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Rinvio pregiudiziale sempre facoltativo anche in Cassazione (Cass. 50998/17)

8 novembre 2017, Cassazione penale

Il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia viene provocato con ordinanza del giudice nazionale (ivi compresa la Corte Costituzionale), con la quale si solleva una questione interpretativa su una norma comunitaria, è facoltativo anche pr il giudice di ultima istanza.

Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea non costituisce un rimedio giuridico esperibile automaticamente a sola richiesta delle parti, spettando solo al giudice stabilirne la necessità.

Il rinvio pregiudiziale ha la funzione di verificare la legittimità di una legge nazionale rispetto al diritto dell'Unione Europea e se la normativa interna sia pienamente rispettosa dei diritti fondamentali della persona, quali risultanti dall'evoluzione giurisprudenziale della Corte di Strasburgo e recepiti dal Trattato sull'Unione Europea; sicchè il giudice, effettuato tale riscontro, non è obbligato a disporre il rinvio solo perchè proveniente da istanza di parte.

Il giudice nazionale è tenuto

  • ad interpretare ed applicare la norma comunitaria, che è fonte del diritto e, qualora sorgano questioni di conflitto con una norma interna, a disapplicare la norma interna
  • in caso di dubbi sull'interpretazione della norma comunitaria può risolverli interpretando la norma comunitaria (mai disapplicandola) o può sollevare la questione pregiudiziale sull'interpretazione della stessa davanti alla Corte di Giustizia.

Il giudice nazionale ha l'obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di dare al singolo la tutela che quel diritto gli attribuisce, disapplicando di conseguenza la norma interna confliggente, sia anteriore che successiva a quella comunitaria.

Nota: L’art. 267 co. 3 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea stabilisce che “quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale organo giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte”.

La norma pare quindi prevedere un vero e proprio obbligo, coem affermato anche nell’ambito dell’ordinamento internazionale, laddove la Corte europea diritti dell'uomo (sez. II  08 aprile 2014 n. 17120) non ha dubbi nel ritenere che “qualora si prospettino dei dubbi circa l'interpretazione e l'applicazione del diritto dell'Unione, i giudici nazionali di ultima istanza sono tenuti a motivare il mancato rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia Ue, concretandosi altrimenti tale comportamento in una violazione del diritto all'equo processo di cui all'art. 6, comma 1, Cedu”.

 


CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

(ud. 19/07/2017) 08-11-2017, n. 50998

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IZZO Fausto - Presidente -

Dott. CIAMPI Francesco - Consigliere -

Dott. MENICHETTI Carla - Consigliere -

Dott. BELLINI Ugo - rel. Consigliere -

Dott. TANGA Antonio L. - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

V.G., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 29/11/2016 del GIP TRIBUNALE di TORINO;

sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. VINCENZO PEZZELLA;

lette/sentite le conclusioni del PG Dr. SALZANO Francesco, che ha chiesto: A) in via principale, il rinvio del procedimento in attesa della decisione della Corte Costituzionale a seguito dell'ordinanza emessa dalla 6^ Sez. Penale di questa Corte n. 1418/2017; B) in subordine, rigettarsi il ricorso e adottarsi i provvedimenti di cui all'art. 616 c.p.p..

Svolgimento del processo

1. Il GUP del Tribunale di Torino, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente V.G., con sentenza del 29.11.2016, applicava allo stesso, ex art. 444 c.p.p., la pena di anni 3 e mesi 8 di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa, con condanna al pagamento delle spese di custodia cautelare, con confisca e distruzione dello stupefacente in sequestro e confisca del veicolo in sequestro. All'odierno ricorrente veniva imputato il reato previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, perchè trasportava all'interno dell'autovettura Fiat Punto Tg. (OMISSIS) e deteneva a fini di spaccio g. 19,62 di sostanza stupefacente tipo cocaina, contenenti g. 68,47 di principio attivo, pari a 4655 dosi medie singole, in (OMISSIS).

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, V.G., deducendo l'unico motivo di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

a. Violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) erronea applicazione della legge penale, in riferimento al combinato disposto dell'art. 129 c.p.p. e art. 444 c.p.p., comma 2.

Il ricorrente deduce che il giudicante non avrebbe valutato la sussistenza dei presupposti per l'assoluzione ex art. 129 c.p.p., nonostante la presenza degli elementi necessari ad una pronuncia di assoluzione.

Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata, adottando i conseguenti provvedimenti di carattere processuale.

In data 31.3.2017 il ricorrente depositava motivi nuovi a mezzo di altro difensore, deducendo:

b. Questione di legittimità costituzionale della norma di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, come risultante a seguito della sentenza n. 32/2014 della Corte Costituzionale, ed in particolare per la violazione dell'art. 3 Cost. e art. 25 Cost., comma 2 e artt. 27 e 117 Cost..

Il ricorrente rileva che è stata applicata, al caso di specie una pena base di otto anni, infatti la condotta sanzionata è stata sanzionata con il minimo edittale del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, pari al doppio del massimo edittale della ipotesi lieve di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

Tale irragionevole ed eccessiva distanza tra i trattamenti sanzionatori, previsti per le due ipotesi di reato, pone seri dubbi di legittimità costituzionale sotto vari profili, in quanto impone al giudice di punire con pene molto diverse casi molto simili e comunque omogenei, quanto a contenuto offensivo e con pene manifestamente sproporzionate.

Il ricorrente richiama l'ordinanza del 12/1/2017 n. 1418/17 con cui la Sesta Sezione Penale di questa Corte Suprema ha rilevato la probabile violazione dell'art. 25 Cost., comma 2.

Lo stesso ricorrente rileva, poi, che l'irragionevolezza del differente trattamento sanzionatorio previsto tra le ipotesi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 5 determina la violazione dell'art. 3 Cost., per la violazione del principio di ragionevolezza e eguaglianza. Attualmente, continua il ricorrente, la questione di legittimità costituzionale pende innanzi alla Corte Costituzionale, con udienza in camera di consiglio del 7.6.2017, rel. Cartabia.

Ribadisce la palese illegittimità dell'attuale normativa, che prevede che, per un'ipotesi di reato come quella di specie, in cui il fatto cessi di essere "lieve" e sconfini nella minima offensività prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, la sanzione raddoppi rispetto a quella massima prevista dal comma 5 con evidente sproporzione del trattamento sanzionatorio.

Sottolinea, infine, la violazione dell'art. 117 Cost., comma 1, perchè il trattamento sanzionatorio appare manifestamente sproporzionato rispetto alla durata massima delle pene detentive indicata dall'art. 4 della decisione-quadro 2004/757/GAI, violando, altresì l'art. 49, comma 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, atto immediatamente precettivo negli stati membri ai sensi dell'art. 6, comma 1 Trattato UE. c. In subordine, chiede disporsi, ai sensi dell'art. 267 TFUE, il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea per manifesta incompatibilità della norma con il criterio di proporzionalità delle sanzioni di cui all'art. 49, comma 3 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.

3. Il Procuratore Generale di questa Corte ha rassegnato le proprie conclusioni scritte ex art. 611 c.p.p., rilevando l'opportunità di rinviare il procedimento in attesa della decisione della Corte Costituzionale sull'eccezione di incostituzionalità relativa al trattamento sanzionatorio previsto dalla norma.

Ove la questa Corte non ritenga di rinviare, chiede il rigetto del ricorso in quanto la pena finale indicata è comunque inferiore a quella di sei anni prevista come minimo edittale per le droghe pesanti dalla L. n. 49 del 2006 e la sentenza impugnata ha adeguatamente motivato sulla sussistenza in atti di elementi probatori che escludevano il proscioglimento dell'imputato.

Motivi della decisione

1. Il ricorso va rigettato.

2. Ed invero, quanto al primo motivo il profilo di doglianza si palesa inammissibile.

Il giudice, nell'applicare la pena concordata, ha ratificato l'accordo intervenuto tra le parti, escludendo motivatamente, sulla base degli atti acquisiti (che ha richiamato e specificamente indicato in sentenza), che ricorressero i presupposti di cui all'art. 129 c.p.p. per il proscioglimento dell'odierno ricorrente.

La motivazione, avuto riguardo alla (consapevole e volontaria) rinunzia alla contestazione delle prove dei fatti costituenti oggetto di imputazione implicita nella domanda di patteggiamento, nonchè alla speciale natura dell'accertamento devoluto al giudice del merito in sede di applicazione della pena su richiesta delle parti che ne consegue, appare pienamente adeguata ai parametri indicati per tale genere di decisioni dalla ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr., tra le altre, Sez. un., n. 5777 del 27/3/1992, Di Benedetto, Rv. 191135; Sez. Un., n. 10372 del 27/9/1995, Serafino, Rv. 202270; Sez. Un., n. 20 del 27/10/1999, Fraccari, Rv. 214637).

Nel provvedimento impugnato è stato, inoltre, motivatamente dato atto della correttezza della proposta qualificazione giuridica dei fatti contestati e della congruità del trattamento sanzionatorio dalle stesse parti proposto.

3. Infondate si palesano anche le altre doglianze.

La questione di costituzionalità sollevata con l'ordinanza del 12/1/2017 n. 1418/17 con cui la Sesta Sezione Penale di questa Corte Suprema ravvisava, in via principale, una possibile violazione dell'art. 25 Cost., comma 2, in quanto la misura della pena di otto anni, nel minimo edittale di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 per le droghe c.d. pesanti, sarebbe frutto di una sentenza della Corte costituzionale - la n. 32 del 2014 - che avrebbe determinato la "reintroduzione" di una disposizione penale in malam partem in contrasto con il principio della riserva di legge e, in via subordinata, riteneva violati gli artt. 3 e 27 Cost., in quanto lo iato sussistente tra il minimo edittale per i fatti non lievi concernenti le cosiddette droghe "pesanti" - otto anni - e il massimo della pena per i fatti lievi - quattro anni per i quali, tra l'altro, non si distingue tra droghe "pesanti" e droghe "leggere", contrasterebbe con i principi di ragionevolezza e proporzione cui deve sottostare ogni previsione sanzionatoria in materia penale, è stata dalla Corte costituzionale dichiarata manifestamente inammissibile, per molteplici ragioni con ordinanza n. 184 del 6 giugno 2017 depositata il 13 luglio 2017. E analoghe questioni di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, promossa dal Tribunale di Ferrara, con ordinanza del 18 novembre 2015 e dal GUP del Tribunale di Rovereto con ordinanza del 9 marzo 2016 sono state parimenti dichiarate inammissibili dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 179 del 7 giugno 2017 depositata il 13 luglio 2017 sia in riferimento agli artt. 3 e 25 Cost. e art. 27 Cost., comma 3, che agli artt. 3 e 11 Cost., art. 27 Cost., comma 3, e art. 117 Cost., comma 1, quest'ultimo in relazione all'art. 4 e art. 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e in relazione all'art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, dal Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale ordinario di Rovereto, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

4. Infondata è anche la richiesta di rinvio pregiudiziale alla CGUE. Va ricordato che il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia viene provocato con ordinanza del giudice nazionale (ivi compresa la Corte Costituzionale), con la quale si solleva una questione interpretativa su una norma comunitaria. Il giudice nazionale, infatti, è tenuto ad interpretare ed applicare la norma comunitaria, che è fonte del diritto e, qualora sorgano questioni di conflitto con una norma interna, a disapplicare la norma interna.

Se poi vi fossero dubbi sull'interpretazione della norma comunitaria può risolverli interpretando la norma comunitaria (mai disapplicandola) o può sollevare la questione pregiudiziale sull'interpretazione della stessa davanti alla Corte di Giustizia.

In sostanza si tratta di una ulteriore applicazione del principio del primato del diritto comunitario per il quale la giurisprudenza comunitaria ha costantemente affermato che il giudice nazionale ha l'obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di dare al singolo la tutela che quel diritto gli attribuisce, disapplicando di conseguenza la norma interna confliggente, sia anteriore che successiva a quella comunitaria.

Nel caso in cui il giudice in questione sia un giudice di ultima istanza, come nel caso che ci occupa, salvo casi particolari, la facoltà di rinvio pregiudiziale sembrerebbe essere disegnata come un obbligo, volto ad evitare un consolidamento nella giurisprudenza di una interpretazione che, non passata al vaglio della Corte di Giustizia, sia erronea.

Tuttavia, questa Corte di legittimità ha avuto modo di precisare ancora di recente (cfr. sez. 4 n. 27165 del 24/5/2016, Battisti, non mass.) che il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea non costituisce un rimedio giuridico esperibile automaticamente a sola richiesta delle parti, spettando solo al giudice stabilirne la necessità (Sez. Un. Civ., ord. 20701 del 10.9.2013 Savoldelli contro Proc. Generale c/o Sezione Giurisdizionale Conti in un caso il ricorrente aveva chiesto il rinvio alla Corte di Giustizia con riguardo alle disposizioni del Trattato aventi ad oggetto la materia del recupero dei contributi comunitari e la possibilità per gli Stati membri di perseguire la tutela di pregiudizi dell'erario Europeo; le S.U. hanno disatteso l'istanza evidenziando, tra l'altro, che la suddetta richiesta concretizzava una anomala sollecitazione alla Corte di Giustizia a riconsiderare la propria consolidata giurisprudenza; cfr. anche Corte giust. 21 luglio 2011, Kelly, in C104/10; 22 giugno 2010, Melki in CI 88 e 189/10).

Il rinvio pregiudiziale, infatti, ha la funzione di verificare la legittimità di una legge nazionale rispetto al diritto dell'Unione Europea e se la normativa interna sia pienamente rispettosa dei diritti fondamentali della persona, quali risultanti dall'evoluzione giurisprudenziale della Corte di Strasburgo e recepiti dal Trattato sull'Unione Europea; sicchè il giudice, effettuato tale riscontro, non è obbligato a disporre il rinvio solo perchè proveniente da istanza di parte (cfr. sez. 3 civ. n. 13603 del 21.6.2011, Guidi contro Ass. Generali Spa, rv. 618393).

D'altra parte, come sottolineato dalle Sezioni Uniti Civili di questa Corte (Sez. Un. Civ. n. 16886 del 5.7.2013, Wind Telecomunicazioni Spa contro Telecom Italia Spa, rv. 626853) la Corte di Giustizia Europea, nell'esercizio del potere di interpretazione di cui all'art. 234 del Trattato istitutivo della Comunità economica Europea, non opera come giudice del caso concreto, bensì come interprete di disposizioni ritenute rilevanti ai fini del decidere da parte del giudice nazionale, in capo al quale permane in via esclusiva la funzione giurisdizionale.

Pertanto, il giudice nazionale di ultima istanza non è soggetto all'obbligo di rimettere alla Corte di giustizia delle Comunità Europee la questione di interpretazione di una norma comunitaria quando non la ritenga rilevante ai fini della decisione o quando ritenga di essere in presenza di un "acte claire" che, in ragione dell'esistenza di precedenti pronunce della Corte ovvero dell'evidenza dell'interpretazione, rende inutile (o non obbligato) il rinvio pregiudiziale (ex multis Sez. Un. Civ., 24 maggio 2007, n. 12067, Vittoria Vericherung Ag. contro Beruffi, rv. 597142; sez. 1 civ., ord. 22 ottobre 2007, n. 22103, Agenzia Erogazioni Agricoltura contro Cons. Agrario Ravenna Scarl, rv, 599710; sez. 1 civ., 26 marzo 2012, n. 4776, Gaz contro Rai Spa ed altri, rv. 621620). Occorre operare, in altri termini, una delibazione di fondatezza della questione proposta.

Ebbene, ritiene il Collegio che, nel caso che ci occupa, alla luce delle sopra ricordate pronunce della Corte Costituzionale, non sussista tale necessario fumus.

5. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 19 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2017