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Rifiugiato politico ha diritto a indennizzo maggiore per arresto illegittimo ai fini estradizionali? (Cass. 847/22)

13 gennaio 2022, Cassazione penale

Indennizzo deve motivare su eventuali profili di maggiore afflittività per il rifiugiato politico che viene ingiustamente arrestato ai fini estradizionali.

Acccoglimento parziale della richiesta di indennizzo non giustifica ex se la compensazione delle spese con il Ministero che si sia opposto alla liquidazione.  

 

Corte di Cassazione

Sez. IV penale

Num. 847 Anno 2022

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA

Relatore: CENCI DANIELE

Data Udienza: 28.9.2021 – deposito 13.1.2022

 

 SENTENZA

sul ricorso proposto da:

** nato il ** [assistito dall’avv. Nicola Canestrini]

avverso la sentenza dei 16/11/2020 de  CORTE APPELLO Trento SEZ.DIST. di BOLZANO

udita la relazione svolta dal Consigliere [..]

lette le conclusioni del PG

 RITENUTO IN FATTO

 1. La Corte di Appello di Trento - Sezione distaccata di Bolzano – con ordinanza del 15 ottobre 2020 ha parzialmente accolto la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata da OAS, che è stato ristretto in carcere a partire dal 17 settembre 2019 per dieci giorni e quindi agli arresti

domiciliari per otto giorni, in quanto destinatario di mandato di arresto internazionale in relazione al reato di appartenenza ad organizzazione terroristica e di richiesta di estradizione verso la Turchia: verificato, però, lo status di rifugiato politico in Germania, Paese di residenza di **, di origine curda, la misura è stata revocata (il 5 ottobre 2019) e quindi (il 10 ottobre 2019) la richiesta di estradizione rigettata.

 La Corte di merito, in conseguenza, ha liquidato al ricorrente la complessiva somma di 3.301,48 euro (pari alla somma di 235,00 euro per ogni giorno dei dieci trascorsi in carcere più 117,91 euro per ognuno degli otto giorni agli arresti domiciliari), dichiarando interamente compensate le spese.

 2. Ricorre per la cassazione del provvedimento, tramite difensore di fiducia, **, che si affida a due motivi con i quali denunzia promiscuamente violazione di legge, anche sotto il profilo della mancanza dell'apparato giustificativo,   e difetto di  motivazione in  relazione alla quantificazione della somma a titolo di equa riparazione.

 2.1. Con il primo motivo lamenta inosservanza degli artt. 314-315 cod. proc. pen. e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in merito alla quantificazione, che si stima errata, dell'indennizzo per ingiusta detenzione.

 Riassunte le vicende relative alla richiesta di estradizione di *** e il contenuto della richiesta di riparazione per ingiusta detenzione, si censura il quantum liquidato, non avendo i giudici di merito tenuto conto di due circostanze, pur rappresentate nella richiesta di riparazione per ingiusta detenzione e nella successiva memoria del 9 ottobre 2020 (con allegata sentenza del Tribunale amministrativo di Hannover), costituenti, ad avviso del ricorrente, fattori individualizzanti dei pregiudizi patiti dall'istante, e cioè:

1) l'essere stato in il dr. ***, che è rifugiato politico (status riconosciuto dalla Germania), perseguitato, imprigionato, picchiato e torturato dalla polizia turca, prima di riuscire ad espatriare, donde il vero e proprio terrore del richiedente, durante i diciotto giorni di detenzione, di essere ri-consegnato ai propri aguzzini;

 2) l'essere stato, inoltre, ristretto in regime di "alta sicurezza 2", che comporta un regime detentivo più rigido di quello ordinario, come sottolineato nelle circolari del Ministero della Giustizia che si richiamano; in conseguenze, la detenzione patita dal ricorrente sarebbe per più ragioni differente e più afflittiva di una detenzione, per così dire, "ordinaria".

 Ciononostante la Corte adita (alla penultima pagina) fa riferimento al comune calcolo aritmetico (235,00 euro per ogni giorno dei dieci trascorsi in carcere e 117,91 euro per ognuno degli otto giorni agli arresti domiciliari) ritenendo non provato alcun danno ulteriore.

 2.2. Con l'ulteriore motivo il ricorrente censura violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e, nel contempo, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in merito alla compensazione integrale delle spese tra le parti, giustificato (si legge alla penultima pagina del provvedimento impugnato) dalla soccombenza reciproca parziale.

 La statuizione sarebbe illegittima poiché, in base all'art. 91 cod. proc. civ., come interpretato dai precedenti di legittimità che si richiamano, la regolamentazione delle spese sarebbe dovuta andare a carico del Ministero soccombente: infatti, «la domanda che ha introdotto il procedimento de quo

testualmente recitava nelle conclusioni: "...la liquidazione di un indennizzo pari a C 20.000,00 o la somma maggiore o minore che la Corte determinerà in via equitativa per i motivi, tutti, di cui in narrativa".

 La domanda quindi comprendeva le somme minori o maggiori eventualmente determinate in via equitativa, come poi è accaduto. Nessuna soccombenza, quindi, anche se la difesa aveva enucleato una somma che pareva rispondere ai motivi esplicitati.

 Ebbene, nel caso di specie, non vi sono dubbi che la parte vittoriosa sia il signor ** , in quanto egli si è visto corrispondere un indennizzo per l'ingiusta detenzione patita, seppure in misura minore rispetto a quanto oggetto della domanda» (così alla p. 17 del ricorso); mentre il Ministero ha chiesto – si sottolinea - il rigetto o, in subordine, la liquidazione della somma pari a 1.650,74 euro, tenuto conto della colpa del soggetto agente, senza nessun riferimento alla somma, maggiore o minore, ritenuta equitativa, sicché nessuna tra le richieste del Ministero è stata accolta.

 E, ove si dovesse ritenere il ricorrente solo parzialmente vittorioso, non si è fatta applicazione della compensazione parziale, ma di quella totale.

 3. Il P.G. della S.C. nella requisitoria del 2 luglio 2021 ha chiesto l'annullamento con rinvio per nuovo esame, limitatamente alle spese di giudizio.

 CONSIDERATO IN DIRITTO

 1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento, per le seguenti ragioni.

 2. E' preliminarmente necessario richiamare alcuni tra i principi informatori della disciplina dell'istituto ex art. 314 cod. proc. pen., come enucleati dalla Corte di legittimità.

2.1.Mentre in sede di legittimità è consentito - e, anzi, doveroso, ricorrendone le condizioni - il controllo sulla logicità della motivazione (art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.), non è, invece, sindacabile la sufficienza o la insufficienza, in sé, della somma liquidata a titolo di equa riparazione, ove la liquidazione risulti soretta da motivazione adeguata, in particolare non discostandosi dai criteri di calcolo usualmente seguiti e non essendo meramente simbolica o irrisoria (v., tra le numerose, Sez. 4, n. 24225 del 04/03/2015, Pappalardi, Rv. 263721; Sez. 4, n. 10690 del 25/02/2010, Camnnarano, Rv. 246424; Sez. 4, n. 26388 del 18/04/2007, Leonello, Rv.236941).

 Secondo consolidato insegnamento giurisprudenziale (Sez. U, n. 24287 del 09/05/2001, Min. Tesoro e Caridi, Rv. 218975; conformi le Sezioni semplici successive), occorre contemperare il parametro aritmetico di riferimento (costituito dal rapporto tra il tetto massimo di 516.456,90 euro, indennizzabile ex art. 315, comma 2, cod. proc. pen., come risultante a seguito dell'intervento dell'art. 15, comma 1, lett. b, della legge 16 dicembre 1999, n. 479, ed il termine massimo di custodia cautelare di sei anni, ossia 2.190 giorni, di cui all'art. 303, comma 4, cod. proc. pen., moltiplicato per il numero dei giorni di ingiusta restrizione subita) con il potere di valutazione equitativa attribuito al giudice nel caso concreto.

 Si è - condivisibilnnente - puntualizzato che la liquidazione dell'indennizzo per la riparazione dell'ingiusta detenzione è svincolata da paramentri puramente aritmetici o comunque da criteri rigidi, dovendosi basare su una valutazione equitatativa che tenga conto globalmente non solo della durata della custodia cautelare ma anche, e non marginalmente, delle conseguenze, personali e familiari, scaturite dalla privazione della libertà (v., ex plurimis, Sez. 4, n. 40906 del 06/10/2009, Mazzarotto, Rv. 245369; Sez. 4, n. 23119 del 13/05/2008, Zaccagni, Rv. 240302; Sez. 4, n. 30317 del 21/06/2005, Bruzzano, Rv. 232025).

 In conseguenza, il parametro aritmetico, individuato secondo i criteri suindicati, pari a 235,82 euro per ogni giorno di detenzione in carcere (derivante da euro 516.456,90 diviso 2.190 giorni) e a 120,00 euro circa per ogni giorno di arresti domiciliari, è da cosiderare quale dato di partenza, utile per garantire un trattamento tendenzialmente uniforme, derogabile, tuttavia, sia in senso ampliativo (non oltre, però, il massimo ex art. 315, comma 2, cod.  proc. pen.) sia in senso restrittivo, per rendere la decisione più equa possibile e rispondente alla varietà delle situazioni che possono presentarsi (Sez. 4, n. 18361 del 11/01/2019, Piccolo, Rv. 276259; Sez. 3, n. 29965 del 01/04/2014, Chaaij, Rv. 259940; Sez. 4, n. 3912 del 05/12/2013, dep. 2014, D'Adamo, Rv. 258833; Sez. 4, n. 34857 del 17/06/2011, Giordano, Rv. 251429). La giustificazione della riduzione alla metà della somma dovuta a titolo di riparazione per ingiusta detenzione subita nella forma degli arresti domiciliari (Sez. 4, n. 34664 del 10/06/2010, Varchetta, Rv. 248078) si fonda sul carattere meno afflittivo della seconda misura (Sez. 4, n. 17664 del 22/04/2010, Abate, Rv. 247099; Sez. 4, n. 4311 del 15/01/2002, dep. 2003, Min. Tesoro e Saccani, Rv. 223647).

 2.2. Ciò posto, il giudice di merito deve fornire congrua e logica motivazione della propria decisione, affinché l'equità non trasmodi in arbitrio: infatti, «In tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, il giudice, nel far ricorso alla liquidazione equitativa, deve sintetizzare i fattori di analisi presi in esame ed esprimere la valutazione fattane ai fini della decisione, non potendo il giudizio di equità risolversi nel "merum arbitrium", ma dovendo invece essere sorretto da una giustificazione adeguata e logicamente congrua, così assoggettandosi alla possibilità del controllo da parte dei destinatari e dei consociati» (così Sez. 4, n. 21077 del 01/04/2014, Silletti, Rv. 259236; Sez. 4, n. 2826 del 14/10/1998, dep. 1999, Min Tesoro in proc. Bosco, Rv. 212303; Sez. 4, n. 1744 del 03/06/1998, Laci, Rv. 211646).

Infatti, secondo il tradizionale insegnamento della Corte di legittimità, «In tema di riparazione per ingiusta detenzione, in particolare, di individuazione dei criteri da seguire nella determinazione dell'equo indennizzo, questa Corte ne ha costantemente individuato il carattere indennitario e non risarcitorio, ed ha affermato che la liquidazione dello stesso si deve basare su una valutazione equitativa che tenga globalmente conto sia della durata della custodia cautelare sia, e non marginalmente, delle conseguenze personali e familiari scaturite dalla privazione della libertà. Con riferimento alla durata della carcerazione, il criterio di riferimento per il calcolo dell'indennizzo è stato individuato in quello aritmetico, che tiene conto della durata della carcerazione ed è costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell'indennizzo di cui all'art. 315, comma secondo, cod. proc. pen. e il termine massimo della custodia cautelare di cui all'art. 303, comma quarto, lett. c), espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch'esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita.

 Calcolo grazie al quale si perviene alla individuazione della somma liquidabile di circa 235,00 euro per ogni giorno di detenzione in carcere, comprensiva di tutte le negative conseguenze generalmente derivanti dalla carcerazione, ridotta alla metà nel caso di arresti domiciliari in vista della loro minore afflittività rispetto alla detenzione in carcere.

 Detto criterio, che risponde all'esigenza di garantire, nei diversi contesti territoriali, un trattamento tendenzialmente uniforme, non esime, tuttavia, il giudice dall'obbligo di valutare le specificità, positive o negative, di ciascun caso e, quindi, dall'integrare opportunamente tale criterio, innalzando ovvero riducendo il risultato del calcolo aritmetico per rendere la decisione il più equa possibile e rispondente alle diverse situazioni sottoposte al suo esame.

La Corte di legittimità ha ulteriormente chiarito "che il giudice è assolutamente libero anche di andare al di là del parametro aritmetico allorchè le conseguenze personali e familiari si rivelino tali -nonostante la modesta durata della privazione della libertà- da meritare un indennizzo senza confini, se non il confine del tetto massimo disponibile", ed ancora che "i parametri aritmetici individuano soltanto di norma o, se si vuole, soltanto tendenzialmente il massimo indennizzo liquidabile relativamente a tutte le conseguenze personali e familiari patibili per ogni giorno di ingiusta detenzione, libero essendo il giudice di discostarsene, sia in meno sia in più, e non solo marginalmente, ... dando, però, di quel discostarsi ... congrua motivazione (Cass. 8.7.05 sez. IV)» (così, ex plurimis, Sez. 4, n. 34652 del 03/06/2010, Riso, Rv. 248072, in motivazione, pag. 3).

 3.Tutto ciò premesso, il provvedimento impugnato non resiste alle censure del ricorrente. La scelta di attribuire il valore "medio" dell'indennizzo per ciascun giorno di privazione della libertà è giustificata dai giudici di merito (penultima pagina) sotto due profili: «non è stata provata alcuna voce di danno personale (depressione, trattamenti sanitari, cure farmacologiche etcc.), familiare, professionale. Dopo il 5/10/2019 il ricorrente ha fatto ritorno in Germania, dove esercita attività di psicoretrapeuta L.] il fatto che nel periodo di detenzione in carcere sia stato sottoposto a regime di "alta sicurezza 2" perché accusato di terrorismo, non ha in concreto portato a specifici pregiudizi (non è stato trasferito in carcere di massima sicurezza, è stato garantito pieno esercizio del diritto di difesa con colloqui, contatti con la compagna, con l'autorità consolare in Germania, che in data 29/6 è intervenuta presso il Ministero della Giustizia sollecitandone le determinazioni di competenza, che sono stata fomalizzate), dopodichè è stato posto agli arresti domiciliari e ha potuto contare su tutta una rete di amicizie per avere domicilio ed assistenza (v. anche intervento presso il Presidente della commissione europea dott. Junker in data 3/10/2019)».

 3.1.Tale ragionamento nemmeno prende in considerazione, in ipotesi anche solo per escluderlo, il dedotto terrore del ricorrente di essere riconsegnato alla polizia dello stesso Stato ove era stato in passato torturato (argomento contenuto alla p. 3 della memoria del 9 ottobre 2020, con allegata sentenza del 12 ottobre 1998 del Tribuanle di Hannover), sicchè si registra al riguardo vistosa omissione di pronunzia.

 3.2.Non illogico né incongruo, invece, l'ulteriore profilo, essendo sul punto la decisione dei giudici di merito in linea con il precedente, cui occorre dare continuità, di Sez. 3, n. 13603 del 13/02/2008, Cutrì, Rv. 239684 (alla cui motivazione "in diritto" si rinvia, p. 4), secondo cui «In materia di riparazione per ingiusta detenzione, la custodia carceraria sofferta in base all'art. 41 bis 0.P., non differenziandosi in maniera sostanziale, quanto alla limitazione della libertà personale, dalla custodia carceraria normale, non è circostanza di per sé idonea a consentire di derogare al mero criterio aritmetico di liquidazione».

 4. Anche la decisione sulla compensazione integrale delle spese va cassata, per le seguenti ragioni.

 4.1. La Corte di merito giustifica così tale decisione: «in ragione della reciproca parziale soccobenza, le spese del giudizio sono interamente compensate tra le parti (poiché il regime delle spese segue il criterio della soccombenza rapportato all'esito globale del processo» (alla penultima pagina) richiamando il precedente di Sez. 3, n. 20904 del 11/01/2017, Min. Econ. e Finanze ed altro, Rv. 270195. La massima ufficiale tratta dalla sentenza citata è la seguente: «In tema di spese processuali nell'ambito di un procedimento per la riparazione per l'ingiusta detenzione, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all'esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato. (In applicazione del predetto principio la S.C. in motivazione ha specificato che il giudice non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio ma, in relazione all'esito finale della lite, può legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale)».

 

Si tratta di richiamo non pertinente, non avendo nel caso di specie la Corte di appello di Bolzano deciso in sede di rinvio né ponendosi un problema di soccombenza rispetto all'esito globale piuttosto che a diversi gradi. Nella motivazione dell'invocato precedente, al punto n. 3 del "considerato in diritto", p. 8, si spiega, appunto, che il giudice non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio ma che, in relazione all'esito finale della lite, può legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, limitandosi a dare per presupposta la nozione di soccombenza parziale.

 

Appare opportuna al riguardo qualche puntualizzazione.

 

La piana nozione di soccombenza parziale, che si ricava dal testo dell'art. 92 cod. proc. civ., sottende una pluralità di pretese contrapposte, rigettate dal giudice a svantaggio delle parti tra loro contrapposte. Al riguardo la giurisprudenza civile della S.C. ha precisato da tempo che «Il concetto di soccombenza reciproca, che consente la compensazione tra le parti delle spese processuali (art. 92, secondo comma, cod. proc. civ.), sottende una pluralità di pretese contrapposte, rigettate dal giudice a svantaggio di entrambi gli istanti, mentre la resistenza del convenuto alla pretesa attorea perché eccessiva o comunque solo in parte fondata, anche quando trova successo nella statuizione del giudice che accolga solo in parte la domanda, non per questo si trasforma in pretesa (riconvenzionale) rispetto alla quale sia ravvisabile nell'attore una posizione di reciproca soccombenza» (Sez. 1 civ., n. 12629 del 26/05/2006, Imp. Geom. Generoso Coraggio vs. Prov. Isernia, Rv. 590079). E, attraverso approfondimenti successivi, si è precisato, prima, che «Nel caso di accoglimento parziale di una domanda di condanna al pagamento di una somma di denaro, ossia di accoglimento per un importo inferiore al richiesto, ben può parlarsi di soccombenza reciproca e, perciò, ben possono compensarsi le spese di lite» (Sez. 1 civ., n. 1906 del 26/05/1976, Avi vs. Parolari, Rv. 380701) e, poi, che «La nozione di soccombenza reciproca, che consente la compensazione parziale o totale tra le parti delle spese processuali (art. 92, secondo Gomma, cod. proc. civ.), sottende - anche in relazione al principio di causalità - una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate e che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti ovvero anche l'accoglimento parziale dell'unica domanda proposta, allorchè essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri ovvero quando la parzialità dell'accoglimento sia meramente quantitativa e riguardi una domanda articolata in un unico capo» (Sez. 3 civ., ord. n. 22382 del 21/10/2009, Romani R. vs. Romani N., Rv. 610563; esattamente in termini, Sez. 6 - 2, ord. n. 21684 del 23/09/2013, Min Interno Prefettura Lodi vs. Di natale, Rv. 627822, e, più recentemente, Sez. 1, ord. n. 10113 del 24/04/2018„ M. vs. C., Rv. 648893; sostanzialmente in termini, Sez. 3, ord. n. 20888 del 22/08/2018, C. vs. F., Rv. 650435).

Ciò vale, però, nel caso in cui sia in capo alle parti la determinazione del petitum, ove cioè la domanda abbia ad oggetto la condanna al pagamento di una somma determinata di denaro ovvero ad un tacere, ma non può valere, come si è opportunamente evidenziato, allorchè, come nelle richieste di somme a titolo di indennizzo, non sia possibile, in realtà, predeterminare in anticipo l'ammontare del danno e la parte che agisce solleciti l'esercizio di un potere ufficioso di liquidazione.

 

Infatti le Sezioni civili della Corte di cassazione, nella materia (peraltro affine a quella in esame) disciplinata dalla legge 24 marzo 2001, n. 89, recante la "Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile", hanno, anche di recente, puntualizzato quanto segue: «Nel procedimento di equa riparazione disciplinato dalla I. n. 89 del 2001, la liquidazione dell'indennizzo in misura inferiore a quella richiesta dalla parte non integra un'ipotesi di accoglimento parziale della domanda, legittimante la compensazione delle spese ex art. 92, comma 2, c.p.c., poiché, in assenza di strumenti di predeterminazione anticipata del danno e del suo ammontare, spetta al giudice individuare in maniera autonoma l'indennizzo dovuto, secondo criteri che sfuggono alla previsione della parte, la quale, nel precisare l'ammontare della somma richiesta a titolo di danno non patrimoniale, non completa il "petitum" della domanda sotto il profilo quantitativo, ma sollecita semplicemente l'esercizio di un potere ufficioso di liquidazione» (Sez. 6 - 2, ord. n. 16326 del 30/07/2020, M. vs. M., Rv. 658746); «Nel procedimento d'equa riparazione disciplinato dalla I. 24 marzo 2001, n. 89, la liquidazione dell'indennizzo in misura inferiore a quella richiesta dalla parte, per l'applicazione, da parte del giudice, di un moltiplicatore annuo diverso da quello invocato dall'attore, non integra un'ipotesi di accoglimento parziale della domanda che legittima la compensazione delle spese, ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c., poiché, in assenza di strumenti di predeterminazione anticipata del danno e del suo ammontare, spetta al giudice individuare in maniera autonoma l'indennizzo dovuto, secondo criteri che sfuggono alla previsione della parte, la quale, nel precisare l'ammontare della somma richiesta a titolo di danno non patrimoniale, non completa il "petitum" della domanda sotto il profilo quantitativo, ma soltanto sollecita, a prescindere dalle espressioni utilizzate, l'esercizio di un potere ufficioso di liquidazione» (Sez. 6 - 2, sent. n. 14976 del 16/07/2015, Cersosimo vs. Ministero della Giustizia, Rv. 636087).

 

4.2. Ebbene, facendo applicazione nel caso di specie dei condivisibili, richiamati, principi processuali, corrette appaiono le puntuali osservazioni critiche svolte dal ricorrente.

 

Infatti la domanda era protesa ad ottenere «20.000,00 euro o la somma maggiore o minore che la Corte determinerà in via equitativa» in una materia, l'equa riparazione, in cui, come si è visto, in caso di accoglimento della richiesta, la discrezionalità giudiziale può comportare l'aumento o la diminuzione di valori che sono indicativi, nel rispetto solo di un tetto massimo e, ovviamente, del principio della domanda; la domanda è stata accolta, essendosi quantificata l'indennità nella misura di 3.301,48 euro; non può dirsi che sia - anche soltanto parzialmente vittorioso - il Ministero, la cui memoria di costituzione conclude per il rigetto per colpa grave dell'agente ovvero, in subordine, per la liquidazione di soli 1.650,54 euro (calcolo svolto dividendo per due la somma di 3.301,48) in ragione di una ritenuta colpa lieve dell'agente; ed è appena il caso di precisare che nessun tipo di colpa, segnalata dalla parte resistente, è stata ritenuta sussistente in capo a grado a **.

 5. Si impone, dunque, l'annullamento dell'ordinanza impugnata per nuovo, attento, esame in ordine ai temi del quantum debeatur e delle spese. I giudici di merito, in particolare, avuta a base, in linea di principio, la somma di euro 235,82 per ogni giorno di custodia in carcere e di euro 117,91 per ogni giorno di arresti al domicilio (come puntualizzato dalla già richiamata pronunzia di Sez. U, n. 24287 del 09/05/2001, Ministero del Tesoro e Caridi), attribuiranno al richiedente quanto risulti corretto in diritto e conforme a giustizia, eventualmente discostandosi dagli indicati valori, svolgendo al riguardo un ragionamento che tenga conto delle allegazioni della parte ricorrente e che sia assistito da motivazione chiara, logica e congrua (cfr. punti nn. 2.1. e 2.2. del "considerato in diritto"); decideranno inoltre sulle spese secondo i principi richiamati (cfr. punto n. 4.1. del "considerato in diritto").

 P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d'appello di Trento.

 Così deciso il 28/09/2021.   Il Con  re estensore  Il Presidente   D  Cenci  Francesco  C