Il contenuto delle conversazioni può essere provato anche mediante deposizione testimoniale, non essendo necessaria la trascrizione delle registrazioni nelle forme della perizia, atteso che la prova è costituita dalla bobina o dalla cassetta, che l'art. 271 c.p.p., comma 1, non richiama la previsione dell'art. 268 c.p.p., comma 7, tra le disposizioni la cui inosservanza determina l'inutilizzabilità e che la mancata trascrizione non è espressamente prevista nè come causa di nullità, nè è riconducibile alle ipotesi di nullità di ordine generale tipizzate dall'art. 178 c.p.p.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
(ud. 03/05/2019) 10-10-2019, n. 41632
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SANDRINI Enrico Giuseppe - Presidente -
Dott. SARACENO Rosa Anna - Consigliere -
Dott. SANTALUCIA Giuseppe - Consigliere -
Dott. MINCHELLA Antonio - Consigliere -
Dott. CAIRO Antonio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C.W., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 21/06/2017 della CORTE ASSISE APPELLO di VENEZIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. CAIRO ANTONIO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore CENICCOLA ELISABETTA, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso con ogni conseguente statuizione.
udito il difensore l'avv. MZ il quale insiste per l'accoglimento dei motivi di ricorso.
Udito l'avv. ET che espone le argomentazioni difensive chiedendo accogliersi il ricorso.
Svolgimento del processo
1. La Corte d'assise d'appello di Venezia con la decisione in epigrafe, in data 21/6/2017, confermava la sentenza della Corte d'assise di Rovigo del 22/5/2015 che aveva dichiarato C.W. colpevole dei reati ascritti ai capi B) e D) e unificati ex art. 81 cpv c.p. sotto la più grave imputazione di cui al capo D), con le circostanze attenuanti generiche, con quella della lieve entità e quella di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 3 quinquies lo condannava alla pena di anni undici mesi sette giorni dieci di reclusione, con contestuale declaratoria di condono, ex L. n. 241 del 2006, per la relativa frazione di pena, pari ad anni tre di reclusione. Seguiva la dichiarazione di interdizione dai pubblici uffici in perpetuo e quella di interdizione legale durante l'espiazione della pena.
Dichiarava la Corte anzidetta estinto per prescrizione il reato di cui al capo A) e assolveva, tra gli altri, l'imputato dal reato ascritto al capo C), con formula d'insussistenza.
1.1. Si era contestato a C.W. il concorso nel delitto di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 1 e 3 perchè, in concorso con persone non identificate, anche operanti in territorio estero, al fine di lucro e con l'utilizzazione di servizi di trasporto aereo internazionale, favoriva l'ingresso di trenta cittadini extracomunitari di nazionalità cinese non aventi titolo al soggiorno, in (OMISSIS) (capo B).
Ancora, era oggetto di contestazione ed era stata, al pari, ritenuta la penale responsabilità dell'imputato per il delitto di cui al capo D), relativo al sequestro di persona a scopo di estorsione della cittadina cinese W.J., trattenuta nell'abitazione dell'imputato, in attesa che i genitori pagassero il compenso di 125.000 yen, condotta posta in essere per conseguire il profitto ingiusto come prezzo della sua liberazione.
La Corte territoriale aveva ricostruito la vicenda processuale richiamando quanto era stato annotato dalla decisione di primo grado e soffermandosi sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa, W.J., attraverso il cui racconto si era appreso del viaggio intrapreso il (OMISSIS) verso l'Italia. La ragazza era partita dalla sua città di origine, (OMISSIS), e si era recata a (OMISSIS); da lì, con un volo di linea, aveva raggiunto (OMISSIS), ove si era trattenuta per una settimana circa. Con altro volo, si era diretta in Nuova Siberia e, poi, a (OMISSIS); indi era giunta in Croazia ove le era stato sottratto il passaporto e, in auto, era stata accompagnata alla frontiera italiana. In un bosco, durante la notte, era stata prelevata dal C.W., odierno imputato, che l'aveva condotta presso la sua abitazione ove il giorno seguente era stata trovata dalle forze dell'ordine.
L'imputato aveva telefonato ai parenti della ragazza in Cina, insistendo per ricevere il pagamento del denaro. Affermava, infatti, che gli era stato riferito da altro soggetto in Cina che il denaro non era stato ancora corrisposto. Alle giustificazioni di costoro - di aver già provveduto- aveva risposto intimando alla W.J. di restare nell'abitazione, fino al pagamento del dovuto da parte dei parenti.
La Corte d'assise d'appello escludeva la nullità e l'inutilizzabilità delle sommarie informazioni rese dalla persona offesa, W.J., ex art. 351 c.p.p. e confermava, condividendo il ragionamento del primo Giudice, la decigone impugnata.
2. Ricorre per cassazione C.W., a mezzo del difensore di fiducia, e deduce quanto segue.
2.1. Con il primo motivo lamenta l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa W.J. il 14/9/2003 davanti al ROS di Ancona per violazione degli artt. 146, 191 e 351 c.p.p. e il relativo vizio di motivazione. La nullità, osserva il ricorrente, con conseguente inutilizzabilità, era stata eccepita già all'udienza del 4/3/2015. Il vizio discendeva dalla mancata indicazione delle generalità dell'interprete che aveva svolto le funzioni di ausiliario della polizia giudiziaria.
Non sarebbe stata condivisibile la tesi della Corte d'assise d'appello che aveva ritenuto corretta l'individuazione dell'interprete per relationem, citando l'altro procedimento in cui l'interprete stesso risultava identificato. Ciò perchè la difesa, non potendo accedere agli atti dell'altro procedimento, non aveva avuto la possibilità di intervenire sul punto.
La decisione impugnata, lamenta il ricorrente, non aveva tenuto presente che con le contestazioni eseguite in dibattimento, attraverso l'utilizzazione del verbale anzidetto, si era formata una deposizione nulla. Nè la Corte d'assise d'appello aveva spiegato quali dichiarazioni, anche a prescindere dalle contestazioni alla persona offesa, potessero fondare l'affermazione di penale responsabilità.
2.2. Con il secondo motivo si deduce l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese in dibattimento dagli operatori di p.g., in relazione a quanto appreso dagli stessi attraverso l'ascolto di intercettazioni non oggetto di perizia trascrittiva. La questione era stata proposta, ma respinta dalla Corte d'assise con ordinanza in data 4/3/2015. In particolare, al fine di supplire alla mancanza dei supporti delle intercettazioni, erano stati sentiti in qualità di testi gli operatori di polizia giudiziaria e l'interprete che avevano ascoltato le conversazioni, traducendole. Nella specie vi era stata la violazione degli artt. 191, 268 e 271 c.p.p. e le intercettazioni di altro procedimento sarebbero state acquisibili solo attraverso una autonoma perizia.
2.3. Con il terzo motivo si duole il ricorrente del vizio di motivazione in relazione alla valutazione degli elementi a carico e a discarico. Lamenta che la Corte si era soffermata sulle dichiarazioni dei testi di polizia giudiziaria, su quelle rese dalla persona offesa, sull'interrogatorio dell'imputato e sulla deposizione di C.W..
2.3.1. Sul primo aspetto si annota che contraddittoriamente era stato interpretato il rinvenimento di un numero di telefono all'interno dell'abitazione ove la persona offesa si assume era stata sequestrata. Ciò perchè quel numero, inteso nella prospettazione a carico come necessario a prendere contatto con i familiari della vittima per verificare il pagamento del denaro dovuto per la liberazione, al contrario, aveva spiegato l'imputato, sarebbe servito solo per dare assicurazioni a costoro che W.J. era giunta a destinazione. Del resto, la conformazione della casa non era stata approfondita dal testo della motivazione della decisione.
L'abitazione, infatti, presentava una finestra al piano terreno che non era accessoriata con inferriate. Lo stesso atteggiamento della persona offesa, W.J., non era stato quello tipico di una persona sequestrata, quanto, piuttosto, quello di una persona impaurita dall'intervento della polizia giudiziaria. La donna era, d'altro canto, priva del permesso di soggiorno ed era clandestina sul territorio dello Stato.
In questa logica non ci furono al momento dell'intervento degli operanti segni di disagio o richieste di aiuto.
2.3.2. Quanto alle dichiarazioni della persona offesa esse, per quanto detto, erano inutilizzabili. In ogni caso la valutazione intrinseca di attendibilità era parziale. La donna aveva negato di aver utilizzato la parola "padrone" e di aver affermato che la sua condizione in un certo momento del viaggio si fosse trasformata da quella di una turista in quella di una sequestrata.
In questa logica si sarebbe dovuto escludere che la persona offesa avesse subito significativi atteggiamenti di coercizione, non emersi in istruttoria dibattimentale.
2.3.3. Quanto alla versione resa dall'imputato, costui dal primo interrogatorio aveva tenuto un comportamento collaborativo posto in essere dall'assistito, permettendo l'individuazione degli altri soggetti coinvolti nei fatti per cui era processo, dato che avrebbe dovuto portare almeno al riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 630 c.p., comma 5. Del resto, l'imputato affermava di aver spiegato le ragioni della chiusura della porta di ingresso, poichè, dovendosi allontanare dall'abitazione per motivi di lavoro, temeva che qualcuno potesse farvi accesso.
2.3.4. Anche la deposizione della teste C.W. confermava che la porta era apribile dall'interno, essendo dotata di maniglia e che le chiavi erano custodite in un armadietto a vetri in cucina.
2.4. Con il quarto motivasi lamenta la carenza dell'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 630 c.p..
La persona offesa non era stata nè segregata all'interno dell'abitazione, nè privata della possibilità di uscire dalla casa.
Avrebbe, invero, potuto farlo anche uscendo dalla finestra al piano terra. A tacer d'altro, le chiavi erano custodite in un armadietto in cucina. Chiunque sarebbe, dunque, stato in grado di aprire la finestra e di allontanarsi.
Sul prezzo della liberazione, ancora, non risultava che esso fosse entrato in una pattuizione, assolvendo la funzione del tipico corrispettivo per la liberazione della persona offesa.
2.5. Con il quinto motivo si lamenta la carenza dell'elemento psicologico del reato di cui all'art. 630 c.p.. Si trattava, infatti, di un delitto a dolo specifico in cui il riscatto doveva costituire il prezzo della liberazione della persona offesa. Assume il ricorrente che se si fosse inteso limitare la libertà di movimento della persona offesa si sarebbero sprangate le porte di accesso all'abitazione, cosa che non era, al contrario, accaduta.
Ogni riferimento alle somme di denaro si sarebbe dovuto intendere come collegato al viaggio e ai costi sostenuti per raggiungere l'Italia.
Non vi era, pertanto, prova di un'azione posta in essere per ottenere denaro in cambio della liberazione della vittima.
2.6. Con il sesto motivo si lamenta la differente valutazione giuridica dei fatti e la possibile riconducibilità di essi agli artt. 605, 610, 629 e 379 c.p..
Assente il dolo specifico il fatto sarebbe stato recuperabile all'art. 605 c.p. e la mancanza dell'elemento materiale, relativo alla privazione della libertà personale, avrebbe permesso l'applicazione dell'art. 610 c.p..
Anche in relazione al comportamento tenuto verso i correi si sarebbe potuto al più configurare il delitto di favoreggiamento (art. 379 c.p.) tenuto conto dell'estraneità del ricorrente al contesto organizzato internazionale.
2.7. Con il settimo motivo si lamenta la mancata concessione dell'attenuante di cui all'art. 630 c.p., comma 5. Contrariamente, proprio il contributo collaborativo dato dal ricorrente aveva permesso l'identificazione degli altri correi.
2.8. Con l'ottavo motivo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 1 e 3. Ciò perchè il ricorrente era entrato in contatto con i connazionali quando costoro erano già presenti sul territorio dello Stato e non aveva posto in essere atti tesi a provocare l'ingresso clandestino nel Paese.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile perchè,in parte isulta manifestamente infondato e, in altra parte, sviluppato essenzialmente in fatto, articolando deduzioni per più aspetti puramente iterative e generiche.
1.1. E' necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, delineati dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, che, a parere di questo collegio, la predetta novella non ha comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare un'indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito. Il Giudice della legittimità deve limitarsi a verificare l'adeguatezza delle considerazioni di cui il Giudice di merito si sia avvalso per giustificare il suo convincimento. La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali può essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il c.d. "travisamento della prova" (consistente nell'utilizzazione di un'informazione inesistente o nell'omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica), purchè siano indicate in maniera specifica le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato. Permane, al contrario, la non deducibilità, nel giudizio di legittimità, del travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. VI, sentenza n. 25255 del 14 febbraio 2012, CED Cass. n. 253099).
La mancanza, l'illogicità manifesta e la contraddittorietà della motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono, poi, risultare di spessore tale da essere percepibili ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (Sez. un., sentenza n. 24 del 24 novembre 1999; CED Cass. n. 214794; Sez. un., sentenza n. 12 del 31 maggio 2000, CED Cass. n. 216260; Sez. un., sentenza n. 47289 del 24 settembre 2003, CED Cass. n. 226074).
Inammissibile, tra l'altro, per difetto di specificità (per tutte, Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio - 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno - 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133) è il ricorso che riproponga pedissequamente le censure dedotte come motivi di appello senza prendere in considerazione, per confutarle, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non siano stati accolti.
2. Ciò posto si può passare all'esame specifico delle ragioni di doglianza.
2.1. Il primo motivo è relativo alla mancata indicazione delle generalità dell'interprete che avrebbe assistito la persona offesa, durante l'assunzione delle informazioni.
La questione, già sottoposta alla Corte territoriale, è stata affrontata e correttamente risolta dal Giudice di merito (fl. 9).
Si è osservato, da parte della Corte d'assise d'appello, che l'interprete era stato già nominato nell'ambito del procedimento n. 4572/02 della DDA di Ancona e che l'omissione delle generalità non aveva recato alcun pregiudizio all'esercizio dei diritti di difesa, nè aveva precluso la possibilità di avvalersi di facoltà che il sistema riconosceva a fronte della nomina dell'interprete stesso.
Questa Corte ritiene che, in caso di nomina dell'interprete, l'indicazione delle generalità possa avvenire anche per relationem, attraverso il rinvio ad atti di altro procedimento, del quale siano indicati i numeri relativi e che permettano alla parte che intenda richiedere copia dell'atto stesso - di esercitare eventuali diritti o facoltà processuali.
Nella specie, invero, non si tratta di incorporare o richiamare aspetti valutativi del discorso giustificativo della decisione, aliunde svolti, ma di recuperare un puro dato materiale che riguarda la persona fisica che ha svolto l'ufficio di interprete, le cui generalità sono, in ogni caso, certe perchè già inserite in un atto formale del diverso procedimento, che risulta espressamente richiamato.
Nè vi sono disposizioni specifiche che facciano discendere, in ipotesi siffatta, forme di invalidità o di inutilizzabilità (in materia di intercettazioni, in senso analogo, Sez. 6, n. 30783 del 12/07/2007, Barbu e altri, Rv. 237088; Sez. 5, n. 25549 del 15/04/2015, Rv. 268024; Sez. 3, n. 31454 del 04/11/2015 Cc. (dep. 2016) Rv. 267738; Sez. 6, n. 31285 del 23/03/2017, Rv. 270570).
Ciò posto, in via generale, il motivo di ricorso non si confronta specificamente con la spiegazione offerta dalla Corte territoriale e risulta, oltre che non pienamente correlato alla decisione, anche, per più aspetti, generico e privo di specificità.
Infatti, la Corte d'assise d'appello ha osservato come non vi fosse dubbio sulla identificazione certa dell'ausiliario, operata in altro procedimento, cui si era rinviato per relationem. Quel dato sarebbe stato, pertanto, certamente acquisibile dalla parte che avesse inteso controdedurre sull'avvenuta nomina ovvero esercitare poteri o facoltà che l'ordinamento assicurava.
Per altro verso, il ricorrente non indica in che termini l'avvenuta nomina (che risulta operata nella qualità di ausiliario di polizia giudiziaria e non di perito in senso stretto) abbia, in concreto, precluso l'esercizio dei relativi diritti e quali fossero, in realtà, le prerogative che la parte non aveva potuto esercitare in ordine al conferimento dell'incarico in esame.
L'articolazione del motivo di ricorso è, dunque, strutturalmente generica e si caratterizza per tali margini d'astrattezza ecppecificità che confermano anche, per il profilo in esame, l'inammissibilità della doglianza.
Ancora, la deduzione è priva di decisività.
L'esame della parte lesa e la formazione della prova è avvenuta in dibattimento, nel pieno rispetto del contraddittorio. La dichiarazione che tiene luogo di prova, pertanto, ha correttamente osservato la Corte territoriale, è la sola affermazione resa durante l'esame processuale.
La questione dedotta - che si articolerebbe sulle sommarie informazioni rese dalla persona offesa in fase di indagini preliminari e sulla traduzione del relativo verbale - risulta priva di decisività, ai fini dell'esito processuale. Nè la parte ricorrente ha indicato in che termini quel verbale e il relativo prodotto dichiarativo sarebbe stato oggetto di contestazione o in che punto della deposizione dibattimentale esso verbale avrebbe assolto un ruolo di recupero probatorio (tra l'altro neppure possibile) a superamento o chiarimento della dichiarazione resa nella fase dibattimentale.
Si comprende, allora, come alla genericità della deduzione - che si risolve in una questione puramente astratta - e alla mancata individuazione del punto specifico in cui la prova sarebbe stata "condizionata" dall'impiego del verbale di sommarie informazioni per le contestazioni non può che conseguire la anticipata conclusione d'inammissibilità della doglianza.
2.2. Inammissibile è anche il secondo motivo di ricorso.
La Corte d'assise d'appello affronta specificamente la questione delle intercettazioni che, secondo quanto lamenta il ricorrente non avrebbero costituito oggetto di nuovo incarico peritale (fl. 10 della decisione) in funzione della relativa trascrizione.
Si è, infatti, spiegato che, pur costituendo il materiale offerto dalle intercettazioni attività posta in essere in altro procedimento, la materia probatoria era stata integrata proprio attraverso il contributo dichiarativo degli operanti di polizia giudiziaria, intervenuti al momento dei fatti e delle dichiarazioni della persona offesa.
Le stesse affermazioni dell'imputato offrivano, poi, più d'un elemento che, valutato unitariamente agli altri dati probatori, consolidava pienamente la piattaforma dimostrativa a carico.
In questa logica la Corte d'assise d'appello ha spiegato che il nucleo centrale della vicenda era costituito dalla flagranza del delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, flagranza che si era raggiunta in investigazione, proprio attraverso l'ascolto delle captazioni. L'interpretazione, dunque, delle stesse conversazioni non ha, in sostanza, costituito l'unico e determinante elemento di convalida della prospettazione d'accusa, nè in questa direzione ha operato la dichiarazione dei testi di polizia giudiziaria escussi.
Piuttosto, dalla lettura delle sentenze di merito si intende come la permanenza del sequestro di persona a scopo estorsivo, in atto al momento dell'irruzione da parte della polizia giudiziaria presso l'abitazione dell'imputato, aveva reso certa la piattaforma dimostrativa escludendo che potessero configurarsi ipotesi di nullità o di inutilizzabilità delle dichiarazioni testimoniali (abbastanza marginali) che si lamenta siano state rese dagli operatori di polizia giudiziaria sul contenuto delle intercettazioni.
Questa Corte ha spiegato, d'altro canto, che in tema di intercettazioni telefoniche, il contenuto delle conversazioni può essere provato anche mediante deposizione testimoniale, non essendo necessaria la trascrizione delle registrazioni nelle forme della perizia, atteso che la prova è costituita dalla bobina o dalla cassetta, che l'art. 271 c.p.p., comma 1, non richiama la previsione dell'art. 268 c.p.p., comma 7, tra le disposizioni la cui inosservanza determina l'inutilizzabilità e che la mancata trascrizione non è espressamente prevista nè come causa di nullità, nè è riconducibile alle ipotesi di nullità di ordine generale tipizzate dall'art. 178 c.p.p. (Sez. 6, n. 25806 del 20/02/2014, Caia e altri, Rv. 259675; Sez. 2, n. 13463 del 26/02/2013, P.G. contro Lagano Rv. 254910; Sez. 2, n. 43606 del 10/10/2003, Isidori e altro, Rv. 227676).
Nè il ricorrente indica in concreto quali passi dichiarativi e quali elementi possano risultare smentiti dalle intercettazioni stesse e in che misura essi abbiano avuto rilevanza decisiva ai fini della statuizione finale.
2.3. Gli argomenti sviluppati nel terzo motivo di ricorso risultano tutti inammissibili, prospettando rivalutazione del risultato della prova, già correttamente ponderato dal Giudice di merito e, per altro verso, questioni di puro fatto inammissibili in sede di legittimità in difetto di un travisamento del dato informativo, in presenza di una cd. doppia conforme.
2.3.1. Ciò vale, in primo luogo, per la questione relativa al rinvenimento del numero di telefono dei parenti della persona offesa, all'interno dell'abitazione dell'imputato.
La Corte territoriale ha indicato in sostanza le ragioni per le quali, alla luce dell'intero quadro istruttorio non fosse attendibile la versione di C.W., secondo cui quel recapito telefonico sarebbe servito per dare assicurazioni che W.J. era giunta a destinazione.
La deposizione della persona offesa escludeva quella lettura e le ulteriori valutazioni sviluppate nel motivo di ricorso rimettono rivalutazioni del risultato della prova, già correttamente scrutinata.
Nè vale in questa logica richiamare la conformazione dell'abitazione, la presenza di una finestra al piano terreno priva di inferriate e lo stesso atteggiamento di W.J., che non era parso quello di una persona sequestrata, quanto, piuttosto, quello di un soggetto impaurito dall'intervento della polizia giudiziaria.
Si tratta di argomenti che, a parte le deduzioni esclusivamente in fatto, sono stati valutati dal Giudice territoriale con una motivazione immune da ogni censura, specie alla luce della condizione della persona offesa stessa, appena giunta in Italia e in condizione di difficoltà e di disorientamento, risultando priva del passaporto, estranea ai luoghi, in condizione di non comprendere e parlare la lingua e non avendo contatti con altri soggetti che potessero offrirle un minimo di ausilio.
2.3.2. Inammissibili risultano parimenti i riferimenti alla deposizione della persona offesa della cui attendibilità la sentenza impugnata ha dato conto, spiegando come la dichiarazione di W.J. fosse stata di estrema precisione e linearità.
Non risultano, peraltro, sul punto risolutivi gli argomenti sull'uso del termine "padrone" e quelli sulla percezione d'una trasformazione della sua condizione -in un certo momento del viaggio- da turista a sequestrata, trattandosi di argomenti che, per un verso, non sono conformi alla regola di autosufficienza del ricorso e che, per altro verso, rimettono questioni di fatto insindacabili in sede di legittimità.
2.3.3. La Corte territoriale ha anche spiegato la ragione per la quale ha escluso la possibilità di riconoscere l'attenuante di cui all'art. 630 c.p., comma 5.
Si legge nella decisione impugnata che l'imputato non aveva fornito, contrariamente a quanto dedotto, alcun contributo all'individuazione del " C.".
In questa logica si è osservato come non risultasse alcunchè dal verbale di interrogatorio sulla identificazione di costui e come non si ricavasse riscontro alcuno sulla stessa circostanza che il C. era stato suo dipendente e sarebbe stato, comunque, identificabile.
Non si è, pertanto, ritenuto -con un giudizio immune da censure- che si versasse al cospetto di un'ipotesi di dissociazione e di concreta collaborazione con l'autorità per l'individuazione dei concorrenti, con la conseguenza che la decisione di negare l'attenuante della cd. collaborazione risulta insindacabile.
2.3.4. In fatto e, pertanto, inammissibili risultano le deduzioni relative alla deposizione della teste C.W. sulla porta, apribile anche dall'interno, essendo dotata di maniglia, le cui chiavi erano custodite in un armadietto a vetri in cucina.
Si propone una valutazione alternativa del risultato di prova, senza considerare le argomentazioni che la Corte territoriale ha avuto modo di esplicitare chiarendo in quali condizioni si fosse trovata, appunto, la persona offesa, subito dopo l'ingresso in Italia, essendo stata privata del passaporto e non avendo contatti che le potessero permettere iniziative di allontanamento autonomo.
2.4. Il quarto motivo di ricorso dedicato alla carenza dell'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 630 c.p. sviluppa doglianze ancora una volta tese a conseguire una valutazione diversa del risultato della prova senza correlarsi, in concreto, con la motivazione espressamente resa dal giudice territoriale.
La persona offesa, contrariamente a quanto affermato in ricorso, era stata segregata all'interno dell'abitazione, privata della possibilità di uscire da essa. Ciò per le ragioni esposte e per l'intimazione che ha riferito di aver subito dall'imputato, dopo il colloquio con i parenti, ai quali quest'ultimo addebitava di non aver corrisposto il denaro dovuto.
Non risolutive e puramente rivalutative sono le deduzioni sulla possibilità di uscire dalla finestra al piano terra o quelle sul luogo in cui erano custodite le chiavi di casa, luogo che, tra l'altro, era ignoto a W.J..
Quanto al prezzo della liberazione, ancora, la doglianza del ricorrente non si confronta con la specifica motivazione della decisione impugnata che ha affrontato la questione, spiegando la ragione per la quale esso era entrato nella pattuizione come tipico corrispettivo, per la liberazione della persona offesa.
In questa prospettiva si è fatto leva proprio sul colloquio che l'imputato aveva avuto con i genitori di W.J. e sulle dichiarazioni di costei che ha ribadito, dopo quel contatto telefonico, che il C.W. le intimò di non uscire di casa fino al completo pagamento del dovuto.
La stessa Corte territoriale, con un ragionamento immune da censura, ha anche spiegato che la decisione di chiudere la porta di casa, da parte del W., prima di allontanarsi, si collegava a quel tipo d'antefatto e non alla affermazione di costui che temeva, in sua assenza, che qualcuno potesse entrare nell'abitazione.
2.5. Inammissibili, perchè manifestamente infondati, risultano gli argomenti sviluppati nel quinto e nel sesto motivo di ricorso.
La carenza dell'elemento psicologico del reato di cui all'art. 630 c.p., è apparentemente collegata ad un argomento di diritto e, cioè, al dolo specifico che caratterizza la fattispecie, ma in concreto finisce per affermarne l'insussistenza, rimettendo una valutazione di puro fatto e spiegando che il riscatto non doveva costituire il prezzo per la liberazione della persona offesa. La specifica asserzione, ancora una volta, non si correla alla decisione impugnata e alla specifica motivazione che anche sul punto è immune da censure e che è stata anche riportata, spiegazione su cui si fonda la costruzione secondo cui il denaro dovuto all'imputato rappresentava il tipico corrispettivo per la liberazione della ragazza, nella struttura sinallagmatica della fattispecie ritenuta.
Nè, alla luce di quanto già detto, ha rilievo decisivo il richiamo alla possibilità di sprangarè`le porte di accesso all'abitazione o di interpretare i riferimenti alle somme di denaro come collegati al viaggio e ai costi sostenuti per raggiungere l'Italia.
Si tratta, infatti, di ricostruzioni alternative, che secondo il ricorrente sarebbero preferibili, rispetto a quella posta a fondamento della decisione dai Giudici territoriali, ricostruzioni che sviluppano una logica argomentativa inammissibile in sede di legittimità.
2.6. Deve escludersi perchè in contrasto con gli orientamenti consolidati di questa Corte che si possa addivenire ad una differente valutazione giuridica dei fatti, recuperandoli agli artt. 605, 610, 629 e 379 c.p..
Assente il dolo specifico, secondo il ricorrente, il fatto sarebbe stato recuperabile all'art. 605 c.p. e la mancanza dell'elemento materiale, relativo alla privazione della libertà personale, avrebbe permesso l'applicazione dell'art. 610 c.p..
Si tratterebbe di un ragionamento che in punto di qualificazione giunge a scindere le singole fattispecie, in parte a struttura complessa (sequestro di persona a scopo di estorsione) e che non tiene conto della unitarietà della condotta e dell'azione, contrariamente, posta in essere.
Nella specifica vicenda il sequestro di persona avvenne per ottenere il pagamento del denaro dalla famiglia di W.J..
Correttamente, dunque, la Corte d'assise d'appello ha escluso che potesse ricorrere una tipicità delle condotte "segmentata" in quella di cui agli artt. 605 e 629 c.p., unificandosi, piuttosto, essa azione nell'unitaria fattispecie di cui all'art. 630 c.p..
Nè sarebbe stato possibile configurare il delitto di favoreggiamento, anche richiamato in ricorso, perchè caratterizzato dal presupposto dell'assenza di concorso nel reato presupposto, concorso che nella specie ricorreva ad ogni effetto.
2.7. Le deduzioni sviluppate nel settimo motivo sono state già esaminate e può rinviarsi a quanto già detto sulla mancata concessione dell'attenuante di cui all'art. 630 c.p., comma 5.
Sul punto può aggiungersi che questa Corte ha avuto modo di spiegare che la diminuente speciale prevista in tema di sequestro di persona a scopo di estorsione per il concorrente che, dissociandosi dagli altri, aiuti concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta delle prove decisive per l'individuazione o la cattura dei complici postula non già un qualsiasi contributo utile di raggiungimento della verità, ma un aiuto determinante all'orientamento delle indagini verso i veri colpevoli; conseguentemente restano esclusi dalla medesima quei comportamenti successivi che, in un quadro di già avvenuta individuazione dei concorrenti nel reato, possono contribuire, attraverso l'apporto di ulteriori elementi di prova, all'accertamento delle singole responsabilità (Sez. 6, n. 7504 del 18/03/1994, Bernardoni, Rv. 199015).
2.8. Manifestamente infondato è l'ottavo motivo con cui si lamenta, in definitiva, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 1 e 3.
Si afferma, cioè, che il ricorrente sarebbe entrato in contatto con i connazionali quando costoro erano già presenti sul territorio dello Stato e non avrebbe, dunque, posto in essere atti tesi a provocare l'ingresso clandestino nel Paese.
Basta sul punto richiamare la motivazione della decisione impugnata e affidarsi alla logica considerazione secondo cui, ai fini della sussistenza della fattispecie non occorre focalizzare l'attenzione sulla sola condotta dell'agente, ma si debba riflettere sul contributo che costui offre alla realizzazione di un fatto tipico di concorso nella attività finalizzata a procurare l'ingresso nel territorio dello Stato.
E' evidente che detta condotta sia frutto di una concertazione e di un collegamento del C.W. con coloro che dall'estero gestivano la stessa azione di introduzione dei cittadini extracomunitari e che avevano provveduto all'organizzazione del viaggio, proprio in ragione del contributo che in Italia avrebbe offerto l'imputato verso la persona offesa.
Ciò è attestato non solo dalla condotta di aver prelevato W.J., dopo essere stata introdotta nel territorio italiano, ma dalla stessa telefonata che l'imputato aveva fatto ai genitori per ottenere il pagamento di quanto reclamato e che non era stato ancora regolato.
Si comprende, pertanto, come il motivo di ricorso sul punto sconti un equivoco essenziale, giungendo a qualificare la condotta e valutandone atomisticamente il contributo. Si prescinde, cioè, dal suo inserimento in un fatto tipico concorsuale cui lo stesso imputato risulta aver causalmente e psicologicamente contribuito.
3. Alla luce di quanto premesso il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro duemila alla Cassa delle Ammende, non ricorrendo ipotesi di esonero.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 3 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2019