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Reato rovistare nei cassonetti dell'usato (Cass. 14960/18)

4 aprile 2018, Cassazione penale

Rovistare nei cassonetti degli abiti usati ed appropriarsene è furto aggravato.

Non ogni azione violenta successiva al furto integra il reato di rapina impropria: se l'azione violenta scaturisce non dalla volontà di compiere il fumo, ma piuttosto dalla riluttanza dell'imputata a seguire gli agenti per effettuare le procedure di identificazione, non c'è unitarietà dell'azione e quindi si può condannare per rapina impropria. 


CORTE DI CASSAZIONE

SEZ. II PENALE  SENTENZA 4 aprile 2018, n.14960

Pres. Prestipino – est. Recchione


Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Venezia decidendo sull'appello proposto dal pubblico ministero ribaltava la sentenza di primo grado, che aveva assolto la Ch. dal reato di furto aggravato (abiti sottratti da un cassonetto per la raccolta di vestiti usati), condannava la stessa per il fatto contestato, qualificandolo come rapina impropria; confermava inoltre la condanna per il reato di resistenza a pubblico ufficiale che veniva ritenuto avvinto a quello di rapina impropria dal vincolo della continuazione.

2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva:

2.1. vizio di legge: la Corte di appello avrebbe dovuto dichiarare estinti per decorso del termine di prescrizione i reati come originariamente qualificati (furto aggravato e resistenza a pubblico ufficiale), che sarebbe interamente decorso alla data della sentenza impugnata;

2.2. vizio di legge: la qualificazione del fatto nella più grave fattispecie prevista dall'art. 628 cod. pen. avrebbe dovuto comportare la trasmissione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell'art. 521 bis cod. proc. pen. dato che il reato nella nuova qualificazione richiedeva la celebrazione dell'udienza preliminare, che non si era svolta;

2.3. vizio di legge e di motivazione: le emergenze processuali raccolte sarebbero incompatibili con la qualificazione giuridica assegnata al fatto in appello, dato non vi sarebbe connessione tra la condotta violenta e l'appropriazione; si deduceva inoltre che avrebbe dovuto essere considerata la possibilità di inquadrare il fatto come tentata rapina impropria ed avrebbe dovuto essere assorbita in tale fattispecie la contestazione relativa al reato di resistenza.

 

Considerato in diritto

 

1. Il primo motivo di ricorso è fondato ed assorbe gli altri motivi.

1.1. Il collegio ribadisce che è configurabile il reato di rapina impropria nel caso in cui sussista un rapporto di immediatezza tra sottrazione della cosa e violenza utilizzata per assicurarsi l'impunità (Cass. sez. 5, n. 12597 del 30/11/2016 - dep. 15/03/2017, P.G. in proc. Migliaccio, Rv. 269477). Tale nozione di 'immediatezza' è stata estensivamente interpretata fino a ritenere che la violenza o la minaccia possono realizzarsi anche in luogo diverso da quello della sottrazione della cosa e in pregiudizio di persona diversa dal derubato, sicché, per la configurazione del reato, non è richiesta la contestualità temporale tra sottrazione e uso della violenza o minaccia, essendo sufficiente che tra le due diverse attività intercorra un arco temporale tale da non interrompere l''unitarietà dell'azione' volta ad impedire al derubato di tornare in possesso delle cose sottratte o di assicurare al colpevole l'impunità (Cass. Sez. 2, n. 43764 del 04/10/2013 - dep. 25/10/2013, Mitrovic e altri, Rv. 257310).

Nei caso di specie quello che difetta è proprio l''unitarietà dell'azione' in quanto la condotta di appropriazione degli abiti trafugati dal cassonetto per la raccolta degli indumenti usati risulta non collegata alla successiva azione violenta che scaturisce, secondo quanto emerge dalla ricostruzione dei fatti effettuata dalla sentenza impugnata (pag. 2), non dalla volontà di appropriarsi dei vestiti, ma piuttosto dalla riluttanza dell'imputata a seguire gli agenti per effettuare le procedure di identificazione; peraltro gli agenti erano non per sventare il furto, ma piuttosto per soccorrere la bambina che accompagnava la Ch. e che si trovava all'interno del cassonetto.

Tale frazionamento sia materiale che psicologico della condotta non consente di rinvenire tra l'azione violenta e l'impossessamento degli abiti usati il nesso necessario per configurare la rapina impropria.

Il fatto pertanto deve essere nuovamente qualificato come furto aggravato ai sensi dell'art. 625 n. 7) cod. pen. essendo corretta la originaria qualificazione assegnata alla condotta dal pubblico ministero.

1.2. Tanto premesso deve rilevarsi che all'epoca della pronuncia della sentenza di appello, ovvero alla data del 15 gennaio 2015, risultava decorso il termine massimo di prescrizione per il reati come originariamente contestati (ovvero furto aggravato e resistenza), essendo lo stesso irrimediabilmente spirato il 23 novembre 2013.

La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio perché i reati sono estinti per decorso del termine massimo di prescrizione.

 P.Q.M.

 

Riqualificato il fatto ritenuto in sentenza come rapina impropria ai sensi degli artt. 624 e 625 n. 7 cod. pen. annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché i reati sono estinti per prescrizione.