Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Respirare in epoca COVID è reato, se vicino ad agenti e senza mascherina (Cass. 24605/23)

7 giugno 2023, Cassazione penale

L'abbassamento del dispositivo di protezione nel periodo di massima emergenza pandemica, alitando nei confronti degli agenti a distanza molto ravvicinata, costituisce una situazione oggettiva di pericolo per l'incolumità stessa degli agenti con la conseguente opposizione di fatto al compimento di un atto di ufficio dei pubblici ufficiali che erano giunti sul posto per adempiere al loro compito: ai fini dell'integrazione del delitto di minaccia o di resistenza a pubblico ufficiale non è infatti necessaria una minaccia diretta o personale, essendo invece sufficiente l'uso di qualsiasi coazione, anche morale, ovvero una minaccia anche indiretta, purché sussista la idoneità a coartare la libertà di azione del pubblico ufficiale, sì che la pubblica funzione ne risulti impedita o ostacolata.

 

Cassazione penale

 sez VI, ud. 16 maggio 2023 (dep. 7 giugno 2023), n. 24605
Presidente Giordano – Relatore Giorgi  

Ritenuto in fatto

1. La Corte d'appello di Messina, in riforma della sentenza di primo grado che aveva dichiarato S.A. colpevole dei delitti di cui agli artt. 632 e 639-bis (capo 3), 633 e 639-bis (capo 4) e 337 c.p. (capo 5), nonché delle contravvenzioni di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (capo 1), artt. 44, comma 1, lett. b) e 93, 94, 95 D.P.R. cit. (capo 2), assolveva l'imputato dalla contravvenzione di cui al capo 2) perché il fatto non sussiste e rideterminava la pena in mesi nove di reclusione.

La Corte territoriale ricostruiva il fatto rappresentando che l'imputato aveva acquistato in data (omissis) un'azienda avente ad oggetto il commercio al dettaglio di fiori e piante, esercitata in un chiosco, costruito nel 1969 con regolari autorizzazioni. L'imputato aveva presentato in data (omissis) un progetto per la sua demolizione e ricostruzione corredato da una dichiarazione asseverata per il rilascio di nulla osta antisismico e una richiesta di autorizzazione all'occupazione di suolo pubblico, con contestuale istanza di rateizzazione delle somme da versare per la relativa indennità e le sanzioni pregresse. Nonostante non avesse ricevuto il rilascio del permesso di costruire, il nulla osta antisismico e il provvedimento di concessione di suolo pubblico, l'imputato aveva proceduto alla demolizione del manufatto acquistato che aveva una dimensione massima di 20 mq., realizzandone uno nuovo di circa 25 mq. avente una struttura in ferro e pannelli coibentanti, ancora in corso di ultimazione all'atto del controllo degli agenti.

La Corte riteneva pertanto provata la sussistenza dei reati di cui ai capi 1, 3 e 4 considerando che, alla luce delle caratteristiche dell'opera edilizia realizzata, l'imputato avesse agito con coscienza e volontà di realizzare il manufatto contestato in assenza del necessario permesso di costruire, immutando lo stato dei luoghi e occupando una porzione di suolo pubblico.

Quanto al reato di resistenza nei confronti di pubblico ufficiale, i giudici di appello osservavano che al momento del controllo S. si era rifiutato di sottoscrivere il verbale di accertamento e nomina del difensore di fiducia, abbassandosi la mascherina di protezione Covid-19, alitando a distanza di circa 40 cm. in direzione dell'ispettore V., sostenendo di avere un tumore nella zona orale. La Corte riteneva che tale comportamento, tenuto nel periodo di massima esplosione della pandemia, fosse qualificabile come indirettamente minatorio e volto ad ostacolare l'operato degli agenti - i quali erano stati costretti ad allontanarsi - e a richiedere l'esito di un tampone di controllo, così integrando il delitto contestato.

2. Il difensore di S. ha denunziato:

2.1. il vizio di motivazione con riguardo al reato di resistenza a pubblico ufficiale, dal momento che l'imputato, abbassandosi la mascherina, aveva contravvenuto a una regola di igiene straordinaria, senza prospettare alcuna possibile minaccia di contagio, dichiarando invece di voler rendere nota agli operanti la presenza di una neoformazione in zona orale. Non solo quindi era carente l'elemento soggettivo, ma neppure era dato riscontrare la reale offensività della condotta;

2.2. il vizio di motivazione con riguardo ai delitti contestati ai capi 3 e 4 della rubrica. La difformità delle misure della nuova costruzione rispetto a quelle del manufatto originario non consente di ritenere realizzati i reati in parola. L'immobile, pur occupando una significativa porzione di marciapiede, era stato realizzato dopo il terremoto del 1908 su suolo privato; successivamente espropriato per realizzare la strada pubblica e il marciapiede. Il chiosco non poteva quindi rispettare i margini oggi richiesti in quanto costruito antecedentemente alla stessa strada pubblica. Sarebbe quindi stato necessario accertare l'entità dello sconfinamento e i punti in cui la sagoma della nuova costruzione ricade sul suolo pubblico.

Considerato in diritto

1. I motivi di ricorso sono manifestamente infondati.

2. Con riguardo al primo motivo, con cui si sostiene il vizio di motivazione in ordine agli elementi costitutivi del reato di resistenza, la Corte territoriale ne ha rappresentato le ragioni della piena sussistenza, evidente essendo che l'imputato, pur servendosi di mezzi indiretti quali l'abbassamento del dispositivo di protezione nel periodo di massima emergenza pandemica, alitando nei confronti degli agenti a distanza molto ravvicinata, ha scientemente posto in essere una situazione oggettiva di pericolo per l'incolumità stessa degli agenti con la conseguente opposizione di fatto al compimento di un atto di ufficio dei pubblici ufficiali che erano giunti sul posto per adempiere al loro compito. Il fatto che il ricorrente, pur accampando di voler loro mostrare una formazione tumorale alla bocca che gli provocava malori, non abbia operato alcuna, sia pur minima, condotta precauzionale (quale il mantenimento di una distanza utile), ben consapevole che il suo comportamento era idoneo a costituire concreta minaccia nei confronti degli agenti, tanto che l'ispettore V. si era successivamente recato presso un presidio sanitario per sottoporsi a tampone, vale ad integrare, in punto di diritto, gli elementi costitutivi del contestato delitto di resistenza. Una lettura, questa, dei fatti perfettamente coerente con il principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità per cui, ai fini dell'integrazione del delitto di minaccia o di resistenza a pubblico ufficiale, di cui agli artt. 336 e 337 c.p., non è necessaria una minaccia diretta o personale, essendo invece sufficiente l'uso di qualsiasi coazione, anche morale, ovvero una minaccia anche indiretta, purché sussista la idoneità a coartare la libertà di azione del pubblico ufficiale, sì che la pubblica funzione ne risulti impedita o ostacolata (Sez. 6, n. 2104 del 16/12/2021, dep. 2022, Alberto, Rv. 282666; Sez. 6, n. 49468 del 18/11/2015, Calamia, Rv. 266241; Sez. 6, n. 7482 del 03/12/2007, dep. 2008, Di Prima, Rv. 239014; Sez. 1, n. 5757 del 21/11/1986, dep. 1987, Carella, Rv. 175921).

3. Con riguardo al secondo motivo di ricorso, la Corte territoriale ha rappresentato che la ricostruzione fattuale della vicenda era stata operata sulle base dell'annotazione di servizio degli agenti di Polizia Municipale intervenuti sul posto in data (omissis). Era emerso che il chiosco in questione era un "intervento di nuova costruzione" con un'estensione di 25 mq. con conseguente necessità del permesso di costruire nel rispetto delle ordinarie regole urbanistiche ed edilizie. Resta incontroverso il fatto che la struttura fosse stata eretta senza il previo ottenimento di specifico permesso di costruire con occupazione permanente di suolo pubblico. Consequenziale è pertanto l'affermazione dei giudici del merito che, alla luce delle caratteristiche dell'opera edilizia, S. abbia agito con coscienza e volontà di realizzare il contestato manufatto in assenza del necessario permesso di costruire, così immutando lo stato dei luoghi e occupando una porzione di suolo pubblico.

Il ricorrente non si confronta con le puntuali argomentazioni della Corte da cui si evince che l'imputato aveva presentato in data (omissis) un progetto per la sua demolizione e ricostruzione corredato da una dichiarazione asseverata per il rilascio di nulla osta antisismico e una richiesta di autorizzazione all'occupazione di suolo pubblico e aveva poi proceduto alla demolizione della struttura precedente e alla costruzione della nuova pur senza avere ricevuto alcuno di tali permessi e/o autorizzazioni, così dimostrando la piena consapevolezza del suo agire contra legem. Si osserva infatti che, in tema di occupazione di suolo pubblico, la valutazione dello stato soggettivo dell'imputato, al fine dell'accertamento della sua buona fede, idonea a escludere la colpevolezza, deve tenere conto tanto dei fattori esterni che possono aver determinato nell'agente l'ignoranza della rilevanza penale del suo comportamento, quanto delle conoscenze e delle capacità del medesimo (Sez. 3, n. 8410 del 25/10/2017, dep. 2018, Venturi, Rv. 272572). La condotta tenuta dal ricorrente mostra la sua piena conoscenza dei necessari passaggi per poter effettuare la nuova costruzione e il suo consapevole superamento dei medesimi. A ciò si aggiunge la evidente la dimostrazione del quid pluris consistente nella finalizzazione specifica all'occupazione o nel conseguimento, in altro modo, di un profitto (Sez. 2, n. 29710 del 19/04/2017, Crudo, Rv. 270701).

4. Alla stregua delle suesposte considerazioni il ricorso va dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma ritenuta equa di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.