La somma che l'imputato deve rifondere in favore dello Stato quando la parte civile sia ammessa la patrocinio a spese dello Stato deve coincidere con quella che lo Stato liquida al difensore della parte civile.
Quando il giudice del processo penale condanna l'imputato alla rifusione integrale delle spese legali sostenute dalla parte civile, ammessa al beneficio del patrocinio a spese pubbliche, la somma che l'imputato deve rifondere in favore dello Stato deve coincidere con quella che lo Stato liquida al difensore; essa va pertanto subito determinata secondo i parametri di cui all'art. 82 d.P.R. 115/2002.
Quando il giudice del processo penale condanna l'imputato alla rifusione integrale delle spese legali sostenute dalla parte civile, ammessa al beneficio del patrocinio a spese pubbliche, nel dispositivo deve contestualmente sia disporre che il pagamento avvenga in favore dello Stato che procedere alla liquidazione in favore del difensore.
Cassazione penale
Sez. VI, n. 46537 del 08 novembre 2011 – dep. 14 dicembre 2011
Pres. N. Milo – Rel. C. Citterio
Quando il giudice del processo penale condanna l'imputato alla rifusione integrale delle spese legali sostenute dalla parte civile, ammessa al beneficio del patrocinio a spese pubbliche:
I. la somma che l'imputato deve rifondere in favore dello Stato deve coincidere con quella che lo Stato liquida al difensore; essa va pertanto subito determinata secondo i parametri di cui all'art. 82 DPR 115/2002;
II. nel dispositivo deve contestualmente sia disporre che il pagamento [da parte dell'imputato N.d.A.] avvenga in favore dello Stato che procedere alla liquidazione in favore del difensore.
La sentenza che segue si segnala perché interviene su un peculiare aspetto della rifusione delle spese legali sostenute dalla parte civile, allorquando l'imputato abbia scelto di avvalersi del c.d. patteggiamento e la parte civile – già ammessa al patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti – abbia chiesto (ed ottenuto) la liquidazione delle spese legali.
Al fine di meglio intendere la questione anche in termini pratici, occorre evidenziare quella che, di fatto, è un'esclusione della persona danneggiata costituita parte civile dal "negozio" intervenuto tra Pubblica Accusa e imputato, il quale – optando per il rito speciale – legittimamente interrompe l'iter processuale penale; tra gli effetti "a cascata" che ne derivano (per quel che rileva in questa sede), vi è la scarsità di attività tecnico-difensiva svolta dal patrocinatore della parte civile che – fatte salve particolari eccezioni – può ritenersi del tutto fisiologica. Ne segue l'evidente necessità di contenere la quantificazione di spese ed onorari alla oggettiva (scarna) attività svolta, seppure questo caratterizzarsi sia non voluto, ma frutto di quell'impedimento al suo svilupparsi naturalmente rappresentato dall'accordo al quale si è rimasti estranei.
Altra questione concreta da evidenziare è quella che riguarda le aspettative retributive del difensore della parte civile che vanno ridimensionate in linea con i parametri del D.P.R. 115/2002, atteso che – accettando di patrocinare avvalendosi del regime a spese dello Stato – il difensore della parte civile ha prestato acquiescenza ai criteri indicati, rinunziando all'impiego dei criteri generali della tariffa professionale penale.
Ciò premesso, per comprendere i due principi di diritto enunciati con la pronuncia in commento e sopra riprodotti, pare opportuno trattenersi brevemente su tre distinti profili tratteggiati dai giudici di legittimità: a) la ratio della rifusione delle spese legali sostenute dalla parte civile, b) le "relazioni" tra soggetti cui dà luogo l'ammissione al patrocinio per i non abbienti e c) il rapporto di specialità tra le norme dell'art. 541 codice di rito e dell'art. 110 T.U. in materia di spese di giustizia, in punto quantum.
a. Scopo della previsione normativa – chiariscono i giudici – non è quello di aggiungere contenuto sanzionatorio/punitivo, bensì quello di tenere indenne controparte delle spese di cui si è gravata in ragione del processo. Poco importa che, conti alla mano, l'imputato – dovendo sborsare una somma inferiore a quella cui sarebbe tenuto in applicazione delle tariffe professionali anziché quelle calmierate dal T.U. – si avvantaggi (da un punto di vista patrimoniale) della non abbienza della parte civile.
D'altro lato, sia l'art. 541 c.p.p. in generale in tema di Condanna alle spese relative all'azione civile [nel processo penale], sia il comma 2 ultima parte dell'art. 444 c.p.p. con specifico riguardo alle spese della parte civile (già) costituita quando viene raggiunto l'accordo sulla pena da applicare, nel prevedere la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile, fanno salvo il caso che ricorrano giusti motivi per la compensazione totale o parziale.
Questo inciso richiama l'attenzione su due principi già affermati dalla giurisprudenza di legittimità e tra loro intimamente connessi:
1) quella sulle spese della parte civile è – pacificamente – una pronuncia avente natura formale e sostanziale di condanna (in questo senso, scostandosi dalla vexata quaestio sulla natura di condanna della sentenza ex art. 444 c.p.p.);
2) nel pronunciarsi sulle spese della parte civile, il giudice deve valutare pertinenza, congruità e attinenza delle voci di spesa (e motivare in tal senso onde consentirne la censura).
Su tali questioni, si veda il dictum delle Sezioni Unite penali n. 40288/2011.
Una conferma sistematica si rinviene appunto nella clausola di salvezza ut supra che consente la compensazione totale o parziale, disposizione che sarebbe irragionevole se non sostenuta da un obbligo (prima) di valutazione e (poi) di motivazione. È di tutta evidenza che se il giudice ha il potere discrezionale di compensare le spese, vuol dire che effettuerà le opportune valutazioni, rifiutando ogni automatismo, sicché – sotto altro profilo – non vi sarebbe in questo senso un diritto, per così dire, assoluto della parte civile a vedersi liquidare le spese. Diversamente sarebbe (ma il condizionale è d'obbligo) se si interpretasse la condanna alle spese come sanzione accessoria e castigo ulteriore rispetto a quello previsto.
b. La sentenza in commento non manca di evidenziare le "relazioni" che si vengono a creare nel triangolo imputato-parte civile-Stato a seguito dell'ammissione della parte civile al patrocinio per i non abbienti. Tre sono le relazioni che nascono fra i tre soggetti: la prima tra imputato e parte civile, la seconda tra imputato e Stato, la terza tra Stato e parte civile. Ci si domanda se vi sia coincidenza tra la quantificazione delle spese legali "che l'imputato è condannato a corrispondere in favore dello Stato/Erario e la quantificazione della somma dal medesimo Stato/Erario liquidata al difensore della parte civile".
A tale quesito la Corte dà risposta affermativa descrivendo la sinergia con cui operano due principi generali: da un lato, quello del divieto di ingiustificato arricchimento, per cui lo Stato non potrebbe ricevere, per la prestazione del difensore di parte civile, più di quanto è tenuto a corrispondere al professionista per quell'assistenza specifica e, dall'altro, il divieto di evitare ingiustificati danni erariali, che si verificherebbero laddove lo Stato ricevesse dall'imputato una somma inferiore a quella che lo Stato deve corrispondere al difensore della parte civile ammessa al patrocinio.
La Corte afferma in termini netti che "quando la parte civile è ammessa al patrocinio a spese dello Stato, in ordine alla rifusione delle spese legali non residua alcun rapporto diretto tra l'imputato soccombente e la parte civile, perché l'unico rapporto di quest'ultima – e del suo difensore – è solo con lo Stato", di talché la statuizione ex art. 541 c.p.p. sarebbe inutiliter data, perché – per le ragioni sopra esposte – la liquidazione delle spese in favore della parte civile ammessa al patrocinio "costituisce un errore di diritto e realizza un vizio di violazione di legge".
c. L'art. 110 T.U. prescrive che il magistrato – quando condanna l'imputato al pagamento delle spese in favore della parte civile ammessa al beneficio – ne dispone il pagamento in favore dello Stato. La normativa è successiva, speciale e specifica rispetto a quella dell'art. 541 c.p.p. e dunque prevale in punto quantum debeatur (l'an rimane invece disciplinato integralmente dal codice di rito).
Nel dispositivo con cui condanna l'imputato al pagamento delle spese, il giudice dovrà provvedere ad indicare lo Stato quale creditore, provvedendo contestualmente alla liquidazione della somma in favore del difensore della parte civile, ai sensi del T.U.
In termini strettamente monetari la questione tocca il difensore della parte civile che, laddove si sia optato per l'ammissione al patrocinio dei non abbienti, dovrà sottoporre una nota spese conforme ai principi stabiliti dal T.U. in materia di spese di giustizia, testo che indica i criteri e le regole da seguire per la quantificazione della parcella professionale nel caso in cui si instauri – come in effetti si instaura con l'ammissione al patrocinio – un rapporto debito/credito con lo Stato, perché è solo questa la nota spese che il giudice potrà liquidare (salvo che disponga conforme liquidazione d'ufficio).
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con sentenza 16-25.10.2008 il GIP di Belluno ha definito ai sensi dell'art. 444 c.p.p. il processo a carico di xxx imputato dei reati ex artt. 81, 610, 572, e 582 c.p. in danno della ex convivente e dei due figli minori, applicando la pena concordata tra le parti e condannando il xxx alla rifusione delle spese di difesa sostenute dalla parte civile (l'ex convivente in proprio e quale legale rappresentante dei minori), che ha liquidato in euro 930 per onorario, 47 per spese vive, oltre spese generali forfettarie, iva e cp.
2. Ricorre per cassazione il xxx con unico motivo denunciando violazione dell'art. 444.2 c.p.p. in riferimento agli artt. 75 ss d.P.R. 115/2002. Ricordato che la parte civile era stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato, deduce che la liquidazione come in concreto disposta dal GIP potrebbe profilare un indebito arricchimento della medesima parte civile, e un corrispondente danno dell'imputato, in ragione della possibilità che questa ottenga una duplicazione della liquidazione dei compensi al proprio difensore. Richiama giurisprudenza di merito a sostegno della tesi che il GIP avrebbe dovuto limitarsi ad affermare il diritto della parte civile all'an debeatur, in ordine alla rifusione delle spese legali, con rinvio per la quantificazione alla procedura prevista nell'ambito della disciplina speciale del patrocinio a spese pubbliche. Chiede l'annullamento della relativa statuizione, senza o con rinvio.
2.1 Il procuratore generale in sede, richiamato l'insegnamento di Sez.4 sent. 26663/2008 e dedotto dell'autonomia delle due liquidazioni, quella ex art. 541 c.p.p. e quella ex art. 82 d.P.R. 115/2002, ha chiesto il rigetto del ricorso.
3. Il ricorso è fondato, nei termini che seguono.
3.1 Va premesso che sussiste l'interesse del ricorrente all'impugnazione, non già in relazione al paventato eventuale arricchimento indebito della parte civile, ma perché, in quanto debitore di somma da corrispondere con riferimento alle spese di difesa sostenute nel processo dalla parte civile, egli ha diritto a conoscere l'esatta indicazione del suo unico creditore (nel caso di specie lo Stato e non direttamente la parte privata, trattandosi effettivamente di parte civile che risulta dai verbali di udienza essere stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato).
3.2 La fattispecie all'esame della Corte di legittimità è quella del processo penale nel quale la parte civile sia stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato e l'imputato sia stato condannato anche alla rifusione delle spese di difesa sostenute dalla medesima parte civile.
Tale fattispecie apparentemente vede il contrasto tra due discipline.
Infatti, il primo comma dell'art. 541 c.p.p. prevede che 'con la sentenza che accoglie la domanda di restituzione o di risarcimento del danno, il giudice condanna l'imputato al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, salvo che ritenga di disporne, per giusti motivi, la compensazione totale o parziale'. La quantificazione di tali spese avviene secondo le norme ed i criteri generali della tariffa professionale penale ed è appunto uno dei capi della sentenza, suscettibile di autonoma impugnazione.
La disciplina del patrocinio a spese dello Stato prevede invece che il compenso al difensore della parte ammessa sia liquidato dal giudice che ha proceduto con apposito decreto di pagamento (art. 82.1 t.u.s.g. e per quanto pertinente al nostro caso), al termine di ciascuna fase o grado del processo (art. 83.2). La quantificazione del compenso avviene sempre con l'osservanza delle tariffe professionali, ma incontra il limite indefettibile del valore medio delle singole voci (art. 82.1). Quando appunto ammessa al patrocinio a spese pubbliche è la parte civile, l'art. 110.3 t.u.s.g., con disposizione specifica, prescrive che 'con la sentenza che accoglie la domanda di restituzione o di risarcimento del danno il magistrato, se condanna l'imputato non ammesso al beneficio al pagamento delle spese in favore della parte civile ammessa al beneficio, ne dispone il pagamento in favore dello Stato'. E' evidente pertanto che in questo tipo di fattispecie vi è la sovrapposizione di tre 'relazioni': quella tra l'imputato e la parte civile, quella tra l'imputato e lo Stato, quella tra lo Stato e la parte civile.
3.3 Nei casi come quello che ci occupa, si pone pertanto innanzitutto il quesito se la somma che il giudice con la sentenza deve porre a carico dell'imputato per la rifusione delle spese di difesa sostenute dalla parte civile vincitrice, ma che vedono come destinatario lo Stato e non la parte privata, debba o meno coincidere con quella, a carico dello Stato, che lo stesso giudice deve liquidare al difensore della parte civile, con il decreto ex art. 82 t.u.s.g..
In altri termini, il quesito è se vi sia (vi debba essere) coincidenza tra la quantificazione delle spese legali che l'imputato è condannato a corrispondere in favore dello Stato/Erario e la quantificazione della somma dal medesimo Stato/Erario liquidata al difensore della parte civile, con una sostanziale sovrapposizione tra le distinte relazioniimputato parte civile, Stato - parte civile ammessa al patrocinio pubblico, imputato - Stato.
Come corollario, si pone l'ulteriore quesito se il regime delle eventuali impugnazioni sul punto della quantificazione della somma che l'imputato è condannato a pagare in favore dello Stato (e che lo Stato liquida al difensore della parte civile) sia poi quello ordinario previsto dagli articoli 574 c.p.p. ss. o quello speciale disciplinato dagli artt. 84 e 170 t.u.s.g..
3.4 La questione proposta ha due autonomi ambiti di rilevanza, uno sostanziale e l'altro procedimentale.
3.4.1 Nel merito, a sostegno della soluzione positiva (tesi della necessaria coincidenza tra la somma che l'imputato deve corrispondere allo Stato e quella che lo Stato deve poi corrispondere al difensore di parte civile) può richiamarsi l'operare sinergico sia del generale principio di divieto dell'ingiustificato arricchimento (lo Stato non potrebbe ricevere, per la prestazione del difensore di parte civile, più di quanto poi è tenuto a corrispondere al medesimo professionista proprio per quella specifica prestazione), sia di quello altrettanto generale dell'evitare ingiustificati danni erariali (che si verificherebbero ove lo Stato - si noti: per la medesima causale - ricevesse dall'imputato, in ragione della sua soccombenza civile, somma inferiore a quella che poi corrisponde al difensore della parte civile).
A sostegno della risposta negativa potrebbe osservarsi che altrimenti l'imputato beneficerebbe paradossalmente proprio della non abbienza della persona che ha danneggiato, trovandosi a rimborsare spese legali che, in ragione del limite quantitativo imposto dall'art. 82 t.u.s.g., sarebbero senz'altro inferiori a quelle da lui dovute se il danneggiato fosse abbiente e, quindi, fossero state liquidate senza il limite del valore medio delle voci tariffarie. Deve tuttavia osservarsi che quest'ultimo rilievo, se coglie un aspetto certo singolare della questione (= di fatto l'imputato trae personale vantaggio economico dalla non abbienza di colui che ha danneggiato), tuttavia presuppone che si attribuisca alla rifusione delle spese di lite tra le parti un contenuto in qualche modo anche 'sanzionatorio'. Ciò, dal punto di vista sistematico, è certo improprio, in quanto presupposto e finalità della rifusione delle spese di lite sono il rendere appunto indenne la controparte delle spese effettivamente sostenute in ragione del processo, ma solo di quelle (esulando del tutto alcuna finalità 'punitiva' del tipo di quella ora prevista dall'ultimo comma dell'art. 96 c.p.c.).
Quindi, se le spese di difesa sostenute vanno parametrate ai sensi del richiamato art. 82 - come il difensore di parte civile ha accettato che fosse, assumendo la difesa nel sistema retributivo del patrocinio a spese dello Stato - l'integrale, e definitiva, rifusione coincide con la somma liquidata secondo i parametri indicati dall'art. 82.
Va pure ricordato, infatti, che mentre nel caso di liquidazione a spese pubbliche della difesa d'ufficio, quando venisse poi comprovata la possibilità di un'utile escussione del patrimonio dell'imputato il difensore può chiedere all'assistito la corresponsione di somme ulteriori, relative alla differenza in aumento tra quelle 'calmierate' e quelle possibili secondo le norme tariffarie, invece nel sistema del patrocinio a spese dello Stato nulla può più essere chiesto dal difensore alla parte assistita (ex art. 85 stesso testo unico), perché l'eventuale venir meno dello stato di non abbienza rileva solo nel rapporto tra la parte ammessa al patrocinio a spese pubbliche e l'Erario (art. 111 t.u.s.g.).
3.4.1.1 E' poi vero che il rapporto imputato-parte civile, quanto alla rifusione delle spese, ha comunque una sua potenziale autonomia (ai sensi dell'art. 541 c.p.p.) rispetto all'altro (Stato/difensore della parte civile ammessa), giacché il giudice, ricorrendone le circostanze di merito e legittimità, potrebbe compensare tali spese (soluzione ben possibile anche quando la parte civile sia stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato).
In tale evenienza, quindi, ed ovviamente a maggior ragione anche nel caso dell'assoluzione dell'imputato, nulla sarebbe dovuto dall'imputato allo Stato, mentre il difensore della parte civile ammessa al patrocinio a spese pubbliche manterrebbe sempre il diritto, nei confronti dell'Erario, alla liquidazione dei propri compensi, secondo i consueti criteri ex art. 82 cit.. Tale assetto consegue al fatto che la difesa tecnica della parte danneggiata nel processo penale ha presupposti, contenuti e disciplina distinti, rispetto a quella del soggetto non abbiente che agisca nel processo civile: basti pensare all'irrilevanza del presupposto della non manifesta infondatezza delle ragioni (art. 74.2 t.u., rispetto al primo coma) ed alla possibilità di impugnare nonostante la soccombenza (art. 120 t.u.). In definitiva, il difensore della parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato ha diritto alla liquidazione del compenso anche nel caso di mancato accoglimento delle domande civilistiche, con il solo limite, comune a tutti i casi di ammissione al patrocinio a spese pubbliche nel processo penale, dell'impugnazione dichiarata inammissibile, ex art. 106.1 t.u. (per tutte, Sez.4, sent. 42508/2009).
Ma è appunto esclusivamente in tali due casi - assoluzione e compensazione - che le discipline degli arti. 541 c.p.p., 82 e 110 t.u.s.g. mantengono la propria autonomia.
Quando invece la sentenza penale contiene il riconoscimento della responsabilità dell'imputato anche ai fini civili e la sua condanna alla rifusione delle spese legali, tale autonomia vien meno, trovando applicazione esclusivamente la disciplina di cui all'art. 110 d.P.R. 115/2002, normativa successiva, speciale e specifica rispetto a quella dell'art. 541 c.p.p.. In altri termini, in realtà non vi è una sovrapposizione di norme non coordinate (situazione che pur imporrebbe la ricerca di soluzione interpretativa sistematica), bensì l'operare in concreto del generale principio di specialità tra diverse discipline che riguardino la medesima fattispecie. In tal senso non può essere condivisa la giurisprudenza della Quarta sezione di questa Corte sul punto, secondo la quale i provvedimenti ex art. 541 ed ex art. 82 sarebbero sempre "distinti ed entrambi necessari", "rispondendo a finalità e ratio legis assolutamente differenti tra loro", sicché la "difficoltà, anche
dal punto di vista pratico, di coordinare le due liquidazioni" e gli "inconvenienti" conseguenti dovrebbero essere evitati solo "riconoscendo l'autonomia delle due liquidazioni" (per tutte, Sentenze 42844/08 e 26663/08). Appare invero francamente assorbente l'osservazione che non si comprende quale spazio avrebbe, nella fattispecie esaminata ed alla luce delle considerazioni sistematiche prima svolte, la statuizione relativa all'art. 541 c.p.p. (intesa come condanna diretta dell'imputato in favore della parte civile), risultando così in realtà solo inutiliter data. Perché, giova ripeterlo, quando la parte civile è ammessa al patrocinio a spese dello Stato, in ordine alla disciplina della rifusione delle spese legali non residua alcun rapporto diretto tra l'imputato soccombente e la parte civile, perché l'unico rapporto di quest'ultima - e del suo difensore - è solo con lo Stato. Sicché porre a carico dell'imputato la liquidazione delle spese in favore della parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato costituisce solo un errore di diritto e realizza un vizio di violazione di legge.
3.4.1.2 Deve pertanto privilegiarsi la soluzione della coincidenza tra le somme, per cui la prima conclusione è l'affermazione del principio di diritto che, quando il giudice del processo penale condanna l'imputato alla rifusione integrale delle spese legali sostenute dalla parte civile, ammessa al beneficio del patrocinio a spese pubbliche, la somma che l'imputato deve rifondere in favore dello Stato deve coincidere con quella che lo Stato liquida al difensore; essa va pertanto subito determinata secondo i parametri di cui all'art. 82 d.P.R. 115/2002.
3.4.2 Del resto, passando agli aspetti in rito, la necessaria coincidenza tra le somme relative al rapporto imputato-Stato ed a quello Stato-parte civile si ottiene agevolmente liquidando direttamente con la sentenza al difensore le spese di difesa sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio.
Il giudice del processo penale - che ben sa che la parte civile è ammessa al patrocinio a spese pubbliche - quando condanna l'imputato anche al pagamento delle spese di difesa sostenute da tale parte, nel medesimo dispositivo deve provvedere all'indicazione dello Stato come creditore del pagamento a carico dell'imputato, quantificandolo ai sensi dell'art. 82 d.P.R. 115/2002 e contestualmente provvedendo alla liquidazione della stessa somma in favore del difensore della parte civile, sempre ai sensi di tale norma.
Si tratta, in realtà, non tanto o non solo soluzione sistematica quanto, giova precisarlo, la conseguenza immediata dell'applicazione concreta della specialità della disciplina dell'art. 110 t.u.s.g. rispetto all'art. 541 c.p.p., ovviamente sul punto della sola quantificazione - rimanendo l'an debeatur disciplinato integralmente e solo dall'art. 541 c.p.p.
Il difensore della parte civile ammessa al patrocinio a spese pubbliche, pertanto, deve presentare al momento delle proprie conclusioni, all'esito della discussione, la propria nota spese già conforme alle regole dell'art. 82.
Del resto, per quanto ormai più volte evidenziato, una sua nota spese che prescindesse del tutto da quelle regole e da quei criteri non avrebbe alcuna efficacia né troverebbe senso sistematico alcuno, posto che il suo rapporto è, quanto ai propri onorari ed alle proprie spese e dal momento in cui assume la difesa di persona danneggiata ammessa al patrocinio a spese pubbliche, solamente con lo Stato.
E, in ogni caso, la liquidazione del giudice procedente non potrebbe che vincolarsi a quei parametri, quali che fossero le entità delle singole voci sollecitate dalla nota, in esubero o non conformità ai criteri di cui all'art. 82.
Conseguenza sistematica ulteriore è che le impugnazioni relative all'an debeatur sono disciplinate dal codice di rito, come tutte quelle relative ai singoli punti della decisione, mentre quelle relative al quantum debeatur sono disciplinate dagli artt. 84 e 170 d.P.R. 115/2002 (che prevedono la partecipazione di tutte le parti processuali interessate), posto che il difensore ha diritto alla liquidazione al termine di ciascuna fase o grado del processo, sicché risulta sistematicamente illegittima l'eventuale differimento dell'efficacia delle singole liquidazioni al momento unico dell'eventuale passaggio in giudicato della decisione.
3.4.2.1 Deve pertanto affermarsi l'ulteriore principio di diritto che quando il giudice del processo penale condanna l'imputato alla rifusione integrale delle spese legali sostenute dalla parte civile, ammessa al beneficio del patrocinio a spese pubbliche, nel dispositivo deve contestualmente sia disporre che il pagamento avvenga in favore dello Stato che procedere alla liquidazione in favore del difensore.
4. L'applicazione dei due principi di diritto enunciati al caso di specie, tenuto conto che la somma liquidata dal GIP non è illegittima in relazione ai criteri di cui all'art. 82 d.P.R. 115/2002 comporta:
- l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla parte in cui dispone la condanna dell'imputato al pagamento delle spese di difesa sostenute dalla parte civile direttamente alla stessa;
- il disporre, ai sensi dell'art. 620 lettera L) c.p.p., che il pagamento avvenga in favore dello Stato;
- il disporre e confermare la liquidazione della somma, come determinata dal GIP, in favore del difensore della parte civile.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna dell'imputato al pagamento delle spese di difesa della parte civile, condanna che dispone avvenga in favore dello Stato. Conferma la liquidazione in favore del difensore di parte civile ai sensi degli artt. 82 e 110 d.P.R. 115/2002.
Così deciso in Roma, l' 8.11.2011
IL CONSIGLIERE ESTENSORE Carlo Citterio
IL PRESIDENTE Nicola Milo