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Udienza camerale e CEDU (Cass. 30408/16)

18 luglio 2016, Cassazione penale

Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata in udienza pubblica se il giudice deve esprimere un giudizio di merito idoneo ad incidere in modo diretto, definitivo e sostanziale su beni dell'individuo costituzionalmente tutelati.

Corte di Cassazione

sez. III Penale

sentenza 8 aprile - 18 luglio 2016, n. 30408

Ritenuto in fatto

1. A.M. ricorre per cassazione impugnando l'ordinanza indicata in epigrafe con la quale il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli ha convalidato il provvedimento emesso in data 8 luglio 2015 dal competente Questore nella parte in cui è stata disposta la comparizione personale del ricorrente innanzi al commissariato di pubblica sicurezza di Ischia nel corso delle partite della squadra di calcio Ischia isola verde, relative ai tornei nazionali e internazionali.
2. Per la cassazione dell'impugnata ordinanza, il ricorrente, tramite il difensore, articola quattro motivi di impugnazione, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disposizione di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
Con essi il ricorrente deduce la violazione del diritto di difesa per essere la convalida intervenuta il giorno stesso della richiesta del pubblico ministero e non essendo stato, quindi, consentito il deposito di scritti o memorie difensive (primo motivo); lamenta poi l'illegittimità dell'ordinanza di convalida per incostituzionalità del relativo procedimento ai sensi dell'articolo 117, comma 1, della Costituzione in relazione all'articolo 6 Cedu ed agli articoli 3, 13 e 21 della costituzione nella misura in cui non sarebbe prevista l'obbligatorietà della difesa tecnica (secondo motivo); denunzia ancora la violazione di legge in relazione all'articolo 6, comma 1, legge 13 dicembre 1989, n. 401 sul rilievo che il fatto in contestazione su cui fonda l'atto di convalida non sarebbe avvenuto in occasione e/o in conseguenza di una manifestazione sportiva, così come testualmente prevede la norma in esame (anche come interpretata autenticamente dalla legge 377 del 2001 ed in base alla sua ratio legis riscontrabile nella sicurezza in occasione delle manifestazioni sportive non anche in occasione di una qualsivoglia manifestazione collegata all'attività sportiva), bensì all'esito di una seduta di allenamento della squadra di calcio (terzo motivo); si duole infine della violazione di legge per inosservanza dell'articolo 6, comma 1, legge 401 del 1989 sul presupposto che il fatto in contestazione su cui fonda l'atto di convalida sarebbe irrilevante ai fini dell'applicazione della misura facendo la norma de qua esclusivo riferimento a persone che risultino denunciate e condannate anche con sentenza non definitiva nel corso degli ultimi cinque anni e non anche a persone querelate e che non hanno ricevuto, né riceveranno, alcuna sentenza di condanna per essere stata la querela rimessa ed il relativo procedimento archiviato, così come è accaduto per il ricorrente, e per aver erroneamente applicato al ricorrente destinatario di precedente Daspo la recidiva prevista dalla disposizione di cui al comma 5 della legge 17 ottobre 2014, n. 146 per violazione dei principio di irretroattività delle leggi penali ed inosservanza degli articoli 25, comma 2, della Costituzione, 1 del codice penale e 7 della Cedu in relazione all'articolo 454 dei codice di procedura penale essendo stato il ricorrente assolto dal giudice penale di Ischia con sentenza dell'11 febbraio 2011 per gli stessi fatti materiali che hanno originato il Daspo del 10 giugno 2004, sentenza allegata al ricorso (quarto motivo).

Considerato in diritto

1. II ricorso è infondato.
2. Quanto al primo motivo, va osservato che il Giudice dei merito si è attenuto al principio secondo il quale, in tema di reato di turbative nello svolgimento di manifestazioni sportive, il termine a difesa che deve essere garantito al destinatario del provvedimento dei Questore è solo quello di quarantotto ore dalla notifica dei provvedimento stesso, entro il quale possono essere esercitati il diritto di accesso alla documentazione e la facoltà di presentazione di una memoria difensiva, e non anche quello di ventiquattro ore dal deposito della richiesta dei PM presso la cancelleria del GIP (Sez. 3, n. 12806 dei 06/11/2015, dep. 2016, D'Amato, Rv. 266480).
Nel caso in esame, come lo stesso ricorrente riconosce (pag. 2 dei ricorso) la notifica del provvedimento questorile è avvenuta in data 13 luglio 2015 alle ore 16,40 ed il provvedimento di convalida è stato emesso in data 15 luglio 2015 (senza orario) depositata in data 16 luglio 2015, con la conseguenza che tra la notifica dei provvedimento questorile e la sua convalida è intercorso un lasso di tempo utile per l'interessato ai fini della presentazione di memorie.
Va solo chiarito che l'ordinanza di convalida - pur dovendo contenere come tutti i provvedimenti giurisdizionali l'indicazione dei giorno, mese ed anno della pronuncia - acquistano esistenza giuridica, quando non siano pronunciate in udienza (ipotesi nella specie esclusa trattandosi in materia di Daspo di un procedimento esclusivamente cartolare), solo con il deposito in cancelleria (art. 380, comma 7, cod. proc. pen.), cosicché, fino a quando esse non sono depositate, il giudice può ritornare sulla propria decisione e modificarla.
Ne consegue che, nel caso in esame, deve ritenersi che il provvedimento di convalida ha acquistato giuridica esistenza in data 16 luglio 2015 per essere stato emesso, pur mancando l'orario del deposito, decorse certamente le quarantotto ore dalla notifica del provvedimento questorile, sicché non è corretto desumere invece che, in mancando l'orario a seguito della data indicata dal giudice, il provvedimento stesso sia stato emesso in violazione dei termine di quarantotto ore.
Peraltro, l'erroneo assunto dei ricorrente non è neppure quello della violazione dei termine decorrente dalla data della notifica del provvedimento questorile, quanto che detto termine dovesse decorrere dalla presentazione da parte del pubblico ministero della richiesta di convalida, facendo da tale erroneo presupposto scaturire la insussistente violazione del termine a difesa per la presentazione di scritti difensivi.
3. Anche il secondo motivo è infondato, sviluppato peraltro in dissonanza tra enunciazione del motivo e suo svolgimento argomentativo.
Seguendo un orientamento espresso in dottrina, infatti, il ricorrente struttura la doglianza segnalando un possibile profilo di illegittimità costituzionale ex art. 117 comma 1 Cost., in relazione all'art. 6 CEDU, avuto riguardo alla natura del procedimento di convalida del DASPO, censurando il fatto che la natura prettamente cartolare dei rito impedisce la trattazione in pubblica udienza di siffatte procedure cosicché le norme processuali che tale rito prevedono si porrebbero in rotta di collisione anche con le decisioni della Consulta che, in punto di legittimità dell'udienza in camera di consiglio nei casi in cui si adottano misure di prevenzione personali, ha dichiarato costituzionalmente illegittimi, per contrasto con l'art. 117, primo comma, Cost., l'art. 4 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 e l'art. 2-ter della legge 31 maggio 1965, n. 575, nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione si svolga, davanti al tribunale e alla corte d'appello, nelle forme dell'udienza pubblica (C. Cost., n. 93 dei 12/01/2010, Rv. 34453).
Da ciò il rilievo che la pacifica natura di misura di prevenzione della prescrizione riguardante l'obbligo di presentazione all'autorità di pubblica sicurezza risponderebbe, per la eadem ratio, alle stesse ragioni che hanno inciso sulle norme ex art. 4 della legge n. 1423 del 1956 e art. 2-ter della legge n. 575 del 1965 dichiarate incostituzionali in parte qua.
La questione è manifestamente infondata per le seguenti ragioni.
Va ricordato che, secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la regola fissata dall'art. 6 par. 1 CEDU, secondo la quale ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata in udienza pubblica, sopporta talune eccezioni, pur dovendosi registrare che - a fronte del principio di pubblicità delle udienze giudiziarie, costituzionalmente rilevante anche in assenza di un esplicito richiamo in Costituzione (art. 6 par. 1 CEDU) - le specifiche peculiarità dei procedimento di prevenzione valgono a differenziarlo da un complesso di altre procedure camerali.

Si tratta, come ha affermato la Corte costituzionale (sent. n. 93 del 2010, cit.), di un procedimento all'esito del quale il giudice è chiamato ad esprimere un giudizio di merito, idoneo ad incidere in modo diretto, definitivo e sostanziale su beni dell'individuo costituzionalmente tutelati, quali la libertà personale (art. 13, primo comma, Cost.) e il patrimonio (quest'ultimo, tra l'altro, aggredito in modo normalmente "massiccio" e in componenti di particolare rilievo, come dei resto nel procedimento a quo), nonché la stessa libertà di iniziativa economica, incisa dalle misure anche gravemente "inabilitanti" previste a carico dei soggetto cui è applicata la misura di prevenzione (in particolare, dall'art. 10 della legge n. 575 del 1965).

II che conferisce specifico risalto alle esigenze alla cui soddisfazione il principio di pubblicità delle udienze è preordinato.

Orbene, il procedimento di convalida della misura (di prevenzione) dell'obbligo di presentazione all'autorità di pubblica sicurezza, a seguito di atti di violenza compiuti in occasione di manifestazioni sportive, differisce significativamente dal procedimento ordinario di applicazione delle misure di prevenzione personale e patrimoniale, cosicché non pare possibile teorizzare sulla base del fatto che, siccome i provvedimenti conclusivi delle rispettive procedure appartengono alle medesima categoria giuridica, i procedimenti che li regolano debbano essere disciplinati dal medesimo rito, sotto la forma dell'udienza pubblica quantunque innescabile a richiesta dell'interessato.
Mentre il procedimento ordinario di applicazione delle misure di prevenzione comporta una pronuncia di merito sull'azione penale di prevenzione che necessariamente sfocia in una fase cognitiva piena, il procedimento di convalida ex art. 6, comma 3, legge n. 401 del 1989, per l'urgenza costituzionalmente imposta nel provvedere, esige che la regola della pubblicità, come pacificamente accade per il procedimento precautelare di convalida dei fermo e dell'arresto, si rapporti e si confronti con le caratteristiche di immediatezza e celerità dei procedimento "de quo", volto alla salvaguardia di evidenti esigenze di sicurezza e di ordine pubblico, rientrando perciò la deroga alla pubblicità dell'udienza nelle eccezioni tollerate dalla normativa e dalla giurisprudenza europea che, a tal fine, chiariscono che l'obbligo di tenere un'udienza pubblica non è assoluto. L'articolo 6 Cedu non esige necessariamente di tenere udienza in tutti i procedimenti. Ciò vale, in particolare, per i casi (come quello in esame, peraltro impugnabile con il ricorso per cassazione ex art. 6, comma 4, legge n. 401 del 1989) che non sollevano questione di credibilità o che non scatenano controversia su fatti che necessitano di una udienza e per i quali i tribunali possono pronunciarsi in modo equo e ragionevole sulla base delle conclusioni presentate dalle parti e di altri elementi (C. Edu, Grande Chambre, 23 novembre 2006, Jussila c. Finlandia).
Ne consegue la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 6, comma 3, della legge n. 401 del 1989 per contrasto con l'articolo 117 della Costituzione in relazione all'articolo 6 Cedu.
4. Anche il terzo motivo di gravame e privo di fondamento, avendo la giurisprudenza di legittimità affermato, con orientamento che il Collegio condivide ed al quale occorre dare continuità, che, ai fini dell'applicazione delle misure di prevenzione previste dall'art. 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, tra le condotte commesse "a causa di manifestazioni sportive", debbono ricomprendersi anche quelle che, pur se non tenute direttamente in occasione di competizioni sportive, sono ad esse collegate da un rapporto di diretta e stretta causalità e ciò accade con riferimento ad eventi sportivi come gli allenamenti di una squadra di calcio, con impedimento ai giocatori e allo staff tecnico di uscire dagli spogliatoi apostrofando l'allenatore con frasi offensive (Sez. 3, n. 31387 del 22/04/2015, Baraldi, Rv. 264244).
5. II quarto motivo è manifestamente infondato posto che la vicenda processuale citata nel provvedimento questorile e raltiva ad analoghe intemperanze è, all'evidenza, diversa da quella di cui alla sentenza dell'11 febbraio 2011, allegata al ricorso, essendosi la stessa conclusa con una remissione della querela e non con una pronuncia per insussistenza del fatto.
6. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese dei procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.