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Violenza nei confronti degli osservatori al G8 è reato (Cass. 46787/13)

22 novembre 2013, Cassazione penale

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Commette reato chi usa gas urticante per sgomberare gli avvocati che fungono da  osservatori per verificare la legittimità delle operazioni di polizia, dopo aver ordinato lo sgombero del piazzale ove era schierata la Polizia, senza che ragioni di ordine pubblico rendessero necessario tale provvedimento e senza dare il tempo di ottemperare all'ordine di sgombero.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

(ud. 14/06/2013) 22-11-2013, n. 46787

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZECCA Gaetanino - Presidente -

Dott. OLDI Paolo - rel. Consigliere -

Dott. FUMO Maurizio - Consigliere -

Dott. ZAZA Carlo - Consigliere -

Dott. SETTEMBRE Antonio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sui ricorsi proposti da:

1. C.V., nato a (OMISSIS);

2. Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, quale responsabile civile;

avverso la sentenza del 13/01/2012 della Corte di appello di Genova;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Paolo Oldi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. VOLPE Giuseppe, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;

udito per la parte civile V.M. l'avv. Fabio Taddei, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi e, in particolare, la declaratoria di inammissibilità del ricorso del responsabile civile;

per la parte civile Vi.Gi. l'avv. Massimo Pastore, che si è associato alle conclusioni del P.G.; per la parte civile L. N. l'avv. Laura Tartarini, che si è associata alle conclusioni dei colleghi;

per la parte civile Associazione Giuristi Democratici di Genova l'avv. Stefano Bigliozzi, in sostituzione dell'avv. Emilio Robotti, che si è associato alle conclusioni dei colleghi;

udito per il responsabile civile Ministero dell'Interno l'avv. Fabrizio Urbani Neri, dell'Avvocatura Generale dello Stato, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. La vicenda per cui è processo si inserisce nella serie di eventi verificatisi a (OMISSIS), quando, in occasione del vertice fra i capi di Stato più industrializzati del mondo, noto come G8, si ebbero manifestazioni di protesta da parte di gruppi che si opponevano alla globalizzazione dell'economia: proteste che sfociarono in eccessi che richiesero l'intervento delle forze dell'ordine.

1.1. Nella tarda mattinata del 20 luglio di quell'anno, all'incrocio tra corso (OMISSIS) e via (OMISSIS), si verificò un episodio a seguito del quale venne elevata imputazione a carico di C. V., comandante del 7 Nucleo Sperimentale Antisommossa del 1 Reparto Mobile di (OMISSIS), per il delitto di lesione volontaria pluriaggravata e continuata ai danni di V.M., Vi.G., L.N. e S.M., per avere diretto sui loro visi i getti di una bomboletta di gas urticante; nonchè per il delitto di violenza privata aggravata e continuata per avere costretto le stesse persone, mediante l'atto di violenza sopra descritto, ad allontanarsi dal viale nel quale sostavano.

1.2. Secondo l'accusa il C. aveva inteso imporre alle persone offese, presenti come osservatori appartenenti all'Associazione Giuristi Democratici, lo sgombero del piazzale ove era schierata la Polizia, senza che ragioni di ordine pubblico rendessero necessario tale provvedimento; e, prima ancora di vedersi disobbedito, aveva usato il gas della bomboletta come mezzo di coercizione per far eseguire l'ordine così impartito.

2. Il Tribunale di Genova, in esito al giudizio di primo grado, ha assolto il C. dall'imputazione di lesione per insussistenza del fatto; lo ha invece riconosciuto colpevole della violenza privata e condannato alla pena di legge, rigettando peraltro le domande di risarcimento dei danni proposte dalle parti civili.

2.1. La locale Corte d'Appello, così parzialmente riformando il deliberato, ha riconosciuto l'imputato responsabile di entrambi i reati, dei quali tuttavia ha dichiarato l'intervenuta estinzione per decorso dei termini prescrizionali; e lo ha condannato, in solido col responsabile civile Ministero dell'Interno, al risarcimento dei danni in favore del Vi., del V., del L. e dell'Associazione Giuristi Democratici di Genova.

2.2. Ha ritenuto quel collegio che la ricostruzione del fatto in modo conforme all'ipotesi accusatoria trovasse sostegno probatorio non soltanto nelle dichiarazioni delle persone offese e nelle deposizioni testimoniali di altre persone presenti al fatto, ma altresì nella videoregistrazione realizzata sul posto dal teste F.D.. Ha escluso che in quel momento fossero in atto azioni ostili da parte di dimostranti, vertendosi invece in una situazione di calma assoluta;

ha quindi escluso la configurabilità dell'esimente di cui agli artt. 51 e 53 c.p.. Ha ritenuto, altresì, che la sintomatologia accusata dai soggetti colpiti dal gas spruzzato sui loro visi integrasse malattia, così da rendere configurabile l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 582 cod. pen. , e che lo strumento utilizzato per il getto di gas irritante per gli occhi, per le vie respiratorie e per la pelle fosse da considerare un'arma per i fini di cui all'art. 585 c.p.. Ha giudicato, infine, che fosse fondata l'azione risarcitoria non soltanto per il fatto illecito consistito nella lesione personale, ma altresì per la violenza privata, atteso che nei reati in materia di libertà personale il danno, quanto meno non patrimoniale, discende dalla lesione della libertà di autodeterminazione del soggetto passivo.

3. Hanno proposto separatamente ricorso per cassazione l'imputato e il responsabile civile, ciascuno per le ragioni di seguito indicate.

3.1. Col primo dei suoi nove motivi il C. deduce violazione dell'art. 6, comma 1, della Convenzione Europea per i Diritti dell'Uomo, richiamandosi al principio affermato dalla Corte di Strasburgo secondo cui il giudice di appello non può addivenire ad una diversa valutazione delle prove dichiarative, con conseguenze peggiorative della condizione dell'imputato, se non dopo aver rinnovato l'audizione dei testi.

3.2. Col secondo motivo il ricorrente si richiama al principio in base al quale il giudice di appello, quando intenda riformare una sentenza di assoluzione, è chiamato ad un onere motivazionale più stringente ed esaustivo, dovendo dare adeguata confutazione agli argomenti portati dal giudice di prima istanza. Contrasta, in particolare, il giudizio espresso dalla Corte d'Appello circa le caratteristiche lesive del gas contenuto nella bomboletta spray e, quanto alle conseguenze derivate ai soggetti colpiti, invoca una rilettura delle risultanze testimoniali.

3.3. Col terzo motivo contrasta la configurabilità della malattia in senso giuridico, posta a base del giudizio di sussistenza del reato di lesione personale.

3.4. Col quarto deduce vizi di motivazione in ordine all'elemento soggettivo del reato in questione.

3.5. Col quinto motivo il ricorrente, ancora denunciando vizi di motivazione, lamenta che sia stata ingiustamente negata applicazione alle scriminanti di cui agli artt. 51 e 53 c.p.. Insiste nella tesi difensiva secondo la quale l'azione è stata posta in essere per eseguire un ordine appena prima impartitogli dal funzionario di piazza stazionante sul posto e si richiama, in proposito, alle emergenze testimoniali.

3.6. Col sesto motivo, ancora in tema di cause di giustificazione, contrasta il giudizio espresso dalla Corte di merito in ordine alla sproporzione del mezzo di coazione usato nella fattispecie. Sostiene che la propria inconsapevolezza circa gli effetti lesivi del gas urticante avrebbe dovuto comportare comunque l'applicazione delle esimenti in via putativa.

3.7. Col settimo motivo nega la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di violenza privata; osserva in proposito che le persone offese, non avendo ottemperato all'ordine di sgombero legittimamente impartito, erano appena prima incorse nella contravvenzione di cui all'art. 650 c.p..

3.8. Nell'ottavo motivo il ricorrente ancora si sofferma sulla legittimità dell'ordine di sgombero, quale causa di giustificazione in ordine al reato di violenza privata.

3.9. Col nono motivo, infine, richiama in via riepilogativa le ragioni già esposte nel sesto motivo.

4. Il Ministero dell'Interno, ricorrente per il tramite dell'Avvocatura dello Stato, affida il proprio ricorso a tre motivi.

4.1. Col primo di essi contrasta il giudizio di antigiuridicità della condotta tenuta dal C., segnalando che il luogo teatro del fatto era inserito nella cosiddetta zona gialla, nella quale si erano già verificati gravissimi atti di devastazione da parte dei dimostranti; nega, pertanto, (denunciando travisamento della prova) che ci fosse quello stato di calma sul quale la Corte d'Appello ha fondato il proprio giudizio. Nega altresì, sotto altro profilo, la sussistenza del dolo (che assume dover essere specifico in rapporto al delitto di lesione volontaria).

4.2. Col secondo motivo il Ministero ricorrente contesta la configurabilità del reato di lesione, non avendo il gas urticante prodotto le conseguenze ritenute dal giudice di merito; rileva che le parti civili, nel costituirsi, non hanno documentato il danno con la necessaria certificazione medico-legale, e che nessuna perizia è stata effettuata nel corso del giudizio.

4.3. Col terzo motivo eccepisce la carenza di legittimazione attiva in capo all'Associazione Giuristi Democratici, osservando fra l'altro che il solo soggetto risultante iscritto a tale associazione era l'Avv. V..

5. Agli atti vi è una memoria depositata nell'interesse della parte civile V.M., con la quale si deduce l'inammissibilità - e comunque l'infondatezza - dei motivi di ricorso facenti perno sulle cause di giustificazione e sulla dedotta innocuità del gas spruzzato con la bomboletta spray.

Motivi della decisione
1. Esaminando con precedenza le censure mosse alla sentenza di appello nell'interesse dell'imputato, va rimarcata l'infondatezza del primo motivo.

1.1. Con esso, invero, il ricorrente denuncia la violazione del principio codificato nell'art. 6, comma 1, della Convenzione Europea per i Diritti dell'Uomo, alla stregua dell'interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, all'uopo richiamandosi alla sentenza da questa pronunciata il 5 luglio 2011 nel caso Dan contro Moldavia. Di questa riproduce la massima trattane da una rivista telematica, espressa nei termini seguenti: "Quando l'impugnante è il pubblico ministero contro una sentenza assolutoria, il giudice d'appello non può riformare la sentenza e pronunciare condanna senza avere assunto nuovamente in contraddittorio le prove dichiarative disponibili a carico dell'imputato". Senonchè il tenore del deliberato non consente di intendere in quei termini il senso dell'enunciato: la Corte Europea, invero, non ha affermato che la riforma in grado di appello della sentenza assolutoria emessa in esito al giudizio di primo grado presupponga in ogni caso la rinnovazione delle prove dichiarative, ma ha ritenuto obbligatorio tale incombente solo nell'ipotesi in cui il giudice del gravame addivenga a un giudizio opposto, rispetto a quello di primo grado, in conseguenza di una difforme valutazione circa l'attendibilità dei testimoni. Tanto emerge con estrema chiarezza dal testo stesso della sentenza e, in particolare, dal passaggio motivazionale nel quale si legge: "La Corte ritiene che coloro che hanno la responsabilità di decidere la colpevolezza o l'innocenza di un imputato dovrebbero, in linea di massima, poter udire i testimoni personalmente e valutare la loro attendibilità. La valutazione dell'attendibilità di un testimone è un compito complesso che generalmente non può essere eseguito mediante una semplice lettura delle sue parole verbalizzate".

1.2. Nel caso di cui ci si occupa il giudizio della Corte d'Appello non è dipeso da una valutazione dell'attendibilità dei testi dissonante da quella espressa dal Tribunale: nella ricostruzione del fatto, e in particolare della condotta tenuta nella circostanza dal C., i giudici di primo e di secondo grado sono pervenuti a un medesimo risultato, tant'è vero che entrambi hanno ravvisato la configurabilità del delitto di violenza privata; il diverso esito processuale dell'accusa riguardante le lesioni è dovuto al fatto che il Tribunale ha giudicato insufficienti - e non già inattendibili - le prove dichiarative raccolte, in mancanza di documentazione medica attestante la natura delle conseguenze riportate dalle persone offese raggiunte dal getto di gas: mentre la Corte d'Appello ha riconosciuto idonea capacità dimostrativa alle risultanze testimoniali, valutate congiuntamente alle note tecniche illustrative delle caratteristiche del gas utilizzato.

1.3. Non è, dunque, invocata a proposito la giurisprudenza della Corte E.D.U..

2. Il secondo motivo muove dall'evocazione di un principio giuridico indubbiamente condivisibile, traendone tuttavia conseguenze errate.

E' bensì vero, infatti, che la motivazione della sentenza di appello, con la quale sia riformata una pronuncia assolutoria, non può soltanto basarsi su una alternativa interpretazione del medesimo compendio probatorio utilizzato nel primo grado, ma deve mostrarsi dotata di una maggiore plausibilità ed essere idonea a superare il ragionevole dubbio (Sez. 2, n. 11883 del 08/11/2012 - dep. 14/03/2013, Berlingeri, Rv. 254725; Sez. 6, n. 8705 del 24/01/2013, Farre, Rv. 254113; Sez. 6, n. 49755 del 21/11/2012, G., Rv. 253909); tuttavia tali requisiti sono riscontrabili nella sentenza della Corte d'Appello di Genova, qui oggetto di impugnazione.

2.1. Nel motivare il proprio convincimento circa la configurabilità di una "malattia" - nel senso tecnico-giuridico di cui all'art. 582 c.p. - a carico delle persone colpite dal gas fuoriuscito dalla bomboletta utilizzata dal C., il giudice di secondo grado ha preso le mosse dal considerare la sintomatologia accusata dalle persone offese (forte e prolungato bruciore agli occhi, difficoltà respiratorie, nausea); ha quindi fatto riferimento alla nota tecnica del Ministero dell'Interno inerente all'uso e alla composizione dei gas in dotazione ai reparti mobili della Polizia di Stato e, in particolare, del gas ortoclorobenzalmalonitrile contenuto nelle cartucce 40 mm ad effetto irritante, traendone la seguente definizione: "irritante per gli occhi, per le vie respiratorie e la pelle, in grado di provocare urticazione in corrispondenza delle pieghe cutanee, lacrimazione con spasmo delle palpebre, tosse e rinorrea, effetti eliminabili con lavaggi immediati ed abbondanti con soluzione di bicarbonato di sodio e con l'avvertenza, in caso di ingestione, di ricorrere alle cure del medico". Su tali presupposti quel collegio è pervenuto alla conclusione che gli effetti cagionati dall'uso del gas irritante dovessero ricondursi alla nozione di "malattia", siccome comportanti un'alterazione funzionale dell'organismo, sia pur di modesta entità e durata, comunque apprezzabile: il che deve considerarsi logicamente e giuridicamente corretto, alla stregua del consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi in sede di interpretazione dell'art. 582 c.p. (oltre a Sez. 4, n. 17505 del 19/03/2008, Pagnani, Rv. 239541, citata anche dalla Corte d'Appello, vedasi la più recente Sez. 5, n. 40428 del 11/06/2009, Lazzarino, Rv. 245378).

2.2. Ne deriva che la conclusione raggiunta dalla Corte d'Appello non soltanto è sorretta da una maggiore consequenzialità logica rispetto a quella del Tribunale, appiattitasi sul mero rilievo della mancanza di documentazione medica, ma è l'unica cui potesse correttamente pervenirsi sulla base del sillogismo giuridico avente la sua premessa maggiore nella norma incriminatrice e la premessa minore nelle conseguenze lamentate dai soggetti colpiti, del tutto conformi alle caratteristiche tecniche del gas impiegato.

2.3. Ciò detto, non possono essere prese in considerazione, siccome volte a prospettare censure non consentite nel giudizio di legittimità, le argomentazioni con cui il ricorrente prospetta un'alternativa ricostruzione fattuale - volta ad accreditare l'assunto che si sia trattato di un malessere del tutto momentaneo, risolto con un semplice risciacquo - sollecitando una rilettura delle emergenze istruttorie cui la Corte di Cassazione non può, invece, accedere. Al riguardo non sarà inutile ricordare che, per consolidata giurisprudenza, pur dopo la modifica legislativa dell'art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. e), introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, al giudice di legittimità resta preclusa - in sede di controllo sulla motivazione - la rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti; e il riferimento ivi contenuto anche agli "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" non vale a mutare la natura del giudizio di legittimità come dianzi delimitato, rimanendovi comunque estraneo il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (così Sez. 5, n. 12634 del 22/03/2006, Cugliari, Rv. 233780; v. anche le più recenti Sez. 5, n. 44914 del 06/10/2009, Basile, Rv. 245103; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099).

3. Privo di fondamento è anche il terzo motivo, col quale il ricorrente si sofferma sulla nozione giuridica di malattia al fine di contestare che, nel caso di specie, ne ricorrano i presupposti fattuali.

3.1. L'illustrazione della censura ambisce a fondarsi sul richiamo a precedenti giurisprudenziali che hanno escluso la riconducibilità a malattia di quelle alterazioni anatomiche che non si accompagnino a una riduzione apprezzabile della funzionalità (Sez. 5, n. 714 del 15/10/1998 - dep. 19/01/1999, Rocca, Rv. 212156; Sez. 4, n. 10643 del 14/11/1996, Franciolini, Rv. 207339). Ma l'applicazione del suesposto principio, senz'altro pertinente, nuoce alla linea difensiva del C. più di quanto le giovi; proprio in base a enunciati di quello stesso tenore, invero, la Corte d'Appello ha condivisibilmente ravvisato l'ipotesi criminosa di cui all'art. 582 c.p. , osservando che i sintomi avvertiti nel caso di specie dai soggetti passivi erano consistiti non soltanto in una momentanea irritazione cutanea (comunque prolungatasi nel tempo, oltre ad essere sfociata per uno di loro - Vi.Gi. - nella perdita del visus protrattasi per circa 20 minuti), ma altresì nel prodursi di fenomeni di nausea e conati di vomito, accompagnati da senso di soffocamento: il che è stato correttamente inteso dal giudice di merito come fonte di altrettante alterazioni funzionali dell'organismo.

4. Da disattendere è anche il quarto motivo, col quale il ricorrente nega la sussistenza del dolo sul presupposto che gli fosse ignota la capacità lesiva del gas contenuto nella bomboletta.

4.1. Premesso che il dolo necessario a integrare il reato contestato è quello generico, per cui è sufficiente la consapevolezza che la propria azione provochi o possa provocare danni fisici alla vittima, senza che sia richiesta la volontà di produrre determinate conseguenze lesive (Sez. 5, n. 17985 del 09/01/2009, Presicci, Rv. 243973), non si vede come possa il C. sostenere di aver ignorato quali effetti producesse l'irrorazione del gas, pur ammettendo - con espressa citazione delle risultanze testimoniali sul punto - che il suo uso era stato illustrato in un apposito corso indetto dalla Polizia di Stato e che i relativi effetti erano stati anche testati nel corso degli addestramenti. Del resto sarebbe priva di qualsiasi plausibilità l'ipotesi che la Polizia avesse dotato i propri operanti di uno strumento di offesa costituito da un aggressivo chimico, raccomandandone l'uso con precedenza su ogni altro, senza renderli edotti circa gli effetti che si sarebbero prodotti sulle persone colpite.

5. Il quinto motivo ripropone la linea difensiva facente riferimento alle cause di giustificazione di cui agli artt. 51 e 53 c.p..Insiste il ricorrente nel sostenere di avere agito in ottemperanza a un ordine ricevuto dal funzionario di piazza (munito di fascia tricolore), il quale aveva titolo per impartirlo; che la situazione nel piazzale, in quel momento, non era affatto di calma come ritenuto dalla Corte d'Appello, in quanto vi erano stati scontri fino a poco prima ed erano in atto azioni di disturbo da parte di persone sulla sovrastante scalinata; che l'ordine di sgomberare la piazza era imposto da esigenze di sicurezza; che, al fine di eseguirlo, era lecito il ricorso a qualsiasi mezzo di coazione fisica anche a fronte di una resistenza meramente passiva.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

5.1. L'inammissibilità risiede nel prospettare una ricostruzione del fatto alternativa a quella fatta propria dal giudice di merito, in esito a una argomentata valutazione delle emergenze probatorie. Si è già rimarcato dianzi come nel giudizio di cassazione sia preclusa la rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e come la modifica legislativa dell'art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. e), introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, non abbia inciso sulla tale delimitazione del sindacato di legittimità. Qui vale soltanto la pena di aggiungere che l'attribuzione alla Corte di Cassazione del potere di rilevare, quale vizio di motivazione, il rapporto di contraddizione esterno al testo della sentenza impugnata deve intendersi riferita a quella forma di errore revocatorio sul significante, che viene abitualmente definita "travisamento della prova" (e non del fatto): il che si verifica quando l'errore denunciato ricada non già sul significato dell'atto istruttorio, ma sulla percezione del testo nel quale si estrinseca il suo contenuto. L'ipotesi esula dal caso di specie, nel quale il richiamo fatto dal ricorrente alle risultanze istruttorie è finalizzato soltanto a sollecitarne una diversa valutazione.

5.2. L'infondatezza dipende dalla constatazione per cui, fermo restando lo svolgimento dei fatti come accertato in sede di merito, del tutto conforme a legge si rivela il diniego opposto dalla Corte territoriale alla richiesta di applicazione delle invocate esimenti: sia perchè dalle deposizioni testimoniali e dalla registrazione audiovisiva attuata dal teste F. non si è tratta la prova che vi fossero esigenze di pubblica sicurezza atte a giustificare l'imposizione dello sgombero dalla piazza ai pochi avvocati (riconoscibili dall'apposita casacca gialla) presenti in funzione di osservatori; sia perchè il C., quando pure avesse ricevuto un ordine in tal senso, non sarebbe stato per ciò solo legittimato a ricorrere all'uso di un'arma (tale essendo l'aggressivo chimico utilizzato) immediatamente dopo aver intimato lo sgombero, come rilevabile dal filmato, ma avrebbe dovuto lasciare agli intimati il tempo di allontanarsi e, solo in caso di inottemperanza, avrebbe potuto ricorrere alla coercizione.

6. Quanto or ora osservato, rendendo conto della carenza dei presupposti di legge per l'applicazione delle esimenti di cui agli artt. 51 (legittimità dell'ordine di sgombero impartito da un superiore) e 53 c.p. (necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all'autorità), assorbe e travolge ogni questione riguardante il rapporto di proporzionalità tra il fine perseguito e lo strumento impiegato; in argomento vale soltanto la pena di osservare come la Corte d'Appello non abbia mancato di soffermarsi anche su quest'ultimo tema col rilevare che, in ogni caso, al C. si presentavano possibilità alternative all'uso della bomboletta, in quanto gli sarebbe bastato attivare l'intervento degli agenti suoi sottoposti, i quali avrebbero potuto ottenere il risultato voluto "con modi ugualmente decisi", ma senza ricorrere all'uso delle armi.

6.1. Ancora una volta va poi rilevata l'inammissibilità delle contestazioni in punto di fatto che accompagnano la censura, là dove si sostiene che prima di ricorrere allo spruzzo del gas il C. avrebbe dato non una, ma due intimazioni, che sarebbero rimaste inosservate.

6.2. Neppure giova al ricorrente invocare l'applicazione delle scriminanti in via putativa, sul presupposto della inconsapevolezza degli effetti lesivi del gas urticante contenuto nella bomboletta, atteso che tale inconsapevolezza deve essere esclusa per le ragioni già sopra indicate al paragrafo 4.1.

7. Il settimo motivo s'indirizza a contrastare l'affermazione di responsabilità dell'imputato ex art. 610 c.p. , in base al principio giuridico secondo cui non sussiste il reato di violenza privata quando la violenza o la minaccia sia adoperata per impedire l'esecuzione o la permanenza di un reato: il quale si sarebbe, nel caso specifico, concretato nella contravvenzione di cui all'art. 650 cod. pen. , per avere i soggetti passivi inottemperato all'ordine di sgombero loro impartito per ragioni di ordine pubblico.

7.1. La menzionata regula iuris, effettivamente enunciata da un - sia pur risalente - arresto giurisprudenziale (Sez. 5, n. 5423 del 07/06/1988 - dep. 13/04/1989, Bajona, Rv. 181031), non è tuttavia pertinente alla fattispecie atteso che, come si è dianzi osservato, la ricostruzione del fatto scaturita dal giudizio di merito ha condotto ad escludere sia la legittimità dell'ordine di sgombero, sia l'inottemperanza ad esso da parte dei soggetti colpiti dal gas urticante, ai quali non era stato dato il tempo materiale di allontanarsi.

8. Le stesse ragioni rendono conto dell'infondatezza dell'ottavo motivo, ancora imperniato sulla richiesta di applicazione delle scriminanti di cui agli artt. 51 e 53 c.p..

9. In ordine al nono motivo null'altro vi è da aggiungere, se non richiamarsi a quanto argomentato al paragrafo 6 ed osservare che, conclusivamente, il ricorso del C. va rigettato.

10. Analoga sorte va riservata al ricorso presentato nell'interesse del responsabile civile, Ministero dell'Interno.

10.1. Il primo motivo si colloca, anzi, in area di inammissibilità, in quanto volto a contrastare la ricostruzione del fatto cui è motivatamente pervenuta la Corte d'Appello; si sostiene, infatti, con esso che non esistesse nel piazzale quello stato di calma su cui quel collegio ha fondato il convincimento che l'ordine di sgombero non fosse giustificato, e si insiste nel muovere alle parti civili il rimprovero di non aver ottemperato all'ordine di sgombero; in argomento non vi è che da rimarcare, una volta di più, come sia estranea al giudizio di cassazione la critica della valutazione delle prove operata dal giudice di merito in funzione dell'accertamento del fatto.

Solo per completezza vale la pena di aggiungere che l'accenno fatto nella sentenza impugnata alla collocazione esterna alla zona rossa dell'episodio sub iudice non ha avuto la funzione di dimostrare che per tale ragione dovesse presumersi la calma assoluta (della quale si è ravvisata, invece, la prova positiva nelle testimonianze e nel filmato), bensì quella di evidenziare l'illegittimità dell'ordine di sgombero in considerazione del fatto che nella zona gialla la circolazione non era inibita: sicchè, nella riscontrata assenza di concrete ragioni di ordine pubblico, agli osservatori dell'Associazione Giuristi Democratici non poteva essere negato il diritto di trattenersi sul posto.

La richiesta di applicazione della prescrizione, nel contesto di una censura nella quale si ribadisce che il ricorso è proposto ai soli fini civilistici (consistendo soltanto nelle statuizioni civili il contenuto della condanna impugnata), è un non senso giuridico sul quale non occorre soffermarsi.

L'assunto a tenore del quale l'elemento soggettivo necessario a integrare il delitto di lesione volontaria sarebbe il dolo specifico s'infrange nel principio giuridico di segno contrario, già citato a confutazione dell'analogo motivo di ricorso proposto dal C. (paragrafo 4.1).

10.2. Il secondo motivo, nella parte in cui s'indirizza a negare la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato di lesione personale, sotto il profilo della non configurabilità di una malattia, è privo di fondamento per le ragioni già esposte ai paragrafi 2.1 e 3.1.

Nella parte restante l'infondatezza del motivo deriva da errata lettura dell'art. 78 c.p.p. , comma 1, lett. d): il quale fa obbligo, bensì, al danneggiato che si costituisca parte civile di esporre le ragioni che giustificano la domanda, ma non gli impone di fornire già al momento della costituzione la prova del danno subito. Il richiamo all'art. 164 c.p.c. , n. 3), è errato sia nell'indicazione della norma (non essendo suddiviso in numeri l'articolo citato), sia nell'indicazione del rinvio pretesamente fattovi dall'art. 78 c.p.p. , (nel quale invece non si rinviene alcuna menzione di norme del rito civile), sia nella conclusione arbitrariamente trattane, secondo cui all'atto di chiamata del responsabile civile si sarebbe dovuto allegare una certificazione medico-legale attestante la malattia. In realtà, per quanto attiene alla prova dell'illecito penale, la causazione della malattia può essere dimostrata con qualunque mezzo nel corso del processo; quanto alla prova del danno subito dalla parte civile va detto che essa, attenendo a una fase del percorso logico-giuridico posteriore all'accertamento del reato, deve essere fornita solo al momento della quantificazione dell'obbligazione risarcitoria: la quale non appartiene al presente processo, per essere stata la liquidazione del danno legittimamente rimessa al giudice civile, in piena conformità al disposto dell'art. 539 c.p.p..

10.3. Da rigettare, infine, è il terzo motivo. Lo stesso Ministero ricorrente riconosce che, per conforme enunciazione giurisprudenziale (Sez. 4, n. 10048 del 16/07/1993, P.G. ed altri, Rv. 195706), l'associazione professionale è legittimata a costituirsi parte civile a tutela degli interessi correlati all'integrità dei propri iscritti; e riconosce, altresì, che almeno uno dei soggetti passivi dei reati accertati, cioè l'Avv. V.M., è iscritto all'Associazione Giuristi Democratici. Una volta stabilito, per tale via, il diritto della menzionata associazione a partecipare al presente processo, ogni ulteriore accertamento in ordine all'ampiezza del diritto al risarcimento dei danni da essa azionato attiene alla fase di liquidazione che, come si è dianzi osservato, sarà oggetto del separato giudizio che è stato rimesso al giudice civile.

11. A conclusione di quanto fin qui argomentato, i ricorsi proposti dall'imputato e dal responsabile civile sono ambedue da rigettare, con la conseguente condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

11.1. Spetta alle parti civili V.M., Vi.Gi., L.N. e Associazione Giuristi Democratici la rifusione delle spese di difesa sostenute nel presente giudizio di legittimità; la relativa liquidazione è effettuata nella somma complessiva di Euro 2.500,00 per ciascuno di essi, da maggiorarsi in ragione degli accessori di legge.

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente C. e il Ministero ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute per questo giudizio di cassazione dalle parti civili e liquidate per ciascuna in Euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2013.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2013