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Rescissione del giudicato per assenti, non contumaci (Cass. 18624/19)

3 maggio 2019, Cassazione penale

La richiesta finalizzata alla rescissione del giudicato si applica solo ai procedimenti nei quali è stata dichiarata l’assenza dell’imputato a norma dell’art. 420-bis c.p.p., come modificato dalla L. 28 aprile 2014, n. 67, mentre ai procedimenti contumaciali trattati secondo la normativa antecedente alla entrata in vigore della L. 28 aprile 2014, n. 67, continua ad applicarsi la disciplina della restituzione nel termine per proporre impugnazione dettata dall’art. 175 c.p.p., comma 2, nel testo previgente: per questi ultimi non può profilarsi, in mancanza di espresse previsioni normative, alcuna questione di diritto intertemporale, essendo evidente che essi, svoltisi secondo il regime contumaciale o secondo quello della assenza, come anteriormente disciplinati, non potrebbero risentire del jus superveniens, che si riferisce esplicitamente a un imputato "assente" nei termini definiti dalla nuova disciplina.

Corte di Cassazione

sez. III Penale, sentenza n. 18624

8 aprile – 3 maggio 2019

Presidente Rosi – Relatore Galterio

Ritenuto in fatto

1.Con istanza ex art. 629 bis c.p.p. del 4.6.2018 D.I. ha chiesto alla Corte di Appello di Roma la rescissione della sentenza n. 2332/2017 pronunciata nei suoi confronti dalla medesima Corte di Appello e passata in giudicato in data 5.11.2017, con la quale era stato condannato, con procedimento celebrato in sua contumacia tanto in primo che in secondo grado, alla pena di sei anni di reclusione in quanto ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 609 bis c.p. commesso ai danni di una sua connazionale tra il (omissis) , assumendo l’incolpevole mancanza di conoscenza del procedimento per non avere mai ricevuto alcuna comunicazione o notifica ad esso relativa.
Con ordinanza in data 20.11.2018 la Corte di Appello di Roma ha rigettato la domanda, rilevando che l’istante non solo aveva eletto domicilio in un contesto in cui erano chiare la natura e la finalità della dichiarazione resa essendo stata la sua posizione indicata nel relativo verbale come "persona sottoposta ad indagini o imputato", ma che aveva successivamente nominato un difensore di fiducia, nomina che contemplando l’intenzione di dotarsi di difesa tecnica a mezzo di un professionista scelto, presupponeva la piena consapevolezza di un’indagine penale in corso.
2. Avverso il suddetto provvedimento il D. ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione, articolando tre motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 629 bis c.p.p., che l’espressione utilizzata dalla norma, ovverosia "l’assenza del condannato dal processo" possa essere dilatata al punto di ritenere in essa ricompresa anche la fase delle indagini preliminari, qual’era quella cui risale la dichiarazione di domicilio resa dal ricorrente che rivestiva, allora, la posizione di semplice indagato, in cui non essendo stata ancora esercitata l’azione penale, vengono soltanto svolte dal Pubblico Ministero e dalla Polizia giudiziaria le indagini, le quali potrebbero comunque condurre all’archiviazione del procedimento senza arrivare mai al processo. All’imputato non è stato, in ciò compendiandosi il nucleo della contestazione difensiva, un giusto processo non essendo egli mai stato messo a conoscenza nè della sua posizione di imputato in assenza delle notifiche dei provvedimenti emessi ai sensi degli artt. 415 bis e 552 bis c.p.p. nè della rinuncia al mandato del difensore dallo stesso fiduciariamente nominato al momento dell’elezione di domicilio.
2.2. Con il secondo motivo lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli artt. 157, 159, 161, 429 bis, 415-bis e 522 c.p.p. e artt. 11 e 24 Cost., che non fossero mai state effettuate nei suoi confronti le ricerche previste dall’art. 159 c.p.p. nell’ipotesi in cui non sia possibile eseguire le notifiche ai sensi dell’art. 157 c.p.p., ricerche che avrebbero facilmente consentito di appurare che egli risiedeva in (omissis) , nè fosse mai stato emesso decreto di irreperibilità. Contesta altresì che nessuna notifica fosse stata mai effettuata neppure nelle mani del proprio difensore di fiducia, al quale gli atti avrebbero dovuto comunque essere indirizzati nonostante la rinuncia al mandato ed invoca l’applicabilità del principio già affermato da questa Corte nella sentenza n. 28619/2006 secondo il quale in assenza di elementi che depongano per una effettiva conoscenza, la colpa della situazione che abbia generato la mancanza di conoscenza non assume rilievo. Non essendo il condannato a dover fornire la prova della mancata conoscenza, bensì il giudice, analogamente al meccanismo previsto per la remissione in termini di cui all’art. 175 c.p.p., a dover dimostrare il contrario, priva di fondamento è, secondo la difesa, la tesi sostenuta dalla Corte di Appello che muove dall’erroneo presupposto che incombesse sull’istante un onere di diligenza, onere comunque debitamente assolto nella fase delle indagini preliminari con l’elezione di domicilio e la nomina di un difensore di fiducia, evitando di prendere in considerazione l’inadempimento delle istituzioni giudiziarie di assicurargli, invece un giusto processo attraverso il meccanismo notificatorio previsto ex lege.
2.3. Con il terzo motivo eccepisce l’incostituzionalità dell’art. 429-bis c.p.p. in relazione agli artt. 111 e 24 Cost. nella parte in cui non prevede che lo stato di conoscenza incolpevole debba essere limitato alla sola fase processuale così da estendere nella nozione di processo anche alla fase procedimentale della fase delle indagini preliminari.

Considerato in diritto

1.Il primo ed il secondo motivo devono essere esaminati congiuntamente in quanto afferenti entrambi all’eccepita incolpevole conoscenza del procedimento penale celebrato in contumacia dell’imputato e definito con condanna dell’imputato diventata irrevocabile, e quindi tra loro intrinsecamente connessi.

1.1. La prima grave censura di natura metodologica in cui incorre la richiesta ex art. 629 bis c.p.p. svolta dal ricorrente è costituita da un’evidente confusione tra l’istituto giuridico dell’assenza e quello della contumacia.

Il previgente sistema della contumacia, ricorrente quando l’imputato, benché ritualmente citato, e non legittimamente impedito non compariva nel processo, si basava su un fatto giuridico positivo, cioè la sussistenza di una regolare vocatio in judicium, su un atto giuridico negativo, cioè la mancata comparizione e contestualmente sulla mancanza di prova dell’avvenuta conoscenza, essendo previsto dall’art. 420 bis c.p.p. il dovere per il giudice di disporre la rinnovazione della notificazione solo quando era provato, o vi era comunque la probabilità, che l’imputato non ne avesse avuto effettiva conoscenza degli atti, nonostante la regolarità della notificazione.

Tale impostazione, modificata già con un primo intervento legislativo risalente al 2005 in ordine all’istituto della restituzione in termini di cui all’art. 175 c.p.p.. con la soppressione dell’onere a carico dell’imputato di provare, in negativo, la non conoscenza effettiva della esistenza del procedimento e l’assenza di colpa, è stata integralmente sovvertita dalla L. 28 aprile 2014, n. 67 che, nell’eliminare la figura della contumacia, ha istituito la disciplina del processo "in assenza" dell’imputato, ridisegnando i presupposti in presenza dei quali il processo può essere celebrato malgrado la mancata partecipazione di costui introducendo, pur senza modificare la disciplina delle notificazioni all’imputato, l’istituto della sospensione del processo per coloro per i quali vi non è la prova nè della conoscenza della data della udienza, nè dell’esistenza del procedimento e prevedendo strumenti restitutori volti a garantire, nel caso di illegittima celebrazione del processo in assenza, la regressione e, quindi, la celebrazione di un nuovo "processo" in cui esercitare il diritto di difesa limitato in quello "ingiustamente" celebrato in assenza.

È in tale contesto che si inserisce l’istituto della rescissione del giudicato, dapprima regolato dall’art. 625-ter, introdotto anch’esso dalla L. n. 67 del 2014, e poi modificato dalla L. 23 giugno 2017, n. 103 con l’introduzione dell’art. 629 bis c.p.p. e contestuale abrogazione della norma previgente. Il presupposto su cui si fonda la richiesta di rescissione è che il processo che ne costituisce l’oggetto si sia svolto in assenza dell’imputato, come si evince dalla stessa littera legis prevedendo il comma 1 che l’istanza possa essere presentata dal condannato "nei cui confronti si sia proceduto in assenza per tutta la durata del processo".

La disposizione non può dunque riguardare un "contumace" quale è stato dichiarato il richiedente nel processo a suo carico, cui non si applica la disciplina del processo in assenza essendo stata la pronuncia di primo grado emessa in data 3.11.2011 (prevedendo la disciplina transitoria della L. n. 67 del 2014 contenuta nell’art. 15 bis della stessa legge che le relative disposizioni trovino applicazione per i procedimenti in corso a condizione che in essi non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado).

Come infatti chiarito da questa Corte nel suo supremo consesso la richiesta finalizzata alla rescissione del giudicato, seppur riferita al previgente art. 625 ter c.p.p. (ma la previsione dell’art. 629 bis è quanto ai presupposti dell’azione rimasta inalterata), "si applica solo ai procedimenti nei quali è stata dichiarata l’assenza dell’imputato a norma dell’art. 420-bis c.p.p., come modificato dalla L. 28 aprile 2014, n. 67, mentre ai procedimenti contumaciali trattati secondo la normativa antecedente alla entrata in vigore della L. 28 aprile 2014, n. 67, continua ad applicarsi la disciplina della restituzione nel termine per proporre impugnazione dettata dall’art. 175 c.p.p., comma 2, nel testo previgente: per questi ultimi non può profilarsi, in mancanza di espresse previsioni normative, alcuna questione di diritto intertemporale, essendo evidente che essi, svoltisi secondo il regime contumaciale o secondo quello della assenza, come anteriormente disciplinati, non potrebbero risentire del jus superveniens, che si riferisce esplicitamente a un imputato "assente" nei termini definiti dalla nuova disciplina (cfr. Sez. U, n. 36848 del 17/07/2014 - dep. 03/09/2014, Burba, Rv. 259990).

Non avendo pertanto l’odierno ricorrente accesso, in quanto contumace, all’impugnazione straordinaria ex art. 629 bis c.p.p. ne consegue che già sotto tale preliminare profilo il ricorso debba essere dichiarato inammissibile.

1.2. In ogni caso, anche seguendo il provvedimento impugnato e le doglianze ad esso rivolte, si perviene ad analoghe conclusioni.

Del tutto fallace risulta la premessa su cui si fondano le censure articolate con il presente ricorso, secondo le quali le notifiche degli atti del processo in esame andavano effettuate nei confronti dell’imputato secondo le previsioni di cui al’art. 157 c.p.p. e ss., con conseguente necessità di effettuare le necessarie ricerche contemplate dal successivo art. 159, salvo eventualmente sfociare in un decreto di irreperibilità (che sarebbe stato comunque evitato, secondo la difesa, dall’espletamento delle indagini anagrafiche che avrebbero permesso di appurare che il prevenuto risiedeva in (omissis) all’indirizzo di via (omissis) dove sarebbero state ritualmente eseguite le notifiche di altro procedimento penale svoltosi innanzi al Tribunale di Tivoli e conclusosi con sentenza di assoluzione n. 234/2012).

Il meccanismo previsto dagli artt. 157 ss c.p.p., che prevede che le notificazioni successive alla prima, eseguita nei confronti di imputato non detenuto nei luoghi ivi indicati, vadano effettuate, nel caso di nomina di difensore di fiducia, presso quest’ultimo o, in assenza di tale nomina, seguendo le scansioni della medesima norma, non opera nel caso in cui l’imputato abbia dichiarato o eletto di domicilio, trovando invece applicazione il disposto di cui all’art. 161 c.p.p.. Ciò è quanto avvenuto nel caso di specie in cui l’odierno ricorrente risulta, essendo stato convocato dalla P.G. nella fase delle indagini preliminari del procedimento oggetto della presente istanza di rescissione, aver in data 12.6.2007 dichiarato domicilio presso la sua residenza di (omissis) . Poco importa che la suddetta dichiarazione sia avvenuta nella veste, allora, di indagato posto che il meccanismo di cui all’art. 161, previsto sin dalla fase delle indagini preliminari, si estende anche alla fase successiva del processo prevedendo che le notifiche, nell’ipotesi in cui la dichiarazione o l’elezione di domicilio sia diventata inidonea, vadano effettuate al difensore, secondo quanto disposto dalla norma di chiusura contenuta nel comma 4. L’impossibilità di eseguire le notifiche presso il luogo di cui alla dichiarazione di domicilio, che traspare comunque dalle allegazioni difensive che evidenziano che dal 2007 in poi il D. abbia risieduto non solo a () ma altresì a (omissis) e a (), risulta nella specie essere stata verificata dalla stessa ordinanza impugnata laddove afferma che presso il domicilio di () era stata tentata in data 28.2.2008 la notifica della citazione dell’udienza preliminare con allegata la richiesta di rinvio a giudizio senza che, come attestato dalla relata di notifica, il destinatario fosse stato rinvenuto all’indirizzo, nè il suo nominativo figurasse sui citofoni o sulle cassette postali e che ciò si era ripetuto anche in data 20.12.2010, in occasione della notifica dell’estratto contumaciale (non applicandosi al procedimento de quo, come già rilevato, la nuova normativa del processo in assenza) a seguito della pronuncia della sentenza di primo grado.

Che tale impossibilità fosse dipesa da un trasferimento di costui ad altra residenza o dalle vicende relative al cambio del suo cognome (rispondendo l’imputato a tale epoca per effetto di una pratica di ricongiungimento familiare con la moglie già residente in Italia al nominativo di D.I. , ma avendo successivamente riacquisito il suo nominativo originario di H.I. ) è circostanza che non emerge posto che rispetto a tale accertamento il ricorrente non prende posizione, limitandosi a ribadire che la sua residenza fosse in (), ancorché smentito dalle sue stesse allegazioni.
Certo è che da nessuna illegittimità possono ritenersi affette le notifiche eseguite al difensore in conformità a quanto previsto dall’art. 161, comma 4, nella specie costituito da quello nominato di ufficio posto che quello di fiducia aveva rinunciato al mandato, circostanza ammessa dallo stesso ricorrente, in data 1.4.2008. Ove infatti nell’ipotesi di cui al comma 2, e dunque in presenza di un domicilio validamente eletto o dichiarato e dunque astrattamente idoneo secondo la dichiarazione iniziale dell’imputato, sopravvenga l’impossibilità di eseguire ivi la notifica, quest’ultima deve essere effettuata al difensore secondo quanto espressamente stabilito dal comma 4 che equipara tale ipotesi a quella della mancata dichiarazione o elezione di domicilio ab initio da parte dell’imputato, cui è naturalmente assimilata quella in cui i dati del domicilio, seppur resi, risultino insufficienti o inidonei alla concreta individuazione dell’indirizzo indicato. Come già ripetutamente affermato da questa Corte l’impossibilità della notificazione al domicilio dichiarato o eletto, che ne legittima l’esecuzione presso il difensore secondo l’art. 161 c.p.p., comma 4, può essere integrata anche dalla temporanea assenza dell’imputato al momento dell’accesso dell’ufficiale notificatore, senza che sia necessario procedere ad una verifica di vera e propria irreperibilità, così da qualificare come definitiva l’impossibilità di ricezione degli atti nel luogo eletto dall’imputato, considerato l’onere incombente su quest’ultimo, una volta avvisato della pendenza di un procedimento a suo carico, di comunicare ogni variazione dell’iniziale elezione di domicilio (così Sez. 3, n. 21626 del 15/04/2015, Cetta, Rv. 263502; conf. Sez. 3, n. 10227 del 24/01/2013, Imbastari, Rv. 254422; Sez. 3, n. 12909 del 20/01/2016 - dep. 31/03/2016, Pinto, Rv. 26815801 che ha precisato che non è necessario il previo doppio accesso dell’ufficiale giudiziario nel domicilio eletto, prescritto unicamente dall’art. 157 c.p.p., comma 7, per la prima notificazione all’imputato non detenuto quando il destinatario è reperibile nel luogo della notificazione ma le persone indicate nel comma 1 di detto articolo mancano o sono inidonee o si rifiutano di ricevere l’atto).
Alla luce dei sovraesposti rilievi deve quindi escludersi che il ricorrente versasse nella incolpevole mancata conoscenza del processo: infatti mentre la legge ricollega alla volontarietà di atti quali l’elezione o dichiarazione di domicilio o la nomina di un difensore di fiducia una presunzione assoluta di conoscenza, rendendo priva di fondamento la distinzione tra processo e procedimento su cui indulge la difesa, la citata disciplina in tema di notifiche individua, d’altra parte, in capo all’accusato consapevole del procedimento a suo carico uno specifico onere di diligenza che si declina sia nell’esercizio dei poteri e delle facoltà accordategli, sia nel dovere di attivarsi, al fine di non intralciare il regolare svolgimento del processo, comunicando gli eventuali mutamenti del domicilio da lui stesso indicato od eletto, cui va assimilata la peculiare contingenza ricorrente nel caso di specie del cambio di cognome, in quanto incidente anch’essa sulla sua concreta reperibilità.

2. Manifestamente infondato è il terzo motivo di ricorso. A tale riguardo è sufficiente rilevare che l’eccepita incostituzionalità dell’art. 429 bis c.p.p. è questione del tutto irrilevante trattandosi di norma che non trova applicazione nel presente giudizio.
Segue all’esito del ricorso la condanna del ricorrente a norma dell’art. 616 c.p.p. al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo elementi, alla luce della sentenza 13 giugno 2000 n. 186 della Corte costituzionale, per ritenere che abbia proposto la presente impugnativa senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento di una somma equitativamente liquidata alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.