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Ricorso in Cassazione via PEC inammissibile (Cass. 20296/20)

25 giugno 2020, Cassazione penale

Deposito del ricorso di legittimità via PEC non è ammessa, nemmeno a tenore della legislazione emanata per fronteggiare l'emergenza sanitaria in corso, in quanto l'art. 83, comma 11, D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, come convertito dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, prevede tale possibilità solo per i ricorsi civili.

Nel processo penale non è consentito alla parte privata l'uso della posta elettronica certificata per la trasmissione dei propri atti alle altre parti né per il deposito presso gli uffici, perché l'utilizzo di tale mezzo informatico - ai sensi dell'art. 16, comma 4, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.- è riservato alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal Pubblico ministero ex art. 151 cod. proc. peri. e per le notificazioni ai difensori disposte dall'autorità giudiziaria.

La previsione dell'art. 64 disp. att. cod. proc. pen., che consente il ricorso ai mezzi idonei di cui agli artt. 149 e 150 cod. proc. pen., tra i quali la PEC, riguarda unicamente la comunicazione degli atti del giudice e non la trasmissione di un atto di parte, quale l'impugnazione.

 

Cassazione penale

Sez. 1 sentenza Num. 20296 Anno 2020

Presidente: CASA FILIPPO
Relatore: LIUNI TERESA
Data Udienza: 25/06/2020
SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PF nato a CATANIA il **s

avverso l'ordinanza del 02/03/2020 del TRIB. LIBERTA' di CATANIA udita la relazione svolta 'dal Consigliere TERESA LIUNI;

lette le conclusioni del Procuratore generale LUCA TAMPIERI, il quale ha presentato requisitoria scritta, ai sensi dell'art. 83, comma 12-ter, D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, come convertito dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, ed ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 2/3/2020 il Tribunale del riesame di Catania - adito ai sensi dell'art. 309 cod. proc. pen. - ha confermato l'ordinanza impositiva degli arresti domiciliari nei confronti di FP, accusato dei reati di detenzione illecita di arma ex artt. 2 e 7 L. n. 895 del 1967 e ricettazione, accertati in Catania il 10/2/2020.

1.1. Il Tribunale del riesame ha confermato il quadro indizia.rio, derivante dal sequestro di un fucile automatico Beretta cal. 12 provento di furto denunciato il 2/2/2020 nell'abitazione del P, il quale non aveva reso alcuna giustificazione in ordine al possesso dell'arma, avvalendosi della facoltà di non rispondere.

1.2. Quanto alle esigenze cautelari, esse sono state individuate nel pericolo di recidivazione, desunto dalla negativa personalità dell'indagato, gravato da numerosi precedenti penali, soprattutto per reati contro il patrimonio.

Non è stato ritenuto elemento valutabile positivamente il danno biologico documentato in sede di udienza, poiché la relazione medica non rappresentava l'esistenza di una patologia in atto comportante la necessità di cure mediche, comunque agevolmente perseguibili in costanza di arresti domiciliari qualora necessarie al recupero fisico del P.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'indagato, avv. AA, indicando a motivo di impugnazione la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, ai sensi dell'art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen.

Censura il ricorrente che il Tribunale del riesame abbia omesso di considerare - nel vaglio relativo alle esigenze cautelari - le allegazioni difensive sul problematico stato di salute del Puglisi, affetto da grave invalidità per varie patologie ed errori medici nell'esecuzione di trattamenti sanitari, come emerge dalla relazione medica, già in atti. I giudici sul punto si sono limitati ad affermare che lo stato di salute dell'indagato potrebbe essere tutelato mediante autorizzazioni ad avvalersi delle cure necessarie, senza affrontare il nodo della incompatibilità del quadro clinico del Puglisi con l'attuale misura detentiva.

3. Il Procuratore generale, dott. Luca Tampieri ha presentato una requisitoria scritta, ai sensi dell'art. 83, comma 12-ter, D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, come convertito dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, ed ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso in esameè stato inviato a mezzo PEC in data 13/3/2020.
1.1. Deve rilevarsi che tale modalità di deposito del ricorso di legittimità non è ammessa, nemmeno a tenore della legislazione emanata per fronteggiare l'emergenza sanitaria in corso, in quanto l'art. 83, comma 11, D.L. n. 18 del 17 marzo 2020; come convertito dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, prevede tale possibilità solo per i ricorsi civili.

1.2. Invero, è stato affermato da questa Corte che nel processo penale non è consentito alla parte privata l'uso della posta elettronica certificata per la trasmissione dei propri atti' alle altre parti né per il deposito presso gli uffici, perché l'utilizzo di tale mezzo informatico - ai sensi dell'art. 16, comma 4, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.- è riservato alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal Pubblico ministero ex art. 151 cod. proc. peri. e per le notificazioni ai difensori disposte dall'autorità giudiziaria (Sez. 4, n. 21056 del 23/01/2018, D'Angelo, Rv. 272741; Sez. 6, n. 41283 del 11/09/2019, Di Nolfo, Rv. 277369). E' stato infatti chiarito che la previsione dell'art. 64 disp. att. cod. proc. pen., che consente il ricorso ai mezzi idonei di cui agli artt. 149 e 150 cod. proc. pen., tra i quali la PEC, riguarda unicamente la comunicazione degli atti del giudice e non la trasmissione di un atto di parte, quale l'impugnazione.

2. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della congrua somma indicata in dispositivo alla cassa delle ammende, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., non risultando l'assenza di profili di colpa nella determinazione della causa d'inammissibilità, a tenore della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.

Così deciso il giorno 25 giugno 2020