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Stupefacente nel sangue, guida è sempre reato? (Cass. 2020/25)

17 gennaio 2025, Cassazione penale

L'esame ematico, a differenza di quello delle urine, ha una valenza probatoria prossima alla certezza quanto all'attualità degli effetti di alterazione dati dal principio attivo assunto.

In relazione al reato previsto dall'art. 187 cod. strada, a rilevare non è la condotta di chi guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti, bensì quella di colui che guida in stato d'alterazione psicofisica determinato da tale assunzione: ne deriva che la mera alterazione, tale da incidere sull'attenzione e sulla velocità di reazione dell'assuntore, di per sé non è rilevante, se non se ne dimostra l'origine; l'accertamento richiesto, quindi, deve riguardare sia l'avvenuta assunzione, sia le caratteristiche proprie dell'alterazione.

A sua volta la prova dell'alterazione esige l'accertamento di uno stato di coscienza semplicemente modificato dall'assunzione di sostanze stupefacenti, che non coincide necessariamente con una condizione di intossicazione, né con la totale compromissione dello stato psico-fisico, come invece erroneamente si afferma in ricorso per sostenere il carattere illogico della motivazione.

Diversamente, quindi, dal reato di guida in stato di ebbrezza alcolica, per il reato di cui all'art. 187 cod. strada è necessario sia un accertamento biologico, sia che altre circostanze provino la situazione di alterazione psico-fisica.

Mentre gli accertamenti sulle urine hanno una affidabilità limitata (perché rilevano tracce di sostanze stupefacenti che restano depositate anche per un periodo di tempo prolungato), gli esami ematici hanno una affidabilità di gran lunga maggiore, rilevando la presenza di sostanze che, al momento dell'accertamento, per il fatto di essere in circolazione nel sangue, sono suscettibili di provocare lo stato di alterazione richiesto dalla norma incriminatrice.

Corte di Cassazione

sentenza

sez. IV penale, ud. 16 ottobre 2024 (dep. 17 gennaio 2025), n. 2020
Presidente Dovere - Relatore Lauro

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 26 gennaio 2024 la Corte d'appello di Brescia ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Bergamo, in composizione monocratica, aveva ritenuto P.V. responsabile del reato di cui all'art. 187, comma 1, cod. strada e, concesse le attenuanti generiche in regime di equivalenza, lo aveva condannato alla pena di mesi 8 di arresto ed euro 4.500 di ammenda.

Secondo la concorde ricostruzione dei giudici di merito, il 28 febbraio 2021 P.V. si pose alla guida dell'autovettura Lancia Y in stato di alterazione psicofisica derivante dalla assunzione di cocaina, per come rilevato dall'esame sui liquidi biologici e dal prelievo ematico.

Inoltre l'imputato, non arrestatosi all'alt intimatogli dalla polizia stradale, si dava alla fuga, fino a quando non andava ad impattare con una delle autovetture delle forze dell'ordine che per fermarlo gli si era posta dinanzi.

E' stata pertanto ritenuta anche l'aggravante di aver provocato un incidente stradale (art. 187, comma 1-bis, cod. strada).

2. Avverso tale sentenza P.V. ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.

2.1. Con il primo motivo si deduce vizio della motivazione, con riguardo allo stato di alterazione psicofisica conseguente all'assunzione di sostanze stupefacenti.

Osserva il ricorrente che i giudici di merito hanno travisato le prove, in quanto la pregressa assunzione, testimoniata dall'esito degli esami, non è rivelatrice dello stato di alterazione psicofisica al momento della guida.

Neppure può ritenersi raggiunta la prova di tale alterazione in forza dell'annotazione dei carabinieri di (OMISSIS), come si dirà inutilizzabile.

D'altra parte, la motivazione dei giudici di merito è apertamente contraddittoria, nella misura in cui dopo aver ritenuto lo stato di alterazione psicofisica, si sofferma sulla consapevolezza del P.V. circa la pregressa assunzione di stupefacente, quale ragione che lo determinò a non fermarsi all'alt intimato dalla polizia.

Vi è travisamento della prova anche in relazione alla rilevanza attribuita al verbale di accertamenti urgenti ex art. 354 cod. proc. pen., dal quale si evince soltanto il mero sospetto della pregressa assunzione, anche in ragione del fatto che i carabinieri intervennero solo dopo il sinistro.

Non sono stati escussi, invece, gli agenti della polizia stradale.

La stessa Corte d'appello ha ritenuto invece che lo stato di agitazione del P.V. fosse astrattamente riconducibile all'inseguimento, alla collisione ed alla immobilizzazione da parte degli agenti, non all'assunzione di stupefacente.

I carabinieri intervenuti, inoltre, non procedettero al ritiro della patente, come pure avrebbero dovuto se avessero rilevato uno stato di alterazione.

Un ulteriore vizio della motivazione risiede nella ritenuta rilevanza dei risultati degli esami ematochimici, sebbene nel certificato si indichi, puramente e semplicemente, una "compatibilità apparente" con lo stato di alterazione da pregressa assunzione.

2.2. Con il secondo motivo si deduce erronea applicazione della legge penale sostanziale, per avere la Corte affermato la responsabilità del P.V. senza procedere alla necessaria valutazione dei dati sintomatici della alterazione, desunti dal contesto in cui il fatto si è verificato.

2.3. Con il terzo motivo si deduce vizio della motivazione, con riguardo all'aggravante di aver causato un incidente stradale: la correlazione tra il tentativo del P.V. di sottrarsi al controllo ed il successivo incidente è del tutto indimostrata, e comunque i giudici di merito non hanno analizzato la necessaria rilevanza causale dello stato di alterazione rispetto al sinistro.

2.4. Con il quarto motivo il ricorrente si duole, sempre con riguardo alla predetta aggravante, del mancato accertamento della riferibilità oggettiva e soggettiva dell'incidente alla condotta del P.V., non essendo a tal fine sufficiente il mero coinvolgimento nel sinistro, ed essendo anzi necessario che questo sia dipeso da "specifica ed esclusiva responsabilità dell'imputato".

2.5. Con il quinto motivo si lamenta l'erronea applicazione del comma 3 dell'art. 187 cod. strada, per aver confuso la Corte territoriale la certificazione ISO 9001 con l'accreditamento ISO/IEC 17025, in quanto solo quest'ultimo - non posseduto dall'ospedale San Raffaele di Milano - è garanzia dell'affidabilità e dell'accuratezza dei risultati di laboratorio.

Né può addossarsi al ricorrente - che pure aveva prodotto l'elenco delle strutture accreditate per l'ATS di Bergamo (in coerenza con il luogo di accertamento del fatto) l'onere di documentare l'inaffidabilità del risultato, se non al costo di introdurre una non consentita inversione dell'onere della prova.

2.6. Con il sesto motivo si deduce violazione della legge processuale penale, avendo la Corte fondato il proprio convincimento anche sulle dichiarazioni che si assumono rese dal P.V. nell'immediatezza ai carabinieri di (OMISSIS).

Dichiarazioni riportate nell'annotazione di servizio, erroneamente allegate alla relazione sull'incidente stradale (come si desume dalla numerazione delle pagine) e comunque assunte in aperta violazione degli artt. 63,64 e 350, comma 6, cod. proc. pen.

2.7. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia carenza ed illogicità della motivazione, non avendo la Corte offerto risposta alla eccepita violazione del divieto di bis in idem.

Il P.V., infatti, era stato condannato in via definitiva per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, a tal fine valorizzandosi la condotta della fuga per sottrarsi al controllo, ovvero la stessa posta a fondamento dell'aggravante di aver causato un incidente.

La Corte territoriale, invece, ha inteso escludere la violazione del divieto con riguardo al rapporto tra il reato di resistenza e quello di cui all'art. 187 cod. strada, così mancando il confronto con il motivo di doglianza.

2.8. Con l'ottavo ed ultimo motivo si lamenta violazione della legge processuale penale, sempre con riguardo all'art. 649 cod. proc. pen.

Secondo il ricorrente la violazione del divieto di un secondo giudizio andrebbe valutata, in forza di un consolidato indirizzo giurisprudenziale, comparando la corrispondenza storico-naturalistica degli elementi costitutivi del reato, in relazione "alle circostanze di tempo, di luogo e di persona" (p. 19 ricorso).

In applicazione di tali criteri, e valutando il complessivo assetto fattuale, la Corte territoriale avrebbe dovuto rilevare la medesimezza del fatto storico, tale da individuare una sola condotta punita sia a titolo di resistenza che quale aggravante di cui al comma 1-bis dell'art. 187 cod. strada.

3. Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, e le parti hanno formulato, per iscritto, le conclusioni come in epigrafe indicate.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è nel suo complesso infondato.

1.1. I primi due motivi, che in quanto connessi possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

Il ricorrente denuncia, in maniera cumulativa, la carenza, l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione (primo motivo), nonché l'erronea applicazione della norma incriminatrice (secondo motivo).

Si osserva che, ritenute inutilizzabili le dichiarazioni dell'imputato e considerato che l'unico teste era intervenuto in un momento successivo rispetto all'incidente, la prova dello stato di alterazione non poteva essere desunta dal solo esito degli esami biologici.

Osserva il Collegio che, in relazione al reato previsto dall'art. 187 cod. strada, a rilevare non è la condotta di chi guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti, bensì quella di colui che guida in stato d'alterazione psicofisica determinato da tale assunzione.

Ne deriva che la mera alterazione, tale da incidere sull'attenzione e sulla velocità di reazione dell'assuntore, di per sé non è rilevante, se non se ne dimostra l'origine; l'accertamento richiesto, quindi, deve riguardare sia l'avvenuta assunzione, sia le caratteristiche proprie dell'alterazione (così, in motivazione, Sez. 4, n. 5793 del 22/01/2021, Rahal, non mass.).

A sua volta la prova dell'alterazione esige l'accertamento di uno stato di coscienza semplicemente modificato dall'assunzione di sostanze stupefacenti, che non coincide necessariamente con una condizione di intossicazione (Sez. 4, n. 19035 del 14/03/2017, Calabrese, Rv. 270168 - 01; Sez. 4, n. 16895 del 27/3/2012, Albertini, Rv. 252377), né con la totale compromissione dello stato psico-fisico, come invece erroneamente si afferma in ricorso per sostenere il carattere illogico della motivazione (p. 3).

Diversamente, quindi, dal reato di guida in stato di ebbrezza alcolica, per il reato di cui all'art. 187 cod. strada è necessario sia un accertamento biologico, sia che altre circostanze provino la situazione di alterazione psico-fisica (Sez. 4, n. 46146 del 13/10/2021, Cariucci, Rv. 282550-01; Sez. 4, n. 11679 del 15/12/2020, dep. 2021, Ibnezzayer, Rv. 280958-01; Sez. 4, n. 15078 del 17/1/2020, Gentilini, Rv. 279140-01).

Nella specie i giudici di merito hanno evidenziato che le tracce dell'assunzione furono rilevate non solo nell'esame delle urine, ma anche negli esami ematici.

Quindi hanno correttamente sottolineato (p. 4 sentenza ricorsa) che mentre gli accertamenti sulle urine hanno una affidabilità limitata (perché rilevano tracce di sostanze stupefacenti che restano depositate anche per un periodo di tempo prolungato), gli esami ematici hanno una affidabilità di gran lunga maggiore, rilevando la presenza di sostanze che, al momento dell'accertamento, per il fatto di essere in circolazione nel sangue, sono suscettibili di provocare lo stato di alterazione richiesto dalla norma incriminatrice, come pure più volte evidenziato da questa Corte (per l'affermazione secondo cui l'esame ematico, a differenza di quello delle urine, ha una valenza probatoria prossima alla certezza quanto all'attualità degli effetti di alterazione dati dal principio attivo assunto, Sez. 4 n. 3383 del 23/11/2023 dep. 2024, Pulici, non mass.: Sez. 4 n. 31514 del 19/4/2023, Mounir, non mass.; Sez. 4, n. 43486 del 13/06/2017, Giannetto, Rv. 272909; Sez. 4, n.6995 del 9/01/2013, Rv. 254402, Notarianni).

I giudici di merito hanno inoltre valorizzato non solo l'esito positivo, ma anche la significatività dei valori rilevati (123 a fronte di un cut off di 10 ng/ml), mettendola in correlazione sia con la certificazione rilasciata dal sanitario (che reputa il dato "compatibile" con uno stato di alterazione, in ragione dei profili di variabilità biologica e analitica), sia con le ulteriori evidenze disponibili.

L'assunzione di cocaina ha trovato infatti conferma in ulteriori elementi indiziari, fra loro convergenti, che comprovano uno stato di alterazione da sostanze droganti assunte in epoca ravvicinata rispetto al momento in cui il P.V. si pose, quella notte, alla guida.

Più in particolare, il ricorrente non si era fermato all'alt intimatogli dalla polizia stradale, dandosi alla fuga e così provocando un incidente; inoltre, nei confronti del personale intervenuto pose in essere una condotta violenta, per la quale veniva tratto in arresto, per poi essere separatamente giudicato per i reati di resistenza e lesioni personali (come ricorda anche il ricorso: pp. 4, 18).

I carabinieri intervenuti dopo il sinistro ebbero quindi a rilevare "lo stato di agitazione" del P.V., e perciò si determinarono a richiedere gli esami di rito, avendo motivo di ritenere la pregressa assunzione dello stupefacente; circostanza, questa, che rende priva di rilievo l'osservazione del ricorrente secondo il quale il mancato ritiro della patente, nella immediatezza, doveva essere interpretato come un indice del fatto che i carabinieri non percepirono alcuno stato di alterazione (p. 5 ricorso).

Contrariamente a quanto afferma si afferma in ricorso (p. 2), quindi, lo stato di alterazione non è stato tratto dai soli accertamenti biologici, né dalle dichiarazioni rese dal P.V. (riportate incidentalmente in nota), che nella valutazione dei giudici di merito non hanno assunto alcun concreto rilievo.

Quanto poi al vizio di travisamento della prova, osserva il Collegio che, nella specie, manca la specifica deduzione di aver denunciato il travisamento dinanzi alla Corte territoriale, e della decisività della prova che si ritiene travisata.

D'altra parte, il ricorrente lamenta solo apparentemente (pp. 3-4 ricorso) il travisamento delle risultanze probatorie, ovvero l'utilizzazione di una prova sulla base di un'erronea ricostruzione del relativo "significante" (o contraddittorietà processuale).

Allorquando viene dedotto un simile vizio, il giudice di legittimità è infatti tenuto alla verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del dato probatorio, nei termini di una "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos, Rv. 283370 - 01; Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv. 234167; Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, Bevilacqua, Rv. 234605).

Questo perché, affermando come esistenti fatti certamente non esistenti, ovvero come inesistenti fatti certamente esistenti, il travisamento realizza un errore di natura percettiva, non valutativa, tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice.

Ciò posto, osserva il Collegio che, pur richiamando la nozione di travisamento, il ricorso in realtà sollecita una non consentita rilettura del valore dimostrativo degli elementi di prova, poiché il ricorrente non si duole del fatto che la Corte di appello abbia più o meno fedelmente riportato il contenuto delle prove dichiarative, quanto piuttosto del significato probatorio che ne è stato tratto, ovvero della possibilità che quelle dichiarazioni possano o meno sorreggere la prova dello stato di alterazione.

Può dunque ritenersi che la Corte territoriale ha fatto buon governo del principi di diritto finora ricordati, non essendosi limitata a valorizzare le convergenti risultanze degli esami eseguiti nei confronti del P.V. (di cui quello ematico particolarmente significativo), ma ne ha tratto ulteriore conferma negli accadimenti successivi, ovvero valutando le concrete modalità di verificazione del fatto (e non il solo fatto che si fosse verificato un sinistro), così individuando altri indicatori dell'effettiva ricorrenza dello stato di alterazione.

Né la motivazione può ritenersi illogica - men che meno manifestamente - nella parte in cui, pur affermando che "in astratto" lo stato di agitazione potesse essere dipeso anche dal contesto, ha subito dopo precisato che, nel caso concreto trovava una evidente spiegazione nella significativa presenza nel sangue di cocaina e cocaetilene.

1.2. Il terzo ed il quarto motivo, riguardanti l'aggravante di cui all'art. 187, comma 1-bis, cod. strada, sono infondati.

Al pari dell'analoga previsione di cui all'art. 186, comma 2-bis, cod. strada, la norma in esame inasprisce il trattamento sanzionatorio nel caso in cui il conducente in stato di alterazione psico-fisica dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope provoca un incidente stradale.

Questa Corte, anche in tempi recenti, ha chiarito che il verbo "provocare" richiama la necessità che il sinistro sia determinato o favorito dalla condotta di guida del soggetto agente che si trovi in stato di alterazione (Sez. 4, n. 20325 del 3/04/2024, Paveri, non mass.).

Come pure sottolinea il ricorrente (p. 8 ricorso), si è precisato che, per affermare la sussistenza dell'aggravante, è necessario che l'agente abbia provocato un incidente e che, quindi, sia accertato il coefficiente causale della sua condotta rispetto al sinistro e non già il mero suo coinvolgimento nello stesso, (Sez. 4, n. 33760 del 17/05/2017, Magnoni, Rv. 270612 - 01; Sez. 4, n. 37743 del 28/05/2013, Callegaro, Rv. 256209 - 01).

Si è, tuttavia, chiarito che non è richiesto un nesso eziologico tra l'incidente e la condotta dell'agente, ma il solo collegamento materiale tra il verificarsi del sinistro e lo stato di alterazione dell'agente, alla cui condizione di impoverita capacità di approntare manovre idonee a scongiurare l'incidente sia direttamente ricollegabile la situazione di pericolo (Sez. 4, n. 54991 del 24/10/2017, Fabris, Rv. 271557; Sez. 4, n. 36777 del 02/07/2015 - dep. 10/09/2015, Scudiero, Rv. 264419).

Occorre, in altri termini, che l'incidente sia conseguenza di una condotta inosservante di regole cautelari, siano esse quelle codificate dal codice della strada (ossia le norme sulla circolazione stradale), siano esse quelle generali di prudenza, diligenza e perizia, tese in ogni caso a prevenire il verificarsi del sinistro medesimo (in motivazione, sez. 4 n. 33760 del 17/05/2017, Magnoni Rv. 270612 cit.).

Si tratta di accertamento che deve essere compiuto con riguardo alle circostanze del caso concreto.

Nella specie le conformi decisioni di merito hanno ritenuto, posta l'alterazione collegata all'assunzione di cocaina, che il ricorrente avesse provocato il sinistro violando regole cautelari di condotta, tra cui quella di fermarsi all'alt intimatogli e darsi alla fuga, e che era stato, quindi, provato il collegamento materiale fra l'incidente in cui era incorso e lo stato di alterazione psicofisica.

Il ricorrente ha, quindi, lamentato un vizio di motivazione in realtà, insussistente, posto che nel percorso argomentativo complessivo delle sentenze di merito, che, in quanto conformi, possono essere lette congiuntamente, il tema del nesso di strumentalità fra la guida in stato di alterazione e l'incidente è stato affrontato nel rispetto dei principi sopra indicati, fondando l'accertamento, in modo non irragionevole, sulle circostanze concrete attinenti al verificarsi del sinistro.

Per quest'ultimo aspetto, a ben vedere, la Corte d'appello ha ritenuto irrilevante stabilire se il ricorrente, al momento in cui le auto della polizia lo avevano superato, avesse o meno lo spazio per evitare la collisione (p. 5 sentenza impugnata), sottolineando il collegamento tra lo stato di alterazione, la condotta inosservante dell'obbligo di fermarsi, la fuga, l'inseguimento ed il sinistro che ne era derivato.

I giudici hanno quindi concluso che il P.V. non rimase semplicemente rimasto coinvolto in un sinistro, ma vi diede causa con una condotta tenuta in violazione di regole cautelari.

Del pari inconferente deve essere ritenuto il rilievo secondo il quale la violazione del comma 1-bis fu contestata non nella immediatezza ma soltanto il 23 marzo 2021 (pp. 9-10 ricorso), e ciò perché gli agenti erano in attesa dell'esito dell'esami di laboratorio.

1.3. Il quinto motivo è infondato.

In presenza di ragionevoli motivi per ritenere che il ricorrente avesse fatto uso di sostanze stupefacenti ed in mancanza dell'apparecchiatura che consentiva il controllo preventivo, è stata avviata la procedura di cui ai commi 2 e ss. dell'art. 187 cod. strada.

Il comma 3 - di cui il ricorrente lamenta l'erronea applicazione - per l'esecuzione degli accertamenti tossicologici pone sullo stesso piano, per come si evince dall'uso della disgiuntiva, le strutture sanitarie fisse o mobili afferenti agli organi di polizia stradale, le strutture sanitarie pubbliche, quelle accreditate o comunque a tali fini equiparate.

Non a caso, del resto, i successivi commi (4 e 5), nel disciplinare i successivi adempimenti, anche in punto di certificazione degli esiti, operano un generico riferimento alle "strutture sanitarie".

Ciò posto, il ricorrente si limita invece ad affermare che l'accertamento fu effettuato presso una struttura non accreditata. Nel fa ciò non prospetta la nullità o la inutilizzabilità dell'accertamento (che in effetti non è dedotta), quanto piuttosto, e solo genericamente, l'inaffidabilità dei risultati, così come già era accaduto con l'analogo motivo di appello (p. 2 sentenza ricorsa).

Il ricorrente, in altri termini, non ha (quantomeno) allegato, in qualunque modo, l'inattendibilità, la non correttezza o l'alterazione degli esiti di tali accertamenti, per come effettuati nella struttura prescelta (ad es., in ordine alla metodica del prelievo, alla non correttezza della procedura, ecc.), facendolo discendere dalla (affermata) assenza di accreditamento.

1.4. Il sesto motivo è inammissibile.

Il motivo di ricorso avrebbe dovuto illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l'incidenza dell'eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza".

Questo perché gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento.

Si tratta di un consolidato orientamento, espresso da questa Corte anche a Sezioni Unite (cfr., Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416; conf., Sez. 5, n. 36584 del 25/06/2024, Basciu, non mass., con riferimento alla dedotta violazione dell'art. 114, disp. att., c.p.p., che integra una nullità generale a regime intermedio; Sez. 2, n. 11291 del 17/02/2023, Francavilla; Sez. 2, n. 11283 del 03/02/2023, Gallone, Rv. 284600 - 01; Sez. 2, n. 31823 del 06/10/2020, Lucamarini, Rv. 279829 - 01; Sez. 2, n. 30271 del 11/05/2017, De Matteis, Rv. 270303-01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, La Gumina, Rv. 269218-01; Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, Calabrese, Rv. 262011-01; Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, Barilari, Rv. 259452 - 01).

Il ricorrente, invece, non prova neppure a cimentarsi con un'eventuale prova di resistenza della motivazione, pur in assenza del dato ritenuto inutilizzabile.

Prova di resistenza tanto più necessaria ove si consideri che, come già anticipato, le dichiarazioni del P.V. sono state riportate dalla Corte d'appello, incidentalmente, in nota (p. 4), mentre l'assunzione di stupefacenti ed il conseguente stato di alterazione sono stati argomentati sulla scorta di altri elementi di prova.

1.5. Il settimo e l'ottavo motivo, riguardanti la violazione del divieto di bis in idem, possono essere esaminati congiuntamente, e sono manifestamente infondati.

Dall'esame degli atti, consentito in ragione della natura del vizio dedotto, emerge che P.V. è stato separatamente giudicato per il delitto di resistenza a un pubblico ufficiale e di lesioni personali, con riferimento alla condotta tenuta successivamente al sinistro causato ponendosi alla guida in stato alterazione.

Condotta consistita, diversamente da quanto affermato in ricorso (p. 19), non nella fuga pericolosa per l'incolumità degli utenti della strada e del personale intervenuto, ma nella reazione violenta posta in essere al controllo (evidentemente successivo rispetto all'incidente), e nelle conseguenze lesive che ne sono scaturite per i pubblici ufficiali.

Correttamente, quindi, la Corte territoriale ha escluso la violazione del divieto di cui all'art. 649 cod. proc. pen. (pp. 5-6).

Vi è, invero, una oggettiva diversità tra il fatto per cui è stato separatamente giudicato e quello che, nel presente giudizio, è stato ritenuto integrare l'aggravante di cui al comma 1-bis dell'art. 187 cod. strada.

D'altra parte, come chiarito dalla Corte costituzionale (sentenza del 31/05/2016, n. 200), la valutazione che è chiamata a compiere il giudice attiene non dell'idem legale ma all'idem factum, rispetto al quale concorrono non solo la condotta dell'Imputato ma anche l'evento e il nesso causale, intesi in senso naturalistico.

2. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.