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Autocalunnia non è scontata in caso di confessoine (Cass. 20591/08)

22 maggio 2008, Cassazione penale

La confessione può essere posta a base del giudizio di colpevolezza nelle ipotesi nelle quali il giudice ne abbia favorevolmente apprezzato la veridicità, la genuinità e l'attendibilità, fornendo ragione dei motivi per i quali debba respingersi ogni sospetto di un intendimento autocalunnatorio o di intervenuta costrizione sul soggetto, è altresì vero quanto segue:

In tema di valutazione della prova, la confessione non subisce le limitazioni di cui ai commi terzo e quarto dell'art. 192 c.p.p. e non ha quindi bisogno di riscontri esterni.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Sez. IV, (ud. 05/03/2008) 22-05-2008, n. 20591

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente

Dott. MARINI Lionello - Consigliere

Dott. CAMPANATO Graziana - Consigliere

Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere

Dott. D'ISA Claudio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) D.L., N. IL (OMISSIS);

2) M.M., N. IL (OMISSIS);

avverso SENTENZA del 11/04/2005 CORTE APPELLO di NAPOLI;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione svolta dal Consigliere Dott. MARINI LIONELLO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GERACI Vincenzo, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.

Svolgimento del processo

Con sentenza emessa il 24 maggio 2004 il tribunale di Santa Maria Capua Vetere dichiarava D.L. e M.M. responsabili del reato continuato di detenzione a fine di spaccio e di messa in vendita - nei confronti di più persone, nel novero delle quali era incluso il soggetto identificato in P.G. - di sostanza stupefacente del tipo hashish, commesso in data (OMISSIS).

Ritenuta l'ipotesi attenuata di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e riconosciute ad entrambi gli imputati le circostanze attenuanti generiche (giudicate equivalenti alla recidiva contestata al D.), il tribunale condannava D.L. alla pena di mesi 6 di reclusione ed Euro 1.032,00 di multa e M.M. alla pena, sospesa alle condizioni di legge, di mesi 4 di reclusione ed Euro 700,00 di multa.

Proposto appello da entrambi gli imputati, la Corte d'appello di Napoli, con sentenza pronunciata il giorno 11 aprile 2005 confermava la sentenza impugnata salvo dichiarare prevalenti le attenuanti generiche riconosciute al D. senza peraltro modificare la pena nei suoi confronti perchè il primo giudice, pur avendole dichiarate equivalenti alla recidiva, di fatto aveva determinato la pena finale come se le avesse ritenute prevalenti. I secondi giudici ritenevano fondata l'eccezione sollevata dal M. di inutilizzabilità nei suoi confronti degli atti istruttori compiuti in altro procedimento che aveva visto imputato il D., ma affermavano che ciò non comportava l'assoluzione del primo in quanto costui aveva ammesso, nel corso del suo esame dibattimentale, i fatti contestatigli ed in particolare l'avvenuta cessione di hashish al P., nonchè di essere stato colto nella flagranza del reato.

Quanto alla eccezione sollevata dal coimputato D., di inutilizzabilità, anche nei suoi confronti, delle dichiarazioni rese dal predetto P., la Corte territoriale affermava che la sopravvenuta ed imprevedibile impossibilità di rintracciare quest'ultimo (più volte cercato, senza esito, al proprio domicilio) aveva legittimato la lettura delle suddette dichiarazioni. La responsabilità concorsuale degli imputati per il reato loro ascritto era provata dal deposto, pienamente attendibile, del teste B., all'epoca Comandante il nucleo operativo radiomobile della Compagnia Carabinieri il quale, avvertito dall'appuntato Pi. della presenza di due giovani che, avvicinati di continuo da altri, cedevano loro qualcosa in cambio di denaro, si era recato sul posto indicatogli ed ivi aveva visto il M. consegnare un involucro (poi risultato contenere hashish) ad un giovane (il P.) in cambio di denaro, ed il D. "che era girato di spalle e lo toccava guardando se poteva proseguire l'attività"; inoltre il predetto P. aveva ammesso, davanti alla polizia giudiziaria, di avere ricevuto in quel contesto un pezzo di hashish, e subito dopo di essere stato avvertito dai due giovani della presenza dei Carabinieri.

Non ricorreva l'attenuante ex art. 114 c.p.p. invocata dal D. perchè costui aveva preso parte all'attività di spaccio ed aveva sorvegliato la zona cercando di avvisare il correo dell'intervento dei Carabinieri, sicchè il contributo da lui fornito non poteva ritenersi di minima rilevanza.

Hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori, i due imputati.

Il M. ha dedotto violazione di legge e mancanza di motivazione sul rilievo che la sola resa confessione non può essere posta, da sola, a sostegno di affermazione di penale responsabilità, in difetto di "verifica sulla insussistenza di un proposito autoaccusatorio".

Il D. ha dedotto il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. e), in ordine alla motivazione resa sul suo concorso nel reato de quo, per non avere i secondi giudici valutato le dichiarazioni del coimputato M., che ab initio l'aveva proclamato estraneo alla condotta incriminata e per non rispondere la impugnata sentenza alla minima esigenza motivazionale a fronte delle censure di cui all'atto di appello.

Nella odierna udienza dibattimentale il Procuratore Generale ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili entrambi i ricorsi.

Motivi della decisione

I motivi posti a sostegno dei ricorsi dei due imputati sono manifestamente infondati.

Invero, va esclusa in termini di immediata evidenza la sussistenza dei vizi di violazione di legge e di mancanza di motivazione che il ricorrente M.M. pretende di ricollegare all'asserita circostanza che la sua responsabilità sarebbe stata affermata sulla sola base della confessione (resa in dibattimento), senza che sia stata svolta una verifica sulla insussistenza di un eventuale intento autocalunnatorio del confidente ed in assenza di riscontri al contenuto della stessa.

Se è vero, infatti, che per consolidata giurisprudenza di legittimità (vedasi, ex plurimis, Cass. sez. 1, 17-2-1992, n. 3209, Matha), la confessione può essere posta a base del giudizio di colpevolezza nelle ipotesi nelle quali il giudice ne abbia favorevolmente apprezzato la veridicità, la genuinità e l'attendibilità, fornendo ragione dei motivi per i quali debba respingersi ogni sospetto di un intendimento autocalunnatorio o di intervenuta costrizione sul soggetto, è altresì vero quanto segue:

A) nel caso di specie non sussisteva alcuna ragione per nutrire sospetti di tal genere, la cui fondatezza fosse pertanto necessario escludere motivatamente per affermare la valenza probatoria delle ammissioni rese dall'imputato; B) la responsabilità del M. per il reato ascrittogli non è stata affermata esclusivamente, e neppure principalmente (vedasi la motivazione della sentenza del primo giudice, laddove si legge, ad evidenziare la rilevanza residuale delle dichiarazioni autoaccusatorie rese dal M.:

"Del resto, il M. in dibattimento ha sostanzialmente ammesso lo spaccio"), sulla suddetta confessione, avendo invece ambo i giudici di merito fondato l'affermazione di responsabilità del predetto imputato sulla prova costituita dalle dichiarazioni rese dal teste oculare B., Comandante del nucleo operativo radiomobile della Compagnia Carabinieri di S.M. Capua Vetere, il quale assistette a breve distanza all'attività di spaccio posta in essere dal M. (in concorso con il D.) ed in particolare alla cessione, dietro consegna di una banconota, fatta a Pe.Gi.; immediatamente dopo gli operanti, bloccati sia l'acquirente sia i due odierni imputati, trovarono il primo in possesso di due pezzetti di hashish del peso complessivo di grammo 0,52, ed, ancora in mano al M., due banconote da L. 10.000 e due da L. 5.000 - altro elemento probante), e trovarono altresì altro denaro nel taschino del giubbotto indossato dal predetto.

Tali valorizzate risultanze fattuali valgono nell'economia della sentenza gravata di ricorso, oltre che a configurare una valida prova di responsabilità a prescindere da quella costituita dalla confessione resa, anche a dare implicitamente conto, in ragione appunto della loro rappresentatività, della insussistenza di elementi di sorta atti ad ipotizzare che la confessione resa sia stata dettata da un intento autocalunniatorio (la cui sussistenza, peraltro, il ricorrente neppure afferma).

Pertanto - precisato comunque che (vedasi, per tutte, Cass. sez. 2, 3- 5-2002, n. 21998, Tringali ed altri), in tema di valutazione della prova, la confessione non subisce le limitazioni di cui ai commi terzo e quarto dell'art. 192 c.p.p. e non ha quindi bisogno di riscontri esterni - appare manifesta, alla luce della complessiva motivazione resa dai giudici di merito la infondatezza della deduzione, da parte del ricorrente M.M., dei vizi di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e).

Del pari manifestamente infondato è il motivo con il quale il coimputato D.L. ha dedotto il vizio di mancanza di motivazione, in riferimento alla trascurata circostanza che il M. lo aveva scagionato da ogni responsabilità a titolo concorsuale nel reato de quo. Invero i secondi giudici, i quali hanno valorizzato, oltre alle dichiarazioni dell'acquirente P. (motivatamente ritenute utilizzabili nei confronti del solo D.), anche le dichiarazioni testimoniali del B. sul comportamento tenuto dal D. medesimo, motivatamente ritenuto dimostrativo del concorso di quest'ultimo nell'attività di spaccio da parte del M., dichiarazioni il cui tenore smentiva in modo chiaro e netto l'assunto del coimputato che il D. sarebbe stato, nell'occasione, distante da lui e prossimo ad altri soggetti, sì da non avere preso parte all'attività criminosa in corso, evidenziando anche - il suddetto deposto testimoniale - il ruolo "di sorvegliante" dal D. rivestito nell'occorso (oltre che, come dichiarato dal P. e dal B., quello diretto, svolto alternandosi al M. nella consegna di stupefacente a vari soggetti presenti in loco) e la rilevanza dell'apporto concorsuale concretamente dato dal predetto D., di natura ed entità tali da escludere la ravvisabilità della invocata circostanza attenuante prevista dall'art. 114 c.p.p..

Del tutto apoditticamente, quindi, oltre che infondatamente in termini di totale evidenza, il D. ha lamentato che la sentenza resa dai secondi giudici non risponde alla minima esigenza motivazionale a fronte delle censure di cui all'atto di appello.

Per le sin qui esposte ragioni i ricorsi vanno dichiarati inammissibili, ed a tale declaratoria consegue la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità nonchè - ricorrendone con ogni evidenza il presupposto di applicabilità di cui all'art. 616 c.p.p. così come da leggersi dopo la pronuncia della sentenza della Corte costituzionale 13 giugno 2000, dichiarativa della illegittimità della suddetta norma nella parte in cui non prevede che la Corte di cassazione, in caso di inammissibilità del ricorso, possa non pronunciare la condanna in favore della cassa delle ammende a carico della parte privata che abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che va congruamente determinata in Euro 1.000,00 per ciascuno dei ricorrenti medesimi.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2008.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2008