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Spingere è percossa? (Cass.51085/14)

5 dicembre 2014, Cassazione penale

Il termine percuotere non è assunto nell'art. 581 c.p. nel solo significato di battere, colpire, picchiare, ma anche in quello più lato, comprensivo di ogni violenta manomissione dell'altrui persona fisica, con la conseguenza che in tale ambito previsionale rientra anche la spinta, la quale si concreta in un'energia fisica esercitata con violenza e direttamente sulla persona. 


 

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 giugno – 5 dicembre 2014, n. 51085
Presidente Marasca – Relatore Guardiano

Fatto e diritto

1. Con sentenza pronunciata il 18.2.2013 il tribunale di Milano, in composizione monocratica, in qualità di giudice di appello, confermava la sentenza con cui il giudice di pace di Milano, in data 26.3.2012, aveva condannato B.S. alla pena ritenuta di giustizia, in relazione al delitto di cui agli artt. 81, cpv., 581, c.p., commesso in danno di A.O.V., oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della predetta persona offesa, costituita parte civile.
2. Avverso la sentenza del tribunale milanese, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, a mezzo del suo difensore di fiducia, avv. AT, del Foro di Como, il B., lamentando: 1) vizio di motivazione della sentenza impugnata, in ordine alla sussistenza del reato di percosse, tenuto conto del complessivo sviluppo dell'azione, sotto il particolare profilo del travisamento dei fatti, in quanto non risponde al vero che l'imputato abbia offeso l'O.V. e che lo abbia inseguito fuori dall'ufficio, come si evince dalle dichiarazioni di almeno quattro testimoni; in questa fase, anzi, sostiene il ricorrente, è stato l'imputato a subire una ingiustificata
aggressione prima verbale e poi fisica dall'O.V.; il teste Z., in particolare, ha riferito solo di una presa per il bavero e non di uno strattonamento del braccio dell'O. verso un muro, per cui le dichiarazioni della persona offesa, costituita parte civile, portatrice di un interesse in conflitto con quello dell'imputato, anche in ragione di pregresse pendenze civilistiche, non solo non sono riscontrate, ma vengono smentite da quelle del suddetto teste, non potendosi individuare nel "prendere per il bavero" un'azione qualificabile in termini di "percossa"; 2) vizio di legge e mancanza di motivazione della sentenza impugnata, in ordine alla sussistenza della scriminante della legittima difesa, anche solo sotto il profilo putativo, in relazione alla quale è configurabile un
vero e proprio travisamento del fatto, in quanto il teste Z. ha parlato di reciproci strattonamenti, per cui non è possibile affermare che non risulta provato nessun atteggiamento fisicamente aggressivo del V, il quale secondo la versione fatta propria dal tribunale non avrebbe reagito e si sarebbe limitato a proseguire negli insulti; inoltre, che il V "volesse affrontare la situazione non solo in modo verbale", risulta anche dalle dichiarazioni del teste P., che non sono state considerate dal tribunale; 3) vizio di legge e mancanza di motivazione della sentenza impugnata, con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti della provocazione e del concorso del fatto doloso della persona offesa, in quanto il tribunale ha omesso di considerare che il V ha commesso una pluralità di fatti ingiusti che hanno determinato la reazione dell'imputato, consistiti nell'avere indebitamente registrato a proprio nome ed all'insaputa dell'imputato il dominio di un sito internet riguardante un lavoro per un cliente della società "Ge..L..", amministrata dal B., senza fornire la relativa "password" a quest'ultimo, suo datore di lavoro; nei reiterati insulti rivolti dal V all'imputato sia nell'atto di uscire dall'ufficio, che durante le fasi concitate della lite all'esterno; nel fatto di avere il V cercato lo scontro fisico con il ricorrente, non riuscendovi solo per l'intervento di Z. e P..

3 Il ricorso è infondato.

4. In realtà la maggior parte dei motivi di ricorso deve ritenersi inammissibile, in quanto con essi il ricorrente espone censure, volte a ricostruire in una prospettiva alternativa la lite tra l'imputato e la persona offesa, che si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di nuovi e diversi parametri di ricostruzione valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità tali da evidenziare la sussistenza di ragionevoli dubbi, ricostruzione e valutazione, in quanto tali, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Cass., sez. I, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, rv. 235507; Cass., sez. VI, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, rv. 235510; Cass., sez. III, 27.9.2006, n. 37006, Piras, rv. 235508). Ed invero non può non rilevarsi come il controllo del giudice di legittimità, pur dopo la novella dell'art. 606, c.p.p., ad opera della I. n. 46 del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi atti del processo, e di una correlata pluralità di motivi di ricorso, in una valutazione necessariamente unitaria e globale, che attiene alla reale esistenza della motivazione ed alla resistenza logica del ragionamento del giudice di merito, essendo preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione valutazione dei fatti (cfr. Cass., sez. VI, 26.4.2006, n. 22256, Bosco, rv. 234148).

Quanto incongruente al riguardo sia il ricorso dell'imputato, lo si deduce, peraltro, dal suo continuo insistere nel denunciare il vizio di "travisamento dei fatti" in cui sarebbe incorso il tribunale di Milano, vizio che non può essere rilevato in questa sede.

Come già detto, infatti, anche a seguito della modifica apportata all'art. 606 lett. e) c.p.p. dalla I. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il "travisamento del fatto" poiché alla Cassazione sono tuttora precluse - in sede di controllo sulla motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di diversi criteri di ricostruzione dei fatti (cfr. Cass., sez. VI, 04/07/2006, n. 27429, rv. 234559; Cass., sez. II, 10/05/2011, n. 32510). Infondato, dunque, è il rilievo sulla impossibilità di configurare il delitto di percosse, che, ovviamente non consiste nell'avere l'imputato, come affermato dal ricorrente, preso per il bavero la persona offesa, ma, come riferito da quest'ultima, le cui dichiarazioni hanno formato oggetto di approfondita valutazione, esente da vizi logici, da parte del giudice di merito, nell'avere il B. strattonato per un braccio l'O.V., spingendolo contro un muro, in modo da procurargli lievi contusioni.

Ed invero, il termine percuotere non è assunto nell'art. 581 c.p. nel solo significato di battere, colpire, picchiare, ma anche in quello più lato, comprensivo di ogni violenta manomissione dell'altrui persona fisica, con la conseguenza che in tale ambito previsionale rientra anche la spinta, la quale si concreta in un'energia fisica esercitata con violenza e direttamente sulla persona (cfr. Cass., sez. V, 04/06/2013, n. 38960). Inammissibile appare il rilievo difensivo sulla configurabilità, anche sotto il profilo putativo, della esimente della legittima difesa, non solo perché fondato su di una versione alternativa dei fatti per cui si procede, ma anche perché del tutto generico nell'indicare le ragioni che consentono di affermare la sussistenza, nel caso in esame, di tutti gli elementi che, ai sensi dell'art. 52, c.p., integrano la suddetta esimente.

Identiche considerazioni inducono a respingere anche il motivo di ricorso sub n. 3).

Ai fini della configurabilità dell'attenuante della provocazione, infatti, occorrono: a) lo "stato d'ira", costituito da un'alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il "fatto ingiusto altrui"; b) il "fatto ingiusto altrui", che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell'ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell'imputato e alla sua sensibilità personale; c) un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l'offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l'una e l'altra condotta (cfr. ex plurimis Cass., sez. 1, 14/11/2013, n. 47840, rv. 258454).

Tanto premesso appare evidente come la doglianza del ricorrente sia stata formulata in termini superficiali, non essendosi egli compiutamente soffermato sui motivi che consentono di affermare nel caso in esame la sussistenza dell'attenuante in questione nei termini indicati dalla giurisprudenza di legittimità.
Infondato, infine, è il richiamo alla circostanza attenuante di cui all'art. 62, n. 2, c.p., posto che ai fini della configurabilità dell'attenuante del fatto doloso dell'offeso è necessario che quest'ultimo concorra volontariamente a determinare l'evento del reato e non è invece sufficiente che il suo comportamento abbia costituito, come ritenuto dal ricorrente, semplicemente il movente della condotta dell'imputato (cfr. Cass., sez. V, 07/06/2012, n. 35560, rv. 253203).

5. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in premessa va, dunque, rigettato, con condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.