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Proprietario condannato per incauto affidamento del cane mordace? (Cass. 36151/21)

5 ottobre 2021, Cassazione penale

Il proprietario di un cane risponde a titolo di colpa delle lesioni cagionate a terzi dallo stesso animale anche qualora ne abbia affidato la custodia a persona non in grado di esercitare su di esso una effettiva custodia o di contenerne il naturale slancio.

 

Cassazione penale

sez. IV, ud. 15 settembre 2021 (dep. 5 ottobre 2021), n. 36151
Presidente Serrao – Relatore Pezzella

Ritenuto in fatto

1. R.G. ricorre, a mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza con cui il Giudice di Pace di Palermo, il 19/2/2019, lo ha condannato alla pena di 500 Euro di multa in quanto ritenuto colpevole del reato di cui agli artt. 40 e 590 c.p. per aver cagionato lesioni personali a B.M. per negligenza, imperizia e imprudenza, consistita nel non aver assicurato con la museruola il proprio cane rottweiler, che, condotto fuori dall'abitazione dal figlio minore, azzannava B.M. , cagionandogli lesioni personali consistite in una ferita lacero-contusa della mano e del petto, da cui derivava una malattia giudicata guaribile nel termine di giorni 10 (dieci) s.c. Fatto commesso in (omissis) .

2. Con un primo motivo il difensore ricorrente si duole, sotto il profilo della violazione degli artt. 40 cpv. e 590 c.p., che il giudice di pace non abbia adeguatamente dato conto, nel provvedimento impugnato, degli elementi che l'hanno indotto ad affermare la penale responsabilità del proprio assistito.

In particolare, si lamenta in ricorso che quest'ultima sia stata affermata perché il cane non era provvisto di museruola, senza tenere in alcun conto che il cane era all'interno del cortile della propria villetta quando il figlio minore del R., contro ogni ordine e raccomandazione impartitagli, approfittando dell'assenza del padre allontanatosi per adempiere ad alcune commissioni, aveva deciso di sciogliere il lungo guinzaglio cui era legato il cane, conducendolo all'esterno.

Così come osservato dal Giudice di Pace di Palermo nella sentenza di condanna, fa notare il ricorrente, il R. soltanto alle 19 -e quindi successivamente all'evento "aggressione"- faceva ritorno presso la propria residenza estiva in compagnia del genero M.U..

Indispensabile ai fini del decidere - si sostiene- era quindi ricostruire la dinamica della vicenda. Il M. racconta, infatti, che l'odierno imputato al momento dell'accaduto era lontano dalla propria abitazione al fine di adempiere ad alcune commissioni, mentre il figlio era sotto il controllo di altri soggetti nella vicina spiaggia.

In punto di diritto, pertanto, piuttosto che ritener sussunto il fatto nell'alveo dell'art. 40 cpv. c.p., questo, parrebbe rientrare più agevolmente, in quello del comma 1 del medesimo articolo.

Invero, il R. non avrebbe posto in essere azioni, nè, tantomeno, omissioni. Differentemente da quanto sostenuto dal primo giudicante, il quale per il ricorrente avrebbe posto in essere un evidente malgoverno della legge penale, risulterebbe essere assente, secondo la tesi sostenuta in ricorso, qualsivoglia rapporto di causalità tra l'evento naturalistico e la condotta dell'odierno ricorrente.

Il primo giudicante avrebbe, infatti, erroneamente ritenuto il R. titolare di una posizione di garanzia nei confronti del proprio cane, senza considerare, però, che in nessun modo l'evento dannoso poteva considerarsi prevedibile (si censurano, in particolare, le pagg. 4-5 della sentenza ove si legge che "al proprietario del cane fa capo una posizione di garanzia per la quale egli è tenuto a controllare e custodire l'animale, adottando ogni cautela per evitare e prevenire possibili aggressioni a terzi, anche all'interno dell'abitazione").

Differentemente da quanto sostenuto in sentenza, si legge in ricorso, la titolarità di una posizione di garanzia non comporta e non può comportare in alcun modo, in presenza del verificarsi dell'evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante (il richiamo è a Sez. 4 n. 32216/2018).

L'errore di diritto si sostanzierebbe nel fatto che l'evento non era per il R., che in quel momento era assente, nè prevedibile, nè evitabile.

Il giudice di pace palermitano sarebbe incorso in un errore riconducibile al concetto di causalità dell'omissione e, in ogni caso, non sarebbe possibile ritenere il R. responsabile di avere lasciato il figlio sotto la sorveglianza di altri.

Con un secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell'art. 27 Cost. in quanto sarebbe di tutta evidenza come il R. è stato considerato responsabile per un reato causato, di fatto, dal figlio minore durante la sua momentanea assenza. Invero, non potrebbe in alcun modo ritenersi sussistente la responsabilità del R. come conseguenza del malgoverno del proprio cane, in quanto è del tutto pacifico e dimostrato che egli abbia posto in essere ogni debita cautela in materia di custodia di animali.

Il ricorrente evidenzia come l'art. 40 c.p. accolga la teoria condizionalistica, che implica la verifica che la condotta del reo sia la condizione necessaria dell'evento dannoso; a tale assunto potrebbe addivenirsi, dunque, laddove eliminando ipoteticamente la condotta del reo, l'evento lesivo non si sarebbe realizzato. Potrebbe verificarsi un addebito di responsabilità, in altre parole, ove la condotta omissiva imputata ad un soggetto non abbia contrastato fattori di rischio già presenti in una situazione concreta, i quali abbiano determinato la realizzazione dell'evento dannoso.

Orbene, nel caso di specie, alcuna condotta nè commissiva nè tantomeno omissiva - sarebbe stata posta in essere dal R..

Il ricorrente rileva, invece, l'esistenza di una causa sopravvenuta indipendente dall'azione o omissione del R., la quale non può che far propendere per

l'esclusione del rapporto di causalità con l'evento, da individuarsi nella scelta irresponsabile del figlio, presa in assenza del padre e, dunque, fuori dalla sfera del di lui controllo.

Stante, pertanto, l'impossibilità di poter ritenere sussistente la responsabilità penale del R. per l'incosciente condotta posta in essere dal figlio minore, si determinerebbe una chiara violazione dell'art. 27 Cost., il quale, com'è noto, stabilisce che la responsabilità è personale. Valutando correttamente il principio di personalità dell'illecito penale, risultando assolutamente necessario attribuire rilievo esclusivamente a quelle fattispecie in cui risulti sussistente un rapporto tra il soggetto ed il fatto, stante l'estraneità al rapporto causale del R. sarebbe evidente come il primo giudicante sia incorso nella violazione di legge de quo.

In buona sostanza, la scelta assunta dal figlio in assenza del padre di portare a passeggio il cane, apparirebbe un elemento del tutto sufficiente ed autonomo a determinare l'evento, escludendo così, in ogni suo aspetto, possibili responsabilità del padre in qualità di padrone dell'animale.

Non si ravviserebbe alcuno dei necessari elementi per addivenire ad una responsabilità a titolo di colpa in capo all'odierno ricorrente, assente e lontano all'epoca dell'aggressione ai danni del B. .

Nè negligenza, nè imperizia, nè imprudenza.

Il proprio figlio, ribadisce il ricorrente, non era sotto la custodia del R., mentre il cane, si trovava all'interno di un'area debitamente recintata.

Il primo giudicante, nel valutare il R. responsabile dei reati lui ascritti, ha, peraltro, omesso di considerare la sussistenza del principio di affidamento. Difatti, il R. non potrebbe ritenersi colpevole di aver affidato il minore a persona che poi, nella sua sfera di autonomia, ha omesso di custodire il minore il quale ha commesso, a sua volta, l'evento lesivo. L'imputato, infatti, ha lecitamente presunto che altri avrebbero osservato ogni adeguata regola di precauzione nella vigilanza sul minore, atteso, peraltro, che dal canto suo, il R., per quanto concerne la custodia del proprio cane, ha adottato ogni misura idonea a scongiurare qualsivoglia possibile rischio.

Occorre in altre parole un dominio personale del soggetto sul fatto; dominio che non sarebbe in alcun modo riconducibile al R., ma, piuttosto, al figlio minore non imputabile. Di guisa che appare illegittimo, dunque, sul solco del principio costituzionale testè menzionato, considerare penalmente responsabile di un evento colui che, nella situazione concreta, non sarebbe nnSpzM stato in grado di evitarlo.

Il Giudice di pace di Palermo avrebbe di fatto, disatteso il fondamentale dettame costituzionale, ritenendo responsabile il padre per una condotta, in verità, posta in essere dal figlio. Nè, tantomeno, è possibile, in tal senso, invocare qualsivoglia responsabilità in vigilando del padre, attesa la sua assenza al momento della commissione del reato e l'affidamento del minore ad altri parenti.

Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.

All'udienza odierna, procedendosi a trattazione orale secondo la disciplina ordinaria, in virtù del disposto del D.L. 23 luglio 2021, n. 105, art. 7, comma 2, entrato in vigore in pari data, è comparso il solo Procuratore generale che ha assunto le conclusioni nei termini riportati in epigrafe.

Considerato in diritto

1. Il proposto ricorso è inammissibile.

2. Quanto al secondo motivo di ricorso, va evidenziato che la denuncia di violazione di norme costituzionali o di norme CEDU non integra un caso di ricorso per cassazione a norma dell'art. 606 c.p.p., lett. b), ma legittima la proposizione della questione di legittimità costituzionale (Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014 dep. 2015, Di Vincenzo, Rv. 261551). Il che non risulta essere avvenuto nel caso che ci occupa.

Il principio che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale si deduce la violazione di norme della Costituzione o della CEDU, poiché la loro inosservanza non è prevista tra i casi di ricorso dall'art. 606 c.p.p. e può soltanto costituire fondamento di una questione di legittimità costituzionale è stato anche ribadito di recente (Sez. 2, n. 12623 del 13/12/2019 dep. 2020, Leone, Rv. 279059 che ha sottolineato, quanto alla censura riguardante la presunta violazione della CEDU, che le sue norme, per come interpretate dalla Corte EDU, rivestono il rango di fonti interposte integratrici del precetto di cui all'art. 117 Cost., comma 1, sempre che siano conformi alla Costituzione e compatibili con la tutela degli interessi costituzionalmente protetti).

3. La dinamica dei fatti, per quello che rileva in questa sede, è incontestata.

B.M., persona offesa, come ricorda la sentenza impugnata, ha dichiarato che, mentre effettuava una corsetta nel lungomare di […], giunto all'altezza del civico XXX, improvvisamente, usciva dal cancello di un villino un cane di razza Rottweiler privo di museruola - condotto tramite un lungo guinzaglio da un minore - che gli saltava addosso azzannandolo al petto. Il teste ha aggiunto di avere cercato di allontanare il cane con la mano che gli veniva morsa, che il cane lo ha fatto cadere per terra, che l'animale è stato allontanato dal ragazzo verso la spiaggia, di avere seguito il ragazzo, che raggiungeva il padre, che si qualificava proprietario del cane e di avere subito per l'accaduto lesioni fisiche che gli furono refertate presso il Pronto Soccorso dell'Ospedale Civico di […], ove venne condotto per le prime cure da M.U., genero dell'imputato. Infine, il testimone ha precisato che gli avevano dato quattro punti di sutura sul petto e quindici punti di sutura sulla mano sinistra.

Dal suo canto il teste M.U. , ha dichiarato che quel (omissis), verso le 19, rientrando insieme all'odierno ricorrente R.G. nella casa estiva ubicata nel lungomare (omissis) di […], ebbe a notare un uomo che sanguinava al petto e a una mano, che l'uomo affermò di essere stato azzannato dal cane di proprietà dell'imputato, che il figlio minore dell'imputato confermò che lo stesso era stato aggredito mentre transitava davanti al cancello del loro villino dal cane, senza museruola, e di avere accompagnato il B. al Pronto Soccorso per le prime cure.

L'imputato, in sede di esame, ha affermato che quel giorno suo figlio P., di 12 anni, senza alcuna autorizzazione, aveva portato il rottweiler fuori per fare una passeggiata, che gli aveva riferito che il cane aveva azzannato un passante, di aver visto la persona offesa che sanguinava e che suo genero aveva accompagnato l'uomo al pronto soccorso.

I fatti in questione hanno trovato poi conferma nel referto medico rilasciato dal pronto soccorso, che dimostrava non solo che la persona offesa aveva riportato lesioni compatibili con l'aggressione da parte di un cane, ma anche l'immediatezza del ricorso alle cure mediche e la contestuale indicazione delle modalità di verificazione delle ferite (morso di cane).

4. Ebbene, quanto al primo motivo di ricorso, in buona sostanza il R. deduce di non avere potuto in alcun modo prevedere quanto sarebbe accaduto, in quanto aveva lasciato il proprio cane al figlio, che era in quel momento affidato ad altri.

Tali profili di doglianza sono, tuttavia, manifestamente infondati in quanto sul punto, il giudice del merito offre una motivazione logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune dai denunciati vizi di legittimità - evidenziando come l'odierno ricorrente, in sua assenza, aveva affidato il cane al figlio minore non in grado di esercitare su di esso una effettiva custodia e di contenerne il naturale slancio, non in grado di evitare l'aggressione da parte del cane privo di museruola e, di conseguenza, le lesioni fisiche riportate dalla persona offesa dal reato. Il ragazzo era solo e non, come evoca il ricorso, sotto il controllo di altri adulti.

Come ricorda il giudice di merito, il teste M., infatti, ha dichiarato che: "al momento dell'aggressione mio cognato R. P. (di anni 12) era solo in casa, in quanto lo e mio suocero (R.G.) eravamo usciti per andare a fare la spesa. Mia moglie e mia suocera al momento erano al mare".

La sentenza impugnata, pertanto, fa buon governo del principio secondo cui il proprietario di un cane risponde a titolo di colpa delle lesioni cagionate a terzi dallo stesso animale anche qualora ne abbia affidato la custodia a persona non in grado di esercitare su di esso una effettiva custodia (conferente il richiamo a Sez. 4, n. 34765 del 3/4/2008, Morgione e altro, Rv. 240774) o di contenerne il naturale slancio (così questa Sez. 4 n. 30548/2016), come avvenuto nel caso di specie (per gli obblighi in capo a chi detenga un cane vedasi anche Sez. 4, n. 51448 del 17/10/2017, Polito, Rv. 271329 e Sez. 4, n. 31874 del 27/6/2019, Giambellucca, Rv. 276705).

I motivi dedotti, dunque, non paiono idonei a scalfire l'impianto motivazionale della sentenza impugnata, in cui la Corte territoriale affronta con argomentazioni esaustive e logicamente plausibili le questioni propostele.

5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. N. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle Ammende.