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Protezione sussidiaria e estradizione (Cass. 9682/22)

21 marzo 2022, Cassazione penale

In tema di estradizione per l'estero, la Corte di appello può fondare la propria decisione contraria, ai sensi degli artt. 705, comma secondo, lett. c), e 698, comma primo, cod. proc. pen., sul provvedimento della competente Commissione territoriale del Ministero degli interni che abbia riconosciuto all'estradando anche lo status di protezione internazionale sussidiaria (meno pregnante, dunque, rispetto a quello di rifugiato) per il pericolo di esposizione a trattamenti disumani e degradanti in caso di rientro nello Stato richiedente l'estradizione, ove quest'ultimo provvedimento sia riconosciuto dal giudice completo, certo ed affidabile.

Assume però particolare rilievo la motivazione del provvedimento amministrativo, nella parte in cui illustra i fatti addotti e le prove esibite dal richiedente la protezione o il riconoscimento dello status di rifugiato, gli accertamenti compiuti d'ufficio e il relativo risultato probatorio, sul quale si innesterà l'autonoma - anche se generalmente coincidente - previsione circa il pericolo che quella persona, se ritornasse nel Paese di origine, potrebbe subire atti persecutori o trattamenti disumani o degradanti.

Per quanto, infatti, il provvedimento di riconoscimento possa essere adottato all'esito di un'istruttoria specificamente regolamentata, che accerta sulla base di criteri di valutazione prestabiliti (v. art. 3, commi 4 e 5 d. Igs. n. 251 del 2007) l'effettiva esistenza dei presupposti di fatto tipizzati dalla legge, esso rimane non vincolante per la giurisdizione a causa del principio della separazione dei poteri dello Stato, pur potendo essere assunto dal giudice come utile elemento di valutazione da porre a fondamento della propria decisione, ove ritenuto completo, certo e affidabile.

 

Cassazione penale

Sent. Sez. 6 Num. 9682 Anno 2022

Presidente: FIDELBO GIORGIO
Relatore: VILLONI ORLANDO
Data Udienza: 27/01/2022

sul ricorso proposto dal

SENTENZA
Procuratore Generale della Repubblica Bolivariana del Venezuela

avverso la sentenza n. 150/21 della Corte di appello di Roma del 14/09/2021 nel procedimento di estradizione relativa a RCRD

letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata;
udita la relazione del consigliere Orlando Villoni;
sentito il pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Marco Dall'Olio, che ha concluso per l'inammissibilità;
sentito per la ricorrente l'avv. LG, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso;
sentito per il resistente RC l'avv. RDV, che ha chiesto di dichiarare inammissibile o rigettare il ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Roma ha dichiarato insussistenti le condizioni per l'accoglimento della richiesta di estradizione avanzata dal Governo della Repubblica Bolivariana del Venezuela nei confronti di Rafael Dario Ramirez Carrello, fatto segno di ordine di cattura emesso dal Tribunal Decimo di prima istanza di Caracas il 16 dicembre 2018 in relazione ai reati di peculato doloso, evasione dalla procedura di offerta e associazione per delinquere, quali previsti dalla legislazione penale venezuelana.

Il rigetto della richiesta è stato pronunciato in seguito e a causa della concessione all'estradando dello status di rifugiato ai sensi degli art. 1 e 33 della Convenzione di Ginevra del 1951, ritenuto preclusivo, anche in base al disposto dell'art. 698 cod. proc. pen., della possibilità di consegnare il soggetto al Paese di provenienza ovvero, in caso di riestradizione, anche ad altro Paese ove le ragioni poste a sostegno della protezione possano ritenersi estese.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'avv. LG, in qualità di procuratore speciale della Repubblica Bolivariana del Venezuela, deducendo un unico articolato motivo di censura, con il quale lamenta la violazione degli artt. 256 e 329 cod. proc. pen.

In particolare, deduce che la sentenza della Corte territoriale è inficiata da una grave violazione di legge, essendo confluita nel fascicolo processuale una serie di documenti depositati dell'estradando alla Procura Generale della Repubblica di Roma, conoscibili sia dalla sua difesa che dalla Corte di appello, ma non dal difensore del Paese richiedente l'estradizione.

Tutto ciò, sostiene, è avvenuto in violazione dell'art. 329 cod. proc. pen. che limita la segretezza degli atti d'indagine secondo le scadenze procedurali ivi stabilite e dell'art. 256 cod. proc. pen. riguardante i segreti di Stato o professionali, mentre nel caso in esame è stata la difesa dell'estradando a richiedere la secretazione degli atti relativi al procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato, in violazione dell'art. 111 Cost. e delle condizioni di parità delle parti davanti ad un giudice terzo ed imparziale.

3. Ha prodotto una memoria anche la difesa dell'estradando, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile o in subordine rigettato e argomentando, con riferimento alle doglianze difensive, che non è mai intervenuto alcun provvedimento di secretazione degli atti, mentre quelli della procedura estradizionale sono sempre rimasti a disposizione di tutte le parti processuali.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va dichiarato inammissibile.

2. La Corte di appello di Roma ha respinto la richiesta di estradizione avanzata dalla Repubblica del Venezuela nei confronti RDRC, sostenendo che una volta che l'estradando, come nel caso in esame, abbia ottenuto lo status di rifugiato ai sensi del capo III del d. Igs. 19 novembre 2007, n. 251, adottato in attuazione della Convenzione firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, ratificata con legge 24 luglio 1954, n. 722, e modificata dal Protocollo di New York del 31 gennaio 1967, ratificato con legge 14 febbraio 1970, n. 95, la circostanza esima il giudice da ogni ulteriore approfondimento in ordine alla sussistenza delle condizioni di cui agli artt. 698, comma 1 e 705, comma 2, lett. c) cod. proc. pen. ostative all'accoglimento della richiesta di consegna, attesa l'acclarata sussistenza di un 'personalizzato' pericolo di atti persecutori o discriminatori per una delle ragioni indicate nelle suddette previsioni normative.

Diversamente, ove la forma di tutela accordata fosse stata quella della protezione sussidiaria "che ben potrebbe essere conseguente a situazioni del Paese di provenienza dell'interessato diffuse, estemporanee e comunque non personalizzate" nei suoi confronti ma rilevanti in senso collettivo e gravanti sull'intera popolazione del Paese (es. conflitto bellico), essa avrebbe lasciato margini di apprezzamento alla Corte di appello.

La statuizione merita di essere condivisa, ma a condizione di fare salva la reciproca autonomia delle procedure in sede giurisdizionale e amministrativa.

Questa Corte di cassazione ha, infatti, già affermato il principio che in tema di estradizione per l'estero, la Corte di appello può fondare la propria decisione contraria, ai sensi degli artt. 705, comma secondo, lett. c), e 698, comma primo, cod. proc. pen., sul provvedimento della competente Commissione territoriale del Ministero degli interni che abbia riconosciuto all'estradando anche lo status di protezione internazionale sussidiaria (meno pregnante, dunque, rispetto a quello di rifugiato) per il pericolo di esposizione a trattamenti disumani e degradanti in caso di rientro nello Stato richiedente l'estradizione, ove quest'ultimo provvedimento sia riconosciuto dal giudice completo, certo ed affidabile (Sez. 6, n. 19392 del 25/06/2020, Hoxhaj, Rv. 279263; Sez. 6, n. 3746 del 18/12/2013, dep. 2014, P.G. in proc. Tuzomay, Rv. 258249).

Per quanto, infatti, il provvedimento di riconoscimento possa essere adottato all'esito di un'istruttoria specificamente regolamentata, che accerta sulla base di criteri di valutazione prestabiliti (v. art. 3, commi 4 e 5 d. Igs. n. 251 del 2007) l'effettiva esistenza dei presupposti di fatto tipizzati dalla legge, esso rimane non vincolante per la giurisdizione a causa del principio della separazione dei poteri dello Stato, pur potendo essere assunto dal giudice come utile elemento di valutazione da porre a fondamento della propria decisione, ove ritenuto completo, certo e affidabile.

A tal fine assume, allora, particolare rilievo la motivazione del provvedimento amministrativo, nella parte in cui illustra i fatti addotti e le prove esibite dal richiedente la protezione o il riconoscimento dello status di rifugiato, gli accertamenti compiuti d'ufficio e il relativo risultato probatorio, sul quale si innesterà l'autonoma - anche se generalmente coincidente - previsione circa il pericolo che quella persona, se ritornasse nel Paese di origine, potrebbe subire atti persecutori o trattamenti disumani o degradanti.

3. Tutto ciò premesso, si deve rilevare come il provvedimento amministrativo che ha riconosciuto all'estradando RC lo status di rifugiato (in copia agli atti) risulti praticamente privo di motivazione, limitandosi alla mera determinazione favorevole al richiedente la protezione allo Stato italiano.

Non è, però, su tale aspetto che la parte ricorrente appunta le sue censure, quanto piuttosto su di un profilo della procedura giurisdizionale in realtà irrilevante ai fini della decisione.

Il ricorso proposto si atteggia, infatti, in maniera obiettiva come un mero tentativo di accedere ad atti della procedura che, secondo il ricorrente, sono stati preclusi all'esame del suo difensore, sebbene abbiano costituito oggetto di approfondita valutazione nella concomitante procedura amministrativa.

Il ricorso omette, invece, del tutto di contestare le ragioni in base alle quali la Corte di appello ha ritenuto di respingere la domanda di estradizione, risultando così articolato per motivi diversi da quelli previsti dalla legge e dovendo, perciò, essere dichiarato inammissibile ai sensi dell'art. 606, comma 3, cod. proc. pen.

4. Alla dichiarazione d'inammissibilità dell'impugnazione segue, come per legge, la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che stimasi equo quantificare in C 3.000,00 (tremila).

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 203 disp. att. cod. proc. pen.

Così deciso 27 gennaio 2022 - 21 marzo 2022