Configura il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, e non quello di estorsione, la condotta dell’avvocato che, nell’esercizio del proprio mandato professionale, persegua gli interessi del proprio cliente con condotte di minaccia nei confronti della controparte.
Travalica il limite del lecito l'avvocato che, nel prosperare vie legali per la tutela del credito del proprio assistito, paventa alla controparte azioni idonee a screditare la sua immagine imprenditoriale, minacciando di rivelare la commissione di reati commessi in altri contesti e violazioni di tipo fiscale che sarebbero emersi da minacciati accertamenti di polizia tributaria.
Integra il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la condotta minacciosa o violenta che, estrinsecandosi in forme talmente aggressive da annichilire le capacità di reazione della vittima e trasformarla in mero strumento di soddisfazione delle pretese dell’autore, esorbita dal ragionevole intento di far valere un preteso diritto
Corte di Cassazione
sez. II Penale, sentenza 4 aprile – 8 luglio 2019, n. 29585
Presidente Cervadoro – Relatore Sgadari
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Brescia, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, emessa dal Tribunale di Bergamo il 13 ottobre del 2014, condannava il ricorrente alla pena di giustizia ed al risarcimento del danno nei confronti della parte civile in relazione al reato di tentata estorsione.
2. La Corte riteneva che l’imputato, avvocato e legale di fiducia della G.M. sas, attraverso delle lettere con le quali si chiedevano i corrispettivi per un contratto di appalto eseguito dalla propria assistita, avesse minacciato ingiustamente la committente, C. s.r.l., di adire le vie legali per la tutela del credito, travalicando i limiti dell’esercizio legittimo del diritto ed anche dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, rendendosi responsabile del reato di estorsione in quanto avrebbe paventato alla controparte azioni idonee a screditare l’immagine imprenditoriale della vittima, a rivelare la commissione da parte sua di reati commessi in altri contesti e violazioni di tipo fiscale che sarebbero emersi da minacciati accertamenti di polizia tributaria.
3. Ricorre per cassazione N.A. , deducendo:
1) violazione di legge e vizio di motivazione per non avere la Corte ritenuto che il fatto andasse diversamente qualificato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, pur dandosi atto in sentenza che la condotta dell’imputato fosse motivata da "un presupposto fondato, quale l’esistenza di un credito", a nulla rilevando le modalità della pretesa posta in essere dal ricorrente, ma solo l’elemento intenzionale.
Il ricorrente cita la giurisprudenza di legittimità a sostegno delle sue ragioni, riconoscendo l’esistenza di altro orientamento, tanto da chiedere, in subordine, la rimessione della questione alle Sezioni Unite di questa Corte;
2) vizio della motivazione in ordine alla gravità della condotta del ricorrente, costitutiva del reato di estorsione, posto che si sarebbe trattato solo di richieste avanzate tramite lettere spedite ai difensori della costituita parte civile, dal contenuto non talmente minaccioso da far ritenere sussistente un tentativo di estorsione anziché il reato di cui all’art. 393 c.p., avendo, peraltro, la stessa Corte valutato debolmente la portata della condotta del ricorrente ai fini delle statuizioni civili.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato.
1. Il Collegio intende ribadire l’approdo giurisprudenziale, particolarmente adattabile al caso in esame, secondo cui configura il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, e non quello di estorsione, la condotta dell’avvocato che, nell’esercizio del proprio mandato professionale, persegua gli interessi del proprio cliente con condotte di minaccia nei confronti della controparte. Nella specie, l’imputato aveva inviato una missiva con richieste di rilevanti somme di denaro per chiudere la controversia, minacciando altrimenti denunce che avrebbero portato a misure cautelari nei confronti della controparte e del suo difensore (Sez. 2, n. 31725 del 05/04/2017, Arnone, Rv. 271760 - 01).
2. Nel caso in esame, il ricorrente non contesta la sussistenza del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni - dando, dunque, per scontata la sussistenza di minacce illecite ad opera del ricorrente contenute nelle missive da lui spedite alla controparte - quanto, piuttosto, che tali minacce abbiano potuto addirittura travalicare l’illiceità propria del reato di cui all’art. 393 c.p., portando a ritenere configurabile un tentativo di estorsione.
Tuttavia - data per scontata la sussistenza di un diritto legittimo della parte privata assistita legalmente dal ricorrente nei confronti della controparte La C. s.r.l., della qual cosa non ha dubitato la sentenza impugnata - il ricorrente ha ragione nel sostenere che la motivazione offerta dalla Corte di Appello è carente nel conferire una gravità tale alla minaccia da configurare l’estorsione tentata.
Infatti, come pure si legge nella sentenza impugnata, le minacce rivolte dall’avvocato alla controparte, nei termini sintetizzati nelle premesse in fatto pur deprecabili quanto si vuole e sicuramente illecite ex art. 393 c.p., erano comunque finalizzate ad una composizione della lite attraverso una transazione; un fine giuridico comunque rientrante, ex art. 1965 c.p., tra le forme di tutela del diritto vantato dalla parte difesa dal ricorrente, in quanto volto, come recita testualmente la norma richiamata, a "prevenire" una lite.
Le modalità utilizzate si ponevano apertamente in linea con tale intenzione del ricorrente, espressamente rinvenibile nelle missive, non travalicando in forme così gravi di intimidazione da costituire una estorsione, tenuto conto della particolare natura dei rapporti esistenti tra le parti, della mancanza di condotte estranee al contenuto delle missive e della esistenza di un effettivo diritto tutelabile da parte del ricorrente.
3. La sentenza di legittimità citata dalla Corte di Appello, non fornisce elementi giuridici idonei a favore della tesi sostenuta dalla sentenza impugnata, lasciando aperta la questione (Sez. 6, Sentenza n. 11823 del 07/02/2017, Maisto, Rv. 270024 - 01, secondo cui, i delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza e minaccia alle persone e quello di estorsione si distinguono non già in relazione all’esistenza o meno di una legittima pretesa creditoria, bensì con riferimento alle modalità oggettive della richiesta, risultando integrato il delitto di estorsione anche quanto le condotte minacciose si manifestino in forme tali da trasformare una legittima richiesta di restituzione in un ingiusto profitto. Fattispecie in cui la Corte ha confermato la qualificazione della condotta quale esercizio arbitrario delle proprie ragioni, rilevando che le minacce non avevano raggiunto la soglia di gravità necessaria per coartare la volontà del soggetto passivo).
Mentre è utile ricordare - al fine di far emergere la non configurabilità di un tentativo di estorsione nella specie - che integra il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la condotta minacciosa o violenta che, estrinsecandosi in forme talmente aggressive da annichilire le capacità di reazione della vittima e trasformarla in mero strumento di soddisfazione delle pretese dell’autore, esorbita dal ragionevole intento di far valere un preteso diritto (Sez. 2, n. 55137 del 03/07/2018, Arcifa, Rv. 274469 01).
4. È poi appena il caso di precisare, come è stato acutamente sottolineato nella motivazione della sentenza di legittimità prima citata (31725 del 2017), che il professionista che agisca nell’interesse di un cliente, non può considerarsi "estraneo" alla contesa che opponga il proprio patrocinato ad un terzo, e le pressioni che egli eserciti sulla controparte oltre i limiti della correttezza, superando la soglia del penalmente rilevante, non possono per sé essere considerate alla stregua di una intermediazione criminale che finisca per sovrapporsi al rapporto giuridico altrui nel perseguimento di autonomi interessi illeciti; l’avvocato è una parte tecnica che si affianca alla parte sostanziale della contesa, nella conclusiva unitarietà di una parte complessa.
Ciò non consente di escludere che la condotta rientri in un caso di esercizio arbitrario delle proprie ragioni in quanto l’avvocato sarebbe terzo estraneo e mirerebbe al conseguimento anche di un proprio profitto, così come sostenuto in alcune decisioni di legittimità (cfr. Sez. 5, n. 22003 del 07/03/2013, Accarino, Rv. 25565101).
5. Tanto comporta che il fatto debba essere qualificato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni con minaccia alla persona, ex art. 393 c.p., nella forma tentata, posto che nessun risultato era stato raggiunto dall’agente, trattandosi di reato di evento (Sez. 6, n. 29260 del 17/05/2018, Tino, Rv. 27344401).
6. Dalla fondatezza del ricorso discende che deve essere dichiarata l’intervenuta prescrizione di tale reato, commesso fino al 31 agosto del 2010 (prescrizione in sette anni e sei mesi, maturata l’1 marzo del 2018, non risultando congrui periodi di sospensione).
7. Essendo maturata la prescrizione dopo la sentenza di secondo grado, restano salve le statuizioni civili, ex art. 578 c.p.p., tenuto conto che il ricorrente ha comunque commesso un reato che ha danneggiato la parte civile. Tuttavia, alla luce della minore gravità del fatto, siccome in questa sede diversamente qualificato rispetto alla fattispecie di tentata estorsione, l’entità del risarcimento del danno, equitativamente liquidato in via definitiva dalla Corte di Appello in Euro 10 mila per il solo danno morale riconosciuto, deve subire una riduzione, che presuppone un accertamento di fatto precluso al giudizio di legittimità e che dovrà essere effettuato, trattandosi di reato prescritto, dal giudice civile competente per valore in grado di appello, che provvederà anche in relazione alle spese del presente grado relative alla parte civile.
P.Q.M.
Qualificato il fatto come tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni, annulla la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello in ordine alla quantificazione del risarcimento del danno in favore della parte civile.
Spese al definitivo.