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Respinti senza poter richiedere asilo: risarciti e reintegrati (Tr. Roma 22917/19)

28 novembre 2019, Tribunale di Roma

Laddove le autorita di uno Stato intercettino in alto mare dei migranti sorga in capo alle stesse l'obbligo di esaminare la situazione personale di ciascuno e di non attuare il respingimento dei rifugiati verso un territorio in cui la loro vita o la loro liberta sarebbero minacciate e in cui essi rischierebbe la persecuzione, con la precisazione che la mancata richiesta di asilo non consente di ignorare che in taluni Paesi sia riscontrabile una situazione di sistematico mancato rispetto dei diritti umani.

Il diritto di asilo è diritto soggettivo perfetto, rientrante nel catalogo dei diritti umani e di derivazione non solo costituzionale ma anche convenzionale: la violazione del diritto a proporre domanda di asilo comporta il diritto al risarcimento del danno in capo al tutoalre del diritto, ma anche il diritto di accedere nel territorio italiano allo scopo di presentare domanda di riconoscimento della protezione internazionale ovvero di protezione speciale, secondo le forme che verranno individuate dalla competente autorita amministrativa. 

Tribunale di Roma

sezione I civile

sentenza n. 22917/2019

14 - 28 novembre 2019

 

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(..) fuggiti dal proprio Paese di origine, !'Eritrea, e di essere partiti, in data 27 giugno 2009, dalle coste libiche a bordo di un'imbarcazione, con l'obiettivo di arrivare in Italia e di vedere riconosciuto il proprio diritto alla protezione internazionale.

Gli attori hanno esposto che il 30 giugno 2009, quando si trovavano a poche miglia da Lampedusa, si verificava l'avaria del motore, che lasciava il gruppo, composto da 89 persone, in balia delle onde fino all'arrivo di militari della Marina italiana che, giunti a bordo di un gommone, proveniente dalla Nave Orione, provvedevano ad attivare il salvataggio trasportando le persone a bordo dell'imbarcazione. Gli odierni attori hanno precisato di essere stati perquisiti dai militari a bordo della Nave Orione che procedevano a sequestrare gli effetti personali in loro possesso (tra cui foto, denaro e documenti), di essere stati fotografati, con attribuzione a ciascuno di un numero identificativo, e rassicurati sul fatto che sarebbero stati condotti sul territorio italiano dove avrebbero potuto chiedere la protezione intemazionale.

Secondo la ricostruzione dei fatti contenuta degli atti di parte attrice, al sopraggiungere delle prime ore del mattino dell' 1 luglio 2009, i naufraghi presenti sull'imbarcazione si sarebbero accorti che la nave non stava andando in direzione dell'Italia ma, al contrario, era diretta verso la Libia; conseguentemente, il panico si sarebbe diffuso nel gruppo che avrebbe iniziato a protestare, suscitando la reazione del personale della Marina Militare italiana.

In particolare, gli attori hanno esposto che quando la nave italiana veniva affiancata da un'imbarcazione libica l'agitazione sarebbe aumentata, molte persone avrebbero urlato ripentendo di aver bisogno di protezione intemazionale e di voler chiedere asilo e domandando di non essere riconsegnati ai libici, deducendo che in Libia erano stati torturati, incarcerati e perseguitati al pari di quanta era accaduto nei loro Paesi di origine.

Gli stessi hanno rappresentato che nonostante cio erano stati consegnati alle autorira libiche e forzatamente trasportati a bordo della imbarcazione libica, dove venivano ammanettati con fascette di plastica. Gli attori hanno dedotto, pertanto, di essere stati respinti dall'autorira italiana in maniera collettiva e senza alcuna formalita e senza essere stati identificati, in violazione della normativa nazionale ed intemazionale; di essere stati privati della possibilita di accedere alla procedura di riconoscimento della protezione intemazionale e di essere stati ricondotti in Libia dove sarebbero stati brutalmente ed indiscriminatamente picchiati per poi essere detenuti, per lunghi mesi, in prigione in condizioni inumane e degradanti.

Infine, gli attori hanno esposto di aver provato a raggiungere l'Europa via terra, attraversando !'Egitto e il deserto del Sinai, per giungere, nel 2010, in Israele dove sarebbero stati arrestati e successivamente rilasciati senza alcuna garanzia, nonostante la loro domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, e dove attualmente subirebbero trattamenti inumani e degradanti ad opera dell'autorira israeliana e sarebbero sottoposti a gravi violazioni dei loro diritti fondamentali ed esposti al pericolo grave di refoulement.

E stato da ultimo rappresentato che in data 25.6.2014 gli attori hanno inviato formale atto di diffida e messa in mora alle parti odieme convenute - rimasto privo di qualsiasi riscontro - con ii quale hanno domandato il risarcimento dei danni subiti e l'attivazione per la rimozione dei medesimi danni, con richiesta di porre in essere le azioni necessarie a consentire l'ingresso nel territorio italiano al fine di inoltrare la domanda di riconoscimento della protezione intemazionale.

Tanto premesso, gli attori hanno domandato: 1) in via preliminare, l'adozione di un provvedimento cautelare di autorizzazione all'ingresso sul territorio nazionale ovvero l'ordine alle Amministrazioni competenti di adottare ogni misura idonea a permettere tale ingresso; 2) nel merito, previo accertamento della responsabilira ex art. 2043 c.c. delle Amministrazioni convenute la condanna delle stesse al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, di una somma pari a 30.000 euro ciascuno ovvero di una somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, e a titolo di risarcimento in fornia specifica la condanna all' adozione degli atti ritenuti necessari a consentire I' ingresso degli attori in Italia al fine di inoltrare domanda di protezione intemazionale.

Si sono costituiti in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell'Interno, il Ministero della Difesa e il Ministero degli Affari Esteri, domandando iI rigetto dell'istanza cautelare di cui all'art. 700 c.p.c. e delle ulteriori domande proposte dalla controparte.

Le Amministrazioni convenute hanno esposto che in seguito al salvataggio degli 82 migranti ( e non 89 come riportato nell'atto di citazione), avvenuto in acque internazionali (a ventisei miglia nautiche a Sud di Lampedusa), nessun migrante avrebbe manifestato l'intenzione di chiedere asilo o protezione internazionale, precisando che la condotta di consegna degli stessi alle autorita libiche sarebbe avvenuta in virtii di quanto previsto dall'art. 1, comma 4, d.m. 14 luglio 2003 e dal Trattato di Amicizia, partenariato e collaborazione firmato a Bengasi, il 30 agosto 2008, tra l'Italia e la Libia.

Tanto premesso, le Amministrazioni convenute hanno dedotto l'inammissibilita e l'infondatezza della domanda cautelare, e hanno eccepito la carenza di legittimazione attiva delle parti attrici e I' intervenuta prescrizione della domanda di risarcimento del danno e, infine, hanno domandato ii rigetto nel merito delle domande avanzata dalla controparte in quanta infondate e comunque non provate.

(..)

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Tanto premesso, si rileva che le ricostruzioni compiute dagli attori e dalle Amministrazioni convenute divergono sulla qualificazione giuridica del fatto commesso ed in particolare sull 'antigiuridicita della condotta posta in essere dall' autorira italiana, consistente, anche in virtu di espressa ammissione delle parti convenute, nel salvataggio dei naufraghi e nella Ioro successiva consegna alle autorira libiche.

La parte attrice qualifica la condotta contestata come contraria al principio di non refoulement e al diritto al riconoscimento della protezione intemazionale, evidenziando che il suddetto contegno avrebbe avuto come conseguenza ii rinvio di soggetti aventi diritto di proporre istanza di protezione intemazionale verso un luogo non sicuro.

A sostegno di tale assunto sono richiamate norme di carattere nazionale ed intemazionale che vietano i respingimenti collettivi in cui non venga disposta alcuna valutazione delle circostanze personali e, di fatto, venga impedito l' accesso alla procedura di riconoscimento della protezione intemazionale.

I riferimenti normativi richiamati sono, in particolare, la Convenzione di Ginevra relativa allo status di rifugiato del 1951, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta fondamentali, la Convenzione Onu contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti, il Patto intemazionale sui diritti civili e politici, la Convenzione di Montego Bay del 1982, ii Regolamento 33 della Convenzione intemazionale per Ia salvaguardia della vita in mare, ii Protocollo della Convenzione Onu contro ii crimine organizzato transnazionale, ii Trattato dell'UE, ii Regolamento CE n. 562/2006 (Codice delle frontiere), la Direttiva 2004/83/CE, recepita dal d.lgs. n. 2512008 e il d.lgs. 286/1998 (art. 19, comma 1).

A sostegno delle proprie pretese gli attori hanno richiamato, inoltre, la pronuncia della Corte Europea <lei Diritti dell'Uomo del 23 febbraio 2012, ricorso n. 27765109, nel caso Hirsi Jamaa e altri c. Italia. Le Amministrazioni convenute hanno sostenuto, invece, la Iegittimita della condotta posta in essere, esponendo che la stessa sarebbe stata realizzata conformemente a quanto previsto dall' art. 1, comma 4, d.m. 14 Iuglio 2003 e dal Trattato di Amicizia, partenariato e collaborazione firmato a Bengasi il 30 agosto 2008 tra l'Italia e la Libia. Secondo tale ricostruzione, pertanto, le autorita italiane si sarebbero imitate a dare esecuzione ad accordi raggiunti tra i due Stati, muovendosi all'intemo del quadro normative richiamato.

Tanto premesso, si rileva che la fondatezza della pretesa azionata deve essere accertata alla luce del complesso delle norme vigenti al momento della commissione del fatto.

In primo luogo ii riferimento e alla Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati, ii cui art. 33 enuncia ii principio di non respingimento, disponendo che nessuno Stato contraente espellera o respingera, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui Ia sua vita o Ia sua liberta sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.

Tale principio e stato definite dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati - ii quale vigila sull' applicazione della Convenzione di Ginevra ad opera degli Stati - un principio fondamentale che non ammette riserve, connesso tanto al diritto di chiedere asilo, a sua volta riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, quanto al divieto assoluto di tortura e di trattamenti crudeli, inumani e degradanti, sancito dall'art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. 


In tale contesto normativo assume decisiva rilevanza l'art. 4 del Protocollo 4 addizionale alla CEDU, il quale dispone il divieto delle espulsioni collettive degli stranieri statuendo: "Le espulsioni collettive di stranieri sono vietate".

Premesso quanta sopra esposto, deve comunque rilevarsi come fonti primarie di rango costituzionale garantiscano i diritti richiamati. In primo luogo l'art. 10 Cost. che riconosce il diritto di asilo dello straniero al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle liberta democratiche garantite dalla Costituzione italiana (cfr. irifra); e il diritto dell'Unione Europea, che ribadisce a diversi livelli i principi sanciti nelle fonti intemazionali richiamate, sancendo all'art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (parte integrante del Trattato dell'Unione Europea in forza del richiamo operato dall'art. 6) il principio di non respingimento, vietando espressamente le espulsioni collettive (Si riporta ii testo dell' art. 19 richiamato "I.Le espulsioni collettive sono vietate. 2. Nessuno puo essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto al/a pena di morte, al/a tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti ").

Al fine di comprendere la portata dei suddetti enunciati e l'ambito applicativo degli stessi, occorre fare riferimento alle interpretazioni adottate a livello internazionale e alle opzioni ermeneutiche accolte dalle Corti sovranazionali, evidenziando che le stesse sono state recepite dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo e hanno costituito le premesse in virtU delle quali il giudice sovranazionale ha condannato lo Stato italiano in un cui caso che presenta convergenze fattuali con quanta oggetto del presente giudizio (caso Hirsi Jamaa e altri c. Italia).

A tal proposito si rileva che, secondo l' Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ii principio di non respingimento (art. 33 Convenzione di Ginevra) viene in rilievo ogniqualvolta uno Stato adotti una misura che possa sortire l' effetto di rinviare un richiedente asilo o un rifugiato verso le frontiere di un territorio in cui la sua vita o la sua liberta sarebbero minacciate e in cui rischierebbe una persecuzione.

Tra tali misure rientrano il repingimento alle frontiere, l'intercettazione e ii respingimento indiretto, sia che si tratti di un individuo in cerca di asilo sia che si tratti di un afflusso massiccio (nota dell' Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati sulla protezione internazionale del 13.9.2001). E, altresi, precisato che ii principio risulta applicabile ai rifugiati indipendentemente dal riconoscimento ufficiale di tale status, quindi anche a coloro il cui status non sia stato ancora determinato, e deve essere rispettato in alto mare, giacche in tale zona gli Stati non sono esenti dai propri obblighi giuridici, ivi compresi quelli derivanti dal diritto internazionale disciplinate i diritti dell'uomo e dei rifugiati. Il principio del non respingimento, come. anticipato, e strettamente connesso al diritto di asilo, forma di protezione sancita a livello internazionale dall'art. 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani adottata dall' Assemblea generale delle Nazioni Unite, il quale prevede che ogni individuo abbia il diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni. Tale situazione giuridica soggettiva e considerata rientrante nel diritto internazionale consuetudinario e come tale vincolante per tutti gli Stati.

Quanto all'art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle liberta fondamentali, che sancisce il divieto di tortura e di trattamenti crudeli, inumani e degradanti, si rileva che lo stesso viene in rilievo, in combinato disposto con l'art. 33 della Convenzione di Ginevra, nelle ipotesi in cui, in seguito ad un respingimento, le persone coinvolte corrano il rischio di subire torture o trattamenti crudeli, inumani e degradanti. Come statuito dalla Corte Europea dei diritti dell 'uomo, da ultimo nel caso Hirsi Jamaa e altri c. Italia, la disposizione richiamata impone agli Stati l'obbligo di non allontanare una persona quando la stessa, nel Paese di destinazione, corra il rischio reale di essere sottoposto ai trattamenti ivi richiamati, onerando lo Stato di verificare che ii Paese di destinazione offra garanzie in tal senso.

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Nella citata pronuncia della Corte Europea dei diritti dell'uomo, inoltre, viene precisato che, a fronte di una situazione di sistematico mancato rispetto dei diritti umani, gli Stati hanno l'obbligo di informarsi sul trattamento al quale i soggetti respinti sarebbero esposti in seguito ad eventuale respingimento, senza che la mancata richiesta di asilo possa valere a dispensare lo Stato dai suoi obblighi. In altri termini, la circostanza che non venga espressamente avanzata una richiesta di protezione non consente allo Stato di ignorare che l'eventuale respingimento possa esporre i soggetti respinti a trattamenti crudeli, inumani e degradanti. Infine, in merito all'art. 4 del Protocollo 4 addizionale alla CEDU, il quale prevede il divieto di espulsione collettiva degli stranieri, si rileva che nel caso Hirsi Jamaa e altri c. Italia, la Corte Europea dei diritti dell'uomo si e occupata per la prima volta dell'applicabilita di tale disposizione nelle situazioni in cui l'allontanamento degli stranieri avvenga fuori dal territorio nazionale e in particolare in alto mare, dando una risposta positiva al quesito ermeneutico.

La ratio della norma, rinvenibile nella volonta di evitare che gli Stati possano allontanare un certo numero di stranieri senza esaminare la loro situazione personale, e stata posta a fondamento della decisione.

Alla luce della normativa esaminata, pertanto, si ritiene che laddove le autorita di uno Stato intercettino in alto mare dei migranti sorga in capo alle stesse l'obbligo di esaminare la situazione personale di ciascuno e di non attuare il respingimento dei rifugiati verso un territorio in cui la loro vita o la loro liberta sarebbero minacciate e in cui essi rischierebbe la persecuzione, con la precisazione che la mancata richiesta di asilo non consente di ignorare che in taluni Paesi sia riscontrabile una situazione di sistematico mancato rispetto dei diritti umani.

A tal proposito assume rilevanza la circostanza che al momento della commissione dei fatti contestati erano gia stati diffusi dei rapporti realizzati da accreditate organizzazioni intemazionali nei quali venivano denunciate e condannate le condizioni detentive e di vita <lei migranti irregolari in Libia.

Tra tali rapporti figurano (come evidenziato anche nella richiamata sentenza della Corte EDU) i seguenti: "Stemming the Flow: abuses against migrants, asylum seekers and refugees" dello Human Rights Watch (settembre 2006), "Osservazioni finali Jamahiriya arabo-libica" del Comitato dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite (15 novembre 2007), "Libia - Rapporto 2008 di Amnesty International" di Amnesty International (28 maggio 2008), "Lybia Rights at RisR' dello Human Rights Watch (2 settembre 2008) e "Rapporto relativo ai diritti de/l'uomo in Libia'' del Dipartimento di Stato americano (4 aprile 2010).

Conseguentemente, le autorita italiane erano nelle condizioni di sapere che la Libia, Stato che non ha ratificato la Convenzione di Ginevra e nel quale non e previsto un sistema nazionale di asilo, non potesse considerarsi, all'epoca dei fatti di causa, approdo sicuro, con concreto rischio che i migranti venissero arrestati, sottoposti a violenze, nonche respinti verso !'Eritrea. Si rende opportuno, inoltre, precisare che anche con riferimento a tale ultimo Stato erano gia stati diffusi diversi rapporti nei quali venivano denunciate le violazioni dei diritti fondamentali ivi perpetrate.

Si trattava di sistematiche violazioni dei diritti dell'uomo ad opera del govemo eritreo ed in particolare torture, arresti arbitrari, condizioni detentive disumane, lavori forzati e gravi restrizioni alla liberta di movimento, di espressione e di culto. Tra i suddetti rapporti (come evidenziato anche nella richiamata sentenza della Corte EDU) si richiamano: "Eligibility guidelines for assessing the international protection needs of asylumseekers from Eritrea" dell'HCR (aprile 2009), "Report 2009, Eritrea" di Amnesty International (28 maggio 2009), "Service for life, state repression and indefinite conscription in Eritrea dello Human Rights Watch (aprile 2009). In questo contesto normativo e fattuale si inseriscono le disposizioni richiamate dalle · Autorita convenute ed in particolare l'accordo intemazionale stipulato tra l'Italia e la Libia. Occorre puntualizzare sin da subito che, pur ammettendo che un simile accordo preveda espressamente ii respingimento in Libia <lei migranti intercettati in alto mare ( dato non desumibile dalla lettura del testo che non contiene alcun riferimento espresso ai respingimenti), la sua vigenza non poteva esonerare !'Italia dal rispettare gli obblighi assunti per la ratifica di strumenti intemazionali.

In altri termini, l'Italia non poteva ritenersi esente da responsabilita invocando obblighi eventualmente derivanti da accordi bilaterali stipulati con la Libia, da ritenersi recessivi rispetto alle fonti costituzionali e sovranazionali richiamate, primi tra tutte I' art. 10 de Ila Costituzione e gli artt. 18 e 19 della Carta di Nizza. A cio si aggiunga che il Trattato di Amicizia, partenariato e collaborazione firmato a Bengasi il 30 agosto 2008 tra l'Italia e la Libia non solo non disciplina le operazioni di respingimento ma enuncia espressamente all'art. 1 il rispetto della Iegalita intemazionale, mediante ii rinvio agli obblighi derivanti dai principi e dalle norme del Diritto Intemazionale universalmente riconosciuti e a quelli inerenti al rispetto dell'Ordinamento Intemazionale. Pertanto, alla luce di tutte le considerazioni effettuate, si ritiene che la condotta delle autorita italiane sia stata posta in essere in contrasto con gli obblighi di diritto intemo (di rango costituzionale) e internazionale gravanti sull'Italia e sia conseguentemente connotata dal crisma dell'antigiuridicita, con conseguente illegittimita della condotta contestata.

A conferma di tale assunto si rileva che nella richiamata sentenza del 23 febbraio 2012, Ia Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha condannato !'Italia al risarcimento del danno subito da un gruppo di migranti somali ed eritrei in conseguenza di una condotta che presenta elementi di similitudine con quella posta in essere nel caso di specie, trattandosi di un salvataggio avvenuto ii 6 maggio 2009 a 35 miglia marine a sud di Lampedusa (nella zona di responsabilita SAR di Malta) ad opera della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera italiane, seguito da una consegna dei migranti alle autorita libiche realizzata senza che fosse stata off erta agli stessi la possibilita di formulare istanza di protezione intemazionale.

Accertata l' antigiuridicita dell a condotta posta in essere, si rende opportuno precisare che, come sopra detto, 1' esistenza di rapporti realizzati da organizzazioni intemazionali, pubblicati e diffusi all'epoca dei fatti, fa ritenere che le autorita italiane erano a conoscenza o quantomeno avrebbero potuto essere a conoscenza della circostanza che la Libia non poteva essere ritenuto un approdo sicuro. Conseguentemente, si ritiene che la condotta contestata non sia incolpevole e sia stata sorretta dall'elemento soggettivo (dolo o colpa) richiesto dall'art. 2043 c.c. ai fini della configurazione della responsabilita da fatto illecito. Sul punto, occorre richiamare quanto al danno causalmente correlabile alla condotta accertata, i principi affermati dalla sentenza delle SS.DU. della Corte di Cassazione 11 novembre 2008, n.26972, che ha ricondotto nell'ambito della categoria dei danni non patrimoniali tutti i danni risarcibili non aventi contenuto economico, in base al combinato disposto degli artt.2043 e 2059 c.c., riconoscendo il diritto al risarcimento qualora il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, in quanto tali oggetto di tutela costituzionale, quali nel caso di specie il diritto a proporre domanda di protezione intemazionale.

Accertata la presenza di condotta violativa di diritti fondamentali, ii conseguente danno non patrimoniale deve essere sempre allegato e provato da chi ne pretende il risarcimento e la prova puo essere data con ogni mezzo. Al riguardo va chiarito che attenendo il pregiudizio non patrimoniale alla sfera immateriale, "ii ricorso al/a prova presuntiva potrebbe essere destinato ad assumere particolare rilievo ed anche costituire l 'unica Jonte su cui basare ii convincimento de/ giudice, a condizione tuttavia che ii danneggiato alleghi tutti gli elementi che nella concreta fattispecie siano idonei a fornire la serie concatenata dei fatti noti che secondo ii principio di regolarita causate, consentano di dedurre le conseguenze derivatene" ( cfr. Cass. n.26972/2008 citata e da ultimo Cass. 11059/2009).

Alla luce di tale interpretazione giurisprudenziale dei principi in tema di onere della prova, nel caso concreto parte ricorrente ha allegato una serie di voci di danno non patrimoniale, qualificate come danno per le sofferenze patite, e per i rischi a beni interessi di rango costituzionale (salute, incolumita psico fisica, liberta personale) subiti a causa del respingimento in Paese non sicuro. Premesso che, come affermato dai piu recenti arresti della Corte Suprema a seguito della richiamata sentenza Cass. SSUU n. 26972/2008, il danno non patrimoniale, determinato dalla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica, costituisce una categoria unitaria, non suscettibile di divisione in sottocategorie, laddove il riferimento ai vari aspetti del pregiudizio diversamente qualificati ( danno morale, danno biologico, danno esistenziale, da perdita del rapporto parentale, etc.) risponde ad esigenze meramente descrittive delle possibili configurazioni che il pregiudizio puo assumere senza minarne l'essenza ontologicamente unitaria, costituisce compito del giudice accertare l' effettiva consistenza del pregiudizio dedotto sul piano  non patrimoniale individuando, sulla base delle allegazioni svolte, quali ripercussioni negative si siano in concreto verificate sulla persona che assume la lesione, a prescindere dal nome loro attribuito.

Su questo assunto si fonda l'affermazione resa dalla citata sentenza a Sezioni Unite secondo cui il danno non patrimoniale, sia che consegua a fattispecie di reato, sia che sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce "danno-conseguenza" che come tale deve essere allegato e provato. Aff ermazione questa che consente di rilevare come nella fattispecie in esame le allegazioni indicate nell' atto introduttivo (lesione del diritto a richiedere il riconoscimento della protezione intemazionale, eziologicamente connesso alla condotta di respingimento, e dal pregiudizio subito dagli odiemi attori in seguito al forzato arrivo in Libia), possono essere valutate secondo !'id quad plerumque accidit; applicando il principio presuntivo, infatti, deve desumersi l'esistenza di un danno derivante agli attori per essere stati respinti in paese non sicuro, quale la Libia, nel quale risulta provato (cfr. dichiarazione dei testi) che sono stati incarcerati subendo violenze e torture.

Nel caso concreto deve essere liquidato ii danno non patrimoniale derivante dall'illecito, con criteria equitativo. Gli attori, dopo aver proposto la ricostruzione dei fatti accolta in questa sede, hanno domandato la condanna delle Amministrazioni convenute al pagamento di 30.000 euro per ciascuno ovvero alla somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, a titolo di risarcimento per equivalente. Nella valutazione equitativa del danno subito sembra assumere rilievo la circostanza che, nel citato caso Hirsi Jamaa e altri c. Italia, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo abbia condannato lo Stato italiano a versare ai ricorrenti 15.000 euro ciascuno a titolo di riparazione del danno, in una situazione analoga a quella oggetto del presente giudizio.

Tale importo e da considerare equo. Date tali premesse in accoglimento della domanda degli attori si stima equo liquidare il danno non patrimoniale in misura pari ad € 15.000,00 ciascuno, somma gill attualizzata e sulla quale decorreranno gli interessi legali dalla emissione della presente decisione all'effettivo soddisfo. Quanto ai destinatari della condanna deve rilevarsi come all'esito del giudizio sia stato provato l'apporto causale alla verificazione dell'evento dannoso della sola Presidenza del Consiglio e del Ministero della Difesa ( cui la Marina Militare fa capo). Risulta, infatti, accertato, secondo le allegazioni della stessa parte convenuta, che gli attori sono stati respinti in Libia in esecuzione di un accordo bilaterale Italia-Libia con conseguente responsabilita dello Stato Italiano per l'esecuzione della condotta contestata e condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Parimenti e emersa al responsabilita del Ministero della Difesa in quanta i respingimenti illegittimi sono stati materialmente realizzati da appartenenti alla Marina Militare. Nessuna responsabilita e stata accertata in capo al Ministero dell'Intemo e del Ministero degli Esteri. Pertanto devono essere condannati, in solido, a rifondere i danni sopra quantificati la Presidenza del Consiglio dei Ministri e ii Ministero della Difesa, mentre con riferimento al Ministero degli Esteri e dell'Intemo la domanda non puo essere accolta.

Sulla condanna delle Amministrazioni convenute all' adozione degli atti necessari a cons entire l 'accesso in Italia degli attori, al fine di presentare domanda di protezione internazionale Gli attori hanno, altresi, domandato, a titolo di risarcimento in forma specifica, la condanna delle Amministrazioni convenute all'emanazione degli atti ritenuti necessari a consentire ii loro ingresso nel territorio italiano, al fine di presentare la domanda di protezione intemazionale.

In particolare, gli stessi hanno esposto, nelle comparse conclusionali, la necessitit di disporre ii proprio ingresso sul territorio dello Stato con visto umanitario ai sensi dell'art. 25 del regolamento CE 810/2009 (codice visti), rappresentando che tale misura risulta essere l'unica idonea a rimuovere gli effetti nocivi della condotta illecita subita. Le Amministrazioni convenute hanno contestato la fondatezza di tale domanda, ritenendo logicamente e materialmente impossibile ii risarcimento in forma specifica, inteso come rimessione in pristino della situazione precedente alla condotta contestata. A tal proposito e stato rilevato che al momenta della commissione del fatto gli attori non si trovavano in territorio italiano ma in acque intemazionali e che gli stessi, una volta saliti a bordo dell'imbarcazione italiana, non avrebbero conseguito automaticamente la protezione intemazionale ne avrebbero formulato una richiesta in tal senso. Quanto a tale ultima allegazione, la stessa e stata smentita dalle dichiarazioni dei testi che presenti sulla nave della Marina Militare al momenta del recupero dei migranti dalle acque intemazionali, hanno dichiarato come tutti i naufraghi avessero dal primo contatto con i militari italiani richiesto espressamente di voler presentare richiesta di asilo o di protezione, qualificandosi come rifugiati provenienti dall'Eritrea, Paese dilaniato da luogo conflitto annato.

Nel merito, e quale riflessione preliminare, la pretesa formulata dagli attori non puo essere qualificata in termini di domanda di risarcimento in forma specifica ai sensi dell'art. 2058 c.c., in quanto rientra nella nozione di risarcimento in forma specifica ii rimedio consistente nella eliminazione materiale del danno mediante ii ripristino della situazione anteriore all'illecito. Da cio discende che la domanda diretta ad ottenere la condanna delle amministrazioni competenti all'adozione <lei provvedimenti idonei a consentire agli odiemi attori di accedere nel territorio dello Stato, non possa essere qualificata come domanda di risarcimento in forma specifica, ma debba essere qualificata quale domanda di accertamento del diritto ad inoltrare domanda di protezione intemazionale. Non coglie nel segno la difesa delle Amministrazioni convenute, relativa alla impossibilita di consentire un ingresso degli attori sul territorio nazionale, argomentando tale assunto sulla base della natura intemazionale delle acque nelle quali sono avvenuti i fatti contestati. In seguito al salvataggio compiuto dalla Marina Militare, infatti, i naufraghi sono stati trasportati su un'imbarcazione battente bandiera italiana, in quanto tale qualificabile come facente parte del territorio italiano ai sensi dell'art. 4 codice della navigazione.

Tanto premesso, qualificata la domanda nei termini di domanda di accertamento del diritto a presentare domanda di protezione intemazionale, si ritiene che non possa essere applicato l'art. 25 del regolamento visti essendo inibita al giudice adito l'adozione di una pronuncia di condanna dell'amministrazione ad un facere, consistente nell'emissione degli atti necessari a consentire l'ingresso degli odiemi attori nel territorio italiano.

Cio in quanto il principio della separazione dei poteri dello Stato e la disciplina dei rapporti tra amministrazione e autorita giudiziaria dallo stesso derivante non consentono al giudice ordinario di sostituirsi all'amministrazione nella valutazione dei presupposti per il rilascio di provvedimenti amministrativi che legittimano l'accesso nel territorio nazionale, anche se gli stessi risultino propedeutici alla presentazione di una domanda di protezione intemazionale. Gli attori hanno lamentato la lesione del diritto a proporre domanda di riconoscimento della protezione intemazionale e chiesto di poter accedere nel territorio italiano affinche venga riconosciuto tale diritto. La base nonnativa di tale fonna di tutela deve essere individuate nell'art. 10, comma 3, Cost., in virtU del quale "Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l 'effettivo esercizio de/le liberta democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio de/la Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge".

Al diritto d'asilo e stata attribuita dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (a partire dall'ordinanza n. 19393 del 2009, fino a - tra gli altri - S.U. n. 5059/2017, S.U. 30658/2018, S.U. n. 32045/2018, S.U. n. 32177/2018) la qualificazione giuridica di diritto soggettivo perfetto, appartenente al catalogo dei diritti umani e avente derivazione sia costituzionale che convenzionale. L'art. 10, comma 3, Cost. ha trovato attuazione e regolazione mediante la previsione dei tre istituti dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del diritto al rilascio del permesso umanitario, (forma di protezione abrogata con il d.l. n. 113/2018, convertito dalla 1. n. 132/2018). Tali forme di protezione trovano disciplina nel d.lgs. n. 251/2007, adottato in recepimento della direttiva 2004/83/CE del Consiglio ( c.d. direttiva qualifiche) e modificato dal d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 18, attuativo della successiva direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio; nel d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, adottato in recepimento della direttiva 2005/85/CE del Consiglio (c.d. direttiva procedure) e modificato dal d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142, attuativo delle successive direttive 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, e 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio; nell'art. 5, comma 6, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (T.U.I.), abrogato dal d.l. n. 113 del 2018, unitamente alle altre fattispecie umanitarie gia previste nel medesimo T.U.I. Come rilevato in piu occasioni dalla Suprema Corte (Cass. Civ., sez. I, n. 28969/2019; Cass. Civ., sez. I, n. 26720/2019; Cass. Civ., sez. VI, n. 16362/2016; Cass. Civ. sez. VI, n. 10686/2012), l'esaustivita della normativa citata determinerebbe l'assenza di un margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all'art. 10, comma 3, Cost., il quale troverebbe pertanto applicazione solo nelle ipotesi disciplinate dalle disposizioni richiamate. Pur non intendendo negare la completezza del contesto normativo citato, si osserva che le disposizioni indicate possono trovare applicazione solo laddove siano concretarnente attuabili ed effettivarnente configurabili i presupposti per il riconoscirnento di una delle forme di protezione intemazionale ivi previste.

Diversarnente, laddove cio non sia possibile, anche per ragioni non riconducibili alla sfera di dorninio del richiedente protezione e del tutto indipendenti dalla sua condotta e dalla sua volonta, la normativa citata non potra essere applicata. Rientra in tali situazioni quella in cui il richiedente protezione non si trovi sul territorio italiano e pertanto non possa presentare la dornanda di protezione intemazionale, la quale, ai sensi dell' art. 6, comma 1, d.lgs. n. 25/2008 "e presentata personalmente dal richiedente presso l 'ufficio di polizia di frontiera all 'atto dell 'ingresso nel territorio nazionale o presso l 'ufficio della questura competente in base al luogo di dimora del richiedente". Si ritiene tuttavia che siano configurabili delle ipotesi che, pur essendo estranee al perirnetro delineato dalla normativa richiarnata, si rivelino rneritevoli di tutela. Corne di recente affermato dalle Sezioni Unite della Suprerna Corte il diritto alla protezione intemazionale "e pieno e perfetto" e "ii procedimento non incide affatto sull 'insorgenza de! diritto" che "nelle forme del procedimento e solo accertato ... ii diritto sorge quando si verifica la situazione di vulnerabilita"; "la situazione giuridica soggettiva dello straniero nei confronti del quale sussistano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria (ndr principio applicabile a tutte le forrne di protezione) ha natura di diritto soggettivo ... esso non e pertanto degradabile a interesse legittimo per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, in seno al relativo procedimento: all'autorita amministrativa e richiesto soltanto l'accertamento dei presupposti di fatto che danno luogo al/a protezione umanitaria, nell'esercizio di mera discrezionalita tecnica, poiche ii bilanciamento degli interesse e delle situazioni costituzionalmente tutelate e riservato al legislatore.

Il procedimento amministrativo e si un atto necessario, ma pur sempre esprime, in base al mode/lo generate, esercizio di attivita vincolata, ricognitiva della sussistenza dei presupposti determinati dalla legge. .. . . n diritto unionale, d'altronde sia pure con riferimento alto status di rifugiato, stabilisce (considerando 21 delta direttiva n.2011195) che ii relativo riconoscimento e atto ricognitivo e che la conseguente qualita non dipende dal riconoscimento (Corte di Giustizia, Grande sezione, 14 maggio 2019, cause C-391116, C. 77117 e C-78118)" In conseguenza di tali statuizioni il Collegio della Suprerna Corte ha afferrnato "Tutte le protezioni sono quindi ascrivibili all 'area dei diritti fondamentali, sia quelle maggiori .... sia quella residuale e temporanea ... e tutte le protezioni .... sono espressione de/ diritto di asilo costituzionale .... Le condizioni che possono essere de.finite per Legge, necessariamente coriformi alle altre norme costituzionali e internazionali, allora, sono quelle chiamate a regolare ii soggiorno dell 'esule, la de.finizione dei criteri di accertamento e le modalita del relativo procedimento di accertamento. Di qui la coerenza de! consolidato orientamento de/la giurisprudenza di queste Sezioni Unite .... che relegano la discrezionalita, anche del legislatore, al solo accertamento e all 'individuazione de/le modalita di esercizio de/ diritto" (Cass. S.U. n. 29460 del 24.9.2019).

Compiute tali premesse qualora, come nel caso di specie, un richiedente protezione intemazionale non possa presentare la relativa dornanda, in quanto non presente sul territorio italiano per circostanze allo stesso non imputabili ed anzi riconducibili ad un fatto illecito commesso dall'autorita italiana, non appare conforme ai principi sopra richiamati limitare il diritto pieno e perfetto a richiedere protezione. Oltre a risultare irragionevole, non riconoscere il diritto indicato si porrebbe in contrasto con l'art. 10, comma 3, Cost. e si configurerebbe come un vuoto di tutela inammissibile, in un sistema che, a piu livelli, riconosce e garantisce il diritto di asilo nelle diverse declinazi oni. In altri termini, si ritiene che la qualificazione del diritto di asilo quale diritto soggettivo perfetto, rientrante nel catalogo dei diritti umani e di derivazione ·non solo costituzionale ma anche convenzionale imponga di individuare una forma di protezione in quei casi che, pur non rientrando nell'ambito applicativo della normativa nazionale di attuazione dell'art. 10 Cost., risultino meritevoli di tutela.

Si ritiene -che in questo ambito possa espandersi il campo di applicazione della protezione internazionale mediante una diretta applicazione dell'art. 10, comma 3, Cost., volta a tutelare la posizione di chi, in conseguenza di un fatto illecito commesso dall'autorira italiana, si trovi nell'impossibilita di presentare la domanda di protezione intemazionale in quanto non presente nel territorio dello Stato, avendo le autorira dello stesso Stato inibito l'ingresso, all'esito di un respingimento collettivo, in violazione di principi costituzionali e della Carta dei Diritti dell'Unione Europea. Alla luce delle considerazioni effettuate, si ritiene che il diritto di asilo di cui all'art. 10, comma 3, Cost. possa essere declinato nei termini di diritto di accedere nel territorio dello Stato al fine di essere ammesso alla procedura di riconoscimento della protezione intemazionale (in questi termini anche Cass. Civ., sez. I, n. 25028/2005) e che in tale sede possa essere poi accertata la titolarita della situazione giuridica soggettiva in capo agli odiemi attori.

  Laccertamento del diritto di accedere nel territorio italiano allo scopo di presentare la domanda di riconoscimento della protezione intemazionale e disposto anche alla luce del fatto che, come si legge nel rapporto 2019 dello Human Rights Watch (https://www.hrw.org/world­report/2019/country-chapfors/eritrea), in Eritrea sono ancora commesse da parte del Govemo gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani. II riferimento e in particolare ad arresti arbitrari, condizioni detentive disumane, lavori forzati, torture, restrizioni delle liberta di espressione e di culto, che non sono cessati nonostante l'accordo di pace concluso conJ'Etiopia. Accertato il diritto degli attori di accedere nel territorio italiano allo scopo di presentare domanda di riconoscimento della protezione intemazionale ovvero di protezione speciale, le conseguenti determinazioni circa modalira per consentire l'ingresso e per determinare la procedura di riconoscimento della protezione intemazionale sono rimesse all'autorita competente, che potra individuare, nell'esercizio della propria discrezionalita, gli strumenti piu idonei a tutelare le ragioni degli odierni attori (tra i quali la concessione del visto di cui all'art. 25 del regolamento CE 810/2009 c.d. codice visti, non essendo di ostacolo la mancanza di documenti validi stante l'individuazione degli attori operata all'esito del presente giudizio, ovvero Ia concessione della protezione speciale di cui all'art. 32, comma 3, d.lgs. 25/2008). 

Per quanto esposto deve essere accolta la domanda degli attori di accedere nel territorio italiano allo scopo di presentare la domanda di riconoscimento della protezione intemazionale ovvero di protezione speciale, secondo le forme che verranno individuate dalla competente autorira amministrativa. Spese di giudizio Le spese di giudizio devono essere compensate in considerazione della novira della materia trattata.

P.Q.M.

II Tribunale di Roma, in composIZione monocratica, in persona del Giudice dott.ssa Monica Velletti, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta, cosi provvede: Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, e del Ministero della Difesa, in persona del Ministro della Difesa pro tempore, con conseguente condanna in solido al risarcimento dei danni non patrimoniali in favore degli attori, che si liquidano in euro € 15.000,00 per ciascun attore, oltre interessi al tasso legale dalla data della presente pronuncia fino a quella dell' effettivo soddisfo;

2) rigetta la domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti del Ministero dell'Intemo e del Ministero degli Esteri;

3) accerta ii diritto degli attori di accedere nel territorio italiano allo scopo di presentare domanda di riconoscimento della protezione intemazionale ovvero di protezione speciale, secondo le forme che verranno individuate dalla competente autorita amministrativa; 4) compensa tra le parti le spese di giudizio.

Cosi deciso in data 14 novembre 2019

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