La eventuale falsità di un atto del processo, e, segnatamente del verbale di udienza non deve essere stabilita dal giudice civile, ma deve essere accertata dal giudice penale, che la verificherà sulla base delle ordinarie regole probatorie senza necessità di ricorrere al procedimento per "querela di falso". La "falsità" del verbale deve cioè essere dimostrata sulla base di prove raccolte con le regole applicabili al rito penale, delle quali sia apprezzata la univoca capacità dimostrativa attraverso un percorso argomentativo, razionale, rigoroso e privo di vizi logici.
Cassazione penale
sez. II, ud. 21 ottobre 2021 (dep. 11 novembre 2021), n. 40756
Presidente Gallo – Relatore Recchione
Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello di Catania, decidendo con le forme del giudizio abbreviato, confermava la condanna del ricorrente per quattro truffe aggravate dall'avere abusato delle condizioni di minorata difesa delle vittime.
2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che articolava diciassette motivi di ricorso:
2.1. con il primo motivo deduceva la nullità della sentenza impugnata in quanto il decreto di citazione a giudizio in appello sarebbe stato notificato solo all'avv. M. e non anche all'avv. L. M. che come risultava da tre atti formati nel corso delle indagini preliminari e nell'ambito del procedimento incidentale per la cautela attestavano che l'avvocato L. M. era difensore di fiducia (si trattava del verbale di udienza camerale del 2 gennaio 2015 e dei verbali relativi alla attività peritale svoltasi innanzi al Gip di Catania e recanti data 20 gennaio 2015 e 26 gennaio 2015); la nullità era stata regolarmente eccepita nel corso della prima udienza di appello il 18 giugno 2020. La motivazione offerta dalla Corte territoriale - che riteneva plausibile una imprecisione del cancelliere nella identificazione dell'avv. L. M. come difensore di fiducia - sarebbe manifestamente illogica.
2.2. Con il secondo ed il terzo motivo di ricorso si deduceva violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla conferma della condanna per la truffa descritta al capo b) di imputazione: si deduceva che la motivazione era manifestamente illogica e che la condotta contestata avrebbe dovuto essere inquadrata nella fattispecie prevista dall'art. 646 c.p.; inoltre non sarebbero state considerate le prove che indicavano che il ricorrete si era reso disponibile a consegnare i gioielli in cambio della restituzione di quanto pagato per il loro disimpegno.
2.3. Con il quarto motivo di ricorso si contestava il riconoscimento dell'aggravante prevista dall'art. 61 c.p., n. 5), dato che la stessa non poteva essere ritenuta sulla base dell'emersione di uno stato di difficoltà o bisogno economico della vittima ma richiedeva l'abuso di condizioni soggettive di "inferiorità psichica".
2.4. Con il quinto ed il sesto motivo di ricorso si contestava la legittimità della conferma della responsabilità in ordine alla truffa descritta al capo b) di imputazione. In primo luogo si contestava la legittimità del diniego di rinnovazione della testimonianza del Calvagno; in secondo luogo si contestava la assenza degli elementi costitutivi del reato contestato e, segnatamente, l'assenza di artifici o raggiri, incompatibili con la presenza delle vittime alla stipula del preliminare di vendita con patto di riservato dominio.
2.5. Con il settimo motivo si contestava la legittimità dell'inquadramento giuridico assegnato alla condotta descritta nel capo b) che avrebbe dovuto essere ricondotta alla fattispecie dell'appropriazione indebita;
2.6. con l'ottavo motivo si deduceva l'illegittima del riconoscimento della circostanza aggravante prevista dall'art. 61 n. 5) c.p. che non avrebbe potuto essere riconosciuta solo sulla base dell'accertamento di uno stato di difficoltà o bisogno economico, ma avrebbe richiesto la sussistenza in capo alla vittima di uno stato di inferiorità psichica.
2.7. Con il nono motivo si deduceva che la querela in relazione al capo b) era tardiva sicché in caso di riqualifica della condotta nella fattispecie prevista dall'art. 646 c.p. o di ritenuta illegittimità dell'aggravante prevista dall'art. 61 n. 5) c.p. sarebbe mancata la condizione di procedibilità.
2.8. Con il decimo motivo di ricorso si deduceva l'illegittimità della motivazione relativa alla conferma della responsabilità per la truffa descritta nel capo d) di imputazione.
2.9. Con l'undicesimo ed il dodicesimo motivo di ricorso si deduceva l'illegittimità del riconoscimento dell'aggravante prevista dall'art. 61 c.p., n. 5), in relazione alla truffa descritta nel capo d) di imputazione; si deduceva altresì che l'eliminazione della circostanza avrebbe reso il reato improcedibile.
2.10. Con il tredicesimo ed il quattordicesimo motivo di ricorso si deduceva l'omessa motivazione in relazione al motivo di appello con il quale si invocava - in relazione alle truffe contestate ai capi a) e d) - il riconoscimento dell'attenuate del risarcimento del danno.
2.11. Con il quindicesimo motivo di ricorso si contestava la legittimità del bilanciamento tra circostanze: la motivazione sul punto sarebbe carente ed apodittica.
2.12. Con il sedicesimo ed il diciassettesimo motivo di ricorso si contestava la legittimità del diniego della concessione della sospensione condizionale della pena; mancherebbe ogni risposta all'istanza avanzata con l'appello e non sarebbe stata valutata la concessione del beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale.
2.13. Con il diciottesimo motivo di ricorso si contestava la legittimità della definizione del trattamento sanzionatorio con riguardo alla identificazione del reato più grave, alla determinazione della pena base ed alle ragioni che giustificavano la determinazione degli aumenti per la continuazione.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso è fondato ed assorbe gli altri.
1.1. Il ricorrente deduceva la nullità della notifica del decreto di citazione a giudizio in appello, tempestivamente eccepita nel corso della prima udienza, dato che lo stesso era stato notificato solo all'avv. M e non all'avv. L., secondo difensore di fiducia, qualifica attestata dai verbali di udienza nei quali il cancelliere indicava il LM come difensore "di fiducia".
1.2. Secondo parte della giurisprudenza il verbale d'udienza nel procedimento penale fa piena prova fino a querela di falso di quanto in esso attestato, trattandosi di atto pubblico redatto da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni, il cui regime di efficacia è sancito dalla norma generale di cui all'art. 2700 c.c., (Sez. 1, Sentenza n. 1553 del 19/11/2018, dep. 2019, Marino Rv. 274796; Sez. 3, Ordinanza n. 13117 del 27/01/2011 Passacantando, Rv. 249918 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 9975 del 28/01/2003, Adamo, Rv. 223819).
Secondo tale orientamento il verbale d'udienza è infatti atto pubblico dotato di fede legale privilegiata ai sensi dell'art. 2700 c.p.c., che può essere compromessa solo all'esito dello speciale procedimento previsto dall'art. 221 c.p.c. e ss.. Non è invece possibile in via incidentale, nell'ambito del procedimento penale elidere la capacità probatoria privilegiata dell'atto pubblico.
Secondo altra - e maggiormente persuasiva - interpretazione i verbali di udienza non hanno valore probatorio privilegiato e, pertanto, le contestazioni del loro contenuto non richiedono la presentazione di querela di falso, ma sono definite nell'ambito del processo penale, alla stregua di ogni altra questione, con i limiti di cui all'art. 2 c.p.p., comma 2, (Sez. 6, Sentenza n. 1361 del 04/12/2018, dep. 2019 Zanzurino, Rv. 274839 - 01; Sez. 5, Sentenza n. 3215 del 22/05/1998, Tonini, Rv. 211305; Sez. 5, n. 610 del 22/02/1993, Jovanovich, Rv. 195014 Sez. 5, n. 123 del 10/01/1994, Capuzzi, Rv. 197729).
Nel tracciare tali condivise linee interpretative la Cassazione ha rilevato che nel codice di rito attuale non è prevista alcuna pregiudiziale civile nè, come nel previgente alcun "incidente di falso" (subprocedimento che, comunque, si svolgeva nell'ambito dello stesso processo penale); ma soprattutto ha evidenziato che l'art. 193 c.p.p., esclude l'applicabilità al processo penale della disciplina che regola la valutazione delle prove nel processo civile. Pertanto non può che ribadirsi che l'attendibilità di un atto "del" processo va decisa dallo stesso giudice procedente, "senza alcuna specifica procedura, sulla scorta di una seria offerta di prova della parte interessata" (così: Sez. 6, Sentenza n. 1361 del 04/12/2018, dep. 2019 Zanzurino, Rv. 274839, § 7). Le rare interrelazioni tra processo civile e penale sono invece disciplinate dall'art. 3 c.p.p., che le limita - prevedendo la sospensione del processo - a quelle di stato di famiglia e cittadinanza, mentre, si ribadisce, non vi è alcuna previsione di questioni pregiudiziali di falsità di atti, la cui trattazione consenta la sospensione del processo penale. Confortano tale interpretazione "l'art. 241 c.p.p., che, in tema di "documenti falsi", lascia chiaramente intendere come l'accertamento di falsità di atti cui consegue la trasmissione al pubblico ministero spetti al giudice che procede, nonché l'art. 537 c.p.p., che prevede che il giudice che pronunci condanna dia le disposizioni correttive rispetto agli atti falsi"; ne consegue che " la previsione di atti pubblici con fede privilegiata e la necessità di un giudizio civile autonomo per accertarne la falsità riguarda soltanto la prova civile (con estensione alla prova nei processi amministrativi e tributario" (Sez. 6, Sentenza n. 1361 del 04/12/2018, dep. 2019 Zanzurino, Rv. 274839; §§ 7, 8).
1.3. Si riafferma dunque che la eventuale falsità di un atto del processo, e, segnatamente del verbale di udienza non deve essere stabilita dal giudice civile, ma deve essere accertata dal giudice penale, che la verificherà sulla base delle ordinarie regole probatorie senza necessità di ricorrere al procedimento per "querela di falso". La "falsità" del verbale deve cioè essere dimostrata sulla base di prove raccolte con le regole applicabili al rito penale, delle quali sia apprezzata la univoca capacità dimostrativa attraverso un percorso argomentativo, razionale, rigoroso e privo di vizi logici.
1.4. Nel caso in esame la Corte di appello riteneva legittima la notifica del decreto di citazione a giudizio in appello al solo avv. M. affermando che il cancelliere, nell'indicare il L. M. come difensore di fiducia, fosse incorso in un "errore" di compilazione dovuto sia alla mole degli adempimenti di udienza, che alla frequente disponibilità offerta dell'avv. L. M. per l'espletamento delle difese di ufficio.
Si tratta di una motivazione manifestamente illogica in quanto svaluta la capacità dimostrativa dei verbali di udienza sulla base di elementi estraprocessuali (frequente disponibilità del L. M. a prestare il proprio servizio come difensore di ufficio e sovraffaticamento del cancelliere) non attestati da alcuna prova e, dunque, non verificabili.
1.4. La notifica del decreto di citazione a giudizio in appello, è pertanto nulla, dato che non risulta effettuata al secondo difensore di fiducia; sono nulli anche gli atti conseguenti. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio e gli atti devono essere tramessi alla Corte di appello di Catania per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Catania per nuovo giudizio.