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Riforma Cartabia sulle impugnazioni non è retroattiva (Cass. 3990/23)

31 gennaio 2023, Cassazione penale

L'impugnante ai soli effetti civili ha l'interesse, nell'incertezza sull'attribuzione di un termine per adeguare il contenuto degli atti a diverse regole decisorie, a costruire il proprio atto di impugnazione in modo da poter affrontare un giudizio di legittimità retto da regole diverse da quelle alla stregua delle quali doveva essere superato il vaglio di ammissibilità: dato il carattere sostanziale e non meramente formale dell'esigenza di protezione del diritto di difesa la nuova disciplina non possa essere applicata a vicende processuali anteriori all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022, ossia all'impugnazione di sentenze emesse prima del 30 dicembre 2022, quando, ai sensi dell'art. 99-bis del D.Lgs. n. 150 del 2022, è entrata in vigore la normativa che si esamina.

Nel vigore della disciplina emergenziale pandemica da Covid-19, deve essere data comunicazione a tutte le parti del provvedimento che dispone la trattazione con rito ordinario, a seguito della richiesta di discussione orale formulata da una di esse, determinandosi, in mancanza, una nullità generale a regime intermedio ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p.

(in termini posti Cass. pen., sez. IV, ud. 11 gennaio 2023 (dep. 24 gennaio 2023), n. 2854)

 

Cassazione penale

sez.V, ud. 20 gennaio 2023 (dep. 31 gennaio 2023), n. 3990
Presidente Pezzullo – Relatore De Marzo

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 1 aprile 2021 la Corte d'appello di Bologna, in riforma della decisione di primo grado, ha assolto: a) S.R. , perché il fatto non sussiste, dal reato di diffamazione in danno di R.L. , ascrittole in relazione all'articolo pubblicato in data 22 ottobre 2014 nel sito (omissis); b) D.C. , perché il fatto non costituisce reato, dal reato di diffamazione in danno del medesimo R. , ascrittogli con riguardo al altro articolo pubblicato lo stesso giorno nel medesimo sito.

2. Nell'interesse della parte civile è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Con il primo motivo si lamenta violazione di legge processuale, per avere la Corte d'appello celebrato in presenza l'udienza di discussione dell'impugnazione proposta dagli imputati, senza che l'istanza di trattazione orale fosse stata portata a conoscenza del difensore della parte civile, che, anzi, aveva ricevuto, a conferma dell'applicazione del cd. rito cartolare, le conclusioni scritte del Procuratore generale.

In subordine, si prospetta questione di legittimità costituzionale dell'art. 23-bis del D.L. n. 137 del 2020, per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cast.

2.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla pronuncia assolutoria, rilevando, quanto al rea m contestato alla S. , che era stata dimostrata in giudizio la falsità dell'affermazione per la quale il R. : al) sarebbe stato condannato più volte; a2) avrebbe beneficiato della prescrizione in relazione all'imputazione di traffico per rifiuti pericolosi con riguardo ai cantieri della TAV; a:3) non avrebbe pagato nulla per gli illeciti che gli venivano attribuiti; a4) avrebbe fatto fallire varie imprese.

Quanto al reato contestato al D. , si contesta la sussistenza della scriminante del diritto di critica, dal momento che: a) l'imputato aveva falsamente affermato che il R. avesse "messo su" una vera e propria organizzazione a delinquere, richiamando un articolo inattuale e superato da successive decisioni giudiziarie e senza considerare che la parte civile era stata ammessa nella white list della prefettura di Modena; b) in tale contesto, andava colto il significato del ruolo di boss attribuito al R. ; c) del tutto gratuite erano le insinuazioni tese a far credere al lettore che il R. avesse intrattenuto rapporti illeciti con funzionari pubblici.

3. Sono state trasmesse, ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. 28/10/2020, n. 137, conv. con L. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dott. Tomaso Epidendio, il quale ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata ai soli effetti civili e il rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, nonché memoria nell'interesse della parte civile, con la quale si insiste per l'accoglimento del ricorso.

Considerato in diritto

1. Il primo, assorbente motivo di ricorso, è fondato.

Nel giudizio di appello, nel vigore della disciplina emergenziale pandemica da Covid-19, deve essere data comunicazione a tutte le parti del provvedimento che dispone la trattazione con rito ordinario, a seguito della richiesta di discussione orale formulata da una di esse, determinandosi, in mancanza, una nullità generale a regime intermedio ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p. (Sez. 6, n. 3673 del 19/01/2022, G., Rv. 282750 - 01).

Nel caso di specie, non risulta essere intervenuta alcuna comunicazione alla parte civile e il fatto, sottolineato nel corso dell'udienza di discussione dinanzi a questa Corte, che all'udienza del 1 aprile 2021, secondo quanto risulta dal processo verbale del dibattimento, non fossero presenti neppure i difensori degli imputati (che sono stati sostituiti da difensore nominato ai sensi dell'art. 97, comma 4, c.p.p.) è un dato privo di qualunque rilievo, rispetto al diritto della parte civile di interloquire nel processo.

2. Sorge a questo punto la questione, poiché l'impugnazione è stata proposta ai soli effetti civili e la doglianza non è inammissibile, di decidere se vada pronunciato l'annullamento ai sensi dell'art. 622 cod. proc. peri., norma tuttora vigente, o si debba fare applicazione dell'art. 573, comma 1-bis, c.p.p., introdotto dall'art. 33, comma 1, lett. a), n. 2, D.Lgs. n. 10 ottobre 2022 n. 150.

La soluzione del problema richiede una riflessione sulla portata della norma della quale si tratta, a mente della quale, quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d'appello e la Corte di Cassazione, se l'impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile.

Ora, indiscussa la natura processuale della norma, osserva il Collegio che, la previsione, sebbene sembri non riguardare direttamente i modi di esercizio del diritto di impugnazione ma i meccanismi processuali di esame della stessa, in realtà, ad una lettura più approfondita, incide in termini concreti sul modo in cui la parte che impugna può essere interessata a redigere l'atto di impugnazione, al fine di ridurre le numerose incertezze applicative che si accompagnano alla nuova disciplina.

Il punto merita di essere approfondito poiché rivela le ragioni della lettura da privilegiarsi, in relazione al caso in esame, degli approdi di Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, Lista, Rv. 236537 - 01, e che il Collegio, in difetto di una disciplina transitoria specifica, intende seguire.

3. Nella relazione illustrativa del D.Lgs. n. 150/22 (pubblicata sul S.O. n. 5 alla Gazzetta ufficiale n. 245 del 19 ottobre 2022), il nuovo comma 1-bis dell'art. 573: a) è presentato come una conseguenza coerente della disciplina di cui al comma 1-bis dell'art. 578; b) viene esaltato come idoneo a determinare un ulteriore risparmio di risorse, nell'ottica di implementare l'efficienza giudiziaria nella fase delle impugnazioni e come previsione non in conflitto con la giurisprudenza costituzionale, data la limitazione della cognizione del giudice civile alle "questioni civili"; c) viene accompagnato dalla precisazione che, "con il rinvio dell'appello o del ricorso al giudice civile l'oggetto di accertamento non cambierebbe, ma si restringerebbe, dal momento che la domanda risarcitoria da illecito civile è già implicita alla domanda risarcitoria da illecito penale (l'illecito penale implica l'illecito civile). Non vi sarebbe pertanto una modificazione della domanda risarcitoria nel passaggio dal giudizio penale a quello civile".

Le incertezze applicative della normativa appena indicata nascono, innanzi tutto, dal fatto che il giudizio di impugnazione non ha per oggetto l'azione civile, ma la sentenza che ha deciso sull'azione civile. E, il problema, se può non risultare evidente, quanto all'appello, in ragione della natura di giudizio di merito e soprattutto del fatto che viene introdotto da un'impugnazione "a critica libera" (v., ad es., Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268823 01, punto 6.1.2 della motivazione), non essendo tipizzate dal legislatore le categorie dei motivi di censura che possono essere formulati (fermo restando che l'impugnazione "attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti": art. 597, comma 1, c.p.p.), diviene un ostacolo difficilmente superabile nel caso del giudizio di legittimità. In questo caso, infatti, il rimedio è costruito dal legislatore come un mezzo di impugnazione a critica vincolata (essendo inammissibile se proposto per motivi diversi da quelli stabiliti dalla legge, ai sensi dell'art. 606, commi 1 e 3, c.p.p.), che, di regola, "attribuisce alla corte di cassazione la cognizione del procedimento limitatamente ai motivi proposti" (art. 609, comma 1, del codice di rito).

Ora, il comma 1-bis dell'art. 573 suppone che il giudice penale, investito di un'impugnazione circoscritta ai soli effetti civili, possa Imitarsi ad una valutazione di non inammissibilità (espressa in modi che restano non chiariti e che parrebbero affidati ad una sintetica enunciazione nell'atto che dispone il "rinvio per la prosecuzione"), per poi affidare la decisione sui restanti profili al giudice o alla sezione civile competente.

Il fatto che il comma 1-bis dell'art. 573 aggiunga che il giudice civile investito del procedimento decida utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile rivela, sul piano sistematico, che, nelle intenzioni del legislatore delegato, il giudice civile è chiamato ad applicare la normativa processual-civilistica.

Se così è, ci si trova di fronte ad un meccanismo secondo il quale il giudice penale dell'impugnazione (di quella impugnazione che scaturisce dal diritto riconosciuto dal comma 1 dell'art. 573 c.p.p.) decide sull'ammissibilità della stessa, secondo le regole proprie del codice di rito penale (anche perché non si capirebbe quali altri parametri valutativi potrebbe essere chiamato a seguire).

In questa valutazione, occorre considerare che, ai sensi dell'art. 606, comma 3, c.p.p., il ricorso penale è inammissibile anche nei casi di manifesta infondatezza. Ora, come di recente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (v., ad es., Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062 - 0), per affermare la manifesta infondatezza o la mera infondatezza di un motivo di ricorso, la Cassazione deve valutare: con riferimento ai motivi che deducano inosservanza od erronea applicazione di leggi, se essi risultino caratterizzati da evidenti errori di diritto nell'interpretazione della norma posta a sostegno del ricorso (come accade nei casi in cui s'invochi una norma inesistente nell'ordinamento, oppure si pretenda di disconoscere l'esistenza o il senso assolutamente univoco di una determinata disposizione di legge, od infine si riproponga una questione già costantemente decisa dal supremo collegio in senso opposto a quello sostenuto dal ricorrente, senza addurre motivi nuovi o diversi per sostenere l'opposta tesi); con riferimento ai motivi che deducano vizi di motivazione - se consentiti e dotati della specificità necessaria ex art. 581, comma 1, lett. c), c.p.p.: in difetto, opererebbe una diversa e tassativa causa d'inammissibilità del ricorso -, se essi muovano, sul fatto, sullo svolgimento del processo o sulla sentenza impugnata, censure o critiche sostanzialmente vuote di significato, in quanto manifestamente contrastate dagli atti processuali (come accade nel caso in cui il motivo di ricorso attribuisca alla motivazione della decisione impugnata un contenuto letterale, logico e critico radicalmente diverso da quello reale).

Senza indugiare sul fatto che la valutazione preliminare cui il giudice penale è chiamato potrebbe condurre con la stessa rapidità ad apprezzare la manifesta infondatezza o, come nel caso del presente processo, la manifesta fondatezza della doglianza, talché la soluzione normativa è di quantomeno dubbia efficacia, quanto all'obiettivo di ridurre i tempi del processo, e in disparte altri profili qui non rilevanti, si osserva, in caso di non inammissibilità, che il giudice civile competente, a seguito del "rinvio per la prosecuzione", dovrebbe applicare la normativa processual-civilistica. Il che, nel caso di ricorso per cassazione, significa che dovrebbero applicarsi le regole che individuano distinti e non sovrapponibili (soprattutto con riguardo ai vizi argomentativi) motivi del ricorso per cassazione delineati dall'art. 360 c.p.c., comma 1 e le regole decisorie dettate dal codice di procedura civile (ad es., quanto ai casi di inammissibilità, i criteri di cui all'art. 360-bis), mentre resta oscura l'applicabilità della disciplina in tema di procedibilità che si desume dall'art. 369 c.p.c. Questa conclusione è confermata dal rilievo che la disciplina immaginata dal legislatore è unitaria sia per l'impugnazione di merito che per quella di legittimità e, se la prima si svolge in un giudizio espressamente qualificato come "civile" (il che, parrebbe significare, come detto, destinato a svolgersi secondo le regole del codice di procedura civile), dovrebbe concludersi che anche l'impugnazione di legittimità dovrebbe essere affrontata con le regole del codice di rito civile.

D'altra parte, diversamente opinando, ossia immaginando che il giudice civile debba applicare il rito penale, non si riuscirebbe neppure a comprendere bene la ratio della disciplina che sposterebbe affari dall'una all'altra sezione della Corte di cassazione (laddove l'obiettivo del contenimento dei tempi di svolgimento dei processi è comune al settore civile come a quello penale), per di più costringendo le sezioni civili ad applicare un rito diverso da quello consueto.

Ora, però, se il giudizio impugnatorio dovesse proseguire alla stregua di regole diverse da quelle che erano applicabili nel momento in cui l'impugnazione è stata proposta (il che è inevitabile, visto che la parte civile, quando impugna, potrebbe non sapere se il p.m. impugnerà ammissibilmente agli effetti penali), appare evidente che l'impugnante ai soli effetti civili ha l'interesse, nell'incertezza sull'attribuzione di un termine per adeguare il contenuto degli atti a diverse regole decisorie, a costruire il proprio atto di impugnazione in modo da poter affrontare un giudizio di legittimità retto da regole diverse da quelle alla stregua delle quali doveva essere superato il vaglio di ammissibilità.

4. Le ragioni appena indicate esaltano il carattere sostanziale e non meramente formale dell'esigenza di protezione del diritto di difesa che, anche alla luce delle considerazioni che seguono, induce il Collegio a ritenere che la nuova disciplina non possa essere applicata a vicende processuali anteriori all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022, ossia all'impugnazione di sentenze emesse prima del 30 dicembre 2022, quando, ai sensi dell'art. 99-bis del D.Lgs. n. 150 del 2022, è entrata in vigore la normativa che si esamina.

Al riguardo, occorre prendere le mosse, come si diceva in principio, da Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, Lista, secondo le quali, ai fini dell'individuazione del regime applicabile in materia di impugnazioni, allorché si succedano nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con disposizioni ad hoc, il passaggio dall'una all'altra, l'applicazione del principio tempus regit actum impone di far riferimento al momento di emissione del provvedimento impugnato e non già a quello della proposizione dell'impugnazione.

La sentenza Lista, infatti, chiarisce il regime delle impugnazioni va ancorato, in base alla regola intertemporale di cui all'art. 11 preleggi, non alla disciplina vigente al momento della loro presentazione ma a quella in essere all'atto della pronuncia della sentenza, posto che è in rapporto a quest'ultimo actus e al tempus del suo perfezionamento che vanno valutati la facoltà di impugnazione, la sua estensione, i modi e i termini per esercitarla. Le Sezioni Unite, al riguardo, sottolineano l'importanza della tutela dell'affidamento maturato dalla parte "in relazione alla fissità del quadro normativo", poiché il potere d'impugnazione trova la sua genesi proprio nella sentenza e non può che essere apprezzato in relazione al momento in cui questa viene pronunciata, con la conseguenza che è al regime regolatore vigente in tale momento che deve farsi riferimento, regime che rimane insensibile a eventuali interventi normativi successivi, non potendo la nuova legge processuale travolgere quegli effetti dell'atto che si sono già prodotti prima dell'entrata in vigore della medesima legge. In altri termini, il quadro normativo delle impugnazioni deve, pertanto, essere ricostruito tenendo presente la disciplina del tempo in cui è sorto il relativo diritto.

Osserva, altresì, il Collegio che le considerazioni svolte da Sez. U Lista hanno carattere generale e non sono affatto circoscritte alla specifica tematica devoluta in quella sede all'esame delle Sezioni Unite, in ragione dell'entrata in vigore della L. 20 febbraio 2006, n. 46, contenente modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento.

E, infatti, se ne è fatta applicazione anche in altri ambiti (v., ad es., Sez. 1, n. 5697 del 12/12/2014, dep. 2015, Ministero della giustizia, Rv. 262355 - 0, in tema di competenza a decidere sul ricorso per cassazione proposto avverso la decisione del magistrato di sorveglianza in tema di reclamo giurisdizionale, emessa nel vigore dell'art. 35-bis, comma 4, L. 26 luglio 1975, n. 354, nel testo introdotto dall'art. 3, comma 1, lett. b), D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, prima delle modificazioni apportate dalla legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 10; Sez. 5, n. 10142 del 17/01/2018, C., Rv. 272670 - 01 e Sez. 1, n. 27004 del 29/04/2021, Pimpinella, Rv. 281615 - 0, secondo le quali la sentenza di non luogo a procedere, ex art. 425 c.p.p., emessa prima dell'entrata in vigore della L. n. 103 del 2017, modificativa dell'art. 428 c.p.p., è impugnabile mediante ricorso per cassazione secondo il regime previgente, in quanto le nuove disposizioni, in assenza di disciplina transitoria, trovano applicazione solo per i provvedimenti emessi successivamente all'entrata in vigore del nuovo testo normativo, dovendosi far riferimento, in tale ipotesi, alla data di emissione del provvedimento impugnato per stabilire la disciplina applicabile).

In realtà, il tema, come puntualmente rilevato da altre pronunce di questa Corte (Sez. 5, n. 15666 del 16/04/2021, Duric, Rv. 280891 - 01), è non tanto quello di aderire ad una visione parasostanziale di talune processuali, tale da incrinare (salva espressa disciplina transitoria) la regola del tempus regit actum (Sez. U, n. 44895 del 17/07/2014, Rv 260927; Sez. U, n. 27919 del 31/03/2011, Rv 250169, in tema cautelare; Sez. U, n. 24561 del 30/05/2006,, Rv. 233976, in tema di esecuzione), quanto quello di operare un'attenta ricognizione del contenuto delle singole innovazioni, sì da rapportarsi in modo ragionevole alla ricostruzione della disciplina regolatrice della specifica attività processuale in sé considerata (Vactus) nei casi di successione di norme nel tempo. Il procedimento penale è infatti caratterizzato - per sua natura - non solo dalla correlazione tra più attività poste in essere da soggetti distinti, ma dalla compresenza di norme regolatrici aventi contenuto e finalità molto diverse tra di loro, la cui considerazione è decisiva ai fini dell'individuazione del regime giuridico dell'atto da compiersi nella vigenza di una nuova disposizione.

Ne discende che, essendo ben chiara la distinzione tra modifiche legislative che attengono alla categoria del "regime delle impugnazioni" (nelle quali rientrano le modifiche legislative relative alla facoltà di impugnazione, alla sua estensione, ai modi ed ai termini per esercitarla) e modifiche legislative che, invece, si riferiscono al procedimento di impugnazione, restano, pur sempre da considerare, quanto alle prime, le peculiarità che, come nel caso di specie, incidono, per le ragioni sopra indicate, sulla costruzione dell'atto di impugnazione e sull'esigenza di tutelare l'affidamento dell'impugnante sul quadro delle regole alla stregua delle quali il ricorso è destinato ad essere esaminato.

E quest'ultima puntualizzazione va apprezzata anche in relazione a(possibile mutamento di tipo sostanziale del quadro valutativo che può caratterizzare l'esame della domanda risarcitoria in ambito civilistico.

5. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata, limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui va demandata anche la liquidazione delle spese tra le parti per il giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.