RITENUTO IN FATTO
1. (omissis) mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di indicata in epigrafe, con la quale è stata parzialmente riformata dalla sentenza del G.i.p. del Tribunale di resa all’esito di giudizio abbreviato, di condanna dell’imputato alle pene di giustizia ed al risarcimento del danno nei confronti della parte civile, da determinare in separata sede, in riferimento ai reati di cui agli artt. 81, comma 2, 609-bis e 609-quater, cod. pen.
La Corte territoriale ha rideterminato la pena principale e ha disposto, in favore della parte civile, la provvisionale immediatamente esecutiva pari ad euro 30.000.
L’affermazione di responsabilità, che è stata confermata dal giudice di appello, concerne il reiterato compimento di atti sessuali con la figlia minore.
Il ricorrente, con il primo motivo, denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla attendibilità e alla valenza probatoria assegnate alle dichiarazioni accusatorie promananti dalla persona offesa.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di diniego del riconoscimento della circostanza attenuante della minore gravità del fatto, di cui all’art. 609-quater, quarto comma, cod. pen.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 597 cod. proc. pen., in relazione al divieto di reformatio in peius, essendo stata concessa una provvisionale in favore della parte civile costituita, in mancanza di impugnazione della stessa, così violando il principio devolutivo, oltre alle regole basilari del processo civile, che disciplinano l’azione risarcitoria che pure venga proposta dal danneggiato in sede penale.
2. Con ordinanza emessa in data 27 aprile 2016 la Terza Sezione penale ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite rilevando l’esistenza di un contrasto interpretativo rappresentato dal seguente quesito: se violi il divieto di reformatio in peius la sentenza di secondo grado che accolga la domanda di provvisionale proposta per la prima volta in grado di appello dalla parte civile non impugnante.
4. Il Primo Presidente, con decreto del 26 luglio 2016, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l’odierna udienza pubblica.
5. L’Avvocato generale ha depositato memoria, nella quale, dopo aver richiamato i termini del contrasto giurisprudenziale in esame, ha osservato che merita condivisione l’orientamento che nega il carattere di “domanda nuova” alla richiesta di provvisionale ex art. 539, comma 2, cod. proc. pen. Al riguardo,viene valorizzato l’insegnamento espresso dalla giurisprudenza civile sulla richiesta di provvisionale prospettata per la prima volta in appello, da leggere congiuntamente al principio di immanenza della costituzione di parte civile, elaborato dalla giurisprudenza penale. Esclusa la ricorrenza di una violazione del principio civilistico di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, giacché la provvisionale chiesta in appello si configura come parziale concretizzazione della condanna generica già pronunciata in primo grado, neppure può ritenersi violato il divieto di reformatio in peius, che la giurisprudenza maggioritaria non estende alle statuizioni civili della condanna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La questione rimessa all’esame delle Sezioni Unite, afferente al terzo motivo di ricorso, può essere riassunta nei termini che seguono:
“Se violi il principio devolutivo e il divieto di reformatio in peius la sentenza di appello che accolga la richiesta di una provvisionale proposta per la prima volta in quel giudizio dalla parte civile non appellante”.
2. Il quesito involge il tema dei poteri decisori devoluti al giudice di secondo grado, in rapporto alle statuizioni assunte nel giudizio di primo grado e al contenuto delle impugnazioni proposte dalle parti.
Il contesto processuale, nella richiamata ipotesi, è cosi schematizzabile: il giudice di primo grado, nel pronunciare la condanna dell’imputato, decide, ai sensi dell’art. 538 cod. proc. pen., anche sulla domanda risarcitoria proposta dalla costituita parte civile, pronunziando condanna generica ex art. 539, comma 1, cod. proc. pen.; la sentenza di condanna viene appellata unicamente dall’imputato, che contesta l’affermazione di responsabilità; la parte civile, non appellante, in corso di giudizio di secondo grado, propone, per la prima volta, in ragione delle sopravvenute difficoltà economiche della persona offesa, la richiesta di una provvisionale ex art. 539, comma 2, cod. proc. pen.; il giudice di appello, nel confermare la pronuncia di condanna, statuisce il pagamento di una provvisionale, che è immediatamente esecutiva ex art. 540, comma 2, cod. proc. pen.
3. In ordine alla questione relativa alla legittimità della statuizione adottata dal giudice di appello di accoglimento della richiesta di una provvisionale proposta, per la prima volta, nel giudizio di secondo grado dalla parte civile non appellante, non è delineabile, a ben vedere, un contrasto nell’ambito della recente giurisprudenza di legittimità.
Si è affermato che integra il vizio di motivazione l’omesso esame, da parte del giudice di secondo grado, della richiesta di provvisionale proposta per la prima volta in appello; ciò in considerazione del rilievo che la richiesta di provvisionale si inserisce nella domanda risarcitoria validamente esperita dalla parte civile nel processo penale, di talché il giudice di appello ha il dovere di pronunciarsi sulla richiesta di provvisionale proposta per la prima volta in quella sede, quando in primo grado sia stata pronunciata condanna generica al risarcimento, secondo gli stessi criteri previsti dall’art. 539, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 35570 del 09/03/2016, Ardita, non mass.; Sez. 1, n. 17240 del 02/02/2011, Consolo, Rv. 249961). In altra pronunzia si è affermato che, qualora la richiesta di provvisionale non sia stata avanzata nel giudizio di primo grado, la parte civile può utilmente giovarsi della condanna generica al risarcimento e chiedere, per la prima volta, in appello la condanna ad una provvisionale, e si è precisato che non si tratta di domanda nuova e che il divieto di reformatio in peius non si estende alle statuizioni civili (Sez. 3, n. 42684 del 07/05/2015, Pizzo, Rv. 265198).
Anche nell’ambito degli oscillanti orientamenti che si erano registrati nella vigenza del codice Rocco del 1930, emergeva il prevalente rilievo secondo il quale il giudice di appello può concedere la provvisionale in favore della parte civile non impugnante, in assenza di una pronuncia, sul punto, da parte del primo giudice (Sez. 4, n. 1111, del 20/10/1981, dep. 1982, Montin, Rv. 152010; Sez. 4, n. 1937 del 26/11/1968, dep. 1969, Martino, Rv. 110321).
3.1. Un contrasto, in seno alla Corte regolatrice, si registra in riferimento ad altre questioni, che si pongono, tuttavia, in stretta correlazione con quella relativa alla legittimità della richiesta di provvisionale proposta per la prima volta in appello, oggetto del quesito.
Si tratta: a) della concedibilità della provvisionale, in assenza di apposita richiesta della parte civile, sia da parte del giudice di primo grado che di quello di appello; b) della modificabilità, ad opera del giudice di secondo grado, della somma già liquidata a titolo di provvisionale, in favore della parte civile non impugnante.
3.2. In riferimento alla prima questione, relativa alla concedibilità della provvisionale in assenza di richiesta della parte civile, un primo indirizzo si esprime negativamente, evidenziando che Kart. 539 cod. proc. pen., laddove prevede che il giudice che pronunzia condanna generica al risarcimento del danno può, altresì, condannare l’imputato al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva, stabilisce espressamente che ciò avvenga su «richiesta» della parte civile. Sulla scorta di tale rilievo, il giudice che disponga la provvisionale in assenza della predetta richiesta «opera esorbitando dai compiti assegnatigli dalle disposizioni codicistiche e finisce per pronunciarsi ultra petita» (Sez. 5, n. 9779, del 15/02/2006, Durante, Rv. 234237); in consonanza con tale indirizzo si è osservato che è illegittima la decisione con cui il giudice di appello dispone l’assegnazione della provvisionale in assenza della richiesta della parte civile, atteso che l’art. 539 cod. proc. pen. subordina tale statuizione alla specifica richiesta della parte civile (Sez. 2, n. 47723 del 07/11/2014, Richard, Rv. 260833).
Secondo un diverso orientamento, la provvisionale può essere concessa anche in assenza di apposita richiesta della parte civile ma, qualora essa venga assegnata dal giudice di appello, tale possibilità è condizionata dal fatto che la relativa questione non sia stata prospettata al primo giudice e non abbia formato oggetto di pronuncia esplicita o implicita (Sez. 5, n. 36062 del 19/06/2007, Pellegrinetti, Rv. 237722; Sez. 6, n. 8480 del 21/06/2000, De Gennaro, Rv. 216646; Sez. 1, n. 14583 del 04/11/1999, Crepaldi, Rv. 216128).
3.3. In relazione alla seconda questione sopra indicata, si registra un indirizzo che nega la possibilità, per il giudice di secondo grado, di modificare la somma già liquidata in primo grado a titolo di provvisionale, in favore della parte civile non impugnante: il giudice di appello non può – in assenza di impugnazione del pubblico ministero e della parte civile e di richiesta di quest’ultima nel corso del giudizio – aumentare l’importo della somma, a titolo di provvisionale, disposta con la condanna in primo grado (Sez. 2, n. 42822 del 17/09/2015, Portolesi, Rv. 265206; Sez. 1, n. 50709 del 30/10/2014, Birri, Rv. 261757; Sez. 4, n. 42134 del 01/10/2008, Federico, Rv. 242185). Si osserva che la decisione con cui il giudice d’appello aggravi l’esposizione risarcitoria dell’imputato, in favore della parte civile non impugnante, risulta distonica sia con il divieto di reformatio in peius, sia con il principio devolutivo, in base al quale l’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti, sia, infine, con i principi basilari del processo civile, che continuano a presidiare l’azione del danneggiato volta a ottenere il risarcimento del danno, anche se esercitata nel processo penale.
Le questioni ora richiamate rilevano anche in riferimento al quesito rimesso all’attenzione delle Sezioni Unite, giacché la soluzione interpretativa da prescegliere dipende dall’analisi dei temi relativi all’ambito funzionale del principio devolutivo e del divieto di reformatio in peius, sui quali si è sviluppato il contrasto di cui si è ora dato conto. Ed invero, le diverse opzioni sopra richiamate costituiscono, a loro volta, il precipitato di difformi valutazioni che involgono la ricognizione della portata del principio devolutivo ex art. 597, comma 1, cod. proc. pen., specificamente riferito al contenuto della domanda
risarcitoria esercitata in sede penale, il rispetto del canone civilistico della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e il perimetro del divieto di reformatio in peius, sancito dall’art. 597, comma 3, cod. proc. pen.
4. Occorre premettere che, nella situazione processuale di interesse, la parte civile non ha proposto alcuna richiesta di provvisionale nel corso del giudizio di primo grado e la sentenza del primo giudice, che contiene una condanna generica al risarcimento del danno, non si sofferma altrimenti sul tema della provvisionale.
Il dato è di certo rilievo poiché, nella diversa ipotesi in cui la richiesta, avanzata dalla parte civile, sia stata respinta dal primo giudice, va ribadito che in sede di appello non è consentita la condanna al pagamento di una provvisionale, in favore della parte civile che non ha proposto impugnazione. In tal caso, infatti, la statuizione di rigetto della richiesta di provvisionale, avanzata dalla parte civile nel corso del giudizio di primo grado, costituisce un punto della sentenza; e l’applicazione del principio devolutivo impedisce di attribuire al giudice di secondo grado la cognizione del punto della sentenza relativo all’intervenuto rigetto della richiesta di condanna al pagamento di una provvisionale, in mancanza di impugnazione della parte civile.
Considerazioni del medesimo tenore si impongono nel caso di omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado, a fronte di espressa richiesta di provvisionale formulata dalla parte civile.
Trattasi di valutazioni che si collocano nell’alveo del consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità (Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, Tuzzolino, Rv. 216239), in base al quale la mancata impugnazione di determinati punti della decisione – nozione che abbraccia tutti i presupposti della pronuncia finale tra i quali, nel caso di condanna, rientrano, ai sensi dell’art. 538 cod. proc. pen., le statuizioni sulle conseguenze civili del reato – determina il verificarsi di una preclusione, dipendente dall’effetto devolutivo del gravame e dal principio di disponibilità del processo nella fase delle impugnazioni. Ai punti della decisione, infatti, fa espresso riferimento l’art. 597, comma 1, cod. proc. pen., nel porre in correlazione i motivi di impugnazione e l’ambito della cognizione del giudice di appello.
Di talché, quando la richiesta di condanna al pagamento di una provvisionale in favore della parte civile è stata rigettata dal giudice di primo grado ovvero sulla stessa non si è provveduto, il giudice di secondo grado non può pronunciare la condanna al pagamento della provvisionale in mancanza di appello sul punto della parte civile.
5. Occorre ora procedere all’esame della ulteriore questione relativa alla concedibilità d’ufficio della provvisionale.
Stabilisce l’art. 539, comma 2, cod. proc. pen., che «A richiesta della parte civile, l’imputato e il responsabile civile sono condannati al pagamento di una provvisionale nei lìmiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova».
Il dato letterale della disposizione esclude che il giudice possa condannare l’imputato al pagamento di una provvisionale in assenza di richiesta della parte civile.
La giurisprudenza di legittimità, nella sua massima espressione, ha recentemente ribadito che l’interpretazione letterale della legge costituisce il canone ermeneutico prioritario per l’interprete; con la precisazione che l’ulteriore canone, dato dalla interpretazione logica e sistematica, non consente di travalicare il significato letterale della disposizione da interpretare, quando essa sia chiara e precisa (Sez. U, n. 46688 del 29/09/2016, Schirru). Orbene, atteso che nel disposto di cui aN’art. 539, comma 2, cod. proc. pen. risulta chiaramente indicato che la condanna al pagamento di una provvisionale può essere pronunciata «a richiesta della parte civile», va rimarcato che la vigente legge processuale non prevede, al riguardo, poteri esercitabili ex officio. Merita, quindi, condivisione l’indirizzo interpretativo in base al quale il giudice che dispone la provvisionale, in assenza della detta richiesta, opera esorbitando dai compiti assegnatigli dalle disposizioni codicistiche e si pronuncia ultra petita (Sez. 5, n. 9779, del 15/02/2006, Durante, cit.). Del tutto correttamente, tra le argomentazioni poste a fondamento del predetto indirizzo, si è osservato altresì che la previsione della richiesta di parte, dettata daN’art. 539, comma 2, cod. proc. pen., costituisce una innovazione, rispetto alla disciplina contenuta nel codice Rocco del 1930 (art. 489 cod. proc. pen. 1930), ove l’istanza di parte era prevista soltanto per ottenere la provvisoria esecuzione del capo della sentenza che avesse assegnato la provvisionale (art. 489-ò/s). Nel vigente assetto codicistico, di converso, l’immediata esecutività della provvisionale è prevista ex lege (art. 540, comma 2, cod. proc. pen.).
Deve dunque osservarsi: che nessuna influenza può essere assegnata, ai fini di interesse, all’insegnamento della giurisprudenza formatasi in relazione al previgente assetto normativo; e che correttamente la possibilità di pronunciare condanna al pagamento di una provvisionale, in assenza di richiesta della parte civile, è stata esclusa anche per il giudice di appello (Sez. 2, n. 47723 del 07/11/2014, Richard, cit.), posto che l’art. 598 cod. proc. pen. stabilisce che in grado di appello si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni relative al giudizio di primo grado, tra le quali è ricompresa la disciplina dell’art. 539 cod. proc. pen.
In conclusione, la condanna al pagamento di una provvisionale può essere pronunciata, ai sensi dell’art. 539, comma 2, cod. proc. pen., soltanto a fronte di richiesta proposta dalla parte civile, posto che la vigente legge processuale non prevede, al riguardo, poteri esercitabili ex officio.
6. A questo punto giova richiamare la scena processuale, che si è sopra delineata, poiché è dalla specifica configurazione della stessa che emergono i temi di diritto sottoposti a scrutinio: la sentenza di primo grado contiene una condanna generica al risarcimento del danno; la parte civile non ha chiesto in primo grado la condanna ad una provvisionale; avverso tale decisione ha proposto appello unicamente l’imputato, contestando l’affermazione di responsabilità; in sede di conclusioni del giudizio di appello la parte civile, per la prima volta, ha avanzato richiesta di condanna ad una provvisionale in ragione delle sopravvenute difficoltà economiche della persona offesa. E, poiché la sentenza di condanna, oggetto di impugnazione del solo imputato, non contiene alcun punto dedicato alla provvisionale, il fatto che la parte civile non abbia impugnato la sentenza porta ad escludere il verificarsi di un effetto preclusivo, nei confronti della medesima parte civile, rispetto alla possibilità di proporre, per la prima volta in appello, la richiesta di provvisionale, in riferimento al disposto di cui aN’art. 597, comma 1, cod. proc. pen. Ciò in quanto il principio devolutivo delimita l’ambito della cognizione del giudice di appello, proprio sulla base della correlazione tra i punti contenuti nella decisione ed i relativi motivi di impugnazione.
6.1. Nell’approfondire il tema, occorre soffermarsi sulla statuizione contenuta nella sentenza di primo grado, riguardante la condanna generica al risarcimento dei danni ex art. 539, comma 1, cod. proc. pen.
La giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato che la condanna generica al risarcimento dei danni pronunciata in sede penale postula unicamente l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso (Sez. 5, n. 45118 del 23/04/2013, Di Fatta, Rv. 257551; Sez. 6, n. 14377 del 26/02/2009, Giorgio, Rv. 243310; Sez. 5. n. 2435 del 19/01/1993, Bonaga, Rv. 193807).
Si è sottolineato: che secondo l’art. 539, comma 1, cod. proc. pen., nel caso di condanna deN’imputato ed affermazione della responsabilità agli effetti civili, il giudice, qualora le prove acquisite non consentono la liquidazione del danno, si limita ad una condanna generica, rimettendo le parti davanti al giudice civile; che la condanna generica al risarcimento dei danni, contenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che il giudice abbia riconosciuto il relativo diritto in capo alla costituita parte civile, non esige e non comporta alcuna indagine in
ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto generatore del danno e dell’esistenza di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato; che resta impregiudicato l’accertamento della entità del danno, riservato al giudice della liquidazione.
6.2. Va ora verificato se la richiesta di provvisionale possa qualificarsi come domanda nuova rispetto al contenuto della domanda risarcitoria proposta dalla parte civile, sulla quale si è pronunciato il giudice di primo grado con la condanna generica al risarcimento dei danni ex art. 539, comma 1, cod. proc. pen.
La questione impone di richiamare i principi che presiedono all’esercizio dell’azione civile nella sede propria del giudizio civile, con specifico riguardo alle modalità di individuazione della domanda nuova ed al rapporto intercorrente tra condanna generica e condanna al pagamento di una provvisionale.
Sotto il primo profilo, la Corte di legittimità ha da tempo evidenziato che si ha domanda nuova soltanto se si amplia il petitum o si introduce nel giudizio una pretesa avente presupposti distinti da quelli di fatto della domanda originaria (Sez. U civ., n. 592 del 07/04/1965, Rv. 311098). In applicazione di tale principio, si è espressamente affermato che la richiesta di provvisionale non costituisce una nuova domanda, in quanto rientrante neN’ambito della originaria domanda di condanna (Sez. 3 civ., n. 1798 del 06/10/1970, Rv. 347770).
Rispetto alla specifica valenza che il citato arresto giurisprudenziale assume neN’ambito del ragionamento che si viene sviluppando, osserva il Collegio che meritano piena condivisione i rilievi svolti dalla Terza Sezione penale (Sez. 3, n. 42684 del 07/05/2015, Pizzo, cit.), laddove si è osservato che il citato precedente, in cui si esclude la natura di domanda nuova alla richiesta di provvisionale, assume specifica valenza, posto che è stato reso prima che il legislatore attribuisse alle sentenze di condanna in sede civile efficacia provvisoriamente esecutiva.
La formulazione della richiesta di provvisionale, per la prima volta in appello, per quanto detto, non determina alcuna violazione del canone di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, di cui aN’art. 112 cod. proc. civ.
6.3. Con riferimento alla valenza da assegnare ai principi civilistici, ove l’azione risarcitoria sia esercitata nell’ambito del giudizio penale, la giurisprudenza costituzionale ha ripetutamente rilevato (tra le altre, sentenze n. 353 del 1994 e n. 12 del 2016) che l’inserimento dell’azione civile nel processo penale pone in essere una situazione in linea di principio differente rispetto a quella determinata dall’esercizio dell’azione civile in sede propria, con specifico riferimento all’azione di restituzione o di risarcimento dei danni derivanti da reato; e ciò in quanto tale azione assume carattere accessorio e subordinato
rispetto all’azione penale, sicché è destinata a subire tutte le conseguenze e gli adattamenti derivanti dalla struttura e dalla funzione del processo penale, cioè dalle esigenze, di interesse pubblico, connesse all’accertamento dei reati e alla rapida definizione dei processi. Si tratta di valutazioni condivise dalla Corte di cassazione penale, nel suo massimo consesso (da ultimo, Sez. U, n. 46688 del 29/09/2016, Schirru, cit.).
Occorre, peraltro, considerare che la Corte costituzionale, nell’esaminare la disciplina inerente ai rimedi inibitori esperibili avverso la condanna al pagamento della provvisionale, dettati dall’art. 600, comma 3, cod. proc. pen., ha osservato che è «evidente come nessuno di tali profili venga in rilievo nel caso in esame, che concerne un particolare aspetto del regime di esecutività delle disposizioni civili della sentenza penale di primo grado»; ed ha, anzi, assunto come tertium comparationis la disposizione di cui all’art. 283 cod. proc. civ., giungendo a rilevare che la diversità di disciplina cui è assoggettata, sotto tale aspetto, l’azione civile di restituzione o di risarcimento del danno derivante da reato, a seconda che l’azione medesima sia esercitata in sede propria o neN’ambito del processo penale, integra la violazione del principio di eguaglianza (Corte cost., sent. n. 353 del 1994, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 600, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che il giudice di appello può disporre la sospensione dell’esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale «quando possa derivarne grave e irreparabile danno», anziché «quando ricorrono gravi motivi», in aderenza a quanto stabilito dall’art. 283 cod. proc. civ.).
Osservano le Sezioni Unite che, al fine di delineare il rapporto intercorrente tra condanna generica e provvisionale, si deve riconoscere piena operatività ai principi elaborati dalla giurisprudenza civile sopra richiamati, posto che, anche in riferimento al rapporto funzionale intercorrente tra condanna generica e provvisionale, valgono i rilievi svolti dalla giurisprudenza costituzionale, conducenti ad escludere la sussistenza di limitazioni discendenti dall’inserimento dell’azione civile nel processo penale. Conseguentemente, deve ritenersi che la richiesta di condanna al pagamento di una provvisionale non costituisce una nuova domanda, rispetto a quella originaria, in funzione risarcitoria, spiegata dalla parte civile nel processo penale.
Tale approdo si colloca nell’alveo del prevalente insegnamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, in riferimento all’istituto della provvisionale, come delineato dall’art. 539, comma 2, cod. proc. pen., in base al quale l’assegnazione di una provvisionale in sede penale ha carattere meramente delibativo e non acquista efficacia di giudicato in sede civile; con la precisazione che la determinazione dell’ammontare della stessa è rimessa alla discrezionalità del giudice del merito che non è tenuto a dare una motivazione specifica sul punto (Sez. 2, n. 49016 del 06/11/2014, Petricola, Rv. 261054; Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, P.C., Rv. 261536; Sez. 4, n. 34791 del 23/06/2010, Mazzamurro, Rv. 248348). La natura provvisoria della liquidazione contenuta nella condanna al pagamento di una provvisionale, insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta in sede di effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento, ha condotto la giurisprudenza a rilevare che il relativo provvedimento non è autonomamente ricorribile per cassazione (Sez. U, n. 2246 di 19/12/1990, dep. 1991, Capelli, Rv. 186722; Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D.G., Rv. 263486).
6.4. Osserva ancora il Collegio che la condanna al pagamento di una provvisionale, nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova, tenuto conto della natura accessoria della richiesta di cui all’art. 539, comma 2, cod. proc. pen., rispetto alla condanna generica pronunciata ai sensi del comma 1 deN’articolo ora citato e del carattere incidentale dello strumento, non può essere qualificata come statuizione parziale, definitiva in parte qua. Anzi, la precipua funzione anticipatoria della provvisionale, rispetto alla successiva liquidazione integrale del danno, consente di rilevare che la stessa soggiace alla clausola rebus sic stantibus, in relazione alla dimensione dinamica che deve annettersi alla locuzione normativa, che fa riferimento ai «limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova». La provvisionale è ontologicamente funzionale a soddisfare le esigenze di anticipazione della liquidazione del danno, in favore della parte civile, insorte per effetto della durata del processo. Rispetto al delineato ambito funzionale dell’istituto resta estranea la diversa questione, data dalla dispersione delle garanzie delle obbligazioni civili derivanti dal reato, fronteggiabile con lo strumento del sequestro conservativo ex art. 316, comma 2, cod. proc. pen. É, pertanto, l’aggravamento delle condizioni del creditore danneggiato che legittima la parte civile ad avanzare, per la prima volta, nei confronti dell’imputato debitore, la richiesta di provvisionale nel giudizio di appello, avvalendosi dell’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto generatore del danno contenuto nella condanna generica pronunciata dal primo giudice; ciò in quanto la clausola rebus sic stantibus è permeabile rispetto al verificarsi di fatti nuovi, insorti nella sfera del danneggiato, in grado di incidere sulla futura liquidazione definitiva del danno.
7. La statuizione resa dal giudice di secondo grado, con la quale venga modificata la somma già liquidata a titolo di provvisionale, in favore della parte civile non impugnante, non si pone, pertanto, in contrasto con i principi civilistici che presiedono all’esercizio dell’azione civile nel processo penale; mentre, per l’esame del rapporto intercorrente tra tale statuizione ed il divieto peggiorativo si rimanda alle considerazioni che verranno di seguito svolte sul divieto di reformatio in peius.
D’altra parte, la richiesta di modifica della somma liquidata a titolo di provvisionale, rivolta al giudice di secondo grado dalla parte civile non appellante, non determina alcuna lesione del diritto di interlocuzione dell’imputato. Giova richiamare il principio di immanenza della parte civile, come elaborato dal diritto vivente. La giurisprudenza di legittimità ha delineato i rapporti tra azione penale e azione civile nei gradi di impugnazione, sottolineando lo stretto collegamento che sussiste tra le due azioni (Sez. U, n. 30327 del 10/07/2002, Guadalupi, Rv. 222001, ove si è chiarito che il giudice di secondo grado, che su impugnazione del solo pubblico ministero condanni l’imputato assolto in primo grado, deve decidere sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno anche se la parte civile non ha proposto impugnazione). Il percorso argomentativo muove dall’analisi delle seguenti disposizioni: l’art. 76, comma 2, cod. proc. pen., ove è stabilito che gli effetti della intervenuta costituzione si producono in ogni stato e grado del processo; l’art. 601, comma 4, in base al quale la parte civile deve essere citata anche nel giudizio impugnatorio promosso dal solo imputato; e l’art. 574, comma 4, ove è stabilito che «L’impugnazione dell’imputato contro la pronuncia di condanna penale o di assoluzione estende i suoi effetti alla pronuncia di condanna alle restituzioni, al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese processuali, se questa pronuncia dipende dal capo o dal punto impugnato». Le Sezioni Unite, nella sentenza da ultimo ricordata, hanno evidenziato che l’art. 574, comma 4, estende al capo civile gli effetti dell’impugnazione proposta dall’imputato nei confronti della decisione di condanna; ed hanno affermato che la decisione nel giudizio di impugnazione sulla responsabilità penale si riflette sulla decisione relativa alla responsabilità civile «automaticamente», vale a dire anche in mancanza di impugnazione del capo concernente l’azione civile.
Il principio di immanenza della parte civile, come ora delineato, induce a rilevare che l’impugnazione proposta dall’imputato, sul punto della responsabilità penale, devolve al giudice di appello anche la cognizione sulla domanda risarcitoria per i danni da reato, resa ai sensi deN’art. 538 cod. proc. pen.; e che la proposizione della richiesta di modifica della somma oggetto della condanna al pagamento della provvisionale pronunciata dal primo giudice, avanzata nel giudizio di secondo grado dalla parte civile non appellante, avviene nel pieno rispetto del principio del contraddittorio. In riferimento all’ambito funzionale della richiesta di modifica della somma liquidata a titolo di provvisionale, è appena il caso di ribadire che la parte civile sottostà al regime di preclusioni proprio della
clausola rebus sic stantibus, stante la natura strumentale ed anticipatoria dell’istituto, rispetto alla seguente definitiva liquidazione del danno. Sicché il giudice di appello, sussistendone i presupposti, può aumentare l’importo della provvisionale già liquidata in primo grado, in favore della parte civile non impugnante, stante la natura strumentale ed anticipatoria della condanna al pagamento di una provvisionale.
8. Occorre ora soffermarsi sul contenuto del principio devolutivo e suN’ambito funzionale del divieto di reformatio in peius, al fine di verificare se la parte civile non impugnante possa chiedere per la prima volta in appello la condanna al pagamento di una provvisionale, a fronte di una condanna generica al risarcimento del danno pronunciata dal primo giudice.
8.1. La statuizione contenuta nella sentenza di primo grado, relativa alla condanna generica ex art. 539, comma 1, cod. proc. pen., riconoscendo il diritto della parte civile al risarcimento dei danni da reato, pur in assenza di un compiuto accertamento della entità degli stessi, comprende anche il diritto del danneggiato ad ottenere la condanna al pagamento di una provvisionale, in funzione anticipatoria rispetto alla definitiva liquidazione, nei ristretti limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova. Deve allora osservarsi che, nel caso in cui la sentenza di primo grado contenga una espressa statuizione di accoglimento della domanda risarcitoria e sia priva di un punto specificamente dedicato alla provvisionale, in difetto della relativa richiesta, sfugge la stessa configurabilità dell’effetto preclusivo delineato dall’art. 597, comma 1, cod. proc. pen., nei confronti della parte civile non impugnante, rispetto alla possibilità di formulare, nel giudizio di secondo grado, la richiesta di provvisionale. La parte danneggiata, infatti, è risultata vittoriosa sul punto della decisione comprendente Van della domanda risarcitoria; e la richiesta di provvisionale, per il suo carattere accessorio ed anticipatorio, non può qualificarsi come domanda nuova, rispetto a quella originaria, che ha trovato accoglimento con la condanna generica al risarcimento dei danno. Chiude il ragionamento il rilievo per cui l’estensione delle norme sul giudizio di primo grado al giudizio di appello, stabilita dall’art. 598, cod. proc. pen., consente alla corte di appello di procedere legittimamente allo scrutinio della richiesta di condanna al pagamento di una provvisionale, che venga proposta nel relativo giudizio di secondo grado.
Pertanto, la sentenza di appello, con la quale l’imputato viene condannato al pagamento di una provvisionale, a fronte di richiesta proposta per la prima volta in quel giudizio dalla parte civile non impugnante, non si pone in contrasto con il principio devolutivo.
8.2. Resta da verificare se tale pronuncia determini la violazione del divieto di reformatio in peius.
Al riguardo si registra un indirizzo giurisprudenziale in base al quale l’elemento di novità della domanda esclude, di per sé, la violazione del divieto peggiorativo, atteso che il divieto di reformatio in peius postula che la domanda di provvisionale sia stata proposta e respinta nel primo giudizio e che, appellante il solo imputato, la parte civile reiteri la richiesta (Sez. 1, n. 17240 del 02/02/2011, Consolo, Rv. 249961; Sez. 1, n. 13545 del 04/02/2009, Bestetti, Rv. 243132).
Tale teorica impone un chiarimento di ordine dogmatico.
Osservano le Sezioni Unite che, in caso di rigetto della richiesta di provvisionale, la sentenza di primo grado contiene un punto, dedicato alla richiesta che occupa; di talché è l’applicazione del principio devolutivo, di cui all’art. 597, comma 1, cod. proc. pen., e non già il divieto peggiorativo, che impedisce di attribuire al giudice di secondo grado la cognizione del punto della sentenza relativo all’intervenuto rigetto della richiesta di condanna al pagamento di una provvisionale, in mancanza di impugnazione della parte civile.
Inoltre, rispetto al contenuto del divieto di reformatio in peius, secondo l’indirizzo prevalente nella giurisprudenza di legittimità deve escludersi che la disposizione dettata dall’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. abbia portata tale da estendersi alle statuizioni civili, trattandosi di norma che, ponendo un limite alla pretesa punitiva dello Stato, non si applica all’istanza risarcitoria oggetto dell’azione civile (Sez. 3, n. 35570 del 09/03/2016, Ardita, non mass.; Sez. 5., n. 25520 del 18/05/2015, Vincenti Mattioli, Rv. 265147; Sez. 3, n. 42684 del 07/05/2015, Pizzo, Rv. 265198; Sez. 1, n. 17240 del 02/02/2011, Consolo, Rv. 249961; Sez. 6, n. 38976 del 23/09/2009, Ricciotti, Rv. 244558; Sez. 4, n. 3171 del 11/01/1990, Roncalli, Rv. 183572).
Secondo altro indirizzo, invece, il divieto di reformatio in peius si riferisce pure alle statuizioni civili adottate nel precedente grado di giudizio (Sez. 1, n. 2658 del 17/11/2010, Covelli, Rv. 249547; Sez. 1. n. 13545 del 04/02/2009, Capozzi, Rv. 243132; Sez. 4, n. 42134 del 01/10/2008, Federico, Rv. 242185; Sez. 5, n. 36062 del 19/06/2007, Pellegrinetti, cit.).
8.3. Le Sezioni Unite ritengono che meriti condivisione il primo orientamento. Militano in tal senso i seguenti rilievi, di ordine sistematico.
Le considerazioni svolte, in ordine alla portata del principio devolutivo, conducono a rilevare che la proposizione dell’appello, da parte dell’imputato, avverso la statuizione di primo grado affermativa della responsabilità penale, devolve al giudice del gravame di merito la piena cognizione su tutti i presupposti della relativa pronuncia. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il capo della sentenza si qualifica come «atto giuridico completo», in cui si concretizza il contenuto decisorio della sentenza e che il concetto di punto della decisione ha una portata più ristretta, in quanto riguarda tutte le statuizioni suscettibili di autonoma considerazione, necessarie per ottenere una decisione completa su un capo (Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, Tuzzolino, cit.)- Pertanto, l’impugnazione proposta dall’imputato, avverso il punto della condanna penale, devolve al giudice di appello la cognizione sull’accertamento della responsabilità; e, neN’ambito di tale scrutinio, il giudice di secondo grado procede all’esame degli elementi costitutivi della fattispecie di reato. Dall’applicazione del principio devolutivo consegue che il giudice di appello, a fronte di impugnazione dell’imputato sul punto della responsabilità, ben potrebbe effettuare valutazioni involgenti la gravità del reato, tali da sortire ricadute anche rispetto all’apprezzamento della conferenza del trattamento sanzionatorio inflitto dal primo giudice.
Il divieto di reformatio in peius risponde ad una specifica funzione limitativa, ab extrinseco, del delineato ambito di cognizione del giudice di appello, secondo scelte valoriali adottate dal legislatore.
In termini convergenti, la dottrina ha evidenziato che il divieto peggiorativo si risolve in una regola decisoria, che non consente al giudice dell’impugnazione di infliggere una pena più grave di quella già irrogata; e ciò allo specifico fine di liberare l’imputato dai rischi dell’effetto devolutivo, come discendente dalla proposizione dell’atto di appello avverso il punto della responsabilità penale. Con la precisazione che l’appello incidentale del pubblico ministero, determinando gli effetti di cui all’art. 597, comma 2, cod. proc. pen., vale a vanificare la portata sostanziale del divieto.
Nel vigente codice di rito, la regola del divieto peggiorativo è dettata dall’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., ove è stabilito che «Quando è appellante il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l’imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, salva la facoltà, entro i limiti indicati nel comma 1, di dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado». Tale regola risulta integrata e rafforzata dalla innovativa diposizione, rispetto al codice del 1930, dettata dall’art. 597, comma 4, cod. proc. pen., con la quale si impone al giudice di secondo grado di diminuire corrispondentemente la pena complessiva inflitta, in caso di accoglimento dell’appello dell’imputato in ordine «a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati dal vincolo della continuazione». La previsione ora citata garantisce la positiva ricaduta sostanziale, sull’entità del trattamento sanzionatorio, delle valutazioni afferenti ai richiamati punti della decisione.
La giurisprudenza di legittimità, nella sua massima espressione, nel soffermarsi sulla specifica questione relativa all’operatività del divieto peggiorativo nel giudizio di rinvio (Sez. U, n. 16208 del 27/03/2014, C, Rv. 258652), ha evidenziato che il divieto di reformatio in peius, già previsto nel codice del 1865 (art. 419, comma 3), come pure nel codice Finocchiaro Aprile del 1913 (art. 480, comma 2) ed in quello del 1930 (art. 515, comma 3), si sostanziava nel divieto di aggravamento della decisione appellata dal solo imputato, sulla base di una scelta effettuata dal legislatore.
Dalle indicazioni ora richiamate emergono elementi di sicuro rilievo, anche al fine di risolvere il quesito che occupa. Invero, le ricordate opere di codificazione evidenziano un preciso tratto comune, che caratterizza il divieto di reformatio in peius, nel senso che il divieto peggiorativo, imposto al giudice di appello per il caso di impugnazione proposta dal solo imputato, involge unicamente le statuizioni penali della sentenza.
L’analisi della regola che pone il divieto di reformatio in peius induce a rilevare che la stessa risponde ad una sedimentata tradizione codicistica, in forza della quale il giudice di appello, in caso di impugnazione del solo imputato, non può aggravare la pena originariamente inflitta.
Del resto, soffermandosi sul contenuto dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., deve osservarsi che il codificatore ha dettato prescrizioni volte ad impedire, per il caso di appello del solo imputato, che la sentenza di secondo grado contenga statuizioni che aggravano il trattamento sanzionatorio, anche rispetto ai già concessi benefici o che venga adottata una formula di proscioglimento meno favorevole.
Come si vede, nell’ambito del divieto peggiorativo, normativamente definito, si rinvengono diverse ipotesi di pronunce a contenuto peggiorativo che involgono, unicamente, le statuizioni penali della decisione.
Pertanto, il divieto di reformatio in peius, come recepito nel vigente codice di rito penale, costituisce un limite legale esterno, imposto al potere cognitivo del giudice di appello, che involge le statuizioni penali della sentenza, sulla base di specifiche scelte compiute dal legislatore, la cui portata non può essere estesa, in via interpretativa, ad ipotesi diverse da quelle disciplinate.
Conseguentemente, il potere decisorio del giudice di appello, rispetto alle statuizioni civili, non risulta attinto da tale regola limitativa; di talché il divieto di reformatio in peius non viene in rilievo nell’ambito delle valutazioni conducenti alla modifica della somma liquidata a titolo di provvisionale dal primo giudice e neppure rispetto alla richiesta di provvisionale, formulata per la prima volta dalla parte civile non appellante, nel giudizio di secondo grado.
8.4. Ciò premesso, la risposta allo specifico quesito sottoposto ad esame è la seguente:
“Non viola il principio devolutivo né il divieto di reformatio in peius la sentenza di appello che accolga la richiesta di una provvisionale proposta per la prima volta in quel giudizio dalla parte civile non appellante”.
9. A completamento dell’analisi, è il caso di svolgere alcune considerazioni afferenti agli strumenti di tutela inibitoria a favore del responsabile civile e dell’imputato, rispetto alla esecuzione delle statuizioni civili.
9.1. La disciplina dei provvedimenti adottabili dal giudice di appello, in ordine all’esecuzione delle condanne civili, è data daN’art. 600 cod. proc. pen.
La condanna al pagamento di una provvisionale pronunciata dal giudice di primo grado è assistita dalla clausola di immediata esecutività per espressa previsione di legge (art. 540, comma 2, cod. proc. pen.). L’art. 600, comma 3, cod. proc. pen., prevede che il responsabile civile e l’imputato possono chiedere al giudice di appello che sia sospesa l’esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale, quando ricorrono gravi motivi, secondo la formulazione della norma conseguente all’intervento dalla Corte costituzionale (Corte cost., sent. n. 353 del 1994, cit.).
9.2. Occorre verificare quale sia lo strumento di tutela inibitoria esperibile da parte del responsabile civile e dell’imputato, nel caso in cui la condanna al pagamento di una provvisionale sia stata pronunciata dal giudice di appello, su richiesta proposta per la prima volta dalla parte civile in quel giudizio, ipotesi che rientra nell’oggetto del presente scrutinio.
Secondo la giurisprudenza di legittimità il provvedimento con il quale viene condannato l’imputato al pagamento di una provvisionale non è autonomamente ricorribile per cassazione.
Al riguardo, si registrano decisioni ove si è chiarito che la condanna al pagamento di una provvisionale non è ricorribile per cassazione, ove la doglianza involga il quantum debeatur, e che tale limitazione non deve ritenersi operativa in presenza di censure che involgono la sussistenza del diritto alla provvisionale (Sez. 5, n. 9779, del 15/02/2006, Durante, non mass, sul punto).
Osservano le Sezioni Unite che anche nel caso in cui la condanna al pagamento di una provvisionale sia stata pronunciata dal giudice di appello, in sede di ricorso per cassazione avverso la statuizione di responsabilità, l’imputato può legittimamente proporre la richiesta di sospensione dell’esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale, ai sensi dell’art. 612 cod. proc. pen. Tale approdo risulta conferente con la natura accessoria della richiesta di provvisionale di cui all’art. 539, comma 2, cod. proc. pen., rispetto alla condanna civile.
11. I rilievi sopra svolti conducono ad apprezzare l’infondatezza del terzo motivo del ricorso.
La condanna al pagamento di una provvisionale, pronunciata dalla Corte di appello, in accoglimento della richiesta proposta per la prima volta in quel giudizio dalla parte civile non impugnante, non collide con il principio devolutivo e neppure con il divieto di reformatio in peius. La Corte territoriale ha chiarito che la richiesta di provvisionale, mai svolta in precedenza dalla parte civile, discendeva dalle sopravvenute e gravi difficoltà economiche incontrate dalla persona offesa. La richiesta di provvisionale supera dunque le preclusioni discendenti dalla clausola rebus sic stantibus, giacché la proposizione della richiesta, per la prima volta nel giudizio di appello, discendeva da sopravvenute difficoltà economiche incontrate dalla vittima del reato.
12. Procedendo infine all’esame congiunto delle questioni affidate dal ricorrente al primo ed al secondo motivo di ricorso, merita condivisione la valutazione espressa dalla Sezione rimettente, in sede di mera delibazione, rispetto all’inammissibilità dei richiamati motivi, in quanto volti ad ottenere, in sede di legittimità, un sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte di appello.
Per un verso, si propone una considerazione alternativa del compendio probatorio, con riguardo alla valutazione di attendibilità della narrazione della vittima del reato, effettuata dai giudici di merito con argomentazioni adeguate, logiche e perciò insindacabili in questa sede.
Medesimo ordine di considerazione deve svolgersi in riferimento alle doglianze avverso il diniego della invocata attenuante ex art. 609-quater, quarto comma, cod. pen., fondato sull’insindacabile rilievo circa l’entità e gli effetti delle reiterate condotte di abuso poste in essere dal prevenuto in danno della figlia minore.
13.Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 27 ottobre 2016.