Le modalità di trasmissione delle richieste di cooperazione giudiziaria, disciplinate dalle convenzioni in materia di cooperazione giudiziaria, non costituiscono mere formalità prive di concreta rilevanza sulla procedura passiva, bensì rivestono, soprattutto nell'ambito della cooperazione di tipo intergovernativo - ovvero quella che vede come diretti interlocutori le autorità governative degli Stati - una particolare importanza: esse costituiscono infatti per lo Stato richiesto lo strumento necessario sia per stabilire la certa provenienza della richiesta dallo Stato estero sia per assicurare, sul piano interno, il rispetto delle prerogative e delle competenze previste dal diritto nazionale per il procedimento di esecuzione della richiesta (che di norma coinvolgono nella procedura interna le autorità governative).
Una volta pertanto dato seguito ad una richiesta di cooperazione che non rispetta le modalità di trasmissione previste a livello convenzionale, in assenza di specifiche disposizioni normative, si pongono due problemi: va verificato/ da un lato se la violazione delle corrette forme di trasmissione sia talmente grave da far escludere ogni certezza in ordine alla provenienza della documentazione o alla sua autenticità; e dall'altro che risultino comunque rispettate le procedure interne connesse alle previste forme di comunicazione.
Corte di Cassazione
Sez. 6 Num. 31174 Anno 2023
Presidente: DE AMICIS GAETANO
Relatore: CALVANESE ERSILIA
Data Udienza: 13/06/2023 - data deposito 18/07/23
SENTENZA
sul ricorso proposto da
TAV, nato il */1965
avverso la ordinanza del 10/03/2023 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Silvia Salvadori, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato; uditi il difensore, avv. BA in sostituzione degli avv. GI e GP, che ha concluso chiedendo l'annullamento del provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la ordinanza in epigrafe indicata, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano rigettava il ricorso per incidente di esecuzione, presentato nell'interesse di AVT volto ad ottenere la revoca del sequestro preventivo disposto nei suoi confronti e della società S dal Giudice per le indagini preliminari del suddetto Tribunale, con decreto dell'Il gennaio 2022, a seguito di richiesta di cooperazione giudiziaria dello Stato di San Marino. Da quanto emerge dal provvedimento suddetto, le autorità di San Marino avevano richiesto, sulla base della Convenzione bilaterale del 1939, il sequestro a fine di confisca del profitto del reato, anche in forma equivalente, della somma pari a euro 349.335,45 (quale differenza della somma già sequestrata dalle autorità sannnarinesi); il Giudice per le indagini preliminari aveva emesso il provvedimento di sequestro, anche per equivalente, della somma di euro 149.800 nei confronti del T e della somma di euro 149.535,45 nei confronti della società S; la difesa del T aveva dedotto con la impugnazione la illegittimità del sequestro sotto vari profili (omessa notifica del provvedimento ablativo sanmarinese; violazione delle regole sulla trasmissione della richiesta di assistenza).
2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione AVT, denunciando, a mezzo dei difensori di fiducia, i motivi di annullamento, come sintetizzati conformemente al disposto dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Nullità dell'ordinanza per mancanza di motivazione sulla dedotta omessa notifica del decreto di sequestro.
Il ricorrente è indagato per riciclaggio dalle autorità di San Marino quale legale rappresentante della società S (avrebbe convenuto con DG la simulazione di un'attività di consulenza da parte della società ad una banca per trasferire la somma di 500.000 euro, distratta all'istituto bancario; avrebbe poi trasferito parte di questa somma su un suo conto personale e parte allo studio L). Sulla base di tale indagine è stata chiesta da San Marino l'assistenza giudiziaria per il sequestro del profitto del reato. Il relativo decreto del Giudice per le indagini preliminari è stato notificato senza la preventiva o contestuale notifica del provvedimento ablativo sanmarinese, con compromissione del diritto di difesa (nella specie, conoscere l'esatta contestazione e disporre dei mezzi di impugnazione).
Questo vulnus ha comportato che il ricorrente ha potuto esperire avverso il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari l'incidente di esecuzione ex art. 666 cod. proc. pen. e avverso il provvedimento sanmarinese soltanto un reclamo "al buio".
Erroneamente il Giudice per le indagini preliminari ha respinto la doglianza difensiva sulla base dell'autonomia del provvedimento emesso in Italia, alla luce dell'arresto delle Sezioni Unite n. 21420 del 2003.
Quel che la difesa intendeva sostenere era che la mancata unione del decreto sanmarinese rendeva illegittimo quello nazionale per l'impossibilità di formulare doglianze nel merito delle contestazioni.
In tal modo sono stati violati, come eccepito, anche gli artt. 696-ter cod. proc. pen., 6 CEDU e 111 Cost., in quanto l'esecuzione della misura veniva a violare i diritti fondamentali, ovvero il diritto di difesa.
Aspetti sui quali l'ordinanza nulla ha motivato.
2.2. Nullità dell'ordinanza impugnata per violazione della Convenzione di Varsavia del 2005.
La difesa aveva eccepito che era stata violata, con l'omessa notifica di cui sopra, anche quanto prescrive la suddetta Convenzione (art. 31), ratificata da entrambi gli Stati.
Il Giudice per le indagini preliminari ha ritenuto non applicabile la normativa convenzionale, quando invece si trattava della normativa pattizia "specifica" volta a disciplinare il caso in esame.
La difesa aveva anche eccepito che andava applicata la normativa della Convenzione in tema di trasmissione della richiesta di rogatoria (stante l'assenza di urgenza nel caso in esame), anziché quella del trattato bilaterale.
Il Giudice per le indagini preliminari ha ritenuto la prevalenza di quest'ultimo su una pretesa coincidenza delle parti che avevano sottoscritto i due atti internazionali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei limiti e nei termini che seguono.
2. Preliminarmente va rilevato che il ricorrente ha impugnato la ordinanza anche per la parte relativa al sequestro riguardante la società.
Peraltro, tanto dal ricorso quanto dalla procura conferita ai difensori dal T, non si evince la sua legittimazione ad impugnare anche per la società da lui amministrata.
Pertanto, il ricorso deve ritenersi limitato al solo sequestro riguardante la persona del ricorrente.
3. Prima di procedere all'esame delle doglianze difensive va chiarito il quadro normativo con riferimento allo specifico oggetto della richiesta di cooperazione giudiziaria: il sequestro a scopo di confisca del profitto del reato.
Da quanto emerge dal provvedimento impugnato, l'autorità giudiziaria di San Marino aveva richiesto direttamente alle autorità giudiziarie italiane il compimento di tale atto sulla base della Convenzione bilaterale del 1939; e a tale strumento pattizio il Giudice per le indagini preliminari ha fatto riferimento per stabilire la infondatezza delle eccezioni difensive.
Tale assunto non risulta corretto.
3.1. La Convenzione di amicizia e buon vicinato stipulata in Roma, fra l'Italia e la Repubblica di San Marino il 31 marzo 1939 è un trattato che regola varie forme di collaborazione tra i due Stati (assistenza giudiziaria civile; assistenza giudiziaria penale comprensiva dell'estradizione e della riscossione di pene pecuniarie assistenza amministrativa, diritti di autore e similia) e che dedica solo poche disposizioni all'assistenza giudiziaria in materia penale in senso stretto (artt. 29- 34).
Quanto all'oggetto delle rogatorie, il trattato prevede (art. 29) che "l'autorità giudiziaria di ciascuna delle parti contraenti procederà, su richiesta dell'autorità giudiziaria dell'altra parte, alla notificazione di atti, alla esecuzione di atti istruttori, compreso il sequestro di oggetti costituenti corpo di reato, e al compimento di ogni altro atto relativo a procedimenti penali che si svolgano avanti alle autorità predette", corrispondendo le suddette autorità direttamente.
Va peraltro rammentato che la Repubblica di San Marino per la materia della assistenza giudiziaria in materia penale ha sottoscritto (nel 2000) e ratificato (nel 2009) al pari dello Stato italiano la Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 1959.
Questa Convenzione ha espressamente abrogato (art. 26) le disposizioni dei trattati, convenzioni e accordi bilaterali che, fra le due Parti Contraenti, disciplinano l'assistenza giudiziaria in materia penale, fatti salve quelle che regolano "in un determinato settore" e su "singoli punti" l'assistenza giudiziaria.
Lo stesso art. 26 fa inoltre salve le disposizioni di accordi bilaterali in materia di trasmissione diretta delle rogatorie e sulla traduzione degli atti.
La Repubblica di San Marino ha depositato una dichiarazione all'art. 26 con la quale ha previsto di far rimanere in vigore le previsioni di accordi bilaterali purché "compatibili" con la Convenzione europea. Lo Stato italiano non ha effettuato un'analoga dichiarazione.
3.2. In ogni caso, quel che è rilevante evidenziare è che la materia dell'assistenza giudiziaria in materia penale è funzionale al compimento di atti di tipo istruttorio (compreso il sequestro probatorio) o atti di natura ancillare (come notificazioni) o complementare (come la denuncia di procedimento penale) (Sez. 6, n. 52918 del 19/10/2016),
La funzione "strumentale" dell'assistenza in tema di sequestro rispetto allo svolgimento del processo penale è evidenziata in entrambi i richiamati strumenti pattizi dall'obbligo di restituzione di quanto trasmesso in esecuzione della rogatoria: cfr. art. 30 della Convenzione bilaterale (per i documenti, i corpi di reato e ogni altro oggetto necessario per la condanna o a discolpa dell'imputato da restituire "nel più breve termine") e art. 6 della Convenzione europea (per gli oggetti, i fascicoli e i documenti trasmessi in esecuzione della rogatoria da restituire il "più presto possibile" alla Parte richiesta).
Proprio per superare i limiti dell'ambito dell'assistenza giudiziaria tradizionale in materia penale, che impedivano di dare attuazione a misure reali di tipo ablatorio (e con esse anche alle misure provvisorie), si è sviluppato lo specifico settore della cooperazione giudiziaria per il riconoscimento e l'esecuzione di provvedimenti di confisca dei proventi illeciti di reato.
A tal fine/ e per quel che interessa il caso in esame, è stata conclusa dal Consiglio d'Europa la Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato del 1990 che contiene disposizioni per la cooperazione giudiziaria non solo per l'esecuzione degli ordini di confisca, ma anche per le "misure provvisorie" (artt. 11 e 12), quali "il congelamento o il sequestro, allo scopo di prevenire qualsiasi commercio, trasferimento o alienazione di valori patrimoniali che, in un momento successivo, potrebbero formare oggetto di richiesta di confisca o potrebbero servire a soddisfare tale richiesta".
La suddetta Convenzione (sottoscritta e ratificata da entrambi gli Stati) è stata sostituita per gli Stati Parte dalla Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo del 2005 - anche essa sottoscritta e ratificata da San Marino (2010), oltre dall'Italia.
3.3. Quindi era la Convenzione del 2005 lo strumento che doveva essere applicato per regolare nel caso in esame la richiesta e l'esecuzione del sequestro preventivo a scopo di confisca del profitto del reato.
4. Esaminati in questa prospettiva i motivi di ricorso, deve ritenersi infondata la questione dedotta dal ricorrente con riferimento alla mancata notifica del decreto di sequestro emesso dallo Stato richiedente.
La Convenzione del Consiglio di Europa del 2005 non prevede che alla domanda di sequestro preventivo sia allegato il provvedimento nazionale (art. 37), fatto salvo il caso in cui sia stato emesso un ordine definitivo di confisca.
L'art. 28, che disciplina i motivi di rifiuto, stabilisce inoltre per le misure provvisorie che, laddove lo preveda la legge dello Stato richiesto, la "domanda" deve essere firmata da un giudice o da altra autorità giudiziaria.
La suddetta Convenzione disciplina a latere l'assistenza per la notificazione di documenti giudiziari alle persone interessate da misure provvisorie e da confis (art. 31).
Erroneamente la difesa ritiene che tale ultima norma imponga la notificazione del provvedimento nazionale di sequestro. Essa piuttosto / come chiarisce anche il Rapporto esplicativo della Convenzione, vuol fornire una base normativa, se non già esistente, per la cooperazione internazionale nell'adempimento degli obblighi di notifica. Adempimento che deve pur sempre trovare il suo fondamento in una espressa domanda dello Stato richiedente.
Alla luce del quadro convenzionale sopra citato, nel quale non è presupposto per la cooperazione la trasmissione del provvedimento nazionale di sequestro, la difesa nel "merito" del destinatario del provvedimento di sequestro è affidata al sistema dello Stato richiedente.
Non è stato allegato dal ricorrente che esso non offra all'interessato il diritto di ottenere copia del provvedimento al fine di esercitare le prerogative difensive.
5. E' invece fondato il motivo relativo alle modalità di trasmissione della richiesta di cooperazione giudiziaria.
L'ordinanza impugnata ha infatti erroneamente ritenuto legittima, sulla base della Convenzione bilaterale del 1939, la trasmissione "diretta" della richiesta di sequestro dall'autorità giudiziaria sanmarinese a quella italiana.
5.1. In ordine ai canali di trasmissione delle richieste di cooperazione, gli art. 33 e 34 della Convenzione del Consiglio d'Europa del 2005, replicando le disposizioni degli artt. 23 e 24 di quella del 1990, prevedono da un lato
(/ l'individuazione di un'autorità centrale competente a inviare e ricevere le richieste
e dall'altro il canale di comunicazione (di regola quello tra autorità governative (
"centrali"), consentendo a tal riguardo la trasmissione diretta tra autorità giudiziarie soltanto "in caso di urgenza" (con l'invio di una copia da parte dell'autorità centrale dello Stato richiedente a quella dello Stato di esecuzione) o di richieste o comunicazioni non comportanti l'esecuzione di misure coercitive.
L'art. 52 della Convenzione del 2005 consente la possibilità per gli Stati parte di regolare a livello bilaterale la materia trattata dalla stessa convenzione per facilitare la cooperazione.
La Convenzione bilaterale del 1939, che non disciplina una materia omogenea, non poteva essere pertanto richiamata dalla ordinanza impugnata a tal fine.
Quindi. nel caso in esame, la trasmissione diretta della richiesta di sequestro doveva ritenersi consentita soltanto in presenza del presupposto (l'urgenza) previsto dalla Convenzione del 2005.
Peraltro, la correttezza delle modalità di trasmissione della richiesta di cooperazione giudiziaria va stabilita alla stregua non solo della normativa pattizia sopra indicata, ma anche delle "prassi".
Già in tema di trasmissione delle rogatorie, questa Corte ha affermato come l'applicazione delle convenzioni tra gli Stati dipenda anche dalle prassi instauratesi "in concreto" tra le Parti, alle quali fa riferimento l'art. 31, par. 3, lett. b) della Convenzione Vienna sul diritto dei trattati del 23 maggio 1969, ratificata con legge 12 febbraio 1974, n. 112 e l'art. 696 cod. proc. pen.
Prassi che possono quindi portare gli Stati ad una applicazione della normativa pattizia più ampia rispetto alle regole fissate dalla disciplina positiva, ad esempio non richiedendo il requisito dell'urgenza (così, tra tante, Sez. 1, n. 34576 del 20/09/2002, Rv. 222863).
5.3. Ciò premesso, va stabilito quale siano le conseguenze sul provvedimento cautelare, adottato dal Giudice per le indagini preliminari, derivanti dall'erronea individuazione delle modalità di trasmissione della richiesta di sequestro.
Le modalità di trasmissione delle richieste di cooperazione giudiziaria, disciplinate dalle convenzioni in materia di cooperazione giudiziaria, non costituiscono mere formalità prive di concreta rilevanza sulla procedura passiva, bensì rivestono, soprattutto nell'ambito della cooperazione di tipo intergovernativo - ovvero quella che vede come diretti interlocutori le autorità governative degli Stati -1quale è quella in esame, una particolare importanza: esse costituiscono infatti per lo Stato richiesto lo strumento necessario sia per stabilire la certa provenienza della richiesta dallo Stato estero sia per assicurare, sul piano interno, il rispetto delle prerogative e delle competenze previste dal diritto nazionale per il procedimento di esecuzione della richiesta (che di norma coinvolgono nella procedura interna le autorità governative).
Una volta pertanto dato seguito ad una richiesta di cooperazione che non rispetta le modalità di trasmissione previste a livello convenzionale, in assenza di specifiche disposizioni normative, si pongono due problemi: va verificato/ da un lato se la violazione delle corrette forme di trasmissione sia talmente grave da far escludere ogni certezza in ordine alla provenienza della documentazione o alla sua autenticità (cfr. Sez. 6, n. 51610 del 13/11/2019, Rv. 277576 in tema di estradizione); e dall'altro che risultino comunque rispettate le procedure interne connesse alle previste forme di comunicazione.
In particolare, quanto a tale ultimo profilo, per la materia in esame, viene in applicazione la disciplina codicistica (art. 737- bis cod. proc. pen.) che individua le autorità nazionali competenti a "dar seguito" alla richiesta di sequestro.
6. Dunque, alla luce di quanto osservato, l'ordinanza impugnata deve essere annullata affinché il giudice adito si pronunci nuovamente sul profilo denunciato dal ricorrente con riferimento alle modalità di trasmissione della richiesta di sequestro a scopo di confisca, adeguandosi ai principi sopra affermati.