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Rescissione del giudicato o restituzione in termini? (Cass. 36848/14)

3 settembre 2014, Cassazione penale

La richiesta finalizzata alla rescissione del giudicato si applica solo ai procedimenti nei quali è stata dichiarata l'assenza dell'imputato a norma dell'art. 420 bis c.p.p., come modificato dalla L. 28 aprile 2014, n. 67.

Ai procedimenti contumaciali trattati secondo la normativa antecedente alla entrata in vigore della L. 28 aprile 2014, n. 67, continua ad applicarsi la disciplina della restituzione nel termine per proporre impugnazione dettata dall'art. 175 c.p.p., comma 2, nel testo previgente.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE PENALI

Sent., (ud. 17/07/2014) 03-09-2014, n. 36848

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SANTACROCE Giorgio - Presidente -

Dott. CHIEFFI Severo - Consigliere -

Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere -

Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere -

Dott. CONTI Giovan - rel. Consigliere -

Dott. VECCHIO Massimo - Consigliere -

Dott. DAVIGO Piercamillo - Consigliere -

Dott. DIOTALLEVI Giovanni - Consigliere -

Dott. VESSICHELLI Maria - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sulla richiesta ex art. 625 ter c.p.p., proposta da:

B.E. (o E.), nato in (OMISSIS);

per la rescissione del giudicato derivante dalla sentenza in data 21 aprile 2009 della Corte di appello di Torino;

visti gli atti;

udita la relazione svolta dal componente Giovanni Conti;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell'Avvocato Generale Carlo Destro, che ha concluso chiedendo che la richiesta sia dichiarata inammissibile;

udito per il richiedente B.E. l'avv. Mario Pisani, che ha concluso per l'accoglimento della richiesta e in subordine per la conversione della stessa quale richiesta di restituzione nel termine per la impugnazione ai sensi dell'art. 175 c.p.p..

Svolgimento del processo
1. Con richiesta di rescissione del giudicato proposta ex art. 625 ter c.p.p., nell'interesse di B.E., depositata presso la Corte di cassazione in data 20 maggio 2014, il difensore e procuratore speciale avv. Massimo Pisani sollecitava la revoca della sentenza di condanna alla pena complessiva di 22 anni di reclusione pronunciata - in parziale riforma della sentenza in data 22 aprile 2008 del Tribunale di Torino - dalla Corte di appello di Torino in data 21 aprile 2009, divenuta definitiva per mancata impugnazione.

2. Si precisava che il condannato era stato arrestato in Albania in data 21 aprile 2014 a seguito di domanda di estradizione avanzata dal Governo Italiano fondata sull'ordine di esecuzione emesso in data 12 dicembre 2009, ex art. 656 c.p.p., comma 1, dalla Procura Generale presso la Corte di appello di Torino.

3. A ragione della richiesta si osservava che, come risultava dalla documentazione allegata, il B. non aveva mai avuto conoscenza del procedimento penale o del provvedimento di condanna, essendo stato ogni atto notificato secondo il regime della latitanza ai sensi dell'art. 165 c.p.p., presso il difensore nominato d'ufficio il quale era stato nell'impossibilità di contattarlo e di instaurare con lui alcun rapporto professionale.

Nella richiesta si formulava riserva di produrre la documentazione relativa alla procedura estradizionale "allorquando perverrà all'Ufficio Esecuzione della Procura Generale presso la Corte di appello di Torino".

4. Con decreto in data 29 maggio 2014, il Primo Presidente, rilevato che il nuovo istituto della rescissione del giudicato previsto dall'art. 625 ter c.p.p., inserito dalla L. 28 aprile 2014, n. 67, art. 11, comma 5, entrata in vigore il 17 maggio 2014, implicava la definizione di inedite modalità procedurali e la soluzione di problemi di diritto intertemporale, aspetti entrambi di speciale importanza, assegnava il procedimento alle Sezioni Unite penali, a norma dell'art. 610 c.p.p., comma 2, fissando per la trattazione l'odierna udienza in camera di consiglio.

Motivi della decisione
1. Il rimedio della "rescissione del giudicato" è stato introdotto, contestualmente al superamento del giudizio contumaciale, dalla L. 28 aprile 2014, n. 67, che, con l'art. 11, comma 5, ha inserito nel codice di procedura penale l'art. 625 ter, recante appunto tale rubrica.

La scarna enunciazione normativa e il carattere inedito dell'istituto impongono in via preliminare di chiarirne presupposti, formalità, modalità applicative ed effetti decisori, anche al fine di vagliare la ritualità della presente richiesta.

2. Il soggetto che deve presentare la richiesta "a pena di inammissibilità" è l'"interessato", di cui è menzione nel comma 2 dell'art. 625 ter, da intendersi, come anticipato dal comma 1, il "condannato o il sottoposto a misura di sicurezza con sentenza passata in giudicato, nei cui confronti si sia proceduto in assenza per tutta la durata del processo", ovvero, in suo luogo, il "difensore munito di procura speciale autenticata nelle forme dell'art. 583, comma 3".

Nella specie la richiesta è stata ritualmente proposta dall'avv. Massimo Pisani che ha allegato una procura speciale rilasciata in Tirana in data 16 maggio 2014 e legalizzata in data 19 maggio 2014.

3. Il termine entro il quale deve essere proposta la richiesta, a pena di inammissibilità (sempre in base all'art. 625 ter, comma 2), è quello di "trenta giorni dall'avvenuta conoscenza del procedimento".

Nella richiesta in esame è precisato che l'interessato ha avuto conoscenza del procedimento in data 21 aprile 2014, quando egli venne arrestato dalle autorità albanesi a seguito di richiesta di estradizione dell'autorità italiana.

La richiesta è stata depositata in Corte di cassazione (Cancelleria centrale): il 27 maggio 2014, e quindi oltre il termine di trenta giorni dall'asserita data di conoscenza del procedimento. Va peraltro considerato che la L. 28 aprile 2014, n. 67 (pubblicata in G.U. del 2 maggio 2014), che ha introdotto l'art. 625 ter c.p.p., è entrata in vigore il 17 maggio 2014, sicchè deve ritenersi che la decorrenza del termine di trenta giorni non possa comunque collocarsi prima di tale data.

4. In assenza di una specifica indicazione normativa al riguardo, potrebbe pensarsi che la richiesta debba appunto essere depositata in Corte di cassazione (al pari di quanto previsto per il ricorso straordinario per errore di fatto ex art. 625 bis c.p.p., comma 2).

Tuttavia, nonostante si verta qui in una procedura che trae formalmente impulso da una richiesta diretta alla Corte di cassazione, a ben vedere deve ritenersi che sia applicabile (come sostenuto dai primi commentatori) l'art. 582 c.p.p., che fa riferimento come luogo di presentazione alla "cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato", da intendere in questo caso come "cancelleria del giudice la cui sentenza è stata posta in esecuzione". Il richiamo alle regole generali concernenti la presentazione delle impugnazioni appare infatti avvalorato dal riferimento fatto nell'art. 625 ter, comma 2, all'art. 583 c.p.p., comma 3, sia pure ai fini della formalità dell'autenticazione della sottoscrizione dell'atto.

In ogni caso, non pare possano sussistere dubbi circa la natura di mezzo di impugnazione (straordinario) della richiesta in esame, dato che con essa - non diversamente da altro mezzo di impugnazione straordinario attivato tramite la formalità di una richiesta, quello della revisione ex art. 630 c.p.p. - è perseguito l'obiettivo del travolgimento del giudicato e - in questo caso - l'instaurazione ab initio del processo.

Del resto, in un'altra evenienza in cui la Corte di cassazione è investita di una richiesta (e non di un ricorso), quello della rimessione del processo ex art. 45 c.p.p., una specifica norma (art. 46 c.p.p., comma 1) prescrive che la richiesta "è depositata, con i documenti che vi si riferiscono, nella cancelleria del giudice" e poi che il giudice "trasmette immediatamente alla Corte di cassazione la richiesta con i documenti allegati e con eventuali osservazioni".

Questa appare essere la procedura più appropriata anche per la rescissione del giudicato, dato che essa presuppone inevitabilmente l'esame degli atti del procedimento di merito.

Va peraltro chiarito che, pur essendo stabilito - come subito si preciserà - un onere probatorio in capo al richiedente, che implica l'allegazione di una documentazione a sostegno, deve escludersi che sia inibita alla Corte di cassazione l'acquisizione, eventualmente anche in sede di esame preliminare, di documentazione integrativa, potendo essere necessario chiarire aspetti ambigui o colmare possibili lacune o verificare la rispondenza della documentazione esibita alla realtà processuale.

Nella specie, come detto, la richiesta è stata irritualmente depositata presso la Corte di cassazione. Da ciò deriva un primo profilo di inammissibilità ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), che non esime però le Sezioni Unite dallo sviluppare ulteriori rilievi sulla esaminabilità della richiesta, in considerazione dello speciale compito nomofilattico ad essa assegnato in presenza di un istituto affatto inedito, quale quello delineato dall'art. 625 ter c.p.p..

5. La rescissione del giudicato può essere disposta solo a condizione che il condannato "provi che l'assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo".

Da ciò, come detto, è ricavabile un onere a carico del richiedente di allegazione della documentazione a sostegno, che nella specie è stato formalmente assolto.

Dunque, diversamente dalla disciplina della restituzione nel termine per proporre impugnazione di cui all'art. 175 c.p.p. - come novellata nell'anno 2005 a seguito delle ripetute condanne della Corte EDU (per tutte, sent. 10/11/2004, Sejdovic c. Italia) - in questo nuovo rimedio a favore del condannato grava sullo stesso l'onere di provare la mancata conoscenza del processo a suo carico.

La previsione appare avere una sua plausibilità, in ragione degli specifici accertamenti ora demandati al giudice ai fini della verifica dei presupposti per la dichiarazione di assenza di cui al novellato art. 420 bis c.p.p..

6. A differenza da quanto previsto per il ricorso straordinario per errore di fatto (art. 625 bis c.p.p.) nella disciplina in esame manca una specificazione circa la procedura da seguire davanti alla Corte di cassazione.

Potrebbe ritenersi dunque alternativamente che la Corte di cassazione: a) decida de plano (senza acquisire il parere del Procuratore Generale); b) decida in camera di consiglio non partecipata ex art. 611 c.p.p.; c) decida in camera di consiglio partecipata ex art. 127 c.p.p.; d) decida in udienza pubblica.

Ad avviso delle Sezioni Unite, la soluzione sub a), in analogia a quanto previsto dall'art. 625 bis c.p.p., può essere seguita solo se il prevedibile esito della richiesta sia di inammissibilità o di manifesta infondatezza, subordinatamente dunque a una sommaria valutazione in tal senso in sede di esame preliminare da parte del Primo Presidente ex art. 610 c.p.p., comma 3, essendo invece logicamente incompatibile una simile procedura ove essa debba sfociare in un accoglimento della richiesta con conseguente revoca della sentenza passata in giudicato ex art. 625 ter c.p.p., comma 3.

Di regola, tuttavia, in mancanza di specificazioni normative, deve ritenersi che la Corte di cassazione decida in camera di consiglio senza intervento delle parti, ex art. 611 c.p.p., esclusa dunque la forma camerale partecipata ex art. 127 c.p.p., e, tanto più, quella della udienza pubblica (v. al riguardo, per considerazioni generali in tema di rito camerale in Corte di cassazione, Sez. U, n. 9857 del 30/10/2008, dep. 2009, Manesi, Rv. 242291.

Va peraltro dato atto che l'assoluta novità del caso ha indotto il Primo Presidente a disporre la trattazione del presente procedimento davanti alle Sezioni Unite nella forma della camera di consiglio partecipata.

7. Pur non essendo stata sollecitata nel caso in esame dal richiedente, appare opportuno chiarire se una sospensione provvisoria dell'esecuzione possa essere disposta, al pari di quanto previsto dall'art. 625 bis c.p.p., comma 2, secondo periodo, per i "casi di eccezionale gravità".

Il mero rilievo che una simile possibilità non è contemplata dall'art. 625 ter, non può condurre ad escluderla, a pena di determinare il rischio di evidenti lesioni di aspettative del richiedente, incidenti sulla libertà personale, che appaiano prima facie fondate.

Si ritiene dunque in proposito ineludibile una interpretazione "di sistema", basata cioè sui casi che presentano un'analoga ratio: oltre all'art. 625 bis, prevedono infatti la possibilità di una sospensione della esecuzione l'art. 666 c.p.p., comma 7, e art. 670 c.p.p., comma 2.

8. Va ora presa specificamente in esame la richiesta proposta da B.E., il che presuppone, preliminarmente al merito, di definire l'ambito di applicabilità del nuovo istituto.

8.1. L'art. 625 ter, comma 1, prevede che la richiesta possa essere presentata dal condannato "nei cui confronti si sia proceduto in assenza per tutta la durata del processo".

La disposizione non può dunque riguardare un "contumace" quale è stato dichiarato il richiedente nel processo a suo carico.

Quanto all'imputato "assente", situazione che comunque non attiene al caso in esame, il riferimento non può che essere indirizzato alla nuova figura dell'assente (art. 420 bis, come sostituito dalla L. n. 67 del 2014), dato che in precedenza tale era solo l'imputato che avesse espressamente consentito a che il processo si svolgesse senza la sua presenza o l'imputato detenuto che avesse rifiutato di assistervi (v. previgente art. 420 quinquies), da ciò derivandone la sicura conoscenza del procedimento.

Per i processi definiti, anche solo nei gradi di merito, antecedentemente alla entrata in vigore della L. n. 67 del 2014, non può dunque profilarsi, in mancanza di espresse previsioni normative, alcuna questione di diritto intertemporale, essendo evidente che essi, svoltisi secondo il regime contumaciale o secondo quello della assenza, come anteriormente disciplinati, non potrebbero risentire del jus superveniens, che si riferisce esplicitamente a un imputato "assente" nei termini definiti dalla nuova disciplina.

Disposizioni di carattere intertemporale sono contenute nel d.d.l. n. S.1517, all'atto della presente decisione in corso di esame da parte del Senato nel testo approvato dalla Camera (atto C.2344), che è il caso di menzionare solo per una conferma della volontà del legislatore di non rendere retroattiva la nuova disciplina, prevedendosi anzi in esso che questa sia applicale ai soli processi in corso nei quali non sia stata già dichiarata la contumacia e comunque non oltre la decisione di primo grado.

8.2. Consegue che, anche per tale ragione, la richiesta, diretta ad ottenere un esito, quello della rescissione del giudicato, di cui mancano i presupposti applicativi, va valutata come inammissibile.

9. L'avv. P, alla odierna udienza, ha chiesto in subordine di qualificare la richiesta come diretta alla restituzione nel termine per proporre impugnazione ai sensi dell'art. 175 c.p.p..

9.1. Questa subordinata richiesta presuppone che, per i procedimenti svoltisi secondo il rito contumaciale prima della entrata in vigore della L. n. 67 del 2014, la disciplina della restituzione nel termine di cui all'art. 175 c.p.p., comma 2, - nel testo previgente - abbia efficacia ultrattiva ovvero, secondo una inversa e forse preferibile prospettiva concettuale, che la cessazione di operatività di detta disciplina coincida con l'applicabilità della nuova normativa sul procedimento in assenza.

Ora, come è stato posto in evidenza, detta nuova disciplina sul procedimento in assenza, e in particolare il rimedio della rescissione del giudicato di cui all'art. 625 ter c.p.p., si rivolge espressamente a regolare gli effetti di atti processuali posteriori alla sua entrata in vigore, con la conseguenza che a regolare gli effetti degli atti processuali precedenti non possono che provvedere le disposizioni vigenti al momento della loro verificazione.

Corrisponde del resto alla comune riflessione giuridica l'assunto per cui, dovendosi distinguere la sfera di vigenza delle disposizioni dalla sfera di efficacia (vale a dire, di applicabilità) delle norme, il fenomeno abrogativo, in mancanza di espresse previsioni in senso diverso - ascrivibili alla ipotesi della abrogazione c.d. "retroattiva" - non importa la cessazione dell'efficacia delle norme abrogate ma soltanto la loro incapacità di regolare situazioni nuove.

9.2. Ciò precisato, la subordinata domanda avanzata dall'avv. P in udienza è inammissibile, in quanto, pur avendo una causa petendi - quella della asserita non conoscenza da parte di B. del procedimento penale a suo carico - comune a quella su cui si fonda la richiesta formalmente depositata, essa è radicalmente avulsa dal petitum in quest'ultima precisato, diretto esclusivamente alla rescissione del giudicato ex art. 625 ter c.p.p., con conseguente richiesta di revoca della sentenza di appello e di trasmissione degli atti al giudice di primo grado.

Una simile diversa richiesta potrà del resto essere successivamente presentata, non risultando essere allo stato superato il termine per la sua proposizione, decorrente, per un soggetto nei cui confronti, come si sostiene, è stata formulata domanda di estradizione, dalla sua consegna all'autorità giudiziaria italiana (art. 175 c.p.p., comma 2 bis, secondo periodo).

E' poi appena il caso di sottolineare che la richiesta non potrebbe nemmeno essere qualificata come incidente di esecuzione ai sensi dell'art. 670 c.p.p., posto che il richiedente non fa questione della esistenza di un valido titolo esecutivo, anzi lo presuppone chiedendone la invalidazione solo sulla base dell'assunto della mancata conoscenza del procedimento.

10. Devono essere dunque conclusivamente enunciati i seguenti principi di diritto:

"La richiesta finalizzata alla rescissione del giudicato, di cui all'art. 625 ter c.p.p., che per la sua natura di mezzo di impugnazione deve essere depositata nella cancelleria del giudice di merito la cui sentenza è stata posta in esecuzione con allegazione dei documenti a sostegno, e che è esaminata dalla Corte di cassazione secondo la procedura camerale di cui all'art. 611 c.p.p., si applica solo ai procedimenti nei quali è stata dichiarata l'assenza dell'imputato a norma dell'art. 420 bis c.p.p., come modificato dalla L. 28 aprile 2014, n. 67".

"Ai procedimenti contumaciali trattati secondo la normativa antecedente alla entrata in vigore della L. 28 aprile 2014, n. 67, continua ad applicarsi la disciplina della restituzione nel termine per proporre impugnazione dettata dall'art. 175 c.p.p., comma 2, nel testo previgente".

11. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, in base alla generale previsione dell'art. 592 c.p.p. - attesa, come detto, la natura di mezzo di impugnazione straordinario della richiesta in esame - la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Dichiara la richiesta inammissibile e condanna il richiedente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 17 luglio 2014.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2014