declina appunto in tal senso la garanzia di specialità:
“La persona estradata non sarà perseguita, giudicata, arrestata in vista dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza, né sottoposta a qualsiasi altra restrizione della sua libertà personale, per un qualsiasi fatto anteriore alla consegna, diverso da quello che ha dato luogo all’estradizione…” (art. 14 par. 1).
Sono similmente formulate le clausole di specialità contenute in alcune importanti convenzioni bilaterali, come quelle vigenti con gli Stati Uniti d’America[1] ; con il Regno del Marocco [2]; con la Repubblica popolare cinese [3], con il Canada [4], con il Governo degli Stati uniti messicani [5].
Guardando ai richiamati ambiti convenzionali (e più in generale ai numerosi trattati che fanno uso di formule analoghe), la giurisprudenza interna di legittimità si era assestata nel senso di configurare la clausola di specialità come “introduttiva di una condizione di procedibilità”, (l’estradizione suppletiva), la cui mancanza ostacola l’esercizio dell’azione penale e consente soltanto, ai sensi dell’art. 346, il compimento degli atti di indagine preliminare necessari ad assicurare le fonti di prova e, quando vi è pericolo nel ritardo, l’assunzione delle prove nei casi e nelle forme previste dall’art. 392. Era inoltre consentito l’esercizio dei poteri interruttivi della prescrizione compatibili con la fase antecedente all’esercizio dell’azione penale e l’archiviazione della notizia di reato che, per sua natura resta estranea alla fase strettamente processuale (Sez. un. n. 8/01, Ferrarese; conformi numerose altre tra le quali, da ultimo, C. II, n. 3706/16, C. III, n. 39353/08).
Il legislatore della riforma ha inteso superare tale assetto, regolando gli effetti processuali della specialità nel senso di configurare la garanzia come introduttiva di una causa di sospensione del procedimento e dell’esecuzione della pena [art. 4 lett. d) n. 12 della legge 21 luglio 2016, n. 149].
La riconfigurazione, come si legge nei lavori preparatori, è finalizzata da un lato a rimuovere qualsiasi dubbio circa l’estensione del principio alla fase esecutiva (che resterebbe, invece, estranea al concetto di condizione di procedibilità); dall’altro lato, a consentire, prima dell’estradizione suppletiva, il compimento di tutti gli atti di indagine, e non soltanto di quelli previsti dall’art. 346 c.p.p.
Si è inteso insomma realizzare un migliore contemperamento tra l’osservanza del principio e l’esigenza di non sacrificare l’esercizio della giurisdizione.
4.2.1. L’ordinanza di sospensione del processo
Quando l’azione penale sia stata già esercitata e sopravvenga soltanto nel corso dell’udienza preliminare o del giudizio (dibattimentale o speciale) la condizione di fatto che impone l’estradizione suppletiva, l’art. 721, comma 2 prevede che il giudice emetta un’ordinanza di sospensione del processo, ricorribile per cassazione dal pubblico ministero, dall’imputato e dal suo difensore.
Le ipotesi regolate sono evidentemente quelle nelle quali l’azione penale ha potuto regolarmente essere esercitata perché:
- il trattato che regola la procedura consente il perseguimento e richiede l’estradizione suppletiva soltanto per la celebrazione del giudizio (“quando le convenzioni internazionali o le condizioni poste prevedono che un fatto anteriore alla consegna non possa essere giudicato”, recita l’incipit dell’art. 721, comma 2);
- il processo è iniziato in assenza dell’imputato, ricorrendo le condizioni previste dall’art. 420-bis c.p.p. in tema di regolare citazione e mancata deduzione di impedimenti a comparire, e solo successivamente il soggetto è stato consegnato alle autorità italiane per un fatto successivo nel tempo e diverso da quello che forma oggetto del processo de quo;
- il processo concerne il fatto che ha dato luogo alla consegna e la contestazione del fatto anteriore e diverso è stata successivamente formulata dal pubblico ministero nelle forme previste dagli artt. 423, 441-bis, 517 o 518 c.p.p.
Guardando alla ratio garantistica del principio, la norma riformata prevede che l’ordinanza sospensiva non preclude l’emissione di una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere.
Alla medesima ratio è ispirata la previsione del comma 4, secondo la quale l’ordinanza di sospensione non impedisce l’assunzione delle prove che possono determinare il proscioglimento dell’imputato per i fatti anteriori alla consegna.
Lo stesso comma contempla, quali ulteriori eccezioni, il compimento degli atti urgenti e l’assunzione di prove non rinviabili, nella prospettiva di evitare che l’attesa dell’estradizione suppletiva possa determinare un pregiudizio irreparabile della funzione di accertamento.
La sospensione del processo disposta ai sensi della norma indicata integra una causa di sospensione della prescrizione, ai sensi della previsione generale dell’art. 159, comma 1 c.p.: “il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale…è imposta da una particolare disposizione di legge…”.
E’ così scongiurato il rischio che la scrupolosa osservanza della garanzia di specialità possa tradursi nella “definitiva interdizione della funzione giurisdizionale” (v. la Relazione della Commissione Riccio per la riforma del codice di procedura penale, 27 luglio 2006, par. 3.2 che ha evidentemente ispirato il legislatore della riforma).
Quando la formula convenzionale preclude non solo il giudizio (così è nella Convenzione di Parigi e nella maggior parte degli accordi bilaterali sopra richiamati) ma anche il perseguimento, ferma restando l’esperibilità di qualsiasi atto di indagine e della raccolta probatoria non rinviabile, deve ritenersi che l’esercizio dell’azione penale è precluso fintantoché non sia stata inoltrata e positivamente riscontrata dallo Stato estero la richiesta di estradizione suppletiva.
Una diversa interpretazione implicherebbe la violazione della norma convenzionale che detta la regola del caso, posto che l’espressione perseguito (poursuivi o prosecuted), designa nel linguaggio internazionale il momento dell’esercizio dell’azione penale.
4.2.2. L’ordinanza cautelare strumentale
Con la disposizione dell’art. 721-bis dedicata all’estensione dell’estradizione, il legislatore della riforma si fa carico dell’annosa questione relativa alla pratica impossibilità di superare l’ostacolo della specialità quando, nel procedimento instaurato per fatti anteriori e diversi da quelli posti a fondamento della consegna, l’estradato debba essere giudicato a piede libero.
L’attivazione della procedura estradizionale postula, infatti, l’esistenza di un provvedimento restrittivo della libertà personale (cautelare o definitivo) per la cui esecuzione è richiesta la cooperazione dello Stato estero di rifugio.
Per risolvere tale problematica, la nuova disposizione prevede un’ordinanza cautelare non esecutiva, da emettersi sulla base del solo presupposto indiziario di cui all’art. 273 c.p.p., i gravi indizi di colpevolezza la cui acquisizione è resa possibile dalla nuova configurazione della specialità come condizione che non impedisce alcuna attività di indagine:
“non è preclusa alcuna attività di indagine anche solo, per esempio, in funzione della raccolta di indizi gravi di reato ai fini dell’ottenimento di un titolo cautelare…è cioè ammissibile porre in essere tutta l’attività necessaria all’emissione del provvedimento di custodia cautelare strumentale alla richiesta di estensione dell’estradizione” (Relazione illustrativa dello Schema di decreto legislativo n. 149 del 2017, p. 6).
La stretta strumentalità del provvedimento al perfezionamento della procedura estradizionale suppletiva è chiaramente illustrata dalla disciplina dei suoi effetti.
L’ordinanza dovrà essere revocata nel caso di rifiuto dell’estradizione da parte dello Stato estero.
Ma anche nel caso di concessione dell’estradizione, l’ordinanza non potrà essere automaticamente eseguita. A tal fine è necessario un provvedimento di conferma a fini esecutivi che, fermi restando i gravi indizi di colpevolezza, rappresenti, secondo le regole generali dell’art. 292 c.p.p., la concreta e attuale sussistenza delle esigenze cautelari e delle condizioni di necessità e proporzionalità richieste dagli artt. 274 e ss.
L’adozione dell’ordinanza strumentale non è evidentemente necessaria quando, sulla base delle procedure semplificate previste da taluni trattati o delle prassi vigenti con alcuni Paesi, lo Stato estero acconsenta all’estensione del giudizio ai fatti anteriori non dedotti nel provvedimento di consegna, senza esigere l’allegazione del titolo restrittivo. Il nuovo art. 721 comma 5 lett. a) conserva infatti la disposizione del testo previgente secondo la quale “il principio di specialità non opera quando lo Stato estero ha consentito alla consegna”.
L’esperienza operativa registra casi nei quali la mera allegazione delle imputazioni relative al fatto diverso anteriore alla consegna è stata reputata sufficiente dalle Autorità competenti dello Stato estero per acconsentire all’esercizio dell’azione penale e alla celebrazione del processo a piede libero nei confronti dell’estradato.
In tali casi, l’attivazione della procedura estradizionale potrà rendersi necessaria – salvo diversa indicazione contenuta nel provvedimento dell’autorità estera - per dar corso all’esecuzione dell’eventuale condanna irrevocabile o dell’ordinanza cautelare eventualmente emessa nel corso del giudizio.
5. Altre declinazioni convenzionali della clausola di specialità
La gamma delle previsioni convenzionali vigenti in tema di specialità non si esaurisce nell’alternativa tra nocciolo duro e declinazione in senso forte della garanzia.
Alcune Convenzioni multilaterali, come la Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di sostanze stupefacenti o piscotrope, fatta a Vienna il 20 dicembre 1988 e ratificata dall’Italia con legge 5 novembre 1990 n. 328 rimandano al “rispetto delle condizioni previste nel diritto della Parte richiesta”.
Altre fonti pattizie declinano, invece, il principio in forme più attenuate ammettendo la possibilità di procedere, senza estradizione suppletiva, per il fatto diverso connesso a quello per cui l’estradizione è stata concessa [6] o anche per il fatto non connesso che rientri però tra i reati previsti in astratto dal Trattato come estradabili.
La breve rassegna vale a richiamare, ancora una volta, la necessità di procedere all’attenta verifica della base giuridica dell’avvenuta estradizione e delle clausole pattizie dedicate al tema della specialità, oltre che, quando la disposizione convenzionale vi faccia rinvio, alla disciplina interna del Paese estradante.
Le informazioni in parola sono di norma ricavabili dal provvedimento concessivo e comunque, nel caso di lacune o equivocità di quest’ultimo, possono essere acquisite con la collaborazione degli Uffici della Direzione generale della giustizia penale.
6. Errori di prospettiva
La consultazione del provvedimento estradizionale serve anche ad escludere errori di prospettiva, come quello di regolare la gestione della garanzia di specialità sulla base di una normativa sovranazionale diversa e sopravvenuta a quella che ha in fatto governato la procedura di consegna.
Tale errore ha caratterizzato una decisione di merito recentemente assunta in una vicenda relativa ai rapporti con la Spagna, nel contesto della successione tra la garanzia forte assicurata dal richiamato art. 14 par. 1 della Convenzione di Parigi e la garanzia attenuata, come vedremo, prevista dalla Decisione Quadro sul mandato di arresto europeo:
In tema di estradizione dall'estero, l'ambito di operatività della clausola di specialità, quale limite all'esercizio dell'azione penale per fatti diversi da quello che ha motivato l'estradizione, è regolato dallo strumento convenzionale che ha determinato la consegna, senza che rilevino le modifiche del quadro normativo sovranazionale sopravvenute in senso sfavorevole al soggetto consegnato. (In applicazione del principio, la S.C. ha annullato la sentenza di condanna per un reato commesso in epoca antecedente alla consegna e non ricompreso tra quelli per cui era stata concessa l'estradizione, ravvisando la violazione del principio di specialità di cui all'art. 14 del Convenzione europea di Estradizione del 1957, in forza della quale era avvenuta la consegna, ed escludendo che potessero applicarsi retroattivamente le deroghe limitative alla clausola di specialità introdotte successivamente dalla Decisione Quadro sul mandato di arresto europeo del 2002, recepita dal Paese richiesto in epoca successiva alla consegna) (C. I, n. 44121/16).
7. La purgazione della garanzia
Due tradizionali cause di caducazione della garanzia di specialità sono contemplate dalle lettere b) e c) del riformato quinto comma dell’art. 721.
La prima, per quanto non espressamente prevista dalla disciplina previgente, era già riconosciuta dalla prevalente giurisprudenza di legittimità. Si tratta del consenso espresso dall’estradato con le modalità indicate dall’art. 717, commi 2 e 2-bis, disposizioni che: assegnano all’autorità giudiziaria il compito di raccogliere la dichiarazione di rinuncia; prescrivono la previa informativa delle conseguenze giuridiche della rinuncia e la sua verbalizzazione; esigono la presenza del difensore, a pena di invalidità; stabiliscono l’irrevocabilità della rinuncia, salvo l’intervento di fatti nuovi che modifichino la situazione esistente al momento della rinuncia.
Le rigorose cadenze formali dettate dalla disposizione rafforzano la regula juris dettata dalla Corte di legittimità che, anche in assenza di un’espressa previsione convenzionale o codicistica, ammettevano la rilevanza della rinuncia, a condizione che questa fosse formulata “in modo espresso, formale e inequivoco”, tale da poter essere assimilata alle tradizionali cause di purgazione delle quali diremo in seguito.
Era in passato (ed è a maggior ragione oggi) esclusa, invece, la possibilità di ravvisare ipotesi implicite di rinuncia in comportamenti di significato equivoco quali: la mancata formulazione dell’eccezione di specialità accompagnata dallo svolgimento di una difesa nel merito dalle accuse relative al fatto non compreso nel decreto di estradizione e la presentazione della richiesta di giudizio abbreviato per definire il relativo procedimento (C. VI, n. 5816/17; C. I, n. 33668/05; C. I, n. 21344/05); la richiesta del condono per il reato anteriore non compreso nel provvedimento di estradizione (C. I, n. 8580/15).
Ove espressa nelle forme prescritte, la dichiarazione di rinuncia alla specialità resa nel corso delle indagini o del giudizio di cognizione rende definitivamente inoperante il principio: l’esecuzione dell’eventuale decisione di condanna non necessiterà pertanto né di un nuovo interpello dell’interessato, né dell’attivazione della procedura di estradizione suppletiva (C. sez. un. n. 11971/08).
La seconda eccezione riproduce i casi classici di purgazione della specialità collegati al mancato allontanamento e al volontario rientro nel territorio dello Stato di consegna: “…l’estradato, avendone avuta la possibilità, non ha lasciato il territorio dello Stato trascorsi quarantacinque giorni dalla sua definitiva liberazione oppure, se, dopo averlo lasciato, vi ha fatto volontariamente ritorno”.
Con riferimento al caso del mancato allontanamento, conserva attualità l’elaborazione giurisprudenziale che sottolinea la necessità che la permanenza nello Stato oltre il termine indicato sia dovuta a libera scelta dell’estradato e perciò esclude la caducazione della garanzia in caso di impedimenti materiali o giuridici dell’allontanamento quali: lo stato di indigenza; la grave malattia; la mancanza del passaporto o di altro documento valido per l’espatrio (C. I, n. 4711/99); la necessità di difendersi nel procedimento per il quale è stata concessa l’estradizione o in altro procedimento penale (C. I, n. 16000/06); la sottoposizione a misure cautelari non detentive quali l’obbligo di presentazione alla p.g. o il divieto di espatrio (C. I, n. 21344/05); l’applicazione di misure personali di sicurezza come la libertà vigilata (C. I, n. 40000/05).
E’ importante sottolineare il requisito di definitività del provvedimento di liberazione, in presenza del quale l’estradato non lascia, nel termine indicato dalla legge interna o dai trattati, il territorio dello Stato richiedente. Il requisito implica che la causa di purgazione matura soltanto in conseguenza di una sentenza di assoluzione o da un provvedimento di scarcerazione non modificabile. Non è assimilabile a dette ipotesi quella della scarcerazione conseguente alla dichiarazione di inefficacia della misura cautelare per decorso dei termini di custodia, né quella conseguente alla revoca della misura disposta per cessazione dei pericula libertatis, posto che il cd. giudicato cautelare è ammesso "allo stato degli atti" ed è sempre consentita una diversa valutazione quando muti la prognosi sulle dette esigenze. Non può perciò sostenersi in tali casi che il comportamento dell'imputato sia univocamente indicativo di una scelta piena di accettazione della giurisdizione dello Stato alla quale si sarebbe altrimenti sottratto (C. I, n. 22747/09; C. V, n. 6825/07; C. I, n. 16000/06).
Con riferimento alla volontario rientro, non essendovi una casistica, basta qui rammentare che non determinano la caducazione della garanzia manovre fraudolente finalizzate a riportare coattivamente la persona all’interno dello Stato.
Un’ulteriore causa di caducazione (rectius, di esclusione) della garanzia non espressamente prevista ricorre quando il soggetto, una volta estradato verso l’Italia per un determinato reato, se ne allontani (legittimamente o illegittimamente) per rifugiarsi in uno Stato diverso da quello estradante.
A tale riguardo dev’essere richiamata la dimensione bilaterale della garanzia di specialità, che opera esclusivamente nelle relazioni tra le Parti coinvolte nell’originale procedura estradizionale e che perciò cessa di avere efficacia quando l’interessato si sposti verso un Paese diverso, nei confronti del quale potrà eventualmente instaurarsi nuovo e autonomo rapporto estradizionale, a nulla rilevando il consenso del primo Stato estradante (C. I, n. 9000/09, relativa a un caso di allontanamento legittimo; C., I, n. 32356/04, relativa a un caso di allontanamento illegittimo).
8. La garanzia di specialità nella procedura di mandato di arresto europeo
Nel contesto del mandato di arresto europeo è consolidato un indirizzo giurisprudenziale che declina la garanzia di specialità in forme attenuate, tali cioè da implicare la necessità del consenso suppletivo dello Stato di esecuzione del mandato ai soli fini dell’esecuzione della condanna irrevocabile o della misura restrittiva della libertà personale; senza impedire che, per il fatto anteriore e diverso possano, invece, dispiegarsi pienamente la funzione requirente e il giudizio di cognizione e possano anche essere adottate statuizioni di condanna a pena detentiva e ordinanze applicative di misure custodiali.
L’indirizzo è stato inaugurato dalla decisione C. VI, n. 39240/11 la cui massima recita:
In tema di mandato di arresto europeo, il principio di specialità previsto dall'art. 32 della l. 22 aprile 2005, n. 69, non osta a che l'autorità giudiziaria italiana proceda nei confronti della persona consegnata a seguito di mandato d'arresto europeo emesso per reati diversi da quelli per i quali la stessa è stata consegnata e commessi anteriormente alla sua consegna. Tuttavia, in assenza del consenso dello Stato di esecuzione, deve ritenersi preclusa - allo Stato di emissione che abbia legittimamente adottato un provvedimento cautelare al fine di attivare la procedura di assenso prevista in relazione ai suddetti reati - la possibilità di eseguire nei confronti della persona consegnata misure restrittive della libertà personale, sia durante il procedimento che in esito allo stesso.
Questa linea interpretativa, ribadita da tutta la giurisprudenza di legittimità successiva (C. II, n. 14738/17; C. III, n. 47253/16; C. II, n. 14880/15; C. I, n. 8349/14; C. I, n. 18778/13), si fonda sulla necessità di conformare l’applicazione delle norme interne di attuazione del mandato di arresto europeo (artt. 26 e 32 della legge 22 aprile 2005, n. 69) al dettato dell’art. 27 della decisione quadro 2002/584/GAI, così come interpretato dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea nella decisione 1 dicembre 2008, c. Leymann-Pustovarov.
Per vero, l’art. 27 cit. riproduce al par. 2 la versione 'tradizionale' della clausola (...la persona non è sottoposta a un procedimento penale, condannata o altrimenti privata della libertà per eventuali reati anteriori alla consegna diversi da quello per cui è stata consegnata).
Ciò che muta è la dimensione complessiva delle deroghe elencate nel par. 3 dove figura - insieme alle tradizionali cause di purgazione, al caso dell’assenso dello Stato di consegna e a quello della rinuncia espressa del consegnato - il caso nel quale il procedimento penale instaurato per il reato anteriore e diverso “non dà luogo all'applicazione di una misura restrittiva della libertà personale”.
La Corte di giustizia UE, nella decisione sopra richiamata, ha interpretato l’eccezione in parola come riferita a tutte le «le situazioni nelle quali il procedimento penale - in base alla legge o alla valutazione della autorità giudiziaria - non dà luogo all'applicazione di misura restrittiva della libertà personale dell'interessato». Secondo la Corte di Lussemburgo dunque, l’eccezione opera non soltanto quando la legge dello Stato emittente non prevede l’irrogazione di pene detentive o l’applicazione di misure custodiali (per ragioni connesse, per esempio, alle soglie edittali previste dal nostro art. 280 c.p.p.); ma anche quando, pur essendo la restrizione della libertà astrattamente configurabile, l’autorità giudiziaria non abbia inteso (ancora) applicarla.
La Corte di cassazione, con le pronunce sopra richiamate, reputa che nello stesso modo debba essere interpretata la formula dell’art. 26 della legge n. 69 del 2005, nonostante il testo della norma di trasposizione traduca l’eccezione con formula lessicale parzialmente diversa (“… il procedimento penale non consente l'applicazione di una misura restrittiva”; anziché “il procedimento penale non dà luogo applicazione di misura restrittiva”).
9. Operatività della garanzia di specialità nel giudizio di esecuzione
E’ pacifico che la garanzia di specialità, tanto nel contesto operativo delle procedure estradizionali quanto in quello regolato dal mandato di arresto europeo, opera anche in relazione alle decisioni adottate nel giudizio di esecuzione che possono comportare restrizioni della libertà personale del soggetto estradato o consegnato per fatti anteriori alla consegna e diversi da quelli per i quali quest’ultima è stata disposta.
Vengono in rilievo le decisioni adottate dal giudice dell’esecuzione per l’applicazione in executivis della continuazione, seppure richiesta dal condannato (art. 671 c.p.p.); o per la revoca della sospensione condizionale della pena o dell’amnistia, dell’indulto e della grazia condizionati (art. 674 c.p.p.).
Con riguardo a tali casi, la Corte di cassazione ha costantemente segnalato la necessità di sospendere il procedimento di esecuzione in attesa dell’assenso dello Stato estero all’estensione del MAE o del provvedimento estradizionale [7].
La legge di riforma non fa che confermare detta necessità. Il principio di delega che sollecita le definizione della garanzia come “causa di sospensione del procedimento” rimanda ai lavori della Commissione Riccio che indicava, tra i vantaggi di tale riconfigurazione quella di “potersi applicare coerentemente sia al processo che all’esecuzione della pena” (Relazione cit. par. 3.2).
Nel contesto del mandato di arresto europeo, è recentemente affiorato, all’interno della stessa sezione della Corte di cassazione, un contrasto interpretativo, che attiene non già alla (incontestata) operatività della garanzia nel procedimento di esecuzione, ma al momento nel quale essa dispiega il suo effetto impeditivo.
Un primo orientamento ritiene precluso il provvedimento di revoca della sospensione condizionale della pena in relazione alle condanne per fatti anteriori e diversi da quelli per i quali la consegna è stata concessa e impone, prima del provvedimento, la sospensione della procedura esecutiva diretta a rendere eseguibili condanne già condizionalmente sospese in attesa dell’eventuale assenso all’estensione del MAE (C. I, n. 38716/13; C. I, n. 40256/07).A questo orientamento si è consapevolmente contrapposta la decisione C. I, n. 4457/17 per la quale, invece, la declinazione temperata del principio di specialità contenuta nel citato art. 27 della decisione quadro 2002/584/GAI e negli artt. 26 e 32 della legge interna di attuazione implica che “in sede di esecuzione è consentito al giudice disporre la revoca della sospensione condizionale della pena in relazione a condanne per fatti anteriori e diversi da quelli per i quali la consegna è stata concessa, ma non è, invece, legittimo il susseguente ordine di carcerazione”.
E’ rimesso ovviamente al prudente apprezzamento delle autorità in indirizzo regolare la propria condotta processuale secondo l’opzione ritenuta preferibile, tenendo conto del mutato quadro normativo e delle evoluzioni della giurisprudenza di legittimità.[8]
I Procuratori generali e i Presidenti di Corte d’Appello in indirizzo sono invitati a dare massima diffusione alla presente circolare tra gli uffici dei rispettivi distretti.
Sarà gradita la segnalazione delle difficoltà incontrate e delle buone prassi adottate per l’uniforme attuazione della garanzia in parola.
Le comunicazioni potranno essere inoltrate alla Direzione generale della giustizia penale.
Roma, 14 giugno 2018
Il Capo Dipartimento
Raffaele Piccirillo
Nota 1 - L’art. XVI, par. 1 del Trattato Italia – USA, fatto a Roma il 13 ottobre 1983: “Una persona estradata in base al presente trattato non può essere detenuta, giudicata, o punita, nella Parte Richiedente…”.
Nota 2 - Art. 44, par. 1 della Convenzione di reciproca assistenza giudiziaria, di esecuzione delle sentenze e di estradizione, fatta a Roma il 12 febbraio 1971 e ratificata con legge 12 dicembre 1973, n. 1043: “L'individuo che sarà stato consegnato non potrà essere né perseguito, né giudicato in contraddittorio, né essere detenuto in vista dell'esecuzione di una pena per un reato anteriore alla consegna, diverso da quello per il quale era stata richiesta l'estradizione…”.
Nota 3 - Art. 14, par. 1 del Trattato Italia – Cina, fatto a Roma il 7 ottobre 2010 e ratificato dall’Italia con legge 24 settembre 2015, n. 161) “La persona estradata in conformità al presente Trattato non può essere perseguita o arrestata ai fini dell'esecuzione di una condanna nello Stato Richiedente per un qualsiasi reato commesso anteriormente alla consegna e diverso da quello che ha dato luogo all'estradizione…”.
Nota 4 - Art. XV del Trattato Italia – Canada, fatto a Roma il 13 gennaio 2005 e ratificato dall’Italia con legge entrata in vigore il 17 novembre 2010: “La persona che è stata estradata non può essere sottoposta a procedimento penale o condannata per i fatti commessi prima della sua consegna e diversi da quelli per i quali è stata estradata…”
Nota 5 - Art. 10, par. 1 del Trattato Italia – Messico, fatto a Roma il 28 luglio 2011 e ratificato dall’Italia con legge 15 giugno 2015, n. 89: “La persona estradata in conformità' al presente Trattato non può essere sottoposta a procedimento penale, giudicata, detenuta ai fini dell'esecuzione di una condanna, ne' sottoposta a qualsiasi altro provvedimento restrittivo della libertà personale, nello Stato Richiedente, per qualsiasi reato commesso anteriormente alla consegna e diverso da quello che ha dato luogo all'estradizione…”.
Nota 6 - Così l’art. 7 par. 1 del Trattato Italia – Venezuela, fatto a Caracas il 28 marzo 1930 e tuttora vigente.
Nota 7 - In tema di mandato di arresto europeo, il principio è affermato in C. I, n. 53695/16; C. I, n. 38716/13; C. I, n. 734/11; C. I, n. 40256/07. In tema di estradizione, v. C. I, n. 44858/08; C. I, n. 9145/06; C. V, n. 16129/02; C. I, n. 3835/93.
Nota 8 - Il contrasto in parola non risulta allo stato devoluto alle Sezioni Unite.
(pubblicato sub https://giustizia.it/giustizia/it/mg_1_8_1.page;jsessionid=isGQ4h3viVt1gsA1Kbgt3v-f?contentId=SDC122357&previsiousPage=mg_1_8)