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Violenza sessuale anche senza volontà di soddisfare piacere sessuale del reo (Cass. 10923/19)

13 marzo 2019, Cassazione penale

Ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, non è necessario che la condotta sia specificamente finalizzata al soddisfacimento del piacere sessuale dell’agente, essendo sufficiente che questi, indipendentemente dallo scopo perseguito, sia consapevole della natura oggettivamente sessuale dell’atto posto in essere volontariamente, ed in particolare del suo carattere invasivo o lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente.

Ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, non è necessario che la condotta sia specificamente finalizzata al soddisfacimento del piacere sessuale dell’agente, essendo sufficiente che questi sia consapevole della natura oggettivamente sessuale dell’atto posto in essere volontariamente, ossia della sua idoneità a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dallo scopo perseguito.

L’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale è integrato dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente.

La condotta vietata è quella finalizzata a soddisfare la concupiscenza dell’aggressore od a volontariamente invadere e compromettere la libertà sessuale della vittima, con la conseguenza che il giudice, al fine di valutare la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, non deve fare riferimento unicamente alle parti anatomiche aggredite ma deve tenere conto dell’intero contesto in cui il contatto si è realizzato e della dinamica intersoggettiva: ma la volontà di umiliazione op di schermo non esclude la rilevanza penale della condotta. 

Quanto all'elemento oggettivo del reato di violenza sessuale, non tutti i contatti corporei con zone erogene possono essere considerati "atti sessuali" ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 609 bis c.p.: i creato di violenza sessuale sussiste anche nel caso in cui il distretto corporeo della vittima attinto dall’agente sia sessualmente indifferente, ma a condizione che la porzione del corpo che l’agente pone a contatto con quello della vittima sia connotata da valenza sessuale.

 

Corte di Cassazione

sez. III Penale, sentenza 20 novembre 2018 – 13 marzo 2019, n. 10923
Presidente Lapalorcia – Relatore Reynaud

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 30 ottobre 2017, la Corte d’appello di Torino, accogliendo parzialmente in punto pena il gravame proposto dall’odierno ricorrente, ha per il resto confermato la sentenza con cui il medesimo era stato ritenuto responsabile di tre fatti di violenza sessuale (uno dei quali continuato) commessi in danno di distinte persone offese.

2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo con unico motivo la violazione della legge penale ed il vizio di motivazione - con particolare riguardo al travisamento della perizia psichiatrica disposta nel processo - in ordine alla riconosciuta sussistenza dell’elemento soggettivo per tutti e tre i reati oggetto di processo. Premesso che, sulla scorta di tale perizia, era stata all’imputato riconosciuta la diminuente del vizio parziale di mente in relazione ad un diagnosticato Disturbo Narcisistico della Personalità - e ciò con particolare riguardo all’elemento della volizione, per il discontrollo degli impulsi determinato dalla patologia - lamenta il ricorrente che l’accertamento peritale aveva concluso in termini di dubbio anche con riguardo all’elemento della rappresentazione del fatto tipico, ciò che la stessa sentenza impugnata avrebbe riconosciuto. In particolare, dalla consulenza emergerebbe l’assenza di critica dell’imputato sul disvalore delle sue condotte - da lui intese in senso "normativo" e non sessualizzato - sì che, appunto, sarebbe grandemente inficiata anche la componente soggettiva della rappresentazione. Richiamandosi anche le argomentazioni e conclusioni della consulenza tecnica di parte, in ricorso si sostiene che i fatti oggetto di processo non evidenzierebbero condotte volte al soddisfacimento dell’impulso sessuale, ma atti di prevaricazione che, secondo l’orientamento interpretativo ritenuto preferibile, non integrerebbero gli estremi dell’elemento soggettivo richiesto per la configurazione del contestato reato di cui all’art. 609 bis c.p., sussistente soltanto quando la condotta sia diretta al soddisfacimento della concupiscenza dell’agente, ovvero dell’invasione dell’altrui libertà sessuale.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, non è necessario che la condotta sia specificamente finalizzata al soddisfacimento del piacere sessuale dell’agente, essendo sufficiente che questi sia consapevole della natura oggettivamente sessuale dell’atto posto in essere volontariamente, ossia della sua idoneità a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dallo scopo perseguito (Sez. 3, n. 3648 del 03/10/2017, dep. 2018, T., Rv. 272449, resa in una fattispecie di palpeggiamento dei glutei e del seno delle persone offese; Sez. 3, n. 21020 del 28/10/2014, dep. 2015, C., Rv. 263738, relativa a fattispecie di palpeggiamenti e schiaffi sui glutei della vittima, nella quale la Corte ha ritenuto che l’eventuale finalità ingiuriosa dell’agente non escludesse la natura sessuale della condotta). Più in particolare, l’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale è integrato dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente (Sez. 3, n. 4913 del 22/10/2014, dep. 2015, P., Rv. 262470; Sez. 3, n. 20754 del 17/04/2013, S., Rv. 255907; Sez. 3, n. 20754 del 17/04/2013, S., Rv. 255907).

2. Il più recente orientamento richiamato in ricorso, definito contrapposto rispetto a quello tradizionale quale sopra richiamato, tale, a ben vedere, non è. Il ricorrente, infatti, cita la recente decisione in cui si è affermato che, in tema di atti sessuali, la condotta vietata dall’art. 609 bis c.p., è solo quella finalizzata a soddisfare la concupiscenza dell’aggressore od a volontariamente invadere e compromettere la libertà sessuale della vittima, con la conseguenza che il giudice, al fine di valutare la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, non deve fare riferimento unicamente alle parti anatomiche aggredite ma deve tenere conto dell’intero contesto in cui il contatto si è realizzato e della dinamica intersoggettiva (Sez. 3, n. 51582 del 02/03/2017, T., Rv. 272362; in motivazione, la Corte ha escluso che il compimento da parte dell’imputato - che svolgeva attività di animatore volontario presso una struttura in cui erano ospitati bambini e adolescenti - di giochi che implicavano un ripetuto coinvolgimento fisico fosse qualificabile solo per questo " atto sessuale", essendo necessaria una verifica sulla direzione finalistica di tale condotta, volta ad accertare se il contatto corpore corpori fosse stato posto in essere per esclusive finalità ludiche o per soddisfare gli istinti sessuali).

La citata decisione, a parere del Collegio, non si pone in contrasto con il tradizionale orientamento interpretativo, posto che, oltre a riconoscere la sussistenza dell’elemento soggettivo nei casi in cui la condotta - che sul piano oggettivo deve pur sempre riguardare il compimento un "atto sessuale" - sia finalizzata a soddisfare la concupiscenza dell’aggressore, la afferma anche laddove essa sia diretta a volontariamente invadere e compromettere la libertà sessuale della vittima.

Lungi dall’essere focalizzata sull’elemento soggettivo, la ratio decidendi della decisione appare piuttosto incentrata - come la stessa massima più sopra riportata suggerisce e come la lettura della sentenza conferma - sull’elemento oggettivo del reato di violenza sessuale, sul rilievo che non tutti i contatti corporei con zone erogene possono essere considerati "atti sessuali" ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 609 bis c.p.. Speculare a tale precisazione è l’affermazione - contenuta in una sentenza di poco successiva - secondo cui, in tema di atti sessuali, l’elemento oggettivo del reato previsto dall’art. 609 bis c.p., sussiste anche nel caso in cui il distretto corporeo della vittima attinto dall’agente sia sessualmente indifferente, ma a condizione che la porzione del corpo che l’agente pone a contatto con quello della vittima sia connotata da valenza sessuale (Sez. 3, n. 38926 del 12/04/2018, C., Rv. 273916).

3. Nel caso di specie non è contestata - né seriamente revocabile in dubbio - la oggettiva natura di atto sessuale violento delle condotte accertate e commesse su persone evidentemente dissenzienti: in un caso l’aver "strizzato" i genitali di un minore diciassettenne, indugiando nell’azione, dopo avergli fatto calare i pantaloni, con abuso della qualità di pubblico ufficiale, trattandosi di fatto commesso nella veste di comandante della stazione dei Carabinieri dopo aver condotto il giovane in caserma al dichiarato scopo di assumere da lui informazioni circa il compimento di un furto; in altro caso, l’aver buttato con la forza su un letto collocato nei locali della Croce Rossa, ove entrambi svolgevano il servizio di volontariato, un giovane ventenne, bloccandolo con il proprio e corpo, toccandogli i genitali, baciandolo sul collo e dicendogli: "quanto sei bello"; in altre occasioni, sempre nei medesimi locali della Croce Rossa, per aver, con gesti repentini, palpeggiato le natiche di altro giovane volontario, in un caso palpeggiandogli con insistenza i genitali dicendogli: "vieni qui che lo smanetto"; "come fai a dire che non ti piace se non hai provato".

3.1. Quanto all’elemento soggettivo contestato in ricorso, la sentenza impugnata ha logicamente ritenuto - per le modalità con cui avvennero i fatti e le frasi nel contesto pronunciate dall’imputato - che fosse evidente la natura invasiva della sfera di autodeterminazione sessuale delle tre giovani persone offese ("come tale necessariamente percepita e voluta dall’imputato"), restando irrilevante l’eventuale, ulteriore, direzione finalistica della condotta (di umiliazione nel primo caso; di scherzo negli altri due). La decisione, per quanto detto, è assolutamente in linea con il principio di diritto univocamente ricavabile dalla richiamata giurisprudenza e che va qui ribadito nel senso che ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, non è necessario che la condotta sia specificamente finalizzata al soddisfacimento del piacere sessuale dell’agente, essendo sufficiente che questi, indipendentemente dallo scopo perseguito, sia consapevole della natura oggettivamente sessuale dell’atto posto in essere volontariamente, ed in particolare del suo carattere invasivo o lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente.
3.2. Che, nonostante il Disturbo Narcisistico della Personalità, l’imputato avesse tale consapevolezza, la sentenza impugnata non illogicamente lo ricava anche in forza del suo pluridecennale percorso professionale quale ufficiale di polizia giudiziaria che aveva ricoperto incarichi significativi riportando risultati di eccellenza. Con argomenti pertinenti e del tutto logici, la decisione (v. pag. 19) esclude, peraltro, che le condotte potessero essere stata sorrette (quantomeno esclusivamente) da intenti "normativi" quali quelli allegati in ricorso, rilevando che la mancata emersione in sede di perizia di espliciti orientamenti omosessuali dell’imputato - circostanza, peraltro, di per sé non dirimente ai fini dell’indagine in parola - era di fatto contraddetta dagli agiti giudicati, dalle frasi in occasione delle stesse pronunciate, dagli approcci di tipo erotico più volte dal medesimo posti in essere nei confronti di alcune delle vittime.
4. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, mandando alla cancelleria di trasmettere copia del dispositivo della sentenza all’amministrazione di appartenenza del ricorrente, ai sensi dell’art. 154 ter disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone che copia del presente dispositivo sia trasmessa all’amministrazione di appartenenza del ricorrente a norma dell’art. 154 ter disp. att. c.p.p..
Dispone, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, che - a tutela dei diritti o della dignità degli interessati - sia apposta a cura della cancelleria, sull’originale della sentenza, un’annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati sulla sentenza.