Gli obblighi positivi di proteggere le presunte vittime di violenza di genere impongono anche il dovere di proteggere l'immagine, la dignità e la vita privata di queste ultime, anche attraverso la non divulgazione di informazioni e dati personali senza alcun rapporto con i fatti. Questo obbligo è, peraltro, inerente alla funzione giudiziaria e deriva dal diritto nazionale nonché da vari testi internazionali.
In tal senso, la facoltà per i giudici di esprimersi liberamente nelle decisioni, che è una manifestazione del potere discrezionale dei magistrati e del principio dell'indipendenza della giustizia, è limitata dall'obbligo di proteggere l'immagine e la vita privata dei singoli da ogni violazione ingiustificata.
Il linguaggio e gli argomenti utilizzati dalla giustizia italiana nel caso in esame ha veicolato i pregiudizi sul ruolo della donna che esistono nella società italiana e che possono ostacolare una protezione effettiva dei diritti delle vittime di violenza di genere nonostante un quadro legislativo soddisfacente.
Le azioni giudiziarie e le sanzioni penali svolgono un ruolo cruciale nella risposta istituzionale alla violenza di genere e nella lotta contro la disuguaglianza di genere. È pertanto essenziale che le autorità giudiziarie evitino di riprodurre stereotipi sessisti nelle decisioni giudiziarie, di minimizzare la violenza di genere e di esporre le donne a una vittimizzazione secondaria utilizzando affermazioni colpevolizzanti e moralizzatrici atte a scoraggiare la fiducia delle vittime nella giustizia.
Di conseguenza, pur riconoscendo che le autorità nazionali hanno vigilato nel caso di specie affinché l'inchiesta e il dibattimento fossero condotti nel rispetto degli obblighi positivi derivanti dall'articolo 8 della Convenzione, la Corte nella sentenza in commento ritiene che i diritti e gli interessi della ricorrente derivanti dall'articolo 8 non siano stati adeguatamente protetti alla luce del contenuto della sentenza della corte d'appello di Firenze. Ne consegue che le autorità nazionali non hanno protetto la ricorrente da una vittimizzazione secondaria durante tutto il procedimento, di cui la redazione della sentenza costituisce una parte integrante della massima importanza tenuto conto, in particolare, del suo carattere pubblico.
L’articolo 8 CEDU, così come l’articolo 3, impone agli Stati l’obbligo positivo di adottare delle disposizioni penali che incriminino e puniscano in maniera effettiva qualsiasi atto sessuale non consensuale, anche quando la vittima non ha opposto resistenza fisica, e di mettere concretamente in atto tali disposizioni mediante la conduzione di indagini e di procedimenti effettivi: l’obbligo positivo che incombe allo Stato in virtù dell’articolo 8 di proteggere l’integrità fisica dell’individuo richiede, in casi così gravi come la violenza sessuale, delle disposizioni penali efficaci e può estendersi, pertanto, alle questioni inerenti all’effettività dell’indagine penale condotta ai fini dell’attuazione di tali disposizioni.
Per quanto riguarda l’obbligo di condurre un’indagine effettiva, si tratta di un obbligo di mezzi e non di risultato. Anche se tale esigenza non impone che ogni procedimento penale debba chiudersi con una condanna, o addirittura con la pronuncia di una pena determinata, gli organi giudiziari non devono in ogni caso dimostrarsi disposti a lasciare impunite delle violazioni dell’integrità fisica e morale delle persone, per preservare la fiducia del cittadino nel rispetto del principio di legalità e per evitare qualsiasi parvenza di complicità o di tolleranza di atti illegali. Un’esigenza di celerità e di diligenza ragionevole è ugualmente implicita in questo contesto. Indipendentemente dall’esito del procedimento, i meccanismi di protezione previsti nel diritto interno devono funzionare in pratica entro termini ragionevoli che permettano di concludere l’esame sul merito delle cause concrete sottoposte alle autorità.
I diritti delle vittime di reati che sono parti in un procedimento penale generalmente rientrano nell’articolo 8 della Convenzione. A tale riguardo, la Corte rammenta che, anche se l’articolo 8 ha essenzialmente lo scopo di premunire l’individuo contro le ingerenze arbitrarie delle autorità pubbliche, esso non si limita a imporre allo Stato di astenersi da tali ingerenze: a questo impegno negativo possono aggiungersi degli obblighi positivi inerenti a un rispetto effettivo della vita privata o familiare. Tali obblighi possono implicare l’adozione di misure che mirano al rispetto della vita privata finanche nelle relazioni tra gli individui: di conseguenza, gli Stati contraenti devono organizzare la loro procedura penale in modo tale da non mettere indebitamente in pericolo la vita, la libertà o la sicurezza dei testimoni, in particolare quelle delle vittime chiamate a deporre. Gli interessi della difesa devono dunque essere bilanciati con quelli dei testimoni o delle vittime chiamate a testimoniare. Inoltre, i procedimenti penali relativi a reati di carattere sessuale sono spesso vissuti come una prova da parte della vittima, soprattutto quando quest’ultima viene messa a confronto con l’imputato contro la sua volontà, e nelle cause in cui è coinvolto un minore. Di conseguenza, nell'ambito di procedimenti penali di questo tipo, possono essere adottate delle misure di protezione particolari a tutela delle vittime. Le disposizioni in questione implicano una presa in carico adeguata della vittima durante il procedimento penale, allo scopo di proteggerla da una vittimizzazione secondaria.
Corte Europea dei Diritti dell'Uomo
sentenza del 27 maggio 2021 - Ricorso n. 5671/16 - Causa J.L contro l'Italia
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO
PRIMA SEZIONE
CAUSA J.L. c. ITALIA
(Ricorso n. 5671/16)
SENTENZA
Art 8 - Obblighi positivi - «Vittimizzazione secondaria» di una vittima di violenza sessuale a causa delle affermazioni colpevolizzanti, moralizzatrici e veicolanti di stereotipi sessisti nelle motivazioni della sentenza - Autorità che hanno vigilato sul rispetto dell'integrità personale della ricorrente durante l'indagine e le udienze del processo
STRASBURGO
27 maggio 2021
Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.
Nella causa J.L. c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo (prima sezione), riunita in una Camera composta da:
Ksenija Turković, presidente,
Krzysztof Wojtyczek,
Alena Poláčková,
Péter Paczolay,
Gilberto Felici,
Erik Wennerström,
Raffaele Sabato, giudici,
e da Liv Tigerstedt, cancelliere aggiunto di sezione,
Visto il ricorso sopra indicato (n. 5671/16) proposto contro la Repubblica italiana da una cittadina di questo Stato, la sig.ra J.L. («la ricorrente»), che il 19 gennaio 2016 ha adito la Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),
Vista la decisione del presidente della sezione di non rivelare l'identità della ricorrente,
Viste le osservazioni delle parti,
Rilevando che il 29 gennaio 2018 le doglianze della ricorrente sono state comunicate al Governo, mentre la restante parte del ricorso, vale a dire le doglianze sollevate dalla madre dell'interessata, è stata dichiarata irricevibile conformemente all'articolo 54 § 3 del regolamento della Corte,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio l'8 aprile 2021,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:
INTRODUZIONE
1. La ricorrente lamenta che un procedimento penale condotto a seguito di una denuncia per violenza sessuale di gruppo da lei presentata non ha rispettato l'obbligo positivo che, a suo parere, incombeva alle autorità nazionali di proteggerla in maniera effettiva dalle violenze sessuali che afferma di avere subìto e di garantire la protezione del suo diritto alla vita privata e della sua integrità personale. La ricorrente ritiene che ciò costituisca una violazione degli articoli 8 e 14 della Convenzione.
IN FATTO
2. La ricorrente è nata nel 1986 e risiede a Scandicci. È rappresentata dagli avvocati S. Menichetti e C. Carrano, del foro di Roma.
3. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo ex agente, E. Spatafora, e dal suo ex co-agente, M. Aversano.
I. LE DENUNCE DI VIOLENZA SESSUALE FORMULATE DALLA RICORRENTE
4. La ricorrente, che all'epoca era studentessa di storia dell'arte e teatro, spiega che la sera del 25 luglio 2008, intorno a mezzanotte, raggiunse L.L. e gli amici di quest'ultimo alla «Fortezza da Basso», spazio pubblico della città di Firenze situato in un'antica fortezza militare dove si svolgevano degli spettacoli.
5. Nell’ambito delle indagini preliminari (paragrafi 12-13 e 15 infra), la ricorrente dichiarò, nel corso delle sue audizioni dinanzi alla polizia e al procuratore, di aver incontrato L.L. in un corso di teatro due anni prima e di aver recitato, nel febbraio 2008, in un cortometraggio scritto e diretto da quest’ultimo, in cui interpretava il ruolo di una prostituta che subiva violenze. Affermò anche di aver avuto un rapporto sessuale occasionale con L.L. il 5 giugno 2008.
6. Spiegò che L.L. l'aveva invitata a raggiungerlo il 25 luglio nella fortezza e che le aveva promesso di consegnarle un «piccolo regalo». La ricorrente aveva deciso di accettare l'invito nella speranza di ricevere delle immagini del cortometraggio e di ottenere il saldo del suo compenso. Il suo compagno era malato e non l'aveva accompagnata. Indicò che durante la serata aveva consumato diversi bicchierini di liquore (shot) offerti da L.L. e dai suoi amici, al punto da perdere rapidamente il controllo delle sue azioni e di avere difficoltà a camminare. Disse agli investigatori che L.L. conosceva la sua bassa resistenza all'alcol.
7. Intorno all'1:30 del mattino, avrebbe seguito nei bagni della fortezza D.S. - uno degli amici di L.L. che, a suo dire, aveva già incontrato e con cui aveva avuto un rapporto sessuale occasionale qualche settimana prima – il quale avrebbe richiesto un rapporto sessuale orale. La ricorrente dichiarò che era stata spiacevolmente sorpresa dal comportamento di D.S., ma che sotto l'effetto dell'alcool non aveva potuto opporsi a lui. Spiegò che, successivamente, lei e altre persone avevano cavalcato un toro meccanico che era installato vicino al bar, e che con il gruppo di amici aveva ballato in una pista da ballo. Disse che verso la fine della serata aveva bevuto dei cocktail offerti di volta in volta da L.L. e dai suoi amici e dal barman.
8. Verso le tre del mattino, quando la serata stava finendo e la fortezza stava per chiudere, sei amici di L.L., compreso D.S., l'avrebbero accompagnata verso l'uscita e avrebbero cominciato ad abusare di lei accarezzandole i seni e palpandole i genitali. L.L., che li aspettava all'uscita dopo essersi allontanato qualche minuto prima per riaccompagnare la sua ragazza, si sarebbe unito a loro. La ricorrente avrebbe opposto resistenza e avrebbe gridato: «Che fate?» Poi avrebbe cercato di liberarsi e di raggiungere la sua bicicletta, ma sarebbe stata spinta nella direzione opposta e sospinta verso l'auto di L.L., dove sarebbe stata costretta ad avere diversi rapporti sessuali con i membri del gruppo.
9. La ricorrente dichiarò di ricordare chiaramente la presenza dei sette uomini nell'automobile, compreso D.S., che sarebbe stato seduto sul sedile anteriore. Spiegò che tutti gli uomini avevano abusato di lei a turno, sia con penetrazioni vaginali che con rapporti orali, che le avevano morso i seni e gli organi genitali, immobilizzandola a livello delle braccia e allargandole le gambe con la forza, al punto che poi avrebbe subito delle contusioni e avuto dei dolori, in particolare a livello della mascella. La ricorrente aggiunse che gli uomini avevano eiaculato ed evocò la presenza di un forte odore di sperma nell'auto. Spiegò, inoltre, di essere stata in stato di shock e di confusione durante le violenze, incapace di reagire. La ricorrente dichiarò poi di essere riuscita a riprendere le forze e a divincolarsi verso le 4 del mattino. Precisò che i suoi aggressori si erano mostrati «quasi stupiti» della sua reazione improvvisa. Uscendo dall'auto, si sarebbe accorta che quest'ultima era stata spostata e che era parcheggiata in un luogo che sul momento non avrebbe riconosciuto, ma che in seguito avrebbe identificato come via Cosseria. Ancora sotto shock, avrebbe camminato senza meta, poi avrebbe recuperato la sua bicicletta (paragrafo 21 infra) e sarebbe tornata a casa, dove avrebbe riferito i fatti al suo compagno.
10. Nel pomeriggio del 26 luglio 2008, la ricorrente, accompagnata dal suo compagno e da un'amica, si recò presso il centro antiviolenza dell'ospedale universitario di Careggi e spiegò che era stata vittima di uno stupro collettivo. I ginecologi del centro rilasciarono un certificato medico che attestava la presenza di ecchimosi a livello dei due avambracci, di un graffio di cinque centimetri sulla coscia destra, di un'irritazione dell'areola del seno sinistro e di arrossamenti degli organi genitali.
Il medico del Centro antiviolenza scrisse un rapporto sui fatti descritti dalla ricorrente. Dopo averlo firmato, quest'ultima chiese di modificare un passaggio del suddetto rapporto precisando che, dopo aver subito le violenze denunciate, aveva raggiunto la sua bicicletta a piedi e non vi era stata accompagnata in auto dai suoi aggressori come era stato scritto nella prima versione del rapporto (paragrafo 21 infra). Una copia del suddetto rapporto fu inviata alla polizia.
11. Nei mesi successivi ai fatti, la ricorrente soffrì di disturbi psicologici ed ebbe un attacco di panico. Fu seguita dalla psicologa del centro Artemisia – che è un centro di assistenza alle vittime di violenze gestito da un'associazione privata e finanziato dagli enti locali – al quale si era rivolta per ottenere un sostegno, e fu ricoverata per stress post-traumatico all'ospedale di Careggi dal 21 gennaio all'11 febbraio 2009.
II. IL PROCEDIMENTO PENALE
12. Il 30 luglio 2008 la ricorrente fu convocata e interrogata dalla polizia di Firenze, la quale aveva ricevuto il rapporto redatto dal centro antiviolenza di Careggi. Lo stesso giorno, la ricorrente sporse denuncia contro i suoi presunti aggressori.
13. Il 31 luglio fu convocata e interrogata dalla polizia di Ravenna, città in cui era in visita con alcuni amici. Raccontò di nuovo la sua versione dei fatti e procedette ad una identificazione dei suoi presunti aggressori a partire da foto che erano state scattate durante la serata.
14. Lo stesso giorno, a Firenze, i sette sospettati, compreso D.S., furono sottoposti a custodia cautelare. La polizia giudiziaria sequestrò i loro cellulari, i cui tabulati furono esaminati, e l'auto in cui si riteneva avesse avuto luogo l’aggressione. La procura ordinò delle perizie volte a trovare tracce di liquidi biologici che potevano essere colati nell’auto e sugli abiti della ricorrente, e per determinare quali terminali potevano essere stati attivati dai telefoni dei sospettati e della ricorrente la notte dei fatti.
15. La ricorrente, sentita in procura a Firenze nel corso di un’audizione che ebbe luogo il 16 settembre 2008 tra le 18.30 e le 22.10, descrisse nuovamente come si erano svolti i fatti della notte tra il 25 e il 26 luglio e fornì delle precisazioni sulle relazioni che aveva con L.L. e con gli altri sospettati prima dei fatti. Terminata l'audizione, il procuratore incaricò la polizia giudiziaria di identificare e interrogare come testimoni le persone che erano state citate dalla ricorrente e chiese alla polizia scientifica di acquisire le planimetrie dei luoghi che quest’ultima aveva indicato nel suo racconto per individuare il posto esatto in cui si erano svolti i fatti.
16. In una data non precisata, gli inquirenti effettuarono un sopralluogo alla presenza della ricorrente.
17. Il 29 aprile 2009 il procuratore di Firenze iscrisse i nomi delle sette persone messe in causa dalla ricorrente nel registro degli indagati per aver commesso il reato di violenza sessuale di gruppo con circostanze aggravanti.
18. L'11 maggio 2010 le persone sospettate furono rinviate a giudizio dinanzi al tribunale di Firenze. La ricorrente e il comune di Firenze si costituirono parte civile nel procedimento.
19. Nell'ambito del processo di primo grado dinanzi al tribunale di Firenze, si tennero diciotto udienze pubbliche tra il 17 settembre 2010 e il 14 gennaio 2013. Dopo aver consultato le parti, il presidente del tribunale, facendo notare la sensibilità e la delicatezza della questione e la necessità di preservare quanto più possibile la ricorrente, rifiutò di autorizzare i giornalisti presenti in sala a filmare il dibattimento.
20. Le udienze dell'8 febbraio e del 13 maggio 2011 furono interamente dedicate all'audizione della ricorrente. Il resoconto fu trascritto in un verbale di quattrocentotrenta pagine. La ricorrente fu interrogata dal procuratore e dagli otto avvocati della difesa. Risulta dai verbali delle udienze che il presidente del tribunale intervenne ripetutamente allo scopo di impedire, per quanto possibile, ai diversi avvocati degli imputati, di dilungarsi su delle questioni che erano già state affrontate dalla vittima, che non avevano alcun rapporto con il caso o che erano di natura strettamente personale. Il presidente del tribunale ordinò, inoltre, delle brevi sospensioni d'udienza per permettere alla ricorrente di riprendersi dalle sue emozioni.
21. Nel corso del dibattimento furono anche sentite le persone che avevano raccolto la testimonianza della ricorrente dopo i fatti, vale a dire il suo compagno dell'epoca e la sua amica, diversi amici della ricorrente e dei presunti autori dei fatti, tra cui la ragazza di L.L., diverse persone presenti alla festa quella sera, i ginecologi del centro antiviolenza e la psicologa del centro Artemisia, nonché gli agenti della polizia giudiziaria e scientifica che avevano partecipato alle indagini. In particolare, il medico del centro antiviolenza, che aveva accolto la ricorrente il giorno successivo ai fatti, dichiarò che quest'ultima aveva chiesto di modificare un passaggio del rapporto dopo averlo letto. La ricorrente aveva voluto precisare che, dopo aver subito le violenze in questione, aveva raggiunto la sua bicicletta a piedi e non era stata accompagnata in automobile dai membri del gruppo, come era stato detto nel rapporto.
22. Inoltre, tre persone, L.B., S.S. e S.L., che erano presenti al momento in cui la ricorrente aveva lasciato la fortezza con gli imputati, furono sentite dal tribunale come testimoni.
In particolare, L.B. e S.S. – due dipendenti addetti alla sicurezza e al controllo dell'accesso alla fortezza – dichiararono che, uscendo dalla fortezza, la ricorrente era visibilmente sotto l'effetto dell'alcool, che non era in grado di camminare da sola e che era sostenuta da due uomini che palpeggiavano le sue parti intime e che altri uomini li circondavano. L.B. e S.S. dichiararono che la giovane donna non reagiva e non sembrava in grado di opporre la minima resistenza. Preoccupati, i due testimoni avrebbero allora chiesto spiegazioni ai giovani, i quali avrebbero risposto prima di allontanarsi «non è colpa nostra se è porca».
23. S.L., da parte sua, dichiarò che alla fine della serata aveva appreso da cinque amici – anch’essi sentiti dal tribunale – che un gruppo di uomini e una giovane donna si erano fatti notare durante la serata per il loro comportamento disinibito e i loro espliciti approcci sessuali. Gli uomini avevano più volte offerto dei bicchieri di bevande alcoliche alla giovane donna. Al momento di lasciare la fortezza, quest'ultima, circondata dal gruppo di uomini, che la palpeggiavano e la baciavano, era sembrata essere sotto l'effetto dell'alcol. S.L. e i suoi amici avevano esitato ad intervenire. Tre di loro avevano considerato che la giovane donna avesse liberamente scelto di allontanarsi con gli uomini, mentre gli altri due avevano ritenuto che non fosse lucida né in grado di dare il suo consenso. Preoccupata per la giovane donna, S.L. aveva deciso di avvicinarsi al gruppo e di seguirlo per qualche istante. Aveva sentito la ricorrente chiedere agli uomini di fermarsi e di lasciarla tranquilla («Ora basta! Lasciatemi stare!»). Si era quindi offerta di aiutarla, ma l'interessata le aveva risposto che non aveva nulla di cui preoccuparsi, che gli uomini che l'accompagnavano erano degli amici e che l'avrebbero portata a casa. A seguito dei commenti sgradevoli da parte del gruppo di uomini nei suoi confronti («Vattene! Fatti gli affari tuoi! Chi sei? Qualcuno della lega antiviolenza?»), la giovane donna aveva inoltre aggiunto: «Mi dispiace, è colpa mia, prima ero lesbica e ora sono eterosessuale». Secondo S.L., la giovane donna, anche se divertita dai commenti degli uomini, sembrava assente e non pienamente cosciente della situazione.
24. Nel corso della sua audizione dinanzi al tribunale, la ricorrente dichiarò di non ricordarsi di S.L. Fu peraltro interrogata dagli avvocati degli imputati sulla sua situazione familiare e sentimentale nonché sulle sue esperienze sessuali. Inoltre, fu sentita a proposito della sua decisione, venti giorni dopo i fatti, di seguire un'amica in Serbia dal 15 al 25 agosto 2008 e di prendere parte a un laboratorio artistico intitolato «Sex in transition». Spiegò che aveva deciso di lasciare Firenze per evitare di incontrare i suoi aggressori, ma che era stata costretta a rientrare prima del previsto a seguito di un grave attacco di panico che aveva richiesto un ricovero in ospedale.
25. Nel corso delle udienze svoltesi il 28 e 29 febbraio 2012, il tribunale sentì i sette imputati, che tutti, compreso l'interessato stesso, affermarono che D.S. non era presente né all'uscita della fortezza né nell'automobile.
Secondo la versione dei fatti presentata dagli imputati, ad eccezione di D.S., la ricorrente si era mostrata provocante per tutta la serata, sia per il modo in cui era vestita che per un comportamento sensuale e volgare. Nessuno l'aveva obbligata a bere. Aveva anche fatto una fellatio a D.S. nel bagno della fortezza, e la cosa era stata subito rivelata a tutto il gruppo di amici. L.L. affermò che la ricorrente era sempre stata attratta fisicamente da lui, il che, secondo lui, era dimostrato dal rapporto sessuale praticato il 5 giugno 2008, e che aveva mentito dichiarando di essersi recata alla fortezza il 25 luglio al fine di ottenere il saldo del suo compenso per il cortometraggio in cui aveva recitato, poiché la sua prestazione era già stata pagata.
26. Gli imputati dichiararono che la ricorrente aveva cavalcato il toro meccanico mostrando la sua biancheria intima rossa e che aveva ballato in modo lascivo e disinibito con ciascuno di loro. Essi affermarono che alla fine della serata, lei li aveva incitati ad avere rapporti sessuali di gruppo dicendo: «E ora voglio che mi scopiate tutti!», e che quando L.L. si era allontanato con la sua ragazza, lei lo aveva chiamato per chiedergli di unirsi a loro. Essi indicarono che il gruppo era euforico e che lo stato d'animo era goliardico, ma che nessuno era incapace di agire a causa dell'alcol. Essi assicurarono che la ricorrente camminava senza difficoltà e che sembrava sicura di sé, provocandoli e invitandoli ad avere rapporti sessuali. Gli stessi spiegarono che quando S.L. li aveva fermati all'uscita dalla fortezza, la ricorrente aveva reagito rassicurandola e rivendicando la sua libertà di agire sessualmente come voleva.
27. Successivamente, gli approcci sessuali della ricorrente erano aumentati in intensità e il gruppo aveva deciso di raggiungere in automobile un luogo più appartato e meno esposto agli sguardi dei passanti. La loro scelta era ricaduta sul parcheggio di un chiosco situato in via Mariti. In questo posto la ricorrente aveva avuto dei rapporti sessuali completi con due di loro e aveva praticato delle fellatio agli altri, che non avevano avuto né erezione né eiaculazione, provocando la derisione e la delusione dell'interessata. I sei uomini le avevano poi proposto di riportarla a casa, ma davanti al suo rifiuto l'avevano accompagnata in auto fino alla sua bicicletta, che si trovava vicino alla fortezza. Uno degli imputati, D.A., sostenne che il liquido seminale compatibile con il suo DNA che era stato trovato sulla maglietta della ricorrente (paragrafo 32 infra) poteva spiegarsi con i palpeggiamenti che avevano avuto luogo durante il tragitto in automobile verso il chiosco.
III. LE DECISIONI GIUDIZIARIE
28. Con sentenza del 14 gennaio 2013, il tribunale di Firenze condannò sei dei sette imputati per aver indotto una persona che si trovava in una condizione di inferiorità fisica e psichica a compiere o subire atti di natura sessuale, reato punito dall’articolo 609bis, comma 1, in combinato disposto con l’articolo 609octies. Al contrario, li assolse dai capi di violenza sessuale mediante violenza, ai sensi dell'articolo 609bis, comma 1. Il settimo imputato, D.S., fu assolto, poiché l'inchiesta aveva dimostrato che, sebbene fosse stato presente durante la serata, non aveva lasciato la fortezza con gli altri e non aveva partecipato alla violenza sessuale.
29. Nella sua sentenza, il tribunale rilevò innanzitutto che le versioni delle parti concordavano per quanto riguardava la realtà del rapporto sessuale di gruppo, ma che, per contro, divergevano in modo sostanziale sulla questione del consenso. Rilevò poi che la versione dei fatti fornita dalla ricorrente presentava delle incoerenze e appariva illogica sotto vari aspetti, soprattutto per quanto riguardava la parte iniziale dei fatti. In particolare, le spiegazioni della ricorrente sulle ragioni che l'avevano motivata ad accettare l'invito di L.L. a raggiungerlo alla fortezza e poi a rimanervi, visto che non le era stato consegnato nessun regalo e l'atteggiamento del gruppo di amici nei suoi confronti sembrava fuori luogo, gli sembravano poco credibili.
30. Al contrario, il tribunale constatò che le dichiarazioni della vittima circa lo svolgimento dei fatti al momento preciso dell'uscita dalla fortezza erano perfettamente corroborate dalle testimonianze dirette di S.L., L.B. e S.S. e ritenne, quindi, che la ricorrente potesse essere considerata credibile relativamente alla ricostruzione di questa parte della serata – salvo sulla questione della presenza o meno di D.S. – ma che la sua credibilità rimanesse dubbia quanto alla ricostruzione dell'inizio e della fine della serata. A questo proposito, il tribunale indicò che, secondo una certa giurisprudenza della Corte di cassazione, si poteva valutare la credibilità della vittima procedendo ad una «valutazione frazionata» delle sue dichiarazioni, dal momento che non vi era contraddizione fattuale e logica tra le diverse parti della sua narrazione dei fatti.
31. Per quanto riguarda lo svolgimento dei fatti successivi all'uscita dalla fortezza, il tribunale rilevò che la partecipazione di D.S. ai fatti denunciati era stata esclusa grazie alle indagini condotte, le quali avevano dimostrato che, contrariamente a quanto la ricorrente aveva dichiarato, D.S. non aveva lasciato la fortezza con il gruppo. Il tribunale rilevò, inoltre, che i tabulati telefonici e l'esame dei terminali attivati dai telefoni degli interessati avevano smentito la versione della ricorrente quanto al luogo in cui l'automobile era stata parcheggiata durante i fatti da essa denunciati, confermando le dichiarazioni degli imputati su questo punto. Inoltre, gli investigatori avevano effettuato delle simulazioni che dimostravano che per la ricorrente sarebbe stato impossibile raggiungere la sua bicicletta a piedi da quel luogo, il che era in contraddizione anche con le sue deposizioni.
32. Inoltre, il tribunale ritenne che le lesioni constatate dal medico del centro antiviolenza dodici ore dopo i fatti (paragrafo 10 supra) non fossero compatibili con l'intensità delle violenze denunciate dalla ricorrente, in quanto le lesioni potevano essere state provocate dal semplice compimento di un atto sessuale in un'automobile, che non era stato contestato dagli imputati. Inoltre, non era stata ritrovata alcuna traccia di liquido seminale né al termine dei prelievi vaginali e orali sulla ricorrente né nell'automobile, il che invalidava le dichiarazioni di quest'ultima riguardanti il «forte odore di sperma» e corroborava le affermazioni degli imputati secondo le quali nessuno di loro aveva eiaculato nell'auto. Del resto, l'esame delle tracce biologiche rinvenute sui vestiti della ricorrente, in particolare sul retro della sua maglietta, aveva permesso di identificare il DNA di un solo imputato, D.A.
33. Il tribunale ritenne, poi, che l'ipotesi secondo la quale gli imputati avessero per lo meno sperato di vivere una serata trasgressiva, servendosi della ricorrente per compiere dei giochi erotici, non fosse una semplice speculazione, e che ciò fosse provato dal fatto che alcuni messaggi telefonici che si erano scambiati gli imputati nel pomeriggio del 25 luglio facevano riferimento alla presenza futura dell'interessata alla fortezza. Qualificò peraltro come inquietante il contenuto scabroso di un testo scritto da L.L. e ritrovato nella sua automobile, che sembrava evocare una relazione morbosa con la ricorrente.
34. In ogni caso, il tribunale ritenne che, contrariamente alle dichiarazioni di tutti gli imputati, la situazione descritta da S.L., L.B. e S.S. non avesse nulla di «euforico» né di «festoso». Le testimonianze concordanti dei suddetti testimoni avevano in effetti permesso di dimostrare in modo irrefutabile che la ricorrente si trovava sotto l'effetto dell'alcool quando aveva lasciato la fortezza con i sei imputati. Anche se non era provato che il suo stato fosse dovuto al fatto che questi ultimi l'avevano indotta a farle consumare bevande alcoliche allo scopo di commettere un abuso sessuale, era comunque dimostrato che la ricorrente era ubriaca, che aveva difficoltà a camminare e che la sua capacità di acconsentire ad avere rapporti sessuali era visibilmente alterata.
35. Il tribunale ritenne che lo stato in cui la ricorrente si era trovata nel momento osservato dai testimoni e per un periodo di tempo che era stato impossibile determinare con precisione, dovesse essere qualificato come «condizione di inferiorità» sia fisica che psichica. Precisò che in materia di violenza sessuale la nozione di inferiorità non era necessariamente legata a una patologia mentale della vittima, ma poteva derivare da diversi fattori, a condizione che la loro incisività fosse quanto meno in grado di viziare il consenso. Aggiunse che la nozione di inferiorità non richiedeva una soggezione assoluta da parte della vittima, ma che era compatibile con un relativo grado di resistenza da parte della stessa.
36. Il tribunale rammentò che il reato di violenza sessuale mediante abuso della condizione di inferiorità di una persona, punito dall'articolo 609bis, comma 2 n. 1, del codice penale poteva essere caratterizzato dal fatto di costringere, senza necessariamente ricorrere alla violenza o all'intimidazione, una persona resa incapace di opporsi per la sua condizione di inferiorità, al fine di farne un oggetto di soddisfazione sessuale. Quanto all'elemento morale del delitto, il tribunale spiegò che quest’ultimo comprendeva sia la consapevolezza della condizione di inferiorità della vittima – elemento che a suo avviso era indubbiamente presente nel caso di specie – sia il fatto di agire per fini sessuali. Precisò che la condizione di inferiorità non doveva necessariamente essere provocata dall'aggressore, ma poteva derivare da fattori ambientali esterni.
37. I sei condannati interposero appello. Affermarono che la ricorrente aveva mentito almeno 29 volte e ritennero che queste numerose dichiarazioni menzognere provassero la sua totale mancanza di credibilità. Considerando che la versione dei fatti da essa fornita era complessivamente dubbia, ritennero che la valutazione frazionata delle dichiarazioni dell'interessata effettuata dal tribunale fosse contraddittoria ed erronea alla luce della giurisprudenza in materia. Nelle menzogne della ricorrente, riconosciute dal tribunale, essi vedevano un segno di pentimento della ricorrente nei confronti dell'esperienza sessuale di gruppo alla quale la stessa aveva comunque acconsentito. Essi sostenevano che la condizione di inferiorità fisica che avrebbe invalidato il consenso della ricorrente non era stata dimostrata e che la sua condizione di inferiorità psichica era stata smentita dalle varie testimonianze raccolte dal tribunale. Peraltro, essi sostenevano che non avevano potuto in ogni caso avere coscienza di una qualsiasi condizione di inferiorità della ricorrente, dal momento che tutti erano sotto l'effetto dell'alcool.
38. Con sentenza del 4 marzo 2015, depositata il 3 giugno 2015, la corte d'appello di Firenze assolse i sei imputati condannati in primo grado (paragrafo 28 supra). In primo luogo, essa ritenne che la parte della sentenza di primo grado relativa all'assoluzione di questi ultimi per il reato di violenza sessuale commessa mediante violenza o minaccia (articolo 609bis comma 1 del CP) fosse passata in giudicato, visto che il procuratore non aveva interposto appello per questa parte della sentenza. Di conseguenza, per la corte d’appello si trattava soltanto di esaminare la questione dell'abuso della presunta condizione di inferiorità della parte lesa (articolo 609bis comma 2) e, di conseguenza, di esaminare la condizione in cui la ricorrente si trovava al momento dei fatti.
39. La corte d’appello ritenne che le molteplici incoerenze che il tribunale aveva rilevato nella versione dei fatti della ricorrente (paragrafi 29 e 31 supra) compromettessero la credibilità di quest'ultima nella sua globalità. Essa ritenne che il tribunale avesse sbagliato ad effettuare una valutazione frazionata delle diverse dichiarazioni della ricorrente e ad ammettere la sua credibilità relativamente a una parte dei fatti. A tale riguardo, precisò che secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione in materia, una valutazione frazionata delle dichiarazioni di una vittima di violenza sessuale era possibile solo nei casi in cui le dichiarazioni in questione si riferivano a fatti diversi e indipendenti gli uni dagli altri, come degli episodi di abuso distinti, alcuni più comprovati di altri. La corte d’appello concluse che, dal momento che nel caso di specie si trattava di giudicare un solo e unico episodio di violenza, non era possibile una «valutazione frazionata» della credibilità della vittima. La credibilità della vittima doveva essere valutata alla luce di tutte le sue dichiarazioni.
40. La corte d’appello aggiunse che le dichiarazioni della ricorrente non erano state corroborate da altri elementi di prova, ma che, al contrario, erano state smentite dal referto dell'esame ginecologico, che attestava lesioni incompatibili con quanto affermato dall'interessata, nonché dai risultati delle ricerche di tracce di liquidi biologici che erano state effettuate nell'automobile, sugli abiti della ricorrente e sulla sua persona. Infine, la corte d’appello ritenne che, lungi dall'essere una richiesta di aiuto, la risposta che quest’ultima aveva dato a S.L. equivaleva piuttosto ad una riaffermazione delle sue scelte sessuali, prima omosessuali e poi eterosessuali.
41. Per quanto riguarda la condizione di inferiorità nella quale la ricorrente sosteneva di essersi trovata, la corte d'appello ritenne, innanzitutto che si dovesse escludere qualsiasi carenza psicologica dell'interessata che potesse viziare il suo consenso. Aggiunse che, anche se stava attraversando un periodo difficile a livello familiare e sentimentale – sua madre era gravemente malata, suo padre era assente e anche lei aveva recentemente vissuto una rottura sentimentale e aveva appena iniziato una relazione con un uomo poco dopo averlo incontrato –, la ricorrente era «certo un soggetto femminile fragile, ma al tempo stesso creativo, disinibito, in grado di gestire la sua (bi)sessualità e di avere rapporti fisici occasionali, di cui nel contempo non era convinta», come quelli che aveva avuto con L.L. per strada e con D.S., entrambi incontrati pochi giorni prima dei fatti, o come quello orale con quest'ultimo nel bagno della fortezza, prima dei balli e del gioco sul toro meccanico.
42. La corte d'appello rilevò, inoltre, che diversi testimoni avevano dichiarato che la ricorrente aveva avuto un atteggiamento estremamente provocante e volgare, che aveva ballato lascivamente stringendo alcuni degli imputati e che dopo aver avuto un rapporto sessuale con D.S. nel bagno, fatto che era stato subito rivelato al gruppo di amici, aveva mostrato la sua biancheria rossa cavalcando un toro meccanico. La corte d'appello osservò anche che, da parte loro, i testimoni L.B. e S.S. avevano semplicemente indicato che la ricorrente sembrava essere sotto l'effetto dell'alcol e che aveva difficoltà a camminare quando aveva lasciato il parco. Infine, la corte d'appello ritenne che la testimonianza di S.L. che evocava la reazione della ricorrente quando era intervenuta per difenderla facesse pensare che l'interessata non era vittima di violenze, ma che era in grado di difendersi e anche di divertirsi per le osservazioni fatte dal gruppo di amici sul suo nuovo orientamento sessuale. Alla luce di questi elementi, la corte d'appello ritenne che l'alcol non avesse ridotto le capacità di discernimento dell'interessata.
43. Dopo aver escluso l'esistenza di una condizione anche non latente di inferiorità presso la ricorrente, la corte d'appello affermò che le restava da esaminare solo la questione della «revoca del consenso inizialmente prestato» che, a torto o a ragione, gli imputati avevano ritenuto esistere nel corso della serata, alla luce anche del rapporto orale che D.S. aveva già «ottenuto» dalla ricorrente nei bagni. Fino all'uscita dalla fortezza, la ricorrente non era stata infastidita dagli strusciamenti e dai palpeggiamenti fatti dal gruppo di amici sulla pista da ballo e si era lasciata riaccompagnare fino all'auto dove era rimasta inerte durante il compimento delle manovre sessuali, di modo che i membri del gruppo di amici si erano mostrati «quasi stupiti» quando aveva deciso di andarsene. La corte d'appello ritenne che, alla luce di questi elementi, si potesse considerare che gli imputati avevano pensato che esistesse un consenso della ricorrente ad avere un rapporto sessuale di gruppo, che alla fine non aveva soddisfatto nessuno.
La corte d’appello aggiunse che, in seguito, non vi era stata alcuna cesura significativa da parte dell'interessata tra il suo precedente consenso e il suo successivo presunto dissenso, in quanto aveva riconosciuto di essere rimasta inerte e in balia del gruppo durante i rapporti sessuali.
44. La corte d'appello dichiarò che la sua analisi, fondata su un esame approfondito dell'insieme dei suddetti elementi emersi dal processo, fosse confermata da ulteriori considerazioni: l'assenza di tracce di graffi o di colluttazione sui corpi degli imputati, che erano stati arrestati subito dopo i fatti, e il fatto che la ricorrente aveva percorso in bicicletta un tragitto di dieci minuti dopo le gravi violenze che diceva di aver subito. Questi dati, secondo la corte d'appello, erano incompatibili con le gravi violenze e gli abusi che la ricorrente sosteneva di aver subito per due ore (paragrafi 9 e 40 supra).
45. Pertanto, la corte d’appello ritenne che non fosse stato provato che la ricorrente si trovasse in una condizione di inferiorità per gli effetti di una alterazione alcolica, poiché, anche se il piccolo gruppo era euforico dopo aver consumato una quantità relativamente bassa di alcol, il comportamento dell'interessata faceva comunque pensare che fosse abbastanza lucida quando aveva cavalcato il toro meccanico, aveva cercato di raggiungere L.L. per telefono nel momento in cui quest’ultimo aveva accompagnato la sua ragazza o aveva risposto seccamente a S.L. La corte d'appello rammentò che, secondo la Corte di cassazione italiana, l'elemento materiale del delitto di violenza sessuale commesso su persona in condizione di inferiorità era costituito quando una persona, con atti sottili e subdoli, istiga un'altra persona a compiere atti sessuali abusando di una condizione di inferiorità indotta a quest’ultima dal consumo di bevande alcoliche.
46. La corte d’appello ritenne che, denunciando i fatti al centro antiviolenza e rivolgendosi al centro Artemisia, la ricorrente avesse voluto «stigmatizzare» il fatto di non aver ostacolato il compimento dell'esperienza di gruppo, allo scopo di rimuovere un momento di fragilità e di debolezza di cui aveva preso coscienza e che la sua vita non lineare avrebbe voluto censurare. Ritenne che il comportamento e le esperienze dell'interessata prima e dopo i fatti dimostrassero che nei confronti del sesso aveva un atteggiamento ambivalente che la induceva a fare scelte non pacificamente condivise e vissute traumaticamente o contraddittoriamente, come quella di recitare nel cortometraggio di L.L. senza manifestare reticenza nei confronti delle scene di sesso e di violenza di cui era intriso o quella di partecipare, qualche giorno dopo le violenze denunciate, a un «workshop» denominato «Sex in transition» a Belgrado.
47. La corte d'appello concluse che, sebbene deplorevoli, i fatti contestati non erano puniti penalmente e che gli imputati dovevano essere assolti, perché il fatto non sussiste in quanto l'elemento materiale del reato di violenza sessuale caratterizzata dall'abuso di una condizione di inferiorità della vittima non era costituito.
48. Il 13 luglio 2015 la ricorrente fece pervenire in procura una memoria in cui contestava i motivi della sentenza della corte d'appello e chiedeva la presentazione di un ricorso per cassazione.
49. Poiché il procuratore non propose ricorso per cassazione, la sentenza della corte d'appello di Firenze passò in giudicato il 20 luglio 2015.
50. Il caso e il processo ebbero un'importante risonanza mediatica. La ricorrente si espresse in merito ai fatti controversi sui social network e creò un blog su Internet dedicato alla causa della parità tra i sessi e alla lotta contro la violenza di genere.
51. Il 5 agosto 2015 fu presentata al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della Giustizia un'interrogazione parlamentare sui motivi della sentenza della corte d'appello di Firenze e sulla loro compatibilità con le disposizioni delle leggi nazionali e internazionali in materia di protezione dei diritti delle vittime di abusi sessuali e di lotta contro la violenza nei confronti delle donne. L’interrogazione parlamentare non fu esaminata.
IL QUADRO E LA PRASSI GIURIDICI PERTINENTIIL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
I. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
A. Il codice penale
52. L’articolo 609bis del codice penale italiano riguarda il delitto di violenza sessuale, ed è così formulato:
«1. Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
2. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; 2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
3. Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.»
53. Ai sensi dell’articolo 609ter:
«La pena è della reclusione da sei a dodici anni se i fatti di cui all’articolo 609bis sono commessi:
(...)
2) con l'uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa.
(...)»
54. Ai sensi dell’articolo 609octies del codice penale, la violenza sessuale di gruppo consiste nella partecipazione, da parte di più persone riunite, agli atti di violenza sessuale di cui all’articolo 609bis. Questo reato è punito con la pena della reclusione da sei a dodici anni.
B. Il codice di procedura penale
55. L'articolo 392 del codice di procedura penale (di seguito il «CPP») prevede che, nei procedimenti relativi, tra l'altro, ai reati puniti dagli articoli 609bis e 609octies, il pubblico ministero – eventualmente su richiesta della parte lesa – o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che la testimonianza di una persona minorenne o quella della persona offesa maggiorenne siano assunte dal giudice delle indagini preliminari nell'ambito di un incidente probatorio.
56. Il decreto legislativo n. 212 del 15 dicembre 2015, che recepisce le disposizioni della Direttiva 2012/29/UE che stabilisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, ha modificato l'articolo 392 del CPP aggiungendo il seguente comma:
«In ogni caso, quando la persona offesa versa in condizione di particolare vulnerabilità, il pubblico ministero, anche su richiesta della stessa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della sua testimonianza.»
57. Ai sensi dell’articolo 472, comma 3bis, del CPP, i dibattimenti relativi ai delitti di carattere sessuale sono pubblici, salvo se la parte offesa chieda che si proceda a porte chiuse o è minorenne. In questo tipo di procedimenti, le domande sulla vita privata e sessuale della vittima non sono ammesse se non sono necessarie alla ricostruzione dei fatti.
C. La possibilità per la parte civile di impugnare una decisione di assoluzione
58. Ai sensi dell’articolo 572 del CPP,
«La parte civile, la persona offesa (…) possono presentare richiesta motivata al pubblico ministero di proporre impugnazione a ogni effetto penale.
Il pubblico ministero, quando non propone impugnazione, provvede con decreto motivato da notificare al richiedente.»
59. Ai sensi dell’articolo 576 del CPP,
«La parte civile può proporre impugnazione contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile e, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio (…)»
D. Il quadro legislativo nazionale in materia di violenza nei confronti delle donne
60. La legge n. 119 del 15 ottobre 2013, detta legge sul femminicidio o piano d'azione straordinario per il contrasto della violenza sulle donne, prevede misure incentrate sui diritti procedurali delle vittime di violenza domestica, abusi sessuali, sfruttamento sessuale e molestie. In virtù delle nuove disposizioni, il procuratore e le forze di polizia hanno l'obbligo legale di informare le vittime che è data loro la facoltà di farsi rappresentare da un avvocato nell'ambito del procedimento penale e di chiedere, tramite i loro avvocati, un'udienza protetta. Essi devono anche informare le vittime della possibilità loro offerta di beneficiare di un'assistenza giuridica e delle modalità di concessione di questo tipo di assistenza. Inoltre, la legge prevede che le indagini relative ai presunti reati debbano essere condotte entro un anno dalla data della segnalazione alla polizia e che i permessi di soggiorno degli stranieri vittime di violenze, compresi i migranti senza documenti di identificazione, devono essere prorogati. La legge prevede anche la raccolta strutturata di dati sull'argomento e il loro aggiornamento regolare, in particolare attraverso il coordinamento delle banche dati già esistenti.
61. La legge n. 69 del 19 luglio 2019, detta «codice rosso», ha introdotto nuovi reati – come il matrimonio forzato, la deformazione della vittima mediante lesioni permanenti al volto e la diffusione illecita di immagini o di video sessualmente espliciti – ed ha aggravato le sanzioni per i reati di molestie, violenza sessuale e violenza domestica. Inoltre, i procedimenti che riguardano tutti questi reati sono trattati con priorità.
E. Il Codice etico dei magistrati
62. Il Codice etico dei magistrati è stato modificato nel 2010. L'articolo 12, terzo comma, del nuovo codice, è così formulato:
«Nelle motivazioni dei provvedimenti e nella conduzione dell'udienza [il giudice] esamina i fatti e gli argomenti prospettati dalle parti, evita di pronunciarsi su fatti o persone estranei all'oggetto della causa, di emettere giudizi o valutazioni sulla capacità professionale di altri magistrati o dei difensori, ovvero – quando non siano indispensabili ai fini della decisione – sui soggetti coinvolti nel processo.»
II. IL DIRITTO INTERNAZIONALE PERTINENTE
A. Le Nazioni Unite
63. La Dichiarazione dei principi fondamentali di giustizia relativi alle vittime della criminalità e alle vittime di abusi di potere, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nella sua risoluzione 40/34 del 29 novembre 1985, stabilisce che le vittime devono essere trattate con compassione e nel rispetto della loro dignità (allegato, articolo 4) e che occorre migliorare la capacità del sistema giudiziario e amministrativo di rispondere alle esigenze delle vittime, in particolare adottando misure per ridurre al minimo le difficoltà che incontrano, proteggere, se necessario, la loro vita privata e garantire la sicurezza loro, nonché quella della loro famiglia e dei loro testimoni, preservandoli da intimidazioni e ritorsioni (allegato, articolo 6 d)).
64. Nelle sue osservazioni finali al settimo rapporto sull'Italia, pubblicato il 4 luglio 2017 (CEDAW/C/ITA/7), il Comitato delle Nazioni Unite per l'eliminazione della discriminazione nei confronti delle donne ha dichiarato tra l'altro quanto segue:
«Stereotipi
25. Il Comitato prende atto dell'azione condotta dallo Stato parte per lottare contro gli stereotipi sessisti discriminatori attraverso la promozione della condivisione delle responsabilità domestiche e genitoriali, e per combattere le rappresentazioni stereotipate delle donne nei media attraverso il rafforzamento dell'istituto di autoregolamentazione della pubblicità. Tuttavia, constata con preoccupazione:
a) Il radicamento di stereotipi riguardanti i ruoli e le responsabilità delle donne e degli uomini nella famiglia e nella società, che perpetuano i ruoli tradizionali delle donne come madri e casalinghe e che compromettono il loro status sociale nonché le loro prospettive di studio e di carriera;
(...)
Violenza di genere contro le donne
27. Il Comitato accoglie con favore le misure adottate per lottare contro la violenza di genere nei confronti delle donne, in particolare l'adozione e l'attuazione della legge n. 119/2013 recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere e la creazione di un osservatorio nazionale sulla violenza e di una banca dati nazionale sulla violenza di genere. Resta tuttavia preoccupato per:
a) La forte prevalenza della violenza di genere contro le donne e le ragazze nello Stato parte;
b) La scarsa segnalazione della violenza di genere contro le donne e il basso tasso di azioni penali e di condanne, che comportano l'impunità degli autori;
c) L’accesso limitato ai tribunali civili per le donne che sono vittime di violenza domestica e che chiedono un ordine di allontanamento;
d) Il fatto che, sebbene queste procedure non siano obbligatorie, i tribunali continuano ad orientare le vittime verso modalità alternative di risoluzione delle controversie, quali la mediazione o la conciliazione, nei casi di violenza di genere nei confronti delle donne, nonché l'uso emergente di meccanismi di giustizia riparatoria per i casi meno gravi di molestie la cui portata potrebbe essere estesa ad altre forme di violenza di genere nei confronti delle donne;
e) L’impatto cumulativo e la sovrapposizione tra atti razzisti, xenofobi e sessisti nei confronti delle donne;
f) La mancanza di studi sulle cause strutturali della violenza di genere nei confronti delle donne e la mancanza di misure volte all’emancipazione femminile;
g) Le disparità regionali e locali nella disponibilità e nella qualità dei servizi di assistenza e di protezione, compresi i rifugi per le donne vittime di violenza, così come le forme incrociate di discriminazione nei confronti delle donne che appartengono a gruppi minoritari che sono vittime di violenza.
28. Rammentando le disposizioni della Convenzione e le sue raccomandazioni generali n. 19 (1992) sulla violenza nei confronti delle donne e n. 35 (2017) sulla violenza di genere nei confronti delle donne, che aggiornano la raccomandazione generale n. 19, il Comitato raccomanda allo Stato parte:
a) Di accelerare l'adozione di una legislazione completa volta a prevenire, contrastare e sanzionare tutte le forme di violenza nei confronti delle donne, nonché del nuovo piano d'azione contro la violenza di genere, e di assicurare che delle risorse umane, tecniche e finanziarie adeguate siano destinate alla loro attuazione sistematica ed efficace;
b) Di valutare la risposta della polizia e del sistema giudiziario alle denunce per reati a sfondo sessuale e instaurare un rafforzamento delle capacità obbligatorio per i giudici, procuratori, funzionari di polizia e altri responsabili dell'applicazione delle leggi sulla rigorosa applicazione delle disposizioni della legge penale relative alla violenza di genere nei confronti delle donne e sulle procedure di audizione delle donne vittime di violenza tenendo conto della problematica uomo-donna;
c) Di incoraggiare le donne a denunciare i fatti di violenza domestica e sessuale agli organi di applicazione della legge, destigmatizzando le vittime, sensibilizzando la polizia e i magistrati e facendo prendere coscienza della natura criminale di tali atti; e di garantire alle donne un accesso effettivo ai tribunali civili al fine di ottenere ordini di allontanamento dei partner violenti;
d) Di assicurare che le modalità alternative di risoluzione delle controversie, quali la mediazione, la conciliazione e la giustizia riparatoria, non siano utilizzati dai tribunali per i casi di violenza di genere al fine di evitare che le stesse costituiscano un ostacolo all'accesso delle donne alla giustizia formale, e di armonizzare tutta la legislazione nazionale pertinente con la Convenzione di Istanbul;
e) Di assicurare che gli atti razzisti, xenofobi e sessisti nei confronti delle donne siano oggetto di indagini minuziose, affinché gli autori siano perseguiti e le pene pronunciate siano proporzionate alla gravità dei fatti;
f) Di rafforzare la protezione e l'assistenza date alle donne che sono vittime di violenza, in particolare rafforzando la capacità di accoglienza dei rifugi ed assicurando che questi ultimi soddisfino le esigenze delle vittime e coprano l’intero territorio dello Stato parte, stanziando risorse umane, tecniche e finanziarie adeguate ed accrescendo la cooperazione dello Stato con le organizzazioni non governative che offrono rifugio e riabilitazione alle vittime;
g) Di raccogliere dati statistici sulla violenza domestica e sessuale, suddivisi per sesso, età, nazionalità e relazione tra la vittima e l'autore del reato.»
B. Il Consiglio d'Europa
65. Il 7 aprile 2011 il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ha adottato la Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul). Questa Convenzione è stata ratificata dall'Italia il 10 settembre 2013 ed è entrata in vigore il 1° agosto 2014.
La suddetta Convenzione contiene in particolare le seguenti disposizioni:
Articolo 3 – Definizioni
«Ai fini della presente Convenzione:
a) con l’espressione «violenza nei confronti delle donne» si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata;»
Articolo 15 – Formazione delle figure professionali
«1. Le Parti forniscono o rafforzano un'adeguata formazione delle figure professionali che si occupano delle vittime o degli autori di tutti gli atti di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione in materia di prevenzione e individuazione di tale violenza, uguaglianza tra le donne e gli uomini, bisogni e diritti delle vittime, e su come prevenire la vittimizzazione secondaria.
(...)»
Articolo 36 – Violenza sessuale compreso lo stupro
« 1. Le Parti adottano misure legislative o di altro tipo necessarie per perseguire penalmente i responsabili dei seguenti comportamenti intenzionali:
a) atto sessuale non consensuale con penetrazione vaginale, anale o orale compiuto su un’altra persona con qualsiasi parte del corpo o con un oggetto;
b) altri atti sessuali compiuti su una persona senza il suo consenso;
c) il fatto di costringere un’altra persona a compiere atti sessuali non consensuali con un terzo.
2. Il consenso deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona, e deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto.
3. Le Parti adottano le misure legislative e di altro tipo per garantire che le disposizioni del paragrafo 1 si applichino anche agli atti commessi contro l’ex o l’attuale coniuge o partner, quale riconosciuto dalla legislazione nazionale.»
Articolo 54 – Indagini e prove
«Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che in qualsiasi procedimento civile o penale, le prove relative agli antecedenti sessuali e alla condotta della vittima siano ammissibili unicamente quando sono pertinenti e necessarie.»
Articolo 56 – Misure di protezione
«1. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo destinate a proteggere i diritti e gli interessi delle vittime, compresi i loro particolari bisogni in quanto testimoni in tutte le fasi delle indagini e dei procedimenti giudiziari, in particolare:
a) garantendo che siano protette, insieme alle loro famiglie e ai testimoni, dal rischio di intimidazioni, rappresaglie e ulteriori vittimizzazioni;
b) garantendo che le vittime siano informate, almeno nei casi in cui esse stesse e la loro famiglia potrebbero essere in pericolo, quando l’autore del reato dovesse evadere o essere rimesso in libertà in via temporanea o definitiva;
c) informandole, nelle condizioni previste dal diritto interno, dei loro diritti e dei servizi a loro disposizione e dell'esito della loro denuncia, dei capi di accusa, dell'andamento generale delle indagini o del procedimento, nonché del loro ruolo nell’ambito del procedimento e dell’esito del giudizio;
d) offrendo alle vittime, in conformità con le procedure del loro diritto nazionale, la possibilità di essere ascoltate, di fornire elementi di prova e presentare le loro opinioni, esigenze e preoccupazioni, direttamente o tramite un intermediario, e garantendo che i loro pareri siano esaminati e presi in considerazione;
e) fornendo alle vittime un'adeguata assistenza, in modo che i loro diritti e interessi siano adeguatamente rappresentati e presi in considerazione;
f) garantendo che possano essere adottate delle misure per proteggere la vita privata e l'immagine della vittima;
g) assicurando, ove possibile, che siano evitati i contatti tra le vittime e gli autori dei reati all’interno dei tribunali e degli uffici delle forze dell'ordine;
h) fornendo alle vittime, quando sono parti del processo o forniscono delle prove, i servizi di interpreti indipendenti e competenti;
i) consentendo alle vittime di testimoniare in aula, secondo le norme previste dal diritto interno, senza essere fisicamente presenti, o almeno senza la presenza del presunto autore del reato, grazie in particolare al ricorso a tecnologie di comunicazione adeguate, se sono disponibili.»
66. Il 13 gennaio 2020, il Gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica del Consiglio d'Europa («GREVIO») ha pubblicato il suo primo rapporto di valutazione relativo all'Italia, che contiene il seguente passaggio:
«Pur riconoscendo i progressi compiuti nella promozione dell'uguaglianza di genere e dei diritti delle donne, il rapporto constata che la causa dell'uguaglianza di genere sta incontrando resistenza in Italia. Il GREVIO esprime la sua preoccupazione per i segni emergenti di una tendenza a reinterpretare e a riorientare le politiche di parità di genere in termini di politiche della famiglia e della maternità. Per superare queste difficoltà, il GREVIO ritiene essenziale che le autorità continuino a concepire e ad attuare efficacemente delle politiche di parità tra donne e uomini e di emancipazione delle donne, che riconoscano chiaramente la natura strutturale della violenza contro le donne come una manifestazione delle relazioni di potere storicamente ineguali tra donne e uomini.»
67. Basandosi sui dati forniti dall'Istituto nazionale di statistica («ISTAT»), il suddetto rapporto rileva, tra l'altro, che i tassi di segnalazione e di condanna per violenza sessuale sono relativamente bassi e in diminuzione: mentre il numero di reati di violenza sessuale segnalati è passato da 4.617 nel 2011 a 4.046 nel 2016 (con un tasso di incidenza del modello donne vittime e uomini autori di oltre il 90 %), il numero di autori condannati è sceso da 1.703 a 1.419 nello stesso periodo. La parte pertinente del rapporto recita:
«225. [Il] GREVIO incoraggia vivamente le autorità italiane:
a) a proseguire i loro sforzi per assicurare che le indagini e i procedimenti penali relativi alle cause di violenza di genere siano condotti rapidamente, assicurando al tempo stesso che le misure adottate a tal fine siano sostenute da un finanziamento adeguato;
b) a far valere la responsabilità degli autori e garantire la giustizia penale per tutte le forme di violenza contemplate dalla convenzione;
c) ad assicurare che le pene inflitte nei casi di violenza contro le donne, compresa la violenza domestica, siano proporzionate alla gravità del reato e preservino il carattere dissuasivo delle sanzioni.
I progressi in questo ambito dovrebbero essere misurati mediante dati adeguati e supportati da analisi pertinenti del trattamento delle cause penali da parte dei servizi repressivi, delle procure e dei tribunali per accertare dove si verifica l'attrito e per individuare eventuali lacune nella risposta istituzionale alla violenza nei confronti delle donne.»
68. Il parere n. 11 (2008) del Consiglio consultivo dei giudici europei (CCGE) relativo alla qualità delle decisioni giudiziarie, contiene il seguente passaggio:
«38. (...) La motivazione (di una decisione giudiziaria) deve essere priva di qualsiasi apprezzamento offensivo o poco lusinghiero della persona sottoposta a giustizia.»
C. L’Unione europea
69. Adottata il 25 ottobre 2012, la direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio doveva essere recepita nel diritto italiano entro il 16 novembre 2015. Tale direttiva è stata recepita nel diritto italiano con il decreto legislativo n. 212 del 15 dicembre 2015. Le parti pertinenti della direttiva sono così formulate:
Considerando 17
« Per violenza di genere s'intende la violenza diretta contro una persona a causa del suo genere, della sua identità di genere o della sua espressione di genere o che colpisce in modo sproporzionato le persone di un particolare genere. Può provocare un danno fisico, sessuale, emotivo o psicologico, o una perdita economica alla vittima. La violenza di genere è considerata una forma di discriminazione e una violazione delle libertà fondamentali della vittima e comprende la violenza nelle relazioni strette, la violenza sessuale (compresi lo stupro, l'aggressione sessuale e le molestie sessuali), la tratta di esseri umani, la schiavitù e varie forme di pratiche dannose, quali i matrimoni forzati, la mutilazione genitale femminile e i cosiddetti «reati d'onore». Le donne vittime della violenza di genere e i loro figli hanno spesso bisogno di un'assistenza e protezione speciali a motivo dell'elevato rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni connesso a tale violenza.»
Articolo 18 – Diritto alla protezione
«Fatti salvi i diritti della difesa, gli Stati membri assicurano che sussistano misure per proteggere la vittima e i suoi familiari da vittimizzazione secondaria e ripetuta, intimidazione e ritorsioni, compreso il rischio di danni emotivi o psicologici, e per salvaguardare la dignità della vittima durante gli interrogatori o le testimonianze. Se necessario, tali misure includono anche procedure istituite ai sensi del diritto nazionale ai fini della protezione fisica della vittima e dei suoi familiari.»
Articolo 19 – Diritto all’assenza di contatti fra la vittima e l'autore del reato
«1. Gli Stati membri instaurano le condizioni necessarie affinché si evitino contatti fra la vittima e i suoi familiari, se necessario, e l'autore del reato nei locali in cui si svolge il procedimento penale, a meno che non lo imponga il procedimento penale.
2. Gli Stati membri provvedono a munire i nuovi locali giudiziari di zone di attesa riservate alle vittime.»
Articolo 21 – Diritto alla protezione della vita privata
«1. Gli Stati membri provvedono a che le autorità competenti possano adottare, nell’ambito del procedimento penale, misure atte a proteggere la vita privata, comprese le caratteristiche personali della vittima rilevate nella valutazione individuale di cui all'articolo 22, e l’immagine della vittima e dei suoi familiari. Gli Stati membri provvedono altresì affinché le autorità competenti possano adottare tutte le misure legali intese ad impedire la diffusione pubblica di qualsiasi informazione che permetta l'identificazione di una vittima minorenne.
2. Per proteggere la vita privata, l’integrità personale e i dati personali della vittima, gli Stati membri, nel rispetto della libertà d'espressione e di informazione e della libertà e del pluralismo dei media, incoraggiano i media ad adottare misure di autoregolamentazione.»
Articolo 22 – Valutazione individuale delle vittime per individuarne le specifiche esigenze di protezione
«1. Gli Stati membri provvedono affinché le vittime siano tempestivamente oggetto di una valutazione individuale, conformemente alle procedure nazionali, per individuare le specifiche esigenze di protezione e determinare se e in quale misura trarrebbero beneficio da misure speciali nel corso del procedimento penale, come previsto a norma degli articoli 23 e 24, essendo particolarmente esposte al rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni.
2. La valutazione individuale tiene conto, in particolare, degli elementi seguenti:
a) le caratteristiche personali della vittima;
b) il tipo o la natura del reato; e
c) le circostanze del reato.
3. Nell'ambito della valutazione individuale è rivolta particolare attenzione alle vittime che hanno subito un notevole danno a motivo della gravità del reato, alle vittime di reati motivati da pregiudizio o discriminazione che potrebbero essere correlati in particolare alle loro caratteristiche personali, alle vittime che si trovano particolarmente esposte per la loro relazione e dipendenza nei confronti dell'autore del reato. In tal senso, sono oggetto di debita considerazione le vittime del terrorismo, della criminalità organizzata, della tratta di esseri umani, della violenza di genere, della violenza nelle relazioni strette, della violenza o dello sfruttamento sessuale o dei reati basati sull'odio e le vittime con disabilità.»
Articolo 23 – Diritto alla protezione delle vittime con esigenze specifiche di protezione nel corso del procedimento penale
«1. Fatti salvi i diritti della difesa e nel rispetto della discrezionalità giudiziale, gli Stati membri provvedono a che le vittime con esigenze specifiche di protezione che si avvalgono delle misure speciali individuate sulla base di una valutazione individuale di cui all'articolo 22, paragrafo 1, possano avvalersi delle misure di cui ai paragrafi 2 e 3 del presente articolo. Una misura speciale prevista a seguito di una valutazione individuale può non essere adottata qualora esigenze operative o pratiche non lo rendano possibile o se vi è urgente bisogno di sentire la vittima e in caso contrario questa o un'altra persona potrebbero subire un danno o potrebbe essere pregiudicato lo svolgimento del procedimento.
2. Durante le indagini penali le vittime con esigenze specifiche di protezione individuate a norma dell'articolo 22, paragrafo 1, possono avvalersi delle misure speciali seguenti:
(...)
b) le audizioni della vittima sono effettuate da o tramite operatori formati a tale scopo;
(...)
3. Durante il procedimento giudiziario le vittime con esigenze specifiche di protezione individuate a norma dell'articolo 22, paragrafo 1, possono avvalersi delle misure seguenti:
a) misure per evitare il contatto visivo fra le vittime e gli autori dei reati, anche durante le deposizioni, ricorrendo a mezzi adeguati fra cui l’uso delle tecnologie di comunicazione;
b) misure per consentire alla vittima di essere sentita in aula senza essere fisicamente presente, in particolare ricorrendo ad appropriate tecnologie di comunicazione;
c) misure per evitare domande non necessarie sulla vita privata della vittima senza rapporto con il reato; e
d) misure che permettano di svolgere l’udienza a porte chiuse.»
IN DIRITTO
I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
70. La ricorrente contesta alle autorità nazionali di non aver protetto il suo diritto al rispetto della vita privata e dell’integrità personale nell’ambito del procedimento penale condotto nel caso di specie. La stessa invoca l’articolo 8 della Convenzione, che recita:
«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata (...).
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»
A. Sulla ricevibilità
I. Sulla regola dei sei mesi
71. Il Governo afferma che la ricorrente non ha presentato il suo ricorso entro il termine di sei mesi a decorrere dalla data della decisione definitiva intervenuta nell’ambito del processo di esaurimento delle vie di ricorso interne, ossia il 20 luglio 2015, e indica, a tale riguardo, che la Corte ha ricevuto il ricorso soltanto il 25 gennaio 2016.
72. La ricorrente afferma di avere spedito il ricorso entro il termine di sei mesi, ossia il 19 gennaio 2016.
73. La Corte osserva che la sentenza della corte d’appello di Firenze è passata in giudicato il 20 luglio 2015. Il termine di sei mesi di cui disponeva l’interessata per presentare il suo ricorso dinanzi alla Corte ai sensi dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione scadeva dunque il 20 gennaio 2016. Ora, la busta contenente il ricorso è stata spedita il 19 gennaio 2016, data del timbro postale.
74. La Corte considera che la data di presentazione del ricorso sia quella del timbro postale (Vasiliauskas c. Lituania [GC], n. 35343/05, § 117, CEDU 2015). Di conseguenza, l’eccezione sollevata dal Governo deve essere respinta.
2. Sull’esaurimento delle vie di ricorso interne
75. Il Governo ritiene che la ricorrente non abbia esaurito le vie di ricorso interne, e spiega che l’interessata non ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della corte d’appello di Firenze e non ha interposto appello avverso la sentenza di primo grado. Il Governo sottolinea che l’articolo 576 del CPP offre un ricorso efficace, che la parte civile può esercitare, anche in assenza di un appello presentato dal pubblico ministero, per ottenere il riconoscimento di un nesso di causalità tra la condotta dell’autore dei fatti e la violazione dei diritti civili della vittima.
76. Il Governo afferma che ciò è dimostrato dal fatto che, in varie sentenze, la Corte di cassazione italiana ha disposto l’annullamento di una decisione di assoluzione e il rinvio della causa dinanzi al giudice civile affinché quest’ultimo deliberasse sulla richiesta di risarcimento danni della parte civile. In queste circostanze, il giudice civile è tenuto ad applicare le norme del diritto penale, soprattutto per quanto riguarda l’onere della prova, per determinare la responsabilità dell’autore dei fatti (sentenze della Corte di cassazione n. 42995 del 2015 e n. 27045 del 2016).
77. Il Governo conclude che la ricorrente, in tal modo, ha rinunciato ad avvalersi del diritto che le offriva la legislazione nazionale di esercitare un tale ricorso per riaffermare dinanzi a un giudice la sua versione dei fatti e contestare sia la decisione di assoluzione degli imputati che le motivazioni, comprese le considerazioni inerenti alla sua vita privata, sulle quali era fondata.
78. Il Governo considera, inoltre, che scegliendo di non interporre appello avverso la sentenza di primo grado nella parte relativa all’assoluzione degli imputati per il reato di violenza sessuale aggravata, la ricorrente abbia implicitamente accettato la ricostruzione dei fatti operata dai giudici. Per quanto riguarda la domanda di presentazione di un ricorso per cassazione trasmessa dalla ricorrente al pubblico ministero (paragrafo 48 supra), il Governo indica che quest’ultima non è stata presentata nelle forme previste dall’articolo 572 del CPP, precisando che il procuratore mantiene in ogni caso la propria autonomia nel decidere se presentare o meno un ricorso.
79. La ricorrente espone, da parte sua, che solo il pubblico ministero può presentare un ricorso avverso una decisione di assoluzione emessa in primo grado o in appello, e la parte civile ha soltanto la possibilità, ai sensi dell’articolo 572 del CPP, di chiedere alla procura di presentare tale ricorso. Pertanto, trasmettendo alla procura la sua memoria, rimasta lettera morta, il 13 luglio 2015, essa avrebbe fatto ricorso all’ultima possibilità offerta dal diritto nazionale di far constatare la responsabilità penale dei suoi aggressori.
80. La ricorrente afferma che un ricorso per cassazione presentato conformemente all’articolo 576 del CPP avrebbe permesso soltanto di riconoscere eventuali elementi di responsabilità civile, ma non avrebbe avuto alcun effetto sull’assoluzione degli imputati per il reato di cui riteneva di essere stata vittima, in quanto il giudice non poteva in nessun caso, in assenza di presentazione di un ricorso da parte della procura, pronunciarsi sugli aspetti penali della decisione impugnata. A tale riguardo, la ricorrente ha prodotto delle sentenze della Corte di cassazione da cui deduce che un ricorso presentato dalla parte civile avverso una decisione di assoluzione deve riguardare necessariamente ed esclusivamente la responsabilità civile dell’autore dei fatti, ossia le richieste di risarcimento nei confronti di quest’ultimo, cosicché un ricorso volto a ottenere che sia riconosciuta la responsabilità penale dell’interessato sarebbe inammissibile in quanto contrario al principio dell’intangibilità del giudicato penale (sentenze della Corte di cassazione n. 41479 del 2011 e n. 23155 del 2012).
81. La ricorrente afferma, inoltre, che la scelta del pubblico ministero di non presentare ricorso per cassazione contro la sentenza della corte d’appello di Firenze l’ha privata di qualsiasi possibilità di ottenere che fosse accertata la responsabilità dei suoi aggressori e, di conseguenza, che le fosse riconosciuta una riparazione appropriata per quanto da lei denunciato.
82. La Corte rammenta che l'obbligo di esaurire le vie di ricorso interne, previsto dall'articolo 35 § 1 della Convenzione, riguarda le vie di ricorso che sono accessibili al ricorrente e che possono porre rimedio alla situazione lamentata da quest'ultimo. Questi ricorsi devono esistere con un sufficiente grado di certezza, non solo in teoria ma anche nella pratica, altrimenti mancherebbero della necessaria accessibilità ed effettività; spetta allo Stato convenuto dimostrare che questi requisiti sono soddisfatti (si veda, tra altre, Vučković e altri c. Serbia (eccezione preliminare) [GC], n. 17153/11, §§ 69-77, 25 marzo 2014).
83. Per potersi pronunciare sulla questione se la ricorrente, nelle circostanze particolari della causa, abbia soddisfatto il requisito dell’esaurimento delle vie di ricorso interne, conviene determinare anzitutto quale sia l’azione o l’omissione delle autorità dello Stato messo in causa che l’interessata intende contestare a quest’ultimo (si veda, tra altre, Ciobanu c. Romania (dec.) n. 29053/95, 20 aprile 1999). La Corte osserva, a tale riguardo, che la doglianza della ricorrente consiste nell’affermare che le autorità non sono riuscite a garantire la protezione effettiva della sua autonomia sessuale, e non hanno adottato misure sufficienti per proteggere il suo diritto alla vita privata e la sua integrità personale nell’ambito del procedimento penale condotto nel caso di specie.
84. La Corte non è convinta dell’argomentazione del Governo secondo la quale la ricorrente avrebbe potuto ottenere una riparazione appropriata per quanto da lei lamentato ricorrendo in appello, e poi in cassazione, conformemente all’articolo 576 del CPP, per ottenere il riconoscimento della responsabilità civile dei suoi presunti aggressori.
85. Essa rammenta che gli obblighi positivi che incombono agli Stati membri ai sensi degli articoli 3 e 8 della Convenzione impongono l’incriminazione e la repressione effettive con misure penali di qualsiasi atto sessuale non consensuale (si vedano, tra altre, M.C. c. Bulgaria, n. 39272/98, § 166, CEDU 2003‑XII, e Y. c. Bulgaria, n. 41990/18, § 95, 20 febbraio 2020).
86. Ora, la Corte constata che, nella sua qualità di parte civile, l’interessata poteva interporre appello avverso la sentenza di condanna di primo grado soltanto nella parte riguardante l’azione civile. Inoltre, in assenza di un ricorso presentato dal procuratore avverso la sentenza della corte d’appello di Firenze, l’assoluzione degli imputati era divenuta definitiva e, pertanto, non poteva essere rimessa in discussione in virtù del principio dell’intangibilità del giudicato penale.
87. Di conseguenza, qualsiasi eventuale ricorso presentato dalla ricorrente in qualità di parte civile ai sensi del diritto nazionale non avrebbe avuto l’effettività necessaria. Pertanto, l’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne sollevata dal Governo deve essere respinta.
3. Sulla qualità di vittima della ricorrente
88. Il Governo afferma che la ricorrente non ha la qualità di vittima, e considera anzitutto che l’interessata non possa lamentare una violazione, nei suoi confronti, dei diritti riconosciuti alle vittime di abusi sessuali, in quanto le giurisdizioni interne hanno escluso, con una decisione divenuta definitiva, l’esistenza di violenza sessuale nei suoi confronti. Il Governo aggiunge che le autorità italiane non si sono rese responsabili verso la ricorrente di alcuna inosservanza degli obblighi positivi derivanti dalla Convenzione e volti a garantire la protezione del diritto alla vita privata. A tale riguardo, il Governo rinvia la Corte alle proprie argomentazioni difensive relative alla fondatezza del ricorso.
89. La ricorrente risponde affermando che il fatto che gli imputati non siano stati condannati all’esito del processo durante il quale essa ritiene che siano stati violati i suoi diritti sanciti dagli articoli 8 e 14 della Convenzione non può incidere sulla nozione di vittima ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.
90. La Corte constata che l’eccezione relativa all’assenza della qualità di vittima formulata dal Governo riguarda in sostanza la questione dell’esistenza o meno di un’offesa all’integrità personale della ricorrente e il suo diritto al rispetto della vita privata. Pertanto, la questione sarà esaminata unitamente al merito delle doglianze.
4. Conclusione
91. Constatando che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.
B. Sul merito
Osservazioni delle parti
a) La ricorrente
92. La ricorrente ritiene che i suoi diritti di vittima presunta non siano stati sufficientemente protetti nell’ambito del procedimento per violenza sessuale avviato contro i suoi presunti aggressori. L’interessata spiega che il procedimento, nel complesso, è stato lungo e penoso. Avrebbe subìto delle ingerenze continue e ingiustificate nella sua vita privata da parte delle autorità, quando invece queste ultime, a suo parere, erano tenute a proteggerla in quanto donna vittima di violenze sessuali e, pertanto, persona vulnerabile. La ricorrente ravvisa in ciò una violazione, da parte dello Stato convenuto, degli obblighi positivi inerenti all’articolo 8 della Convenzione.
93. La ricorrente considera che, sotto vari aspetti, lo Stato italiano non sia riuscito a garantire delle indagini e un’azione penale adeguate, e che, in tal modo, sarebbe stata sottoposta a varie ore di interrogatorio nei locali della polizia e della procura, e poi sentita nel corso delle udienze pubbliche, durante le quali avrebbe dovuto fornire dettagli sulla sua vita sessuale, familiare e personale, esponendosi al giudizio morale di altri. I suoi presunti aggressori non avrebbero dovuto subire lo stesso trattamento.
94. La ricorrente afferma, inoltre, che la corte d’appello ha deciso di assolvere gli imputati basandosi su una valutazione soggettiva delle sue abitudini sessuali e delle sue scelte intime e personali, e in nessun caso su prove oggettive. Fa riferimento alle testimonianze di S.L., L.B. e S.S., che i giudici di primo grado avrebbero ritenuto aver fornito la prova incontestabile dello stato di inferiorità fisica e psicologica in cui diceva di essersi trovata al momento dei fatti, e che la corte d’appello avrebbe tuttavia ignorato, privilegiando le dichiarazioni degli imputati. Secondo la ricorrente, la sentenza della corte d’appello avrebbe rispecchiato una concezione restrittiva e superata della nozione di violenza sessuale, in violazione dei principi fissati dalla Corte nella sua sentenza M.C. c. Bulgaria, sopra citata.
95. La ricorrente deplora, inoltre, che il pubblico ministero abbia respinto la sua richiesta di adire la Corte di cassazione, privandola in tal modo di un’ultima possibilità di beneficiare di un procedimento effettivo, e che l’interrogazione parlamentare rivolta al governo nel 2015 sia rimasta senza risposta.
96. L’interessata sostiene peraltro di essere stata interrogata più volte su dettagli della sua vita privata e sessuale senza alcun rapporto con l’aggressione, ad esempio sulle sue performance artistiche, sui suoi rapporti sessuali – che sarebbe stata invitata a descrivere nei minimi dettagli –, sulla sua scelta di seguire un regime alimentare vegano, e anche sul significato degli pseudonimi utilizzati sui social network per indicarla. La ricorrente considera che tali domande non mirassero a chiarire i fatti ma a dimostrare che il suo stile di vita e i suoi orientamenti sessuali erano «anormali», e afferma che i giudizi di valore dati sulla sua vita privata hanno avuto un’influenza certa sull’esito del processo, e che i giudici hanno scelto di condannare la sua vita privata piuttosto che giudicare i suoi aggressori.
97. La ricorrente aggiunge che durante il dibattimento il presidente del tribunale è dovuto intervenire molte volte per impedire domande tendenziose e per permetterle di riprendersi dalle sue emozioni, il che per lei costituisce una prova del carattere penoso delle sue audizioni piuttosto che una dimostrazione delle attenzioni che le autorità avrebbero avuto nei suoi confronti.
98. L’interessata ritiene anche che le autorità nazionali non abbiano tenuto conto della profonda sofferenza che affermava le era stata causata, che non le abbiano fornito un sostegno psicologico, e che non abbiano adottato delle misure idonee ad assicurare la protezione della sua integrità personale, e afferma che l’unico supporto psicologico di cui ha potuto beneficiare le è stato fornito dal centro Artemisia, specializzato nel sostegno alle donne vittime di violenza, al quale si era rivolta di sua iniziativa dopo i fatti.
99. La ricorrente fa riferimento alla giurisprudenza della Corte relativa alle misure di protezione delle vittime di violenza sessuale, nonché alle disposizioni della Convenzione di Istanbul, che condanna ogni forma di intimidazione e di vittimizzazione secondaria nei confronti delle vittime.
100. Essa lamenta che i giudici che hanno deliberato sulla sua causa hanno stigmatizzato la sua vita personale, familiare e sessuale per fondare le loro decisioni, sia in primo grado, sia, più in particolare, in secondo grado, e considera che, così facendo, tali giudici non abbiano rispettato il diritto nazionale, e più precisamente l’articolo 472, comma 3bis, del CPP, che vieta qualsiasi domanda ingiustificata sulla sessualità della vittima di violenze sessuali. La ricorrente lamenta, peraltro, una violazione del suo diritto alla riservatezza dei suoi dati personali nell’ambito del processo, che è stato pubblico e ampiamente mediatizzato. Per quanto riguarda la facoltà che, secondo il Governo, la ricorrente avrebbe avuto di avvalersi dell’articolo 392 del CPP, quest’ultima afferma che la possibilità per le vittime vulnerabili di essere sentite nell’ambito di un incidente probatorio è stata introdotta soltanto dal decreto legislativo n. 212 del 15 dicembre 2015, entrato in vigore dopo il procedimento in contestazione.
101. In generale, l’interessata critica il quadro legislativo e istituzionale messo in atto in Italia per la protezione delle donne contro la violenza di genere, definendolo insufficiente sotto vari punti di vista a non conforme agli obblighi derivanti dagli strumenti internazionali pertinenti.
b) Il Governo
102. Il Governo sostiene che il procedimento condotto dalle autorità nazionali è stato effettivo e che la sua durata non è stata eccessiva rispetto alla complessità della causa, ed afferma che la procedura di indagine, che è durata nove mesi, è stata avviata rapidamente ed è stata caratterizzata da un’intensa attività. Per quanto riguarda il procedimento giudiziario, il Governo considera che non vi sia stato alcun rallentamento ingiustificato, e fa notare che sono state sentite molte persone, come imputati o come testimoni, e che molti elementi di prova sono stati esaminati durante il dibattimento.
103. Il Governo, del resto, afferma che l’effettività del procedimento è dimostrata dal fatto stesso che l’indagine si sia chiusa con una decisione di rinvio a giudizio dei sospettati e che sia stata emessa una sentenza di condanna in primo grado. L’assoluzione pronunciata successivamente dalla corte d’appello sarebbe soltanto il risultato di un’analisi diversa riguardante la responsabilità degli imputati, che sarebbe stata condotta alla luce di tutte le conclusioni dell’indagine e in applicazione della giurisprudenza della Corte di cassazione circa la possibilità di valutare in maniera frazionata la credibilità delle testimonianze nei procedimenti relativi a violenze sessuali.
104. In queste condizioni, il Governo considera che la doglianza della ricorrente relativa alla mancanza di celerità del procedimento sia generica e non precisata, e aggiunge che la ricorrente non ha suffragato nemmeno le sue affermazioni secondo le quali le modalità con cui sono stati condotti l’indagine e il processo hanno comportato una violazione del suo diritto alla vita privata.
105. Anzitutto, il Governo contesta tutti i riferimenti fatti dalla ricorrente ai testi in materia di protezione delle vittime di violenze fondate sul genere e di violenze sessuali, come la Convenzione di Istanbul o altri strumenti internazionali, che ritiene non pertinenti nel caso di specie. Il Governo sottolinea, a tale riguardo, che la qualità di vittima di violenze sessuali non è stata riconosciuta alla ricorrente dalle autorità giudiziarie competenti e che, inoltre, l’uso di violenza nei suoi confronti è stato escluso in maniera definitiva fin dalla sentenza di primo grado.
106. Inoltre, il Governo afferma che le domande poste alla ricorrente durante l’indagine e il processo non possono essere considerate un’ingerenza sproporzionata o ingiustificata nella sua vita privata, e sostiene che gli inquirenti hanno semplicemente risposto all’intenzione della ricorrente di sporgere denuncia e hanno formulato le domande necessarie alla ricostruzione dei fatti da lei denunciati. Il Governo considera che le autorità si siano limitate a svolgere il loro ruolo di inquirenti imparziali durante le audizioni del 31 luglio e del 16 settembre 2008, e che non abbiano mai interferito nella vita privata della ricorrente, in quanto hanno semplicemente indagato sui fatti evitando qualsiasi giudizio morale.
107. Il Governo ritiene, peraltro, che il procuratore e il presidente del tribunale abbiano avuto, nel corso del dibattimento di primo grado, un atteggiamento rispettoso, tenendo conto della sensibilità della ricorrente, e che siano rimasti costantemente attenti al suo benessere, anche durante i controinterrogatori da parte degli avvocati della difesa, durante i quali il presidente sarebbe intervenuto varie volte allo scopo di impedire qualsiasi domanda tendenziosa e di permettere all’interessata di ritrovare la calma. Il Governo aggiunge che, contrariamente alla causa Y. c. Slovenia (n. 41107/10, CEDU 2015 (estratti)), i controinterrogatori, nel caso di specie, sarebbero stati condotti dagli avvocati degli imputati, in quanto questi ultimi non hanno mai posto le domande direttamente.
108. In ogni caso, il Governo considera che, conformemente all’articolo 392 del CPP, la ricorrente avrebbe potuto chiedere di essere sentita nell’ambito di un incidente probatorio organizzato nel corso delle indagini preliminari e di evitare in tal modo di essere sottoposta a un controinterrogatorio durante il dibattimento.
109. Per quanto riguarda le motivazioni della sentenza della corte d’appello, il Governo afferma che sono conformi alla legge e fondate su una valutazione di tutti gli elementi di prova raccolti nel corso del processo. Tutti gli elementi inerenti alla vita privata della ricorrente, come i suoi precedenti rapporti con L.L., la sua bisessualità o la descrizione della biancheria intima che portava al momento dei fatti, sarebbero stati citati dalla corte d’appello soltanto allo scopo di fornire la descrizione più esaustiva possibile dello svolgimento della serata del 25 luglio 2008 e, al tempo stesso, di evidenziare le incoerenze che poteva contenere la versione dei fatti dell’interessata, permettendo in tal modo una valutazione della sua credibilità. Del resto, nella sua sentenza di assoluzione degli imputati dal capo di accusa principale, ossia quello di stupro commesso con violenza, il tribunale avrebbe già rilevato tali incoerenze. Non interponendo appello avverso questa parte della sentenza, la ricorrente avrebbe perciò rinunciato a contestare le conclusioni relative all’attendibilità della sua versione dei fatti, e avrebbe implicitamente accettato la presentazione dei fatti fornita dagli imputati.
110. Il Governo afferma che la corte d’appello ha constatato la mancanza di credibilità della ricorrente basandosi su vari elementi oggettivi, come i risultati degli esami scientifici eseguiti sull’auto e sui vestiti dei vari protagonisti, le ricerche delle tracce di DNA, il referto dell’esame ginecologico, l’esame dei tabulati telefonici e la determinazione dei diversi terminali attivati, e dopo avere escluso la possibilità di una valutazione frazionata delle dichiarazioni della ricorrente alla luce della giurisprudenza in materia. In queste condizioni, il Governo ritiene che i riferimenti fatti alla personalità complessa, disinibita e creativa della ricorrente fossero volti a contestualizzare le argomentazioni dell’accusa in maniera rigorosa, al di fuori di qualsiasi giudizio morale e senza che si possa parlare di una ingerenza ingiustificata nella vita privata dell’interessata.
111. Il Governo considera che, alla luce del contesto della causa, il procuratore della Repubblica abbia giustamente deciso di non presentare ricorso per cassazione contro la sentenza della corte d’appello, spiegando che un tale ricorso non avrebbe avuto alcuna base giuridica né alcuna possibilità di esito positivo.
112. Il Governo, inoltre, respinge tutte le affermazioni secondo le quali la ricorrente avrebbe subìto una «vittimizzazione secondaria» da parte delle autorità giudiziarie nell’ambito del processo. La semplice lettura dei verbali delle udienze dimostra a suo parere che l’approccio del procuratore e del presidente del tribunale è stato caratterizzato da sensibilità durante tutte le audizioni della ricorrente e che quest’ultima non ha dovuto subire inutili umiliazioni. Il Governo considera significativo, a questo riguardo, il fatto che la ricorrente non abbia dimostrato, né dinanzi al tribunale né dinanzi alla corte d’appello, il danno esistenziale e/o fisico che affermava di avere subìto.
113. Il Governo aggiunge che le autorità giudiziarie erano chiamate a giudicare delle persone imputate di un grave reato, ed erano pertanto tenute a valutare in maniera rigorosa qualsiasi elemento inerente alla credibilità della ricorrente e alla condizione di inferiorità fisica e psicologica in cui diceva di essersi trovata al momento dei fatti. Il rigore sarebbe stato ancora più necessario da parte dei giudici d’appello in quanto il tribunale aveva assolto in maniera definitiva gli imputati per il reato di stupro commesso con violenza – e D.S. da tutti i capi di imputazione – evidenziando le incoerenze nella versione dei fatti della ricorrente e ritenendo che sollevassero dubbi sulla sua credibilità.
114. Il Governo si riferisce a questo riguardo al dovere di protezione dei diritti degli imputati sanciti dell’articolo 6 della Convenzione e afferma che la valutazione della personalità di un testimone o di una vittima di violenze sessuali è ammessa dal diritto nazionale laddove necessaria per valutarne la credibilità e la versione dei fatti.
115. Infine, il Governo indica che la ricorrente avrebbe potuto evitare la pubblicità del dibattimento chiedendo al tribunale, sulla base dell’articolo 472, comma 3bis, del CPP, di procedere a porte chiuse, e ritiene che l’interessata sia stata adeguatamente seguita sul piano psicologico per tutta la durata del procedimento.
116. In conclusione, il Governo ritiene che non possa essere rivolta alcuna critica alle autorità per quanto riguarda il modo in cui il procedimento è stato complessivamente condotto e il rispetto degli obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione.
2. Valutazione della Corte
117. La Corte osserva che l’articolo 8, così come l’articolo 3, impone agli Stati l’obbligo positivo di adottare delle disposizioni penali che incriminino e puniscano in maniera effettiva qualsiasi atto sessuale non consensuale, anche quando la vittima non ha opposto resistenza fisica, e di mettere concretamente in atto tali disposizioni mediante la conduzione di indagini e di procedimenti effettivi (M.C. c. Bulgaria, sopra citata, §§ 153 e 166).
118. Essa rammenta, inoltre, che l’obbligo positivo che incombe allo Stato in virtù dell’articolo 8 di proteggere l’integrità fisica dell’individuo richiede, in casi così gravi come la violenza sessuale, delle disposizioni penali efficaci e può estendersi, pertanto, alle questioni inerenti all’effettività dell’indagine penale condotta ai fini dell’attuazione di tali disposizioni (M.N. c. Bulgaria, n. 3832/06, § 40, 27 novembre 2012). Per quanto riguarda l’obbligo di condurre un’indagine effettiva, la Corte rammenta che si tratta di un obbligo di mezzi e non di risultato. Anche se tale esigenza non impone che ogni procedimento penale debba chiudersi con una condanna, o addirittura con la pronuncia di una pena determinata, gli organi giudiziari non devono in ogni caso dimostrarsi disposti a lasciare impunite delle violazioni dell’integrità fisica e morale delle persone, per preservare la fiducia del cittadino nel rispetto del principio di legalità e per evitare qualsiasi parvenza di complicità o di tolleranza di atti illegali. Un’esigenza di celerità e di diligenza ragionevole è ugualmente implicita in questo contesto. Indipendentemente dall’esito del procedimento, i meccanismi di protezione previsti nel diritto interno devono funzionare in pratica entro termini ragionevoli che permettano di concludere l’esame sul merito delle cause concrete sottoposte alle autorità (si vedano, tra altre, M.N. c. Bulgaria, sopra citata, §§ 46-49 e N.Ç. c. Turchia, n. 40591/11, § 96, 9 febbraio 2021).
119. Inoltre, la Corte ha già affermato che i diritti delle vittime di reati che sono parti in un procedimento penale generalmente rientrano nell’articolo 8 della Convenzione. A tale riguardo, la Corte rammenta che, anche se l’articolo 8 ha essenzialmente lo scopo di premunire l’individuo contro le ingerenze arbitrarie delle autorità pubbliche, esso non si limita a imporre allo Stato di astenersi da tali ingerenze: a questo impegno negativo possono aggiungersi degli obblighi positivi inerenti a un rispetto effettivo della vita privata o familiare. Tali obblighi possono implicare l’adozione di misure che mirano al rispetto della vita privata finanche nelle relazioni tra gli individui (X e Y c. Paesi Bassi, 26 marzo 1985, § 23, serie A n. 91). Di conseguenza, gli Stati contraenti devono organizzare la loro procedura penale in modo tale da non mettere indebitamente in pericolo la vita, la libertà o la sicurezza dei testimoni, in particolare quelle delle vittime chiamate a deporre. Gli interessi della difesa devono dunque essere bilanciati con quelli dei testimoni o delle vittime chiamate a testimoniare (Doorson c. Paesi Bassi, 26 marzo 1996, § 70, Recueil des arrêts et décisions 1996‑II). Inoltre, i procedimenti penali relativi a reati di carattere sessuale sono spesso vissuti come una prova da parte della vittima, soprattutto quando quest’ultima viene messa a confronto con l’imputato contro la sua volontà, e nelle cause in cui è coinvolto un minore (S.N. c. Svezia, n. 34209/96, § 47, CEDU 2002‑V, e Aigner c. Austria, n. 28328/03, § 35, 10 maggio 2012). Di conseguenza, nell'ambito di procedimenti penali di questo tipo, possono essere adottate delle misure di protezione particolari a tutela delle vittime (Y. c. Slovenia, sopra citata, §§ 103 e 104). Le disposizioni in questione implicano una presa in carico adeguata della vittima durante il procedimento penale, allo scopo di proteggerla da una vittimizzazione secondaria (Y. c. Slovenia, sopra citata, §§ 97 e 101, A e B c. Croazia, n. 7144/15, § 121, 20 giugno 2019, e N.Ç. c. Turchia, sopra citata, § 95).
120. La Corte osserva che tutti questi obblighi positivi derivano anche da disposizioni di altri strumenti internazionali (paragrafi 63, 64, 65 e 69 supra). La Corte rammenta in particolare che la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica impone l'obbligo, per le Parti contraenti, di adottare le misure legislative e di altro tipo necessarie per proteggere i diritti e gli interessi delle vittime, in particolare per mettere le vittime al riparo dai rischi di intimidazione e di nuova vittimizzazione, per permettere loro di essere sentite e di presentare i loro punti di vista, le loro necessità e le loro preoccupazioni e ottenerne l'esame, e infine per dare loro la possibilità, se il diritto interno applicabile lo autorizza, di testimoniare senza che il presunto autore del reato sia presente. Inoltre, la direttiva europea del 25 ottobre 2012 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato dispone che le vittime di violenze fondate sul genere beneficiano di misure speciali di protezione in quanto sono particolarmente esposte al rischio di vittimizzazione secondaria, di intimidazione e di ritorsioni.
121. Passando a esaminare le circostanze della presente causa, la Corte osserva anzitutto che il diritto italiano sanziona penalmente la violenza sessuale, che sia commessa mediante violenza, minaccia, abuso di autorità, o abusando della condizione di inferiorità della vittima o con l’inganno. Inoltre, il codice penale prevede il reato autonomo, punito in maniera più severa, di violenza sessuale di gruppo (paragrafi 52-54 supra). Non si può dunque attribuire allo Stato italiano l'assenza di un quadro legislativo di protezione dei diritti delle vittime di violenze sessuali.
122. Pertanto, si deve determinare se la ricorrente abbia beneficiato di una protezione effettiva dei suoi diritti di vittima presunta, e se il meccanismo previsto dal diritto penale italiano, nel caso di specie, sia stato lacunoso a tal punto da comportare una violazione degli obblighi positivi che incombevano allo Stato convenuto. La Corte non deve andare oltre. Essa non è chiamata a pronunciarsi su presunti errori od omissioni particolari dell'indagine; non può sostituirsi alle autorità interne nella valutazione dei fatti di causa; non può nemmeno decidere sulla responsabilità penale dei presunti aggressori (M.C. c. Bulgaria, sopra citata, § 168).
123. Per quanto riguarda l'effettività dell'indagine, la Corte constata anzitutto che le autorità, facendo seguito alla segnalazione del centro antiviolenza di Careggi, al quale la ricorrente si era rivolta, hanno avviato d'ufficio un'indagine quattro giorni dopo i fatti. La ricorrente è stata sentita senza ritardo e i sette uomini messi in causa dalle sue dichiarazioni sono stati subito sottoposti a custodia cautelare, compreso D.S., la cui implicazione nei fatti è stata successivamente esclusa nel corso del procedimento. Si è poi svolta una procedura di indagine, durata nove mesi, al termine della quale i sospettati sono stati rinviati a giudizio. In particolare, gli inquirenti hanno organizzato una procedura di identificazione dei sospettati ed effettuato varie perizie tecniche, soprattutto allo scopo di ritrovare tracce biologiche nella macchina e sui vestiti della ricorrente, e di ricostruire i suoi spostamenti e quelli dei sospettati per mezzo, tra l'altro, dell'esame dei tabulati telefonici e dei terminali attivati dai telefoni degli interessati (paragrafi 14 e 15 supra). Successivamente, durante il dibattimento, sono stati sentiti molti testimoni citati dalle parti, nonché alcuni periti, i sette imputati e la ricorrente. Complessivamente, il procedimento penale è durato circa sette anni per due gradi di giudizio.
124. Tenuto conto di tutti gli elementi del procedimento, la Corte non può considerare che le autorità abbiano dimostrato passività o che siano venute meno al dovere di diligenza e alle esigenze di celerità richiesti nella valutazione di tutte le circostanze della causa (si veda, a contrario, tra altre, M.N. c. Bulgaria, sopra citata, § 49). A questo proposito, la Corte rammenta che il rispetto dell'obbligo procedurale deve essere valutato sulla base di vari parametri fondamentali, come l'avvio rapido di un'indagine non appena i fatti sono stati portati a conoscenza delle autorità, la capacità dell'indagine di analizzare meticolosamente in maniera obiettiva e imparziale tutti gli elementi pertinenti, di condurre all'accertamento dei fatti e di permettere di individuare i responsabili e – se del caso – di sanzionarli. Questi parametri sono tra loro collegati e ciascuno di essi, considerato separatamente, non è fine a sé stesso. Si tratta di criteri che, considerati congiuntamente, permettono di valutare il livello di effettività dell’indagine (S.M. c. Croazia, [GC], n. 60561/14, §§ 312-320, 25 giugno 2020, e N.Ç. c. Turchia, sopra citata, § 97).
125. La Corte osserva, del resto, che la ricorrente non sostiene che la gestione dell'indagine sia stata caratterizzata da lacune e ritardi evidenti o che le autorità abbiano omesso di compiere degli atti istruttori. Ciò che afferma l'interessata, è che le modalità con cui sono stati condotti l'indagine e il processo sono state traumatiche per lei, e che l'atteggiamento delle autorità nei suoi confronti ha leso la sua integrità personale. La ricorrente lamenta, in particolare, le condizioni in cui è stata interrogata per tutta la durata del procedimento penale, e contesta le argomentazioni sulle quali si sono fondati i giudici per emettere le loro decisioni nel caso di specie.
a) Le audizioni della ricorrente
126. Per quanto riguarda le audizioni della ricorrente, la Corte osserva anzitutto che le autorità giudiziarie si trovavano di fronte a due versioni contraddittorie dei fatti, e che gli elementi di prova diretti di cui disponevano consistevano in sostanza nelle dichiarazioni fatte dalla ricorrente in qualità di testimone. Essa osserva anche che il referto dell'esame ginecologico e le conclusioni delle numerose perizie tecniche condotte dagli inquirenti avevano evidenziato varie contraddizioni nella narrazione dei fatti resa dalla ricorrente nella sua qualità di testimone principale (paragrafi 31-32 supra).
127. In queste condizioni, la Corte considera che l’esigenza di equità del processo imponesse di dare alla difesa la possibilità di controinterrogare la ricorrente nella sua qualità di principale testimone a carico, dato che quest'ultima non era minorenne e non si trovava in una situazione di vulnerabilità particolare che richiedesse misure di maggiore protezione (si veda, mutatis mutandis, B. c. Romania, n. 42390/07, §§ 50 e 57, 10 gennaio 2012). La Corte rammenta a questo proposito che l'esistenza di due versioni inconciliabili dei fatti deve assolutamente condurre a una valutazione della credibilità delle dichiarazioni ottenute dalle due parti alla luce delle circostanze del caso di specie, che devono essere debitamente verificate (si veda, mutatis mutandis, M.C. c. Bulgaria, sopra citata, § 177).
128. Rimane comunque il fatto che la Corte deve stabilire se le autorità interne siano riuscite a garantire un giusto equilibrio tra gli interessi della difesa, soprattutto il diritto degli imputati di far citare e di interrogare i testimoni di cui all'articolo 6 § 3, e i diritti riconosciuti alla vittima presunta dall'articolo 8. Il modo in cui la vittima presunta di reati di natura sessuale viene interrogata deve permettere di garantire un giusto equilibrio tra l'integrità personale e la dignità di quest'ultima e i diritti della difesa garantiti agli imputati. Anche se l'imputato deve potersi difendere contestando la credibilità della vittima presunta ed evidenziando eventuali incoerenze nella sua deposizione, il contro interrogatorio non deve essere utilizzato come un mezzo per intimidire o umiliare quest'ultima (Y. c. Slovenia, sopra citata, § 108).
129. La Corte constata anzitutto che in nessun momento, né durante le indagini preliminari né nel corso del processo, vi è stato un confronto diretto tra la ricorrente e gli autori presunti delle violenze che essa denunciava. Per quanto riguarda gli interrogatori ai quali la ricorrente è stata sottoposta durante le indagini preliminari, la Corte osserva che l'interessata è stata sentita dalla polizia due volte, ossia il 30 luglio 2008 a Firenze, quando gli agenti raccolsero le sue prime dichiarazioni e registrarono la sua denuncia, e il 31 luglio 2008 a Ravenna, città nella quale la ricorrente si trovava in vacanza, quando quest'ultima fu invitata a identificare i sospettati per mezzo di fotografie. Inoltre, il 16 settembre 2008 l'interessata fu convocata dalla procura, che la interrogò e ordinò successivamente che fossero condotti degli atti di indagine supplementari.
130. La Corte ha esaminato i verbali delle audizioni; essa non ha ravvisato né un atteggiamento irrispettoso o intimidatorio da parte delle autorità di indagine, né degli atti volti a scoraggiare la ricorrente o a orientare il seguito delle indagini. La Corte ritiene che le domande poste alla ricorrente fossero pertinenti e mirassero a ottenere una ricostruzione dei fatti che tenesse conto delle sue argomentazioni e dei suoi punti di vista, e a permettere di costituire un fascicolo istruttorio completo ai fini del proseguimento dell'azione giudiziaria. Sebbene siano state senz'altro dolorose per la ricorrente, vista la situazione, non si può considerare che le modalità delle audizioni condotte durante l'indagine abbiano esposto l'interessata a un trauma ingiustificato o a ingerenze sproporzionate nella sua vita intima e privata.
131. Per quanto riguarda il processo, la ricorrente è stata interrogata alle udienze dell'8 febbraio e del 13 marzo 2011. La Corte osserva, a questo proposito, che quest'ultima avrebbe potuto avvalersi dell'articolo 392 del CPP in vigore all'epoca dei fatti, e chiedere di essere interrogata nell'ambito di un incidente probatorio, ossia un'udienza ad hoc tenuta in camera di consiglio (paragrafo 55 supra). Invece, poiché la ricorrente non era minorenne e non aveva chiesto l'udienza a porte chiuse ai sensi dell'articolo 472 del CPP, il dibattimento si è svolto pubblicamente. In ogni caso, il presidente del tribunale ha deciso di vietare ai giornalisti presenti in aula di filmare il processo, soprattutto allo scopo di proteggere l'intimità della ricorrente. Inoltre, è intervenuto varie volte nel corso dei controinterrogatori dell'interessata, interrompendo gli avvocati della difesa quando facevano domande ridondanti o di natura personale, o quando affrontavano argomenti senza rapporto con i fatti. Il presidente ha anche ordinato delle brevi sospensioni di udienza per permettere alla ricorrente di riprendersi dalle sue emozioni.
132. La Corte non dubita che il procedimento, nel suo complesso, sia stato vissuto dalla ricorrente come una prova particolarmente penosa, tanto più che l'interessata ha dovuto ripetere la sua testimonianza molte volte, e soprattutto per un periodo superiore a due anni, per rispondere alle domande poste via via dagli inquirenti, dalla procura e dagli otto avvocati della difesa. La Corte osserva, peraltro, che questi ultimi non hanno esitato, per minare la credibilità della ricorrente, a interrogarla su questioni personali relative alla sua vita familiare, ai suoi orientamenti sessuali e alle sue scelte intime, a volte senza alcun rapporto con i fatti, il che è decisamente contrario non soltanto ai principi di diritto internazionale in materia di protezione dei diritti delle vittime di violenze sessuali, ma anche al diritto penale italiano (paragrafo 57 supra).
133. Tuttavia, tenuto conto dell'atteggiamento adottato dal pubblico ministero e dal presidente del tribunale, così come delle misure adottate da quest'ultimo per proteggere l'intimità dell'interessata allo scopo di impedire agli avvocati della difesa di denigrarla o di turbarla inutilmente durante i controinterrogatori, la Corte non può imputare alle autorità pubbliche incaricate del procedimento la responsabilità della prova particolarmente penosa vissuta dalla ricorrente, né considerare che queste ultime abbiano omesso di vigilare a che l’integrità personale dell'interessata fosse adeguatamente protetta durante lo svolgimento del processo (a contrario, Y. c. Slovenia, sopra citata, § 109).
b) Il contenuto delle decisioni giudiziarie
134. La Corte deve ora accertare se il contenuto delle decisioni giudiziarie adottate nell'ambito del processo della ricorrente e il ragionamento su cui si è fondata l'assoluzione degli imputati abbiano leso il diritto dell'interessata al rispetto della sua vita privata e alla sua libertà sessuale e se l'abbiano esposta a una vittimizzazione secondaria.
135. Per quanto riguarda la motivazione delle decisioni giudiziarie, la Corte rammenta ancora una volta che il suo ruolo non è quello di pronunciarsi sulle deduzioni di errori particolari commessi dalle autorità, né quello di pronunciarsi sulla responsabilità penale dei presunti aggressori. Di conseguenza, essa non si sostituirà alle autorità interne nella valutazione dei fatti della causa. Invece, le spetta stabilire se il ragionamento seguito dai giudici e gli argomenti utilizzati abbiano o meno costituito un ostacolo al diritto della ricorrente al rispetto della sua vita privata e della sua integrità personale e se ciò abbia comportato una violazione degli obblighi positivi inerenti all'articolo 8 della Convenzione (si vedano, mutatis mutandis, Sanchez Cardenas c. Norvegia, n. 12148/03, §§ 33-39, 4 ottobre 2007, e Carvalho Pinto de Sousa Morais c. Portogallo, n. 17484/15, §§ 33-36, 25 luglio 2017).
136. Ora, la Corte ha rilevato diversi passaggi della sentenza della corte d'appello di Firenze che evocano la vita personale e intima della ricorrente e che ledono i diritti di quest'ultima derivanti dall'articolo 8. In particolare, la Corte ritiene ingiustificati i riferimenti fatti dalla corte d'appello alla biancheria intima rossa «mostrata» dalla ricorrente nel corso della serata, nonché i commenti concernenti la bisessualità dell'interessata, le relazioni sentimentali e i rapporti sessuali occasionali di quest'ultima prima dei fatti (paragrafi 41 e 42 supra). Analogamente, la Corte ritiene inappropriate le considerazioni relative all'«atteggiamento ambivalente nei confronti del sesso» della ricorrente, che la corte d'appello deduce tra l'altro dalle decisioni dell'interessata in materia artistica. Così, la corte d'appello cita tra queste decisioni dubbie la scelta di accettare di partecipare al cortometraggio di L.L. nonostante il suo carattere violento ed esplicitamente sessuale (paragrafo 46 supra) senza tuttavia – e giustamente – che il fatto di aver scritto e diretto il suddetto cortometraggio sia in alcun modo commentato o considerato rivelatore dell'atteggiamento di L.L. nei confronti del sesso. Inoltre, la Corte ritiene che il giudizio sulla decisione della ricorrente di denunciare i fatti, che secondo la corte d'appello sarebbe risultato da una volontà di «stigmatizzare» e di rimuovere un «momento criticabile di fragilità e di debolezza», così come il riferimento alla «vita non lineare» dell'interessata (ibidem), siano ugualmente deplorevoli e fuori luogo.
137. La Corte ritiene, diversamente dal Governo, che i suddetti argomenti e considerazioni della corte d'appello non fossero né utili per valutare la credibilità della ricorrente, questione che avrebbe potuto essere esaminata alla luce dei numerosi risultati oggettivi della procedura, né determinanti per la risoluzione del caso (si veda, mutatis mutandis, Sanchez Cardenas, sopra citata, § 37).
138. La Corte riconosce che, nella fattispecie, la questione della credibilità della ricorrente era particolarmente cruciale, ed è disposta ad ammettere che il fatto di fare riferimento alle sue relazioni passate con determinati imputati o ad alcuni suoi comportamenti nel corso della serata poteva essere giustificato. Tuttavia, essa non vede in che modo la condizione familiare della ricorrente, le sue relazioni sentimentali, i suoi orientamenti sessuali o ancora le sue scelte di abbigliamento nonché l'oggetto delle sue attività artistiche e culturali potevano essere pertinenti per la valutazione della credibilità dell'interessata e della responsabilità penale degli imputati. Pertanto, non si può ritenere che le suddette violazioni della vita privata e dell'immagine della ricorrente fossero giustificate dalla necessità di garantire i diritti della difesa degli imputati.
139. La Corte ritiene che gli obblighi positivi di proteggere le presunte vittime di violenza di genere impongano anche il dovere di proteggere l'immagine, la dignità e la vita privata di queste ultime, anche attraverso la non divulgazione di informazioni e dati personali senza alcun rapporto con i fatti. Questo obbligo è, peraltro, inerente alla funzione giudiziaria e deriva dal diritto nazionale (paragrafi 57 e 62 supra) nonché da vari testi internazionali (paragrafi 65, 68 e 69 supra). In tal senso, la facoltà per i giudici di esprimersi liberamente nelle decisioni, che è una manifestazione del potere discrezionale dei magistrati e del principio dell'indipendenza della giustizia, è limitata dall'obbligo di proteggere l'immagine e la vita privata dei singoli da ogni violazione ingiustificata.
140. La Corte osserva peraltro che il settimo rapporto sull'Italia del Comitato delle Nazioni Unite per l'eliminazione della discriminazione nei confronti delle donne e il rapporto del GREVIO, hanno constatato il persistere di stereotipi riguardanti il ruolo delle donne e la resistenza della società italiana alla causa della parità dei sessi. Inoltre, sia il suddetto Comitato delle Nazioni Unite che il GREVIO hanno segnalato il basso tasso di procedimenti penali e di condanne in Italia, il che rappresenta al tempo stesso la causa di una mancanza di fiducia delle vittime nel sistema giudiziario penale e la ragione del basso tasso di segnalazione di questo tipo di delitti nel paese (paragrafi 64-66 supra). Ora, la Corte ritiene che il linguaggio e gli argomenti utilizzati dalla corte d'appello veicolino i pregiudizi sul ruolo della donna che esistono nella società italiana e che possono ostacolare una protezione effettiva dei diritti delle vittime di violenza di genere nonostante un quadro legislativo soddisfacente (si veda, mutatis mutandis, Carvalho Pinto de Sousa Morais, sopra citata, § 54).
141. La Corte è convinta che le azioni giudiziarie e le sanzioni penali svolgano un ruolo cruciale nella risposta istituzionale alla violenza di genere e nella lotta contro la disuguaglianza di genere. È pertanto essenziale che le autorità giudiziarie evitino di riprodurre stereotipi sessisti nelle decisioni giudiziarie, di minimizzare la violenza di genere e di esporre le donne a una vittimizzazione secondaria utilizzando affermazioni colpevolizzanti e moralizzatrici atte a scoraggiare la fiducia delle vittime nella giustizia.
142. Di conseguenza, pur riconoscendo che le autorità nazionali hanno vigilato nel caso di specie affinché l'inchiesta e il dibattimento fossero condotti nel rispetto degli obblighi positivi derivanti dall'articolo 8 della Convenzione, la Corte ritiene che i diritti e gli interessi della ricorrente derivanti dall'articolo 8 non siano stati adeguatamente protetti alla luce del contenuto della sentenza della corte d'appello di Firenze. Ne consegue che le autorità nazionali non hanno protetto la ricorrente da una vittimizzazione secondaria durante tutto il procedimento, di cui la redazione della sentenza costituisce una parte integrante della massima importanza tenuto conto, in particolare, del suo carattere pubblico.
143. Pertanto, la Corte respinge l'eccezione del Governo relativa alla mancanza di qualità di vittima della ricorrente e conclude che, nella fattispecie, vi è stata violazione degli obblighi positivi derivanti dall'articolo 8 della Convenzione.
II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE
144. La ricorrente lamenta anche di avere subìto una discriminazione fondata sul sesso, affermando che l’assoluzione dei suoi aggressori e l'atteggiamento negativo delle autorità nazionali durante il procedimento penale derivano da pregiudizi sessisti. La stessa invoca l'articolo 14 della Convenzione in combinato disposto con l'articolo 8.
L'articolo 14 è così formulato:
«Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella (…) Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.»
145. Invocando, in particolare, la risposta rapida e minuziosa che le autorità competenti avrebbero dato alla denuncia dell'interessata per violenza sessuale, il Governo afferma che quest'ultima non è stata vittima di alcun trattamento discriminatorio.
146. La Corte constata che questa doglianza è legata a quella sopra esaminata, e deve pertanto essere dichiarata ricevibile.
147. Tenuto conto della conclusione alla quale è giunta dal punto di vista dell'articolo 8 e del ragionamento elaborato a tale riguardo (paragrafi 135-143 supra), la Corte ritiene inutile esaminare la questione se vi sia stata, nella fattispecie, anche una violazione dell'articolo 14 (si veda, tra altri precedenti, M.C. c. Bulgaria, sopra citata).
III. SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
148. Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»
A. Danno
149. La ricorrente chiede una somma di 80.000 euro (EUR) per il danno morale che ritiene di avere subìto, e un’ulteriore somma di 30.000 EUR per danno materiale. A tale riguardo, la stessa chiede in particolare il rimborso delle spese mediche e di trasporto che avrebbe sostenuto per curare i disturbi psicologici che afferma siano risultati dai fatti della causa, delle spese universitarie che avrebbe dovuto sostenere quando, a causa delle sue difficoltà psicologiche, avrebbe perso la borsa di studio che percepiva, nonché del costo del trasloco che avrebbe effettuato per allontanarsi dai suoi aggressori.
150. Il Governo contesta le richieste formulate dalla ricorrente.
151. La Corte non vede alcun nesso di causalità tra la violazione constatata e il danno materiale dedotto, e respinge pertanto la domanda formulata a questo titolo. La Corte ritiene, invece, che la ricorrente debba aver provato angoscia e subìto un trauma psicologico a causa, almeno in parte, delle lacune della mancata attuazione nei suoi confronti, da parte delle autorità, delle misure di protezione dei diritti delle vittime presunte di violenze sessuali. Deliberando in via equitativa, la Corte le accorda la somma di 12.000 EUR per danno morale.
B. Spese
152. La ricorrente chiede la somma di 25.600 EUR per le spese che afferma di avere sostenuto nell'ambito del procedimento condotto dinanzi alla Corte.
153. Il Governo considera che la ricorrente non abbia dimostrato di avere realmente sostenuto le spese in questione.
154. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei criteri sopra menzionati, la Corte ritiene ragionevole accordare alla ricorrente la somma di 1.600 EUR per il procedimento dinanzi ad essa.
C. Interessi moratori
155. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE,
Unisce al merito, all’unanimità, l’eccezione preliminare del Governo relativa alla qualità di vittima e la respinge;
Dichiara, all’unanimità, il ricorso ricevibile;
Dichiara, con sei voti contro uno, che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
Dichiara, all’unanimità, non doversi esaminare la doglianza formulata dal punto di vista dell’articolo 14 della Convenzione;
Dichiara, con sei voti contro uno,che lo Stato convenuto deve versare alla ricorrente, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all'articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i. 12.000 EUR (dodicimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale somma, per danno morale;
ii. 1.600 EUR (milleseicento euro), più l’importo eventualmente dovuto dalla ricorrente a titolo di imposta su tale somma, per le spese;
che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
6. Respinge, all’unanimità, la domanda di equa soddisfazione per il resto.
Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 27 maggio 2021, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.
Liv Tigerstedt
Cancelliere aggiunto
Ksenija Turković
Presidente
Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione dell’opinione separata del giudice Wojtyczek.
K.T.U.
L.T.
OPINIONE DISSENZIENTE DEL GIUDICE WOJTYCZEK
1. Non posso condividere l'opinione della maggioranza secondo cui vi è stata violazione dell'articolo 8 della Convenzione nella presenta causa.
2. La ricorrente contesta, in particolare, il contenuto delle decisioni emesse nella sua causa dai giudici nazionali. La maggioranza pone questo problema nel modo seguente nel paragrafo 134 della sentenza:
«La Corte deve ora accertare se il contenuto delle decisioni giudiziarie adottate nell'ambito del processo della ricorrente e il ragionamento su cui si è fondata l'assoluzione degli imputati abbiano leso il diritto dell'interessata al rispetto della sua vita privata e alla sua libertà sessuale e se l'abbiano esposta a una vittimizzazione secondaria.»
Dalla motivazione della presente sentenza (paragrafi 135-141) deriva che il contenuto delle decisioni giudiziarie è percepito – a giusto titolo – come un'ingerenza nella sfera della vita privata della ricorrente protetta dall'articolo 8 della Convenzione. Logicamente, la violazione constatata dalla maggioranza avrebbe dovuto essere una violazione degli obblighi negativi derivanti dall'articolo 8 della Convenzione. Tuttavia, al paragrafo 143 la maggioranza «conclude che nella fattispecie vi è stata violazione degli obblighi positivi derivanti dall'articolo 8 della Convenzione» (corsivo aggiunto). È difficile condividere un simile approccio.
3. La maggioranza esprime nel paragrafo 142 il seguente punto di vista:
«Di conseguenza, pur riconoscendo che le autorità nazionali hanno vigilato nel caso di specie affinché l'inchiesta e il dibattimento fossero condotti nel rispetto degli obblighi positivi derivanti dall'articolo 8 della Convenzione, la Corte ritiene che i diritti e gli interessi della ricorrente derivanti dall'articolo 8 non siano stati adeguatamente protetti alla luce del contenuto della sentenza della corte d'appello di Firenze. Ne consegue che le autorità nazionali non hanno protetto la ricorrente da una vittimizzazione secondaria durante tutto il procedimento, di cui la redazione della sentenza costituisce una parte integrante della massima importanza tenuto conto, in particolare, del suo carattere pubblico.»
Noto che la seconda frase di questo paragrafo, che afferma che le autorità nazionali non hanno protetto la ricorrente da una vittimizzazione secondaria durante tutto il procedimento, è in contraddizione logica con la prima frase, che dichiara che le autorità nazionali hanno vigilato nel caso di specie affinché l'inchiesta e il dibattimento fossero condotti nel rispetto degli obblighi positivi derivanti dall'articolo 8 della Convenzione.
4. La presente causa, per la sua stessa essenza, tocca la sfera di vita più intima della ricorrente e degli imputati. I giudici nazionali dovevano stabilire circostanze fattuali di grande complessità che, per loro natura, rientrano nella vita privata, e valutare la questione del consenso della presunta vittima. Essi dovevano inoltre, e in primo luogo, definire il «perimetro» delle circostanze pertinenti della causa. Esercitando il proprio potere in materia, la corte d'appello di Firenze ha ritenuto che, per esaminare la causa penale, fosse indispensabile stabilire alcuni elementi fattuali appartenenti ad un contesto più ampio, che comprendeva degli eventi che hanno preceduto o fatto seguito agli atti in questione, oggetto dei capi di imputazione. Inoltre, la corte d'appello doveva – volens nolens – valutare i fatti della causa nel loro specifico contesto culturale, quello della società italiana di oggi.
Occorre notare che la corte d'appello di Firenze, nella motivazione della sua sentenza, ha iniziato l'esame delle questioni giuridiche sollevate in appello con la seguente spiegazione:
«La vicenda deve essere scremata innanzitutto dal deviante contorno inquinato dall'impatto emozionale e mediatico che evidentemente ha connotato i fatti nell'immediatezza, perché nel caso che qui occupa, al di là di giudizi moralistici o pregiudizi etici, l'unica attenzione da porre, seguendo il rigore della impugnata sentenza, è quella al reato contestato ed alla sussistenza dei suoi connotati essenziali, soggettivi e oggettivi.»
L'approccio del giudice nazionale non appare viziato da arbitrarietà. Le affermazioni contestate devono essere lette nel contesto di tutti gli argomenti sui quali si basa la motivazione della sentenza di assoluzione. L'approccio adottato dalla maggioranza può portare a rimettere in discussione i diritti della difesa, la quale può avere un interesse legittimo, in vista di una decisione giudiziaria favorevole, a stabilire nel procedimento taluni elementi fattuali molto sensibili che rientrano nella vita privata, e a vederli confermare nella motivazione della sentenza emessa.
5. La maggioranza rivolge il seguente rimprovero ai giudici italiani (paragrafo 140 della sentenza): «il linguaggio e gli argomenti utilizzati dalla corte d'appello veicolano i pregiudizi sul ruolo della donna che esistono nella società italiana». Tuttavia, questo rimprovero non è suffragato da alcun argomento. In particolare, non è spiegato quali pregiudizi sul ruolo della donna sono veicolati dalla corte d'appello. Constato, peraltro, che nella presente causa il collegio giudicante della corte d'appello di Firenze era composto da tre giudici, e che è conforme ai criteri dell'equilibrio uomo-donna (due donne, tra cui il giudice relatore, e un uomo).
6. La maggioranza denuncia, nel paragrafo 141, delle «affermazioni colpevolizzanti e moralizzatrici atte a scoraggiare la fiducia delle vittime nella giustizia». Questo rimprovero suscita due osservazioni. In primo luogo, le affermazioni criticate (citate nel paragrafo 136, ma estrapolate dal loro contesto) sono delle proposte fattuali e non dei giudizi di valore. La maggioranza non spiega per quali ragioni queste proposte fattuali siano qualificate come «affermazioni colpevolizzanti e moralizzatrici». In secondo luogo, le espressioni utilizzate dalla Corte costituiscono di per sé delle «affermazioni colpevolizzanti e moralizzatrici», rivolte questa volta ai giudici italiani. Inoltre, non sono idonee a incoraggiare la fiducia nella giustizia.
7. La maggioranza esprime nel paragrafo 141, negli obiter dicta, il seguente punto di vista: «la Corte è convinta che le azioni giudiziarie e le sanzioni penali svolgano un ruolo cruciale nella risposta istituzionale alla violenza di genere e nella lotta contro la disuguaglianza di genere» (corsivo aggiunto).
In una democrazia liberale, il diritto penale deve essere l'ultima ratio Rei Publicae (si veda la mia opinione parzialmente dissenziente allegata alla sentenza L.R. c. Macedonia del Nord, n. 38067/15, 23 gennaio 2020). Anche se il diritto penale è uno strumento essenziale per lottare contro la violenza, non bisogna sopravvalutare il suo ruolo nella lotta contro le disuguaglianze. Nella presente causa, la Corte continua ad esprimere la sua scelta in favore di una cultura di punizione come principale strumento di lotta contro le diverse violazioni dei diritti dell'uomo (si confronti anche con il paragrafo 20 dell'opinione parzialmente dissenziente e parzialmente concordante del giudice Koskelo, cui aderiscono i giudici Wojtyczek e Sabato, allegata alla sentenza Penati c. Italia, n. 44166/15, 11 maggio 2021). L'approccio adottato amplifica il «vento illiberale che soffia a Strasburgo», denunciato brillantemente dal giudice Pinto de Albuquerque nella sua opinione separata allegata alla sentenza Chernega e altri c. Ucraina, n. 74768/10, 18 giugno 2019).
© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.