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Reato il saluto romano (Cass. pen., 37577/14)

12 settembre 2014, Cassazione penale

Inalterata nel tempo la esigenza di tutela delle istituzione democratiche, è legittima l'incriminazione di condotte che risultino possibili e concreti antecedenti causali di ciò che resta costituzionalmente inibito, ossia la riorganizzazione del disciolto partito fascista, e ciò in relazione alle modalità di realizzazione delle stesse (pubblicità delle condotte).

Corte di Cassazione

sentenza n. 37577 (25 marzo /  12 settembre 2014)

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 31 maggio 2012 la Corte d'Appello di Trento, Sezione Distaccata di Bolzano, confermava la decisione di primo grado emessa dal Tribunale di Bolzano, con adozione del rito abbreviato, in data 26 aprile 2011 nei confronti di B.A. e G. M..
Costoro, con detta ultima decisione, erano stati ritenuti responsabili del reato previsto e punito dall'art. 5 della legge n. 645 del 30.6.1952, per avere - durante un incontro pubblico tenutosi in Bolzano il 10 febbraio 2009 in memoria delle vittime delle Foibe - compiuto manifestazioni usuali del disciolto partito fascista, consistenti nell'urlare in coro 'presente' e nel fare il saluto romano.
La pena inflitta al B. risulta determinata in mesi due di reclusione ed euro 300,00 di multa, mentre quella inflitta al G.- previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche - risulta determinata in giorni venti di reclusione ed euro 140,00 di multa, sostituita con quella di euro 760,00 di multa.
Essendo pacifica e incontroversa l'attribuzione del fatto, nella sua materialità, agli imputati, la Corte d'Appello così argomentava la decisione di conferma, sui punti devoluti al suo esame:
- non può dirsi fondato il dubbio di costituzionalità della previsione incriminatrice, per preteso contrasto con gli articoli 3, 21 e 117 della Costituzione e ciò in rapporto ai contenuti delle diverse pronunzie intervenute da parte della Corte Costituzionale che hanno dichiarato l'infondatezza di analoghe questioni, data la necessità di interpretare la norma come diretta conseguenza della XII disp. trans. Cost..
Da ciò deriva che non tutte le espressioni di adesione al disciolto partito fascista possono integrare la condotta punibile ma solo quelle rese in pubblico e reputate idonee a provocare adesioni e consensi ed a concorrere alla diffusione di concezioni favorevoli alla ricostituzione di organizzazioni fasciste;
- corretta risulta essere la valutazione della dimensione offensiva del fatto operata nella decisione di primo grado, posto che il cosiddetto 'saluto romano' rappresenta una manifestazione esteriore propria e usuale di organizzazioni o gruppi tesi a diffondere idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale, anche in riferimento a quanto previsto dalla legge n.205 del 1993, come ribadito da recenti decisioni di questa Corte.
La punibilità deriva, ad avviso della Corte territoriale, dal fatto che le manifestazioni usuali del disciolto partito fascista risultano operate in pubblico e pertanto appaiono idonee a determinare una situazione di pericolo per le istituzioni democratiche correlato alla volontà degli agenti di suscitare consensi e diffondere concezioni favorevoli alla ricostituzione di organizzazioni fasciste.
Quanto alle modalità determinative del trattamento sanzionatorio, si richiamavano e ribadivano le valutazioni già espresse in primo grado.
In particolare si evidenziano i numerosi precedenti penali gravanti sul B., in una con la complessiva gravità del fatto, tali da escludere la concedibilità delle attenuanti generiche per detto imputato.

2. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo dei difensori, B.A. e G. M..
Nell'interesse di B.A. risultano depositati due ricorsi.
In quello a firma dell'avv. Domenico Di Tullio si ripropone la questione di costituzionalità della disciplina incriminatrice, per denunziato contrasto con più articoli della costituzione (art. 21, 3 e 117). Le ampie argomentazioni, non riproducibili in questa sede, fanno leva sulla natura di «reato di opinione» della previsione incriminatrice, sull'assenza di lesività in concreto della condotta, sulla necessità di adeguamento della previsione di legge al mutato clima politico e istituzionale, sull'obbligo di adeguamento alla normativa sovranazionale in tema di libera manifestazione delle opinioni.
Nel ricorso personale B.A. articola distinti motivi.
Con il primo si deduce errata applicazione della disciplina incriminatrice, ai sensi dell'art. 606 comma 1 lett. b cod.proc.pen. .
L'evento pubblico, organizzato dall'associazione Casapound in ricordo dei martiri delle foibe, si era svolto regolarmente e senza compimento di alcun atto di violenza. Dovendo trovare applicazione l'interpretazione adeguatrice di cui alla sentenza numero 74 del 1958 Corte Cost., non può attribuirsi alla condotta degli imputati alcuna idoneità lesiva, posto che la norma mira a reprimere esclusivamente quelle manifestazioni idonee a generare il concreto pericolo di riorganizzazione del partito fascista.
Tale pericolo non può essere individuato nel comportamento tenuto dagli imputati, essendosi gli stessi limitati ad atti espressivi della libertà di pensiero e di opinione.
Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione in riferimento alla sussistenza del reato contestato quale reato di pericolo.
L'azione commessa dagli imputati non ha caratteristiche tali da determinare il pericolo di ricostituzione del disciolto partito fascista e sul punto la Corte non motiva la decisione in modo adeguato. Viene compiuto, in sentenza, riferimento alla legge del 1993 in tema di atti discriminatori che non appare conferente.
Inoltre si precisa che essendo il gesto del 'saluto romano' stato compiuto in presenza di circa 50 - 60 persone accomunate dalla medesima affezione ideologica non vi sarebbe alcuna capacità di impressionare o suggestionare i soggetti presenti.
Con il terzo motivo si denunzia erronea applicazione dell'art. 133 cod.pen. in punto di trattamento sanzionatorio. Erronea la valutazione che ha condotto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, della pena sospesa e della conversione in pena pecuniaria. Non vi è stata alcuna turbativa dell'ordine pubblico e la valutazione dei precedenti giudiziari non è stata obiettiva.
Trattasi, per lo più, di reati correlati alla normativa sulla correttezza delle competizioni agonistiche, di modesta gravità.
Il ricorso presentato nell'interesse di G. M. riproduce, nel suo contenuto, i primi due motivi del ricorso appena illustrato, cui pertanto si rinvia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi risultano infondati e vanno, pertanto, rigettati.
1.1 I giudici del merito hanno dato applicazione concreta alla previsione incriminatrice di cui all'art. 5 della legge n.645 del 20 giugno 1952.
Detto testo normativo - novellato ai sensi dell'art. 11 della legge n.152 del 1975 - testualmente recita: chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste è punito con la pena della reclusione sino a tre anni e con la multa da lire 400.000 a 1.000.000 .
Si tratta, in tutta evidenza, di reato di pericolo correlato al fatto che le manifestazioni usuali, evocative del disciolto partito fascista, vengono in rilievo in quanto realizzate durante pubbliche riunioni e pertanto possiedono idoneità lesiva per la tenuta dell'ordinamento democratico e dei valori allo stesso sottesi.
L'intera legge n.645 del 1952 mira infatti a rendere effettiva la XII Disp. Trans. della Costituzione, che prevede - quale corollario dell'approdo al sistema democratico di rappresentanza politica - il divieto di ricostituzione (sotto qualsiasi forma) del disciolto partito fascista.
Vi è pertanto precisa indicazione e selezione normativa - già all'art. 1 - delle condotte reputate idonee a determinare il pericolo di riorganizzazione, nell'ambito delle quali rientrano le manifestazioni esteriori di carattere fascista, in quanto le stesse evidenziano l'adesione di chi le pone in essere al sistema di valori evocato, basato sull' utilizzo della violenza come metodo di lotta politica e sulla discriminazione razziale, e tendono a diffondere detta ideologia .
Non vi è dubbio, pertanto, circa l'avvenuta integrazione del fatto tipico e punibile da parte dei ricorrenti, posto che il «saluto romano» di certo rientra in tali manifestazioni esteriori (si veda, di recente, Sez. I n. 25184 del 4.3.2009, rv 243792) ed è stato posto in essere durante una pubblica manifestazione.
1.2 Nel ricorso proposto nell'interesse di B.A. e sottoscritto dall'avv. Domenico Di Tullio si chiede, pertanto, a questa Corte di valutare la rilevanza e non manifesta infondatezza del contrasto tra detta previsione incriminatrice e le norme costituzionali di cui agli artt. 3, 21 e 117.
In particolare, si afferma che l'incriminazione delle manifestazioni esteriori tipiche del disciolto partito fascista risulterebbe ormai «inattuale» e contrasterebbe con il principio di libera manifestazione del pensiero, con quello di parità di trattamento e con lo stesso obbligo di adeguamento dell'ordinamento interno alle fonti sovranazionali (si indica quale parametro l'art. 10 della Conv. Eur. dei Diritti dell'Uomo).
La XII Disposizione Transitoria della Costituzione non autorizzerebbe - nella prospettiva del ricorrente - la previsione di reati 'di opinione' ma consentirebbe esclusivamente di inibire la realizzazione di concrete forme organizzative del disciolto partito fascista.
Ad avviso del Collegio il dubbio di costituzionalità della norma incriminatrice è manifestamente infondato.
In premessa, va affermato che nulla autorizza a ritenere (come sostenuto dal ricorrente) che il decorso di ormai molti anni dall'entrata in vigore della Costituzione renda scarsamente attuale il rischio di ricostituzione di organismi politico-ideologici aventi comune patrimonio ideale con il disciolto partito fascista o altre formazioni politiche analoghe. L'esigenza di tutela delle istituzioni democratiche non risulta, infatti, erosa dal decorso del tempo e frequenti risultano gli episodi ove sono riconoscibili rigurgiti di intolleranza ai valori dialettici della democrazia e al rispetto dei diritti delle minoranze etniche o religiose. Tale esigenza, avvertita anche in sede sovranazionale, ha dato luogo nel 1993 alla emanazione del d.l. n. 122 del 26.4.'93 (convertito in legge n. 205 del 25.6.'93) proprio sul tema della più efficace repressione di condotte istigatrici o realizzatrici di atti di discriminazione razziale, con attualizzazione della legge n.654 del 1975 di ratifica ed esecuzione della Convenzione Internazionale sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, sottoscritta a New York il 7 marzo 1966.
In tale articolato normativo, oltre a incriminare la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico ed a punire gli atti di discriminazione razziale (anche con specifica previsione di circostanza aggravante applicabile a qualsiasi reato punibile con pena diversa dall'ergastolo) il legislatore ha riproposto l'incriminazione delle «manifestazioni esteriori» tenute in pubbliche riunioni e riconducibili alle organizzazioni o ai gruppi aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (art. 2 della legge n. 205 del '93) il che - ancora una volta - rappresenta conferma del fatto che detti «gesti simbolici» sono ritenuti, dalla generalità dei consociati, idonei a favorire il proselitismo e risultano dunque dotati di obiettiva pericolosità per il mantenimento dei valori della democrazia e dell'uguaglianza tra le persone.
In tal senso, non è privo di significato che anche la recente Carta di Nizza (Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, del 7 dicembre 2000) abbia riaffermato agli articoli 21 e 22, con particolare forza, il divieto di discriminazione e il rispetto della diversità culturale, religiosa e linguistica tra i valori fondanti delle tradizioni costituzionali dell'Unione. Da ciò deriva che le limitazioni, previste anche dall'art. 10 comma 2 della Convenzione Europea, alla libertà di espressione ben possono trovare fondamento nella necessità di assicurare la diffusione di ideali contrari a detti valori fondanti, nella loro dimensione storica ed effettuale.
Operate tali precisazioni - che già valgono ad escludere il rilievo del prospettato parametro di contrasto, rappresentato dai contenuti dell'art. 117 Cost. - va poi ricordato che, sul fonte dei principi di ragionevolezza della incriminazione e di libera manifestazione del pensiero, numerosi sono stati - nel corso del tempo, tra il 1957 e il 1985 - gli interventi della Corte Costituzionale, la cui validità - a parere del Collegio - resta, per quanto sinora detto, immutata.
In particolare, nelle decisioni n. 1 del 1957 (sul tema della apologia del fascismo), n. 74 del 1958 (qui sul tema delle manifestazioni usuali) e n. 15 del 1973 la Corte delle leggi ha ben chiarito - rigettando le questioni allora proposte - la ratio delle incriminazioni contenute nella legge del 1952 e ne ha fissato i limiti interpretativi.
Va escluso, infatti, che la libertà di manifestazione del pensiero possa andare esente da limitazioni lì dove la condotta tenuta risulti violatrice di altri interessi costituzionalmente protetti (si veda quanto affermato dalla stessa Corte nella sentenza n. 65 del 1970 in tema di apologia punibile e di tutela dell'ordine e sicurezza pubblica) e tra questi rientrano le esigenze di tutela dell'ordine democratico cui è preposta la XII disposizione transitoria in tema di divieto di ricostituzione del partito fascista.
Il rapporto tra tale norma e le previsioni incriminatrici di volta in volta scrutinate è chiaramente illustrato nella decisione num. 74 del 1958, ove si afferma, tra l'altro, che .. riconosciuta, in quel particolare momento storico, la necessità di impedire, nell'interesse del regime democratico che si andava ricostruendo, che si riorganizzasse in qualsiasi forma il partito fascista, era evidente che la tutela di una siffatta esigenza non potesse limitarsi a considerare soltanto gli atti finali e conclusivi della riorganizzazione, del tutto avulsi da ogni loro antecedente causale, ma dovesse necessariamente riferirsi ad ogni comportamento che, pur non rivestendo i caratteri di un vero e proprio atto di riorganizzazione, fosse tuttavia tale da contenere in sè sufficiente idoneità a produrre gli atti stessi. Non è infatti concepibile che, mirando al fine di impedire la riorganizzazione, il legislatore costituente intendesse consentire atti che costituissero un apprezzabile pericolo del riprodursi di tale evento .. .
Questo è il motivo per cui risultava allora - come oggi - legittima l'incriminazione di condotte che risultino possibili e concreti antecedenti causali di ciò che resta costituzionalmente inibito, ossia la riorganizzazione del disciolto partito fascista, e ciò in relazione alle modalità di realizzazione delle stesse, posto che ... il fatto deve trovare nel momento e nell'ambiente in cui è compiuto circostanze tali da renderlo idoneo a provocare adesioni e consensi ed a concorrere alla diffusione di concezioni favorevoli alla ricostituzione di organizzazioni fasciste.
Dunque non è la manifestazione esteriore in quanto tale ad essere oggetto di incriminazione, bensì il suo venire in essere in condizioni di 'pubblicità' tali da rappresentare un concreto tentativo di raccogliere adesioni ad un progetto di ricostituzione, il che esclude ogni contrasto con gli invocati parametri costituzionali, alla luce di quanto detto in precedenza.
1.3 Per il resto, i ricorsi ripropongono questioni esclusivamente in fatto, non rivalutabili nella presente sede di legittimità.
E' stata infatti dai giudici del merito correttamente ricostruita la vicenda, con evidente rilievo non del gesto e delle grida compiuti «in quanto tali» ma in un particolare contesto, ossia durante una pubblica manifestazioni in ricordo delle vittime delle foibe, il che costituisce condotta rispondente non solo al modello legale di riferimento ma alla stessa interpretazione adeguatrice testè ricordata.
Il fatto che gli altri partecipanti alla manifestazione condividessero - come prospettato - l'ideologia fascista ed il ricorso agli atti simbolici nulla toglie alla pericolosità concreta della condotta, anzi ne rappresenta una conferma, trattandosi di comportamento idoneo a rafforzare una volontà di riorganizzazione tra più soggetti, nè rileva il mancato compimento - durante la manifestazione - di atti di violenza che avrebbero dato luogo ad incriminazioni diverse ed ulteriori.
Quanto al terzo motivo del ricorso del B., nessun vizio argomentativo è dato scorgere nella motivazione della decisione reiettiva delle circostanze attenuanti generiche.
La sussistenza di precedenti penali - non contestata in fatto dal ricorrente - rappresenta infatti legittimo motivo di diniego della richiesta attenuazione del trattamento sanzionatorio.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 25 marzo 2014

Il Consigliere estensore Il Presidente
Raffaello Magi Arturo Cortese