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Quando un abbraccio è violenza sessuale? (Cass. 378/20)

9 gennaio 2020, Cassazione penale

In tema di violenza sessuale, l'elemento oggettivo consiste sia nella violenza fisica in senso stretto, sia nella intimidazione psicologica che sia in grado di provocare la coazione della vittima a subire gli atti sessuali, sia  anche nel compimento di atti di libidine subdoli e repentini, compiuti senza accertarsi del consenso della persona destinataria, o comunque prevenendone la manifestazione di dissenso.

E' reato abbracciare repentinamente qualcuno di di sorpresa che non non può difendersi: nel caso specifico, una vicina di casa, mentre stava tendendo la mano per salutare l'imputato, fu improvvisamente afferrata per un braccio ed attirata in un abbraccio in cui vi fu il contatto fisico tra i due corpi, compresi i genitali, e il toccamento laterale del seno: ciò che integra la materialità del delitto di violenza sessuale, sia pure nella forma attenuata. 

Corte di Cassazione

sez. III Penale, sentenza 30 ottobre 2019 – 9 gennaio 2020, n. 378
Presidente Izzo – Relatore Corbetta

Ritenuto in fatto

1. Con l'impugnata sentenza, la Corte di appello di Milano confermava la decisione resa dal g.u.p. del Tribunale di Lecco all'esito del giudizio abbreviato e appellata dall'imputato, che, riconosciuta l'attenuante di cui all'art. 609-bis, comma 3, cod. pen. con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti, aveva condannato Da. Ca. alla pena di giustizia, condizionalmente sospesa, per il delitto di cui agli artt. 81 cpv., 61 n. 5, 609-bis, commi 1 e 3, commesso in danno di una vicina di casa.

2. Avverso l'indicata sentenza, l'imputato, per mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.

2.1. Con il primo motivo si eccepisce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 42, commi 1 e 2, 43 cod. pen., 192, 530, commi 1 e 2, 533, comma 1, cod. proc. pen. in relazione alla sussistenza del delitto di violenza sessuale. Assume il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ravvisato gli elementi oggettivi e soggettivi del reato in esame. Pur non contestando la natura "sessuale" degli atti, ad avviso del ricorrente difetterebbero i requisiti della violenza e dell'assenza di consenso da parte della persona offesa; sotto altro profilo, sarebbe quantomeno carente la prova del dolo, che non emergerebbe dalla modalità del fatto come descritto dalla persona offesa nella querela sporta dalla persona offesa il 30/04/2018, nonché dalle sommarie informazioni rese dalla medesima il 03/05/2018 e da La. Ba. il 04/05/2018, atti il cui contenuto è integralmente riportato alle p. 7-10 del ricorso. Da tali atti emergerebbero gli errori in cui sono incorsi i giudici di merito, e cioè: a) la persona offesa afferma in querela che l'imputato la informò che la moglie non era in casa, e, quindi, non corrisponde al vero che l'imputato abbia indotto la donna ad entrare in casa propria con l'inganno; b) la persona offesa non fu costretta ad entrare nell'abitazione dell'imputato; c) la donna non avrebbe manifestato un chiaro dissenso a fronte degli approcci dell'imputato.

2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all'art. 61 n. 5 cod. pen. Ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe espressamente esaminato il motivo di appello con cui si censurava la ritenuta sussistenza dell'aggravante in esame.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile perché reitera le medesime doglianze già dedotte in entrambi i gradi del giudizio di merito e che sono state sempre state disattese con motivazione adeguata, immune da vizi logici e aderente alle emergenze processuali, con la quale il ricorrente omette un effettivo confronto critico.

2. Va rilevato che il ricorrente non contesta l'attendibilità della persona offesa - e, quindi la ricostruzione del fatto come operata dai giudici di merito -, né la natura sessuale degli atti realizzati dal Ca.. essendo le doglianze circoscritte all'insussistenza sia dell'elemento materiale del reato per mancanza di violenza e in difetto della prova del dissenso, sia dell'elemento soggettivo.

3. Ciò posto, il primo motivo è manifestamente infondato.

3.1. Per costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di violenza sessuale, l'elemento oggettivo consiste sia nella violenza fisica in senso stretto, sia nella intimidazione psicologica che sia in grado di provocare la coazione della vittima a subire gli atti sessuali, sia - ed è quanto rileva nella vicenda in esame - anche nel compimento di atti di libidine subdoli e repentini, compiuti senza accertarsi del consenso della persona destinataria, o comunque prevenendone la manifestazione di dissenso (Sez. 3, n. 6945 del 27/01/2004 - dep. 19/02/2004, Manta, Rv. 228493). In altri termini, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 609-bis cod. pen., non è necessaria una violenza che ponga il soggetto passivo nell'impossibilità di opporre una resistenza, essendo sufficiente che l'azione si compia in modo insidiosamente rapido, tanto da superare la volontà contraria del soggetto passivo (Sez. 3, n. 6340 del 01/02/2006 - dep. 17/02/2006, Giuliani, Rv. 233315), così ponendola nell'impossibilità di difendersi (Sez. 3, n. 27273 del 15/06/2010 - dep. 14/07/2010, NI., Rv. 247932).

3.2. Nel caso in esame, i giudici di merito si sono attenuti ai principi ora richiamati, avendo accertato che, a causa la repentinità degli atti realizzati dall'imputato, la persona offesa fu colta di sorpresa e non potè difendersi, essendosi accertato che la donna, mentre stava tendendo la mano per salutare l'imputato, fu improvvisamente afferrata per un braccio ed attirata in un abbraccio in cui vi fu il contatto fisico tra i due corpi, compresi i genitali, e il toccamento laterale del seno: ciò che integra la materialità del delitto di violenza sessuale, sia pure nella riconosciuta forma attenuata.

4. Quanto all'asserita mancanza di dolo, la questione non era stata devoluta con l'atto di appello, di talché essa non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di legittimità.

5. Il secondo motivo è manifestamente infondato per mancanza di interesse. Invero, come evidenziato dalla Corte territoriale, il giudice di primo grado ha riconosciuto la circostanza di cui all'art. 609-bis, comma 3, cod. pen. con giudizio di prevalenza rispetto all'aggravante ex art. 61 n. 5 cod. pen. e alla recidiva. Di conseguenza, l'eventuale insussistenza dell'aggravante - la cui applicazione è stata esclusa, unitamente alla recidiva, dalla ritenuta prevalenza dell'attenuante ex art. 609-bis, comma 3, cod. pen. - non avrebbe comportato un più favorevole trattamento sanzionatorio, né, comunque, il ricorrente ha prospettato un concreto interesse a tal proposito.
6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.