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Avvocato intercettato, senza mandato difensivo nessuna tutela (Cass. 45578/24)

11 dicembre 2024, Cassazione penale

Il divieto di utilizzazione delle conversazioni o comunicazioni dei difensori, ai sensi dell'art. 103, comma 5, cod.proc.pen., non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi rivesta la qualità di difensore ma solo quelle che, ad una verifica postuma, risultino attinenti alla funzione esercitata.

A mente dell'art. 271, comma 2, cod. proc. pen. «non possono essere utilizzate le intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni delle persone indicate nell'articolo 200 comma 1, quando hanno a oggetto fatti conosciuti per ragione del loro ministero, ufficio o professione, salvo che le stesse persone abbiano deposto sugli stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati». Secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità il divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni, stabilito dall'art. 271, comma 2, cod. proc. pen., è posto, tra gli altri, a tutela dell'avvocato (come degli altri soggetti indicati nell'art. 200, comma 1, cod. proc. pen.) e dell'esercizio della sua funzione, ancorché non formalizzato in un mandato professionale, purché detto esercizio sia causa della conoscenza del fatto, ben potendo un avvocato venire a conoscenza, in ragione della sua professione, di fatti relativi ad un soggetto del quale non sia difensore.

Ne consegue che detto divieto sussiste ed è operativo quando le conversazioni o le comunicazioni intercettate siano pertinenti all'attività professionale svolta dai soggetti indicati nell'art. 200, comma 1, cod. proc. pen. e riguardino, di conseguenza, fatti conosciuti in ragione della professione da questi esercitata, a nulla rilevando il fatto che si tratti di intercettazione indiretta: il divieto di utilizzazione stabilito dall'art. 271, comma 2, cod. proc. pen., non sussiste quando le conversazioni o le comunicazioni intercettate non siano pertinenti all'attività professionale svolta dalle persone indicate nell'art. 200, comma 1, cod. proc. pen., e non riguardino di conseguenza fatti conosciuti per ragione della professione dalle stesse esercitata.

 

Corte di Cassazione

sez. V, ud. 8 novembre 2024 (dep. 11 dicembre 2024), n. 45578

Ritenuto in fatto

1. E' impugnata l'ordinanza del 11/07/2024 con la quale il Tribunale del Riesame di Catania ha confermato l'ordinanza emessa dal G.I.P. del Tribunale di Catania, in data 30/05/2024 che ha applicato nei confronti di G.R. la misura della custodia cautelare in carcere in quanto gravemente indiziato dei reati di concorso esterno in associazione per delinquere di tipo mafioso (capo 1) per avere posto la propria attività imprenditoriale a disposizione del clan capeggiato da G.E., ritenuto articolazione di (OMISSIS), concludendo un accordo sinallagmatico produttivo di vantaggi ingiusti.

Il provvedimento impugnato si è soffermato, innanzitutto, sulla figura criminale di G.E. e sulla sua ascesa criminale, ricostruita con il richiamo delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia secondo i quali il G.E. aveva avviato le sue attività imprenditoriali con il sostegno economico degli esponenti mafiosi C.-D., e con l'utilizzo di capitali di origine illecita. Nel corso del tempo il medesimo aveva rafforzato il suo ruolo rivelando una grande capacità di stabilire relazioni paritarie con figure chiave della criminalità locale, divenendo un punto di riferimento per il contesto di (OMISSIS) (in tal senso venendo anche richiamate le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia P.A.) coagulando attorno a sé un nuovo gruppo criminale, e capace di interfacciarsi in modo paritario con altri esponenti mafiosi quali R.S., allora reggente della famiglia di (OMISSIS) catanese (OMISSIS), oltreché con esponenti della famiglia mafiosa di (OMISSIS) e con la (OMISSIS). È stata, altresì, ritenuta indicativa del "carisma mafioso" di G.E. anche la vicenda relativa alla detenzione in carcere di R.G. (nei cui confronti l'ostilità degli altri carcerati veniva meno a seguito dell'intervento degli "amici di Catania", conv. del 27.10.2021) oltre che le conversazioni del V.G. del 14/08/2021 e del 05/11/2021, parimenti ritenute indicative di uno spessore mafioso del G.E..

Inoltre, dopo che, con decreto della Corte di appello di Catania, del 22/10/2022, era divenuta definitiva la confisca della società (OMISSIS) e di altre imprese di imballaggi riferibili a G.E. (già sotto sequestro e in amministrazione giudiziaria fin dal 24/01/2019), nonostante tali misure è stata registrata una persistente operatività del G.E. e dei suoi sodali nel medesimo settore economico, in quanto di rilievo per il controllo del territorio e per la percezione di utili destinati ai medesimi componenti del sodalizio.

In tale contesto si è inserita l'attività svolta dal G.R. il quale, secondo la ricostruzione del giudice cautelare, ha stretto un accordo illecito con il G.E. e con R.S., esponente mafioso di spicco catanese, con reciproci vantaggi.

2. Il ricorso, presentato dal difensore di fiducia, articola due motivi.

2.1. Con il primo motivo la difesa censura il provvedimento impugnato per vizi di violazione di legge, deducendo l'inutilizzabilità della conversazione telefonica intercorsa in data 22/04/2019 (n. 2385) tra il ricorrente e l'avvocato *. Rileva che la sentenza richiamata dal Tribunale del riesame (Sez. 5 n. 42854 del 25/09/2014) avrebbe dovuto condurre a diversa conclusione in quanto relativa a fattispecie in cui il legale risultava indagato per concorso esterno in associazione mafiosa ed egli stesso era intercettato: la conversazione era stata ritenuta utilizzabile tenuto conto della familiarità e confidenzialità del rapporto esistente fra gli interlocutori, mentre nel caso di specie non esisteva alcun rapporto di familiarità e di confidenzialità. Anche l'altra sentenza di questa Corte, richiamata dal Tribunale del riesame, riguardava un caso diverso da quello in esame; invoca l'applicazione del principio stabilito da questa Corte (con sentenza n. 32905 del 2020) per il quale il divieto di intercettazioni è operante anche indipendentemente da uno specifico e formale mandato, quando l'esistenza di un mandato possa desumersi dalla natura stessa delle conversazioni.

2.2. Con secondo motivo denuncia vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione all'attualità e concretezza delle esigenze cautelari, in quanto i rapporti tra il ricorrente e G.E. risalivano al 2019, pur se formalmente contestati fino al 2021.La motivazione del provvedimento impugnato è, altresì, illogica e contraddittoria anche sotto il profilo dell'adeguatezza della misura.

3.Il Sostituto Procuratore generale ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

I difensori hanno concluso per l'accoglimento del ricorso.

Considerato in diritto

1. È manifestamente infondata la censura posta a fondamento del primo motivo di ricorso con il quale il difensore, avv. ID, contesta l'utilizzabilità della conversazione n. 2385 del 22/04/2019 intercorsa tra il ricorrente e se stesso.

A mente dell'art. 271, comma 2, cod. proc. pen. «non possono essere utilizzate le intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni delle persone indicate nell'articolo 200 comma 1, quando hanno a oggetto fatti conosciuti per ragione del loro ministero, ufficio o professione, salvo che le stesse persone abbiano deposto sugli stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati». Secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità il divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni, stabilito dall'art. 271, comma 2, cod. proc. pen., è posto, tra gli altri, a tutela dell'avvocato (come degli altri soggetti indicati nell'art. 200, comma 1, cod. proc. pen.) e dell'esercizio della sua funzione, ancorché non formalizzato in un mandato professionale, purché detto esercizio sia causa della conoscenza del fatto, ben potendo un avvocato venire a conoscenza, in ragione della sua professione, di fatti relativi ad un soggetto del quale non sia difensore. Ne consegue che detto divieto sussiste ed è operativo quando le conversazioni o le comunicazioni intercettate siano pertinenti all'attività professionale svolta dai soggetti indicati nell'art. 200, comma 1, cod. proc. pen. e riguardino, di conseguenza, fatti conosciuti in ragione della professione da questi esercitata, a nulla rilevando il fatto che si tratti di intercettazione indiretta (Sez. 5 - , n. 31548 del 24/06/2021,Rv. 281685 - 01; Sez. 5, n. 17979 del 05/03/2013, Iamonte, Rv. 255516 che ha censurato la decisione del giudice di merito il quale era pervenuto alla conclusione dell'utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni delle conversazioni dell'imputato con un avvocato, distinguendo tra fatti conosciuti da quest'ultimo in quanto difensore in un procedimento civile e fatti di cui avrebbe conosciuto come amico, esulanti dal divieto in questione, non considerando che la ragione della conoscenza di detti fatti era pur sempre data dal rivestire la qualità di avvocato e che proprio in quanto tale egli forniva consigli all'imputato). Per converso il divieto di utilizzazione stabilito dall'art. 271, comma 2, cod. proc. pen., non sussiste quando le conversazioni o le comunicazioni intercettate non siano pertinenti all'attività professionale svolta dalle persone indicate nell'art. 200, comma 1, cod. proc. pen., e non riguardino di conseguenza fatti conosciuti per ragione della professione dalle stesse esercitata (Sez. 6, n. 18638 del 17/03/2015, Bellocco, Rv. 263548).

1.2. Il provvedimento impugnato si colloca nel solco del superiore insegnamento avendo considerato, nel ritenere infondata analoga eccezione difensiva, che: all'epoca della conversazione, non risultava rilasciato in favore dell'avv. D alcun mandato difensivo, che sarebbe stato conferito cinque anni dopo; al momento dell'attività captativa G.R. era solo persona offesa, in relazione al tentato omicidio perpetrato in suo danno da G.E., e, comunque, dal tenore della conversazione doveva desumersi che il medesimo si rivolgesse all'avv. D non come al proprio difensore.

Il divieto di utilizzazione delle conversazioni o comunicazioni dei difensori, ai sensi dell'art. 103, comma 5, cod.proc.pen., non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi rivesta la qualità di difensore ma solo quelle che, ad una verifica postuma, risultino attinenti alla funzione esercitata.

Il precedente richiamato dalla difesa (Sez. 2, n. 32905 del 30/10/2020, Rv. 280233 - 01 secondo cui «Per l'operatività del divieto di intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni dei difensori non è necessario che lo svolgimento dell'attività difensiva risulti da uno specifico e formale mandato, conferito con le modalità di cui all'art. 96 cod. proc. pen, potendo desumersi l'esistenza di un mandato fiduciario anche dalla natura stessa delle conversazioni») non è pertinente al caso in esame, presupponendo comunque che la conversazione, di cui si chiede l'inutilizzabilità, sia pertinente rispetto ad un (possibile) mandato fiduciario, eventualmente anche non conferito, nel senso che la causa stessa della dichiarazione oggetto della conversazione intercettata sia riconducibile all'attività professionale svolta da uno degli interlocutori. Nel caso in esame, tuttavia, il ricorrente non chiedeva alcun consiglio e, d'altra parte, il suo interlocutore non esprimeva alcun parere limitandosi a recepire in modo neutro il contenuto dell'informazione, senza manifestare alcun interesse alla rivelazione. Peraltro anche il tenore letterale della conversazione in questione, per come riportata nel provvedimento impugnato, non fornisce alcun appiglio per ritenere il contenuto dell'esternazione effettuata dal Giudice riconducibile all'attività professionale espletata dal suo interlocutore.

2. È inammissibile il secondo motivo. Senza contestare la consistenza degli elementi indiziari a carico in relazione al reato di cui agli artt. 110, 416-bis cod. pen., la difesa deduce l'insussistenza di concrete ed attuali esigenze cautelari, rilevando la sussistenza di elementi di una condotta perpetrata fino al 2019 e non già "fino al 2021".

2.1. L'art. 275 cod.proc.pen., comma 3, come è noto, prevede una presunzione relativa di pericolosità sociale, quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari. Tale presunzione opera anche nel caso di contestazione avente ad oggetto il concorso esterno nell'associazione mafiosa e può essere superata soltanto attraverso una valutazione prognostica, ancorata a dati fattuali emergenti dalle risultanze investigative acquisite, della ripetibilità della situazione che ha dato luogo al contributo dell'extraneus alla vita della consorteria, tenendo conto, in questa prospettiva, della persistenza o meno di interessi comuni con il sodalizio mafioso, senza necessità di provare la rescissione del vincolo, peraltro in tesi già insussistente (Sez. 6, n. 18015 del 13/04/2018, Maesano, Rv. 272900; Sez. 2, n. 32004 del 17/06/2015, Putorti, Rv. 264209; contra Sez. 1, n. 10946 del 16/12/2020, dep. 2021, Rv. 280757 - 01). Sotto il profilo dell'attualità delle esigenze cautelari, inoltre, il requisito previsto dall'art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. non è equiparabile all'Imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un'analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale; analisi che deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma che non contempla anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza ( Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, Rv. 282991-01; Sez. 5, Sentenza n. 11250 del 19/11/2018 Cc. (dep. 13/03/2019) Rv. 277242; in senso conforme: Sez. 1, Sentenza n. 14840 del 22/01/2020, Rv. 279122; Sez. 5, Sentenza n. 33004 del 03/05/2017, Rv. 271216; Sez. 2, n. 5054 del 24/11/2020, dep. 2021, Rv. 280566) Il giudizio prognostico deve fondarsi unicamente sulla rigorosa e complessiva valutazione dei comportamenti e delle modalità di realizzazione dei fatti attribuiti al soggetto e tenendo, altresì, conto della lontananza nel tempo dei fatti-reato per cui è emessa misura cautelare.

2.2. La doglianza non si confronta con le superiori indicazioni ermeneutiche e con la motivazione del provvedimento impugnato che ha evidenziato lo spessore degli elementi indiziari acquisiti nei confronti del ricorrente, in ordine ad un accordo sinallagmatico stretto con G.E. e con R.S. (reggente della famiglia (OMISSIS) di Catania) da cui sono derivati vantaggi reciproci e protratti nel tempo e da cui sono stati ricavati elementi di valutazione per il giudizio di concretezza delle esigenze cautelari, alla stregua della previsione contenuta nell'art. 274, comma 1 lett. c).

2.3. Il provvedimento impugnato, in particolare, ha dato dettagliato risalto ai plurimi elementi acquisiti relativamente alla operatività di un gruppo criminale, operante in (OMISSIS), facente capo a G.E. e collegato a (OMISSIS) catanese e all'attività svolta in tale contesto dal ricorrente il quale si era rivolto a G.E. quale intermediario per l'acquisto illecito di gasolio, sottratto all'accertamento e al pagamento dell'accisa, pervenendo alla stipula di un accordo con G.E. ed altri esponenti della famiglia mafiosa (OMISSIS) di Catania (e del R.S. in particolare), con previsione che una quota dei guadagni avrebbe dovuto essere ripartita con questi ultimi; dopo alcuni ritardi nei pagamenti G.E. aveva sparato un colpo di arma da fuoco nei confronti del Giudice (conv. del 18/04/2019 per non "perdere l'amicizia''), venendo arrestato. Le conversazioni captate hanno, altresì, fatto emergere che, anche dopo l'arresto di G.E., il ricorrente ha proseguito il rapporto direttamente con R.S. al quale pagava la somma concordata (conv. dell'08/08/2019), continuando, altresì, a versare al primo una somma mensile (conv. del 29/11/2019), a comprova della matrice mafiosa dei rapporti commerciali in questione.

La prosecuzione dei rapporti tra il ricorrente ed esponenti mafiosi della famiglia di Catania, anche dopo che G.E. gli aveva sparato contro con la consapevolezza che i soldi pagati al R.S. fossero "della famiglia", è stato considerato come elemento negativo della personalità dell'indagato (in uno con altri elementi, compresa la precedente condanna per il reato di cui all'art. 416 bis cod.pen).

Nel caso in esame, peraltro, la difesa deduce genericamente che la condotta del ricorrente si sia protratta "fino al 2021", senza contestare il tenore della conversazione del 20/12/2021 (n. A2.5354), utilizzata dal Tribunale per desumere la protrazione dell'illecita attività almeno fino a tale data.

3. Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.