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Conoscenza di lingua italiana è accertamento di merito (Cass. 37010/19)

6 settembre 2019, Cassazione penale

Il riconoscimento dei diritto all'assistenza dell'interprete non discende automaticamente, come atto dovuto e imprescindibile, dal mero "status" di straniero o apolide, ma richiede l'ulteriore presupposto, in capo a quest'ultimo, dell'accertata ignoranza della lingua italiana.

L'accertamento relativo alla conoscenza da parte dell'imputato della lingua italiana spetta al giudice di merito, costituendo un'indagine di mero fatto non censurabile in sede di legittimità se motivato in termini corretti ed esaustivi.

Affinché il giudice proceda a disporre la traduzione degli atti non basta il semplice dubbio circa la conoscenza della lingua italiana da parte dell'imputato, atteso che la traduzione degli atti processuali nella lingua madre dell'imputato o in altra da lui conosciuta è dovuta solo nel caso di comprovato e dichiarato difetto di conoscenza della lingua italiana. 

L'omessa traduzione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari in una lingua nota all'indagato, che non comprenda la lingua italiana, determina una nullità di ordine generale a regime intermedio che non può essere dedotta a seguito della scelta dei giudizio abbreviato, in quanto la richiesta del rito speciale opera un effetto sanante della nullità ai sensi dell'art. 183 cod. proc. pen.

 

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 30 giugno – 6 settembre 2016, n. 37010
Presidente Diotallevi – Relatore Ariolli

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 25/11/2014 la Corte di appello di Milano confermava la sentenza emessa in data 3/12/2010 dal Tribunale di Milano che aveva con D. X.X. alla pena di anni uno mesi due di reclusione ed euro 300,00 di multa, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche e ritenuta la continuazione in ordine ai reati di cui agli artt. 474, 56-515 e 648 cod. pen., con i doppi benefici di legge.

2. Avverso la predetta sentenza ricorre per cassazione l'imputata, chiedendone l'annullamento. Al riguardo, deduce, quale unico motivo, la violazione di legge (artt. 143, 178 lett. c) cod. proc. pen. e 24, comma 2 e 111, comma 3, Cost.). In particolare, eccepisce la nullità, stante la mancata traduzione, nella lingua conosciuta dall'imputata (cinese), dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari e del decreto di citazione a giudizio. Osserva poi come tale eccezione sia stata tempestivamente sollevata negli atti preliminari al dibattimento e che, pertanto, nessuna sanatoria poteva riconoscersi al successivo svolgimento del giudizio con le forme dei rito abbreviato, ove, peraltro, l'imputata veniva assistita dall'interprete.

Considerato in diritto

1. II ricorso è manifestamente infondato.

1.1. Questa Corte, in tema di traduzione degli atti, anche in seguito alla riformulazione dell'art. 143, cod. proc. pen., ad opera dell'art. 1, comma 1, lett. b), dei D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 32, ha precisato che l'accertamento relativo alla conoscenza da parte dell'imputato della lingua italiana spetta al giudice di merito, costituendo un'indagine di mero fatto non censurabile in sede di legittimità se motivato in termini corretti ed esaustivi (Sez. F, sent. n. 44016 del 4/09/2014 Cc. (dep. 22/10/2014), Rv. 260997).

1.2. Nel caso in esame, il giudice di primo grado ha osservato che dagli atti di polizia giudiziaria (nella specie il verbale di sequestro) risultava che l'imputata aveva avuto la carta di soggiorno ed il primo permesso di soggiorno nel 1995 e che nel verbale di identificazione ed elezione di domicilio aveva proceduto a nominare in difensore di fiducia ed eleggere domicilio presso lo studio del legale, lasciando così intendere di comprendere la lingua italiana. Il giudice ha, dunque, tratto il ragionevole convincimento che l'imputata parlasse e comprendesse la lingua italiana dal lungo tempo da ella trascorso in Italia, oltre tredici anni rispetto alla data dell'accertamento del fatto (26.8.2008) e dall'assenza, negli atti di polizia giudiziaria, di indicazioni di segno contrario. Anzi il contenuto di quegli stessi atti, dai quali risultava che l'imputata svolgeva l'attività di commercio e, dunque, essendo a diretto contatto con il pubblico, necessitava della buona conoscenza della lingua italiana, deponeva in senso affermativo, considerato che l'imputata procedeva ad indicare anche un difensore di fiducia e ad eleggere domicilio presso il suo studio.

1.3. Affinché il giudice proceda a disporre la traduzione degli atti non basta il semplice dubbio circa la conoscenza della lingua italiana da parte dell'imputato, atteso che la traduzione degli atti processuali nella lingua madre dell'imputato o in altra da lui conosciuta è dovuta solo nel caso di comprovato e dichiarato difetto di conoscenza della lingua italiana. In applicazione di tale principio è stata, così, dichiarata abnorme l'ordinanza dei GUP che, fondandosi sul mero dubbio circa la conoscenza della lingua italiana da parte dell'imputato e rilevato che il verbale di elezione di domicilio risulta redatto esclusivamente in italiano, ha dichiarato la nullità di tutte le notificazioni successive (cfr. ex multis Sez. 5, sent. n. 1136 del 26/10/2015 Cc. (dep. 13/01/2016), Rv. 266069; Sez. 5, sent. n. 72 del 22/11/2005 Cc. (dep. 04/01/2006) Rv. 232532).

1.4. Parimenti si è affermato che il riconoscimento dei diritto all'assistenza dell'interprete non discende automaticamente, come atto dovuto e imprescindibile, dal mero "status" di straniero o apolide, ma richiede l'ulteriore presupposto, in capo a quest'ultimo, dell'accertata ignoranza della lingua italiana. (Fattispecie in cui, avendo il ricorrente lamentato la mancata traduzione, nella lingua madre o in inglese, dei decreto di sequestro preventivo, la Corte ha ritenuto congruamente accertata in sede di merito la sua dimestichezza con l'idioma italiano, sottolineando, peraltro, che la non recente acquisizione della cittadinanza italiana per effetto di matrimonio gli avrebbe imposto l'onere, non assolto, della prova contraria alla presunzione stabilita nell'art. 143, comma primo, cod. proc. pen.). (Sez. Un. n. 25932 del 29/5/2008, Rv. 239693).

2. Per completezza, va comunque osservato che manifestamente infondata è l'ulteriore deduzione secondo cui la "tempestività" dell'eccezione, formulata negli atti preliminari al dibattimento, avrebbe precluso l'operatività della sanatoria ai sensi dell'art. 183 cod. proc. pen., nonostante il successivo instaurarsi del giudizio abbreviato. Sul punto, la Corte territoriale ha correttamente richiamato il principio di diritto affermato dalle Sezioni unite secondo cui "l'omessa traduzione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari in una lingua nota all'indagato, che non comprenda la lingua italiana, determina una nullità di ordine generale a regime intermedio che non può essere dedotta a seguito della scelta dei giudizio abbreviato, in quanto la richiesta del rito speciale opera un effetto sanante della nullità ai sensi dell'art. 183 cod. proc. pen." (Sez. Un., n. 39298 del 26/9/2006, Rv. 234835).

La scelta del rito abbreviato si pone, infatti, quale sanatoria generale all'eventuale nullità verificatasi nel corso degli atti di indagine preliminare che non abbiano effetto patologico. Con la scelta del rito l'imputato accetta gli effetti dell'atto nullo, avvalendosi delle facoltà al cui esercizio l'atto (nella specie il decreto di citazione a giudizio davanti al tribunale in composizione monocratica) è preordinato (vocatio in ius, costituzione del rapporto processuale anche ai fini della facoltà di chiedere i riti alternativi). L'aver avanzato la richiesta di rito abbreviato esprime il sopravvenuto disinteresse dell'imputato all'osservanza della disposizione violata e rende indeducibile l'eccezione, nella specie proposta dal difensore, che è bensì soggetto legittimato a denunziare una nullità quale parte, ma non può, per questa via, contrastare l'interesse sostanziale manifestato dall'imputato. Il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite si riferisce proprio ad un caso sovrapponibile a quello oggetto del presente giudizio, avendo riguardato diversi imputati di lingua polacca i quali scelsero di procedere col rito abbreviato dopo che la difesa aveva preliminarmente eccepito (in sede di udienza preliminare, procedendosi col rito ordinario stante la gravità dei reati) la nullità per mancata traduzione dell'avviso di conclusione delle indagini e della richiesta di rinvio a giudizio (cfr. punto 1.4. del considerato in diritto della sentenza).

3. II ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere conD.ta al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella- determinazione della causa di inammissibilità - al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di € 1.500,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e conD. la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.