Il ricorso che sia portatore, anche per un errato utilizzo di risorse informatiche nella compilazione dell'atto, di un eccesso di informazioni, al pari di quello che ne sia privo, nella incapacità di esprimere una critica concludente, si rivela inammissibile per genericità.
Il reato di oltraggio in udienza è integrato anche anche laddove l'espressione calunniosa sia contenuta in scritti difensivi, in quanto atti destinati all'attenzione del giudicante e delle altre parti processuali, nella previa definizione della nozione stessa di udienza quale seduta in cui si svolge l'attività giudiziaria del magistrato.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
(ud. 09/11/2017) 21-12-2017, n. 57224
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARCANO Domenico - Presidente -
Dott. GIANESINI Maurizio - Consigliere -
Dott. TRONCI Andrea - Consigliere -
Dott. SCALIA Laura - rel. Consigliere -
Dott. CORBO Antonio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
L.E., nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 02/10/2015 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa SCALIA LAURA;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. PRATOLA GIANLUIGI. Il Proc. Gen. conclude per l'inammissibilità del ricorso.
Udito il difensore: l'avvocato ML in difesa di L.E. si riporta ai motivi ed eccepisce intervenuta prescrizione.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 2 ottobre 2015, la Corte di appello di Bologna ha confermato quella resa, all'esito di giudizio ordinario, dal locale Tribunale che aveva condannato l'imputato, L.E., per i reati di calunnia aggravata ed oltraggio a magistrato in udienza (artt. 368 e 343 cod. pen.), commessi in danno di un Giudice onorario del Tribunale di Pordenone, C.D., nel corso del giudizio in cui il prevenuto veniva giudicato per il reato di diffamazione aggravata a mezzo stampa.
Hanno ricevuto conferma le statuizioni civili di condanna dell'imputato.
2. Ricorre per cassazione, in proprio, L.E. che articola sedici motivi di ricorso che vengono riportati nei termini che seguono, nell'osservanza del disposto di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2.1. Per i primi cinque motivi di ricorso, l'imputato fa valere violazioni d'indole processuale e vizi di motivazione denunciando: la nullità dell'impugnata sentenza perchè la disposta notifica in rinnovazione dell'avviso dell'udienza in appello era stata effettuata per compiuta giacenza e non nelle mani dell'imputato; la violazione del diritto di difesa per il diniego frapposto dalla Corte di merito alla produzione di documenti allegati a memoria difensiva e per omessa concessione di termine a difesa all'udienza del 21 luglio 2011 all'avvocato Cisilino, nominato in primo grado, con conseguente nullità della sentenza emessa dal Tribunale e, ancora, per omessa motivazione sul punto; nullità della sentenza di primo grado per rigetto dell'istanza di rinvio motivata da concessione di un termine a difesa dell'avvocato Bianco, per l'udienza del 13 maggio 2013.
2.2. Con il sesto motivo si denuncia l'illegittimità dell'impugnata sentenza per avere i giudici di appello ritenuto integrato il delitto di calunnia nei contenuti di un atto difensivo redatto dall'imputato nel procedimento per rimessione del processo introdotto, ai sensi dell'art. 45 cod. proc. pen., avverso il giudice C..
2.3. Con il settimo e l'ottavo motivo si deduce la contraddittorietà logica espressa dalla Corte di appello e dal Tribunale nell'assunta decisione con cui, da una parte avevano assolto l'imputato dai fatti correlati all'accusa rivolta al magistrato di aver portato presso il proprio domicilio il fascicolo d'ufficio per redigere la sentenza, apprezzando che non costituisse reato una siffatta condotta, e dall'altra avevano invece ritenuto integrato il reato di calunnia nella denuncia sporta dall'imputato circa l'accompagnamento coattivo disposto dal giudice C. dei testimoni sentiti nel processo per diffamazione, celebrato ai danni del L..
Anche siffatta condotta non sarebbe stata infatti integrativa di reato e come tale non avrebbe potuto, a sua volta, sostenere l'accusa di calunnia.
2.4. Con il nono, il decimo ed undicesimo motivo si deduce che la Corte di appello avrebbe, incorrendo in vizio di motivazione, rigettato le deduzioni difensive sulla inutilizzabilità, per non esserne provata l'esistenza agli atti e, comunque, la loro riferibilità all'imputato, di due memorie difensive, dall'apprezzato contenuto calunniatorio, avendo il L. finanche disconosciuto la paternità delle prime.
2.5. Con i motivi tredicesimo e quattordicesimo si fa valere la violazione di legge nell'apprezzamento operato dalla Corte di appello di Bologna sulla integrazione del reato di oltraggio a magistrato in udienza (art. 343 cod. pen.) per i contenuti di memorie formate dall'imputato per l'udienza. Si sarebbe trattato infatti di mere comunicazioni scritte, come tali mancanti di una immediata percepibilità da parte di quanti erano presenti in aula, e comunque prodotte in assenza dell'imputato.
Le dichiarazioni contenute negli atti sarebbero state scriminate dall'esercizio del diritto di critica o comunque avrebbero meritato il riconoscimento delle attenuanti; inoltre nell'impugnata sentenza non sarebbero state indicate le frasi ritenute oltraggiose.
2.6. Con il quindicesimo motivo si denuncia per arbitrarietà, illogicità e violazione di legge il diniego delle attenuanti generiche, giudizio per il quale la Corte di appello non avrebbe stimato la posizione dell'imputato, lavoratore e persona per bene, nell'incoerenza, inoltre, dell'esplicitato giudizio di prognosi in difetto di contestazione sulla recidiva.
2.7. Con il sedicesimo motivo si deduce l'intervenuta prescrizione dei reati in epoca antecedente alla pronuncia della sentenza di appello, non valendo in contrario segno la sospensione dei termini ritenuta dalla Corte territoriale, vicenda che non avrebbe comunque consentito di superare, all'epoca dell'adottata decisione, il termine finale di prescrizione.
L'imputato conclude quindi in via preliminare per la declaratoria di prescrizione ed in subordine per l'annullamento dell'impugnata sentenza ai fini civilistici con conseguente revoca del concesso risarcimento del danno o con sua "rimodulazione" in melius.
3. Il 14 aprile 2017 la costituita parte civile, C.D., a mezzo di difensore di fiducia, ha presentato memoria, argomentando nel senso del rigetto dei motivi di ricorso articolati dal prevenuto.
4. Il 2 maggio 2017 è pervenuta memoria dell'imputato in cui si è ancora dedotta, tra altro e per quanto di rilievo, l'intervenuta prescrizione dei reati ascritti.
5. E' stata depositata per l'odierna udienza di discussione ulteriore memoria difensiva a firma dell'imputato in cui, reiterata la deduzione sulla maturata prescrizione dei reati, si è insistito per l'annullamento dell'impugnata sentenza agli effetti civili.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile per tutti gli articolati motivi per le ragioni di seguito indicate.
2. E' preliminare ad ogni altra, la valutazione delle modalità di redazione del ricorso che si apprezzano tali da compromettere, del primo, la stessa comprensione.
Articolato in settantatrè pagine e sedici motivi, il ricorso si segnala infatti:
a) nelle forme, per la tecnica grafico-espositiva adottata, in cui si registra l'avvicendarsi di font o caratteri, diversi anche nella dimensione, cornici o riquadri di definizione, trasposizioni di contenuti di documenti, frasi estrapolate da testi della tradizione filosofico-letteraria sviluppatasi a commento delle sacre scritture, paragrafi e sottoparagrafi all'interno dei quali si inseriscono ulteriori partizioni;
b) nei contenuti, per l'utilizzo di un argomentare retorico, articolato per domande a risposta predefinita ed in cui si affastellano capillari critiche ed argomentazioni di sostegno incontinenti ed eccentriche, in un quadro complessivamente diretto a rendere il percorso impugnatorio niente affatto lineare e comprensibile.
2.1. Per i riportati termini di forma e contenuto, il ricorso manca quindi di dare soddisfazione alla ineludibile esigenza di un ordinato inquadramento delle ragioni di censura, nel rispetto dei contenuti di cui all'art. 606 cod. proc. pen., nella certa incompatibilità tra il rispetto della griglia segnata dall'indicata previsione normativa ed una illustrazione, ridondante e caotica, che introduca nel processo una mole di informazioni, fittamente interpolate da giudizi, destinate a rendere il controllo di legittimità di ardua realizzazione (in termini, su analoghi contenuti di ricorso, le valutazioni di preliminare inammissibilità di cui a Sez. 5, n. 32143 del 03/04/2013, Querci, massimata su altro, in motivazione, p. 10, riprese da Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014, dep. 2015, Di Vincenzo, massimata su altro, p. 7 e, ancora, da Sez. 6, n. 19001 del 5/04/2016, Froncillo, p. 29).
2.2. In siffatta valutazione si inserisce il "Protocollo d'intesa tra Corte di Cassazione e Consiglio Nazionale Forense sulle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia penale", sottoscritto il 17 dicembre 2015, quale concorrente strumento, nei suoi contenuti ispirati al rispetto dei canoni di chiarezza e concisione, ad una valutazione in termini di inammissibilità del motivo di ricorso e tanto a conforto di una previsione primaria, da individuarsi nel nostro sistema nell'art. 606 c.p.p., comma 1, in difetto di attribuzioni di potestà regolamentari condivise invece dalle Corti europee (Regolamento della Corte E.D.U. del 4 novembre 1998, come successivamente modificato dalla Corte; Regolamento di procedura del Tribunale dell'Unione europea, del 4 marzo 2015) e dagli organi della giurisdizione amministrativa nazionale (Decreto Presidente del Consiglio di Stato, in relazione alle previsioni di cui all'art. 3 del Codice del processo amministrativo D.Lgs. n. 104 del 2010).
2.3. Il ricorso che sia portatore, anche per un errato utilizzo di risorse informatiche nella compilazione dell'atto, di un eccesso di informazioni, al pari di quello che ne sia privo, nella incapacità di esprimere una critica concludente, si rivela inammissibile per genericità (in siffatti termini, sul ricorso prolisso: Sez. 6, n. 10539 del 10/02/2017 Lorusso, Rv. 269379).
3. All'indicata preliminare valutazione - in adesione a quanto risulta essere, in ragione dei citati precedenti, un persuasivo orientamento di legittimità -, al fine di non venir meno ai compiti propri di questa Corte, deve comunque seguire l'esame degli articolati motivi per una valutazione di inammissibilità, a cui non resta estraneo lo scrutinio dei contenuti dei primi.
4. Pacifica l'inammissibilità di quei motivi di ricorso che, propositivi di mere alternative letture del fatto e portatori di diretta critica all'apprezzamento delle prove operato dai giudici di merito, risultino incapaci di condurre ad una valutazione dei vizi, rilevanti in sede di legittimità, destinati ad inficiare il discorso giustificativo sulla capacità dimostrativa delle prime, si rileva quanto segue.
5. La deduzione di parziale prescrizione del reato di calunnia limitatamente ai contenuti della memoria del 20 febbraio 2007 a far data dall'adozione della sentenza di appello e quella di sopravvenuta prescrizione di ogni altro reato in epoca successiva alla sentenza impugnata sono inammissibili, perchè manifestamente infondata, la prima, ed irrilevante, la secondo per l'apprezzata inammissibilità del ricorso.
La Corte di merito ha escluso la parziale prescrizione del reato previo analitico scrutinio del periodo di sospensione ad integrazione del quale ha correttamente computato i rinvii concessi in accoglimento di istanze difensive.
E' comunque manifestamente infondata la deduzione difensiva che vorrebbe la sospensione dei termini di prescrizione incapace di travalicare il termine massimo di prescrizione.
Ove intervenga infatti sospensione si apre una parentesi al decorso della prescrizione del reato destinato a riprendere dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione (art. 159 c.p., comma 3).
Ove vi sia invece interruzione della prescrizione per atti di esercizio dell'azione penale o di giurisdizione in genere, fattispecie per la quale il termine si interrompe per poi riprendere nuovamente a decorrere, il termine di prescrizione non può essere prolungato oltre il massimo fissato dalla legge (art. 160 c.p., comma 3).
6. Nel resto, sono inammissibili i motivi processuali con cui si denuncia l'illegittimità la sentenza di appello in quanto violativa, per le soluzioni adottate dalla Corte di appello o condivise con il giudice di primo grado, dell'esercizio del diritto di difesa.
Tanto è destinato a valere per le dedotte nullità da mancato rinnovo della notifica dell'avviso dell'udienza e da mancata concessione da parte del giudice di primo grado dei termini a difesa. Si tratta invero di questioni nell'apprezzamento delle quali la Corte di merito ha fatto corretta applicazione delle previsioni di legge per argomenti che non si segnalano per manifesta illogicità.
Tanto sia per il ritenuto perfezionamento della notifica del decreto di citazione in appello a mezzo del servizio postale, nelle forme della compiuta giacenza, sia per l'operato debito bilanciamento tra la facoltà di nomina del difensore in ogni momento del processo e le esigenze di ragionevole durata, al fine di escludere la configurabilità del diritto del difensore di fiducia ad ottenere rinvio per tardività della nomina, sia ancora per l'apprezzata necessità della documentazione del carattere assoluto dell'impedimento del nuovo difensore di fiducia, nella pure ritenuta tutela del diritto di difesa in ragione dell'intervenuta nomina di un difensore d'ufficio ex art. 97 c.p.p., comma 4, in ogni ipotesi di impedimento del fiduciario.
6. Medesime conclusioni di manifesta infondatezza o comunque di inammissibilità, trattandosi di reiterazione di critica debitamente vagliata dai giudici di merito, debbono valere quanto alle contestazioni portate alle scelte interpretative della Corte di appello sull'integrazione del reato di oltraggio a magistrato in udienza e di calunnia, fattispecie correttamente e congruamente definite nella impugnata sentenza, per i loro termini oggettivi e soggettivi.
Resta in tal modo ferma la ritenuta consapevolezza in capo all'agente di una condotta oltraggiosa posta in essere in udienza anche là dove l'espressione calunniosa sia contenuta in scritti difensivi, in quanto atti destinati all'attenzione del giudicante e delle altre parti processuali, nella previa definizione della nozione stessa di udienza quale seduta in cui si svolge l'attività giudiziaria del magistrato (arg. ex Sez. 6, n. 17314 del 03/02/2003, Giubbini, Rv. 225432).
Ogni contraddittorietà della motivazione nel rapporto tra pronunciata assoluzione per uno dei fatti di calunnia ed intervenuta condanna per altro episodio (con cui si attribuiva al giudice C. di aver disposto l'accompagnamento coattivo dei testi per un perseguito intento intimidatorio degli stessi) rimane in modo inconcludente prospettata in ricorso a fronte di argomenti, pieni, che delle prime danno congruo riscontro per una efficace definizione del contesto in cui la condotta calunniosa avrebbe trovato espressione, con conseguente stimata integrazione degli estremi della intenzionale violazione e della volontà di arrecare un danno ingiusto, in capo all'agente.
Nè il ricorso riesce ad infirmare la tenuta logica dell'impugnata sentenza in punto di ritenuta riferibilità al prevenuto delle memorie del 9 e 20 luglio 2007, in quanto stimate, con argomento logico che non si espone a scrutinio in questa sede, espressive di quelle vicende processuali in cui erano insorte le imputazioni, nella debita ritenuta irrilevanza del disconoscimento dall'imputato operato.
Le deduzioni sulla scriminabilità dell'oltraggio ex art. 343 cod. pen. per esercizio del diritto di critica, giusta estesa applicazione dell'art. 598 cod. pen., si traducono in inammissibili inconducenti critiche nella debitamente chiarita, in sentenza, insussistenza di un nesso funzionale tra affermazioni calunniose e confutazioni di accuse al prevenuto rivolte.
Il trattamento sanzionatorio applicato vede infine congruamente compendiati nella motivazione dei giudici di appello i principi affermati da questa Corte sulla insindacabilità in sede di legittimità del diniego delle attenuanti generiche (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826), per un giudizio di prognosi correttamente formulato e rispetto al quale il motivo di ricorso si rivela incapace di ammissibile critica.
7. All'inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00, che si stima equa in ragione delle questioni dedotte, in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 9 novembre 2017.
Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2017