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Procedimento disciplinare notarile, quali garanzie difensive? (Cass. 28905/18)

12 novembre 2018, Cassazione civile

La responsabilità disciplinare del notaio può derivare dalla violazione dell'obbligo di non compromettere, in qualunque modo, con la propria condotta, nella vita pubblica o privata, la sua dignità e reputazione o il decoro e prestigio della classe notarile; è illecito, a forma libera, e può essere integrato con condotte che, seppur non tipizzate, siano comunque idonee a ledere la dignità e la reputazione del notaio, nonchè il decoro ed il prestigio della classe notarile, il cui contenuto è integrato dalle regole di etica professionale e la cui individuazione in concreto è, peraltro, rimessa agli organi di disciplina.

Il Consiglio notarile, quando assuma l'iniziativa del procedimento disciplinare, è portatore di un interesse all'esatta applicazione della sanzione, che gli deriva dalla spettanza in capo all'Ordine del compito di elaborare i principi di deontologia professionale, e di vigilare che tali regole siano osservate insieme a quelle poste dal legislatore.

Il potere disciplinare del Consiglio notarile non si esercita attraverso un'attività giurisdizionale, avendo tale funzione natura amministrativa, in quanto svolta, nei confronti di appartenenti ad un gruppo organizzato, da un organo che ne è diretta emanazione ed opera al suo interno, per violazione di interessi propri dello stesso, mentre l'intervento della giurisdizione avviene successivamente all'esercizio del potere disciplinare del gruppo, a garanzia esclusiva dei singoli, ed ha luogo mediante l'esame dell'atto che ha definito il procedimento disciplinare.

La struttura del procedimento disciplinare  in relazione alla professione notarile, risulta, peraltro, ispirata, già nella sua fase amministrativa, dai sovraordinati principi del giusto processo, in quanto poggiante su una rigida divisione tra fase pre-procedimentale e procedimento disciplinare vero e proprio: al Consiglio Notarile (oltre che al Procuratore della Repubblica ed al Capo dell'archivio notarile) è affidato il compito della richiesta di apertura del procedimento disciplinare rivolta alla Commissione regionale di disciplina, che si connota per la contestazione del rilievo disciplinare all'incolpato, l'illustrazione delle prove raccolte e la domanda di una sanzione.

Questa fase non pone già l'esigenza di garanzie di difesa, non essendo ancora pendente un procedimento disciplinare. Spetta, invece, alla Commissione di procedere all'istruzione nel contraddittorio con l'incolpato (il quale può esaminare tutti gli elementi acquisiti nella fase pre-procedimentale), e, all'esito, di decidere, come organismo terzo ed imparziale, sulla fondatezza dell'addebito. In tale fase opera con pienezza il principio del contraddittorio, con facoltà per le parti di farsi assistere da un difensore, di presentare memorie e indicare i mezzi istruttori di cui intendono avvalersi. Il collegio assume, anche d'ufficio, tutte le prove ritenute rilevanti ai fini della decisione.

Il procedimento disciplinare notarile è modellato, con gli opportuni adattamenti, al procedimento disciplinare nei confronti di magistrati: la cessazione dal servizio per collocamento a riposo, dovuto al raggiungimento del limite di età, del notaio sottoposto a procedimento disciplinare, sopravvenuta prima del passaggio in giudicato della pronunzia che applica la sanzione disciplinare, comporta la cessazione della materia del contendere e, quindi, anche l'inammissibilità, per sopravvenuto difetto di interesse, del ricorso per cassazione proposto contro la sentenza emessa in sede di reclamo dalla Corte di appello, con conseguente caducazione della sentenza stessa.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

(ud. 21/09/2018) 12-11-2018, n. 28905

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto - Presidente -

Dott. CARRATO Aldo - Consigliere -

Dott. SCALISI Antonino - Consigliere -

Dott. SCARPA Antonio - rel. Consigliere -

Dott. OLIVA Stefano - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24760/2017 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, **, presso lo studio dell'avvocato MC  rappresentato e difeso dall'avvocato Es;

- ricorrente -

contro

CONSIGLIO NOTARILE DEI DISTRETTI RIUNITI DI FIRENZE PISTOIA E PRATO, elettivamente domiciliato in FIRENZE, VIA LA MARMORA 14, presso lo studio dell'avvocato DMT, che lo rappresenta e difende;

- controricorrente -

e contro

PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO CORTE DI APPELLO DI FIRENZE;

- intimata -

avverso l'ordinanza della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 14/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/09/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Il notaio C.S. ha proposto ricorso articolato in otto motivi avverso l'ordinanza della Corte di Appello di Firenze depositata il 14 marzo 2017, la quale ha respinto il reclamo contro il provvedimento della Commissione amministrativa regionale di disciplina sui notai (CO.RE.DI) per la legione Toscana del 20 aprile 2016, con cui è stata comminata al ricorrente la sanzione della sospensione per un anno, nonchè la destituzione per violazione dell'art. 142 lett. d), legge 16 febbraio 1913, n. 89.

Sono stati intimati il Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze, Pistoia e Prato, che si difende con controricorso, e la Procura generale presso la Corte d'Appello di Firenze.

Il procedimento disciplinare traeva origine dall'ispezione straordinaria eseguita in data 4 settembre 2015 presso lo studio del notaio C., e concerneva: condotte di sistematica tardiva registrazione e trascrizione di atti ricevuti dal notaio tra il dicembre 2014 ed il maggio 2015; condotte di esposizione in fatture di anticipazioni non giustificate, imposte diverse da quelle effettivamente pagate ed onorari anomali; mancata esibizione di documentazione inerente alle spese addebitate al cliente per le pratiche in esame. Un'altra contestazione derivava dalla segnalazione indirizzata al Consiglio Notarile dall'Agenzia delle Entrate di Firenze, relativamente all'atto di divisione dei beni di proprietà dei signori G., rogato il 31 luglio 2013, per il quale il notaio aveva dapprima richiesto al cliente imposte di Euro 8.800,00 per una massa dichiarata del valore di Euro 880.000,00, quindi aveva registrato l'atto pagando imposte di Euro 4.800,00 ed esibendo copia che riportava il valore della massa di Euro 480.000,00, aveva ancora nel novembre 2013 fatto sottoscrivere alle parti un nuovo originale che riportava il valore della massa di Euro 480.000,00, ed infine rilasciato copia conforme di questo secondo atto datandolo al 9 agosto 2013.

La Corte di Appello di Firenze, in via preliminare, riteneva infondata la questione relativa alla sopravvenuta cessazione della materia del contendere sollevata dal notaio C., giacchè dispensato dal servizio con decreto del Ministero della g.zia del 6 settembre 2016, osservando come la dispensa dall'esercizio della funzione notarile, anche in seguito a cancellazione dal Ruolo di Notaio, non determina l'assoluta impossibilità per il professionista di poter tornare ad esercitare le proprie funzioni.

Il ricorrente aveva pure lamentato la nullità del provvedimento assunto nel corso dell'adunanza del 17 settembre 2015, con la quale il Consiglio Notarile aveva deliberato di esperire nei confronti del notaio C. il procedimento disciplinare, in quanto tale delibera risultava votata all'unanimità dai consiglieri presenti (7 su 11), ma nel verbale il presidente aveva dava atto di aver contattato per telefono i quattro notai assenti, i quali avrebbero dato il loro consenso, così violando la formazione della volontà collegiale dell'organo. Al riguardo, la Corte d'Appello di Firenze ha affermato che, ai sensi dell'art. 92 legge notarile, la delibera del consiglio era da ritenere comunque valida, in quanto assunta con il voto di maggioranza dei membri presenti, a nulla rilevando l'opinione espressa al telefono dai quattro notai assenti.

Altra ragione di reclamo contestava la legittimità del provvedimento della CO.RE.DI per aver ritenuto utilizzabili i documenti nn. 1-4, prodotti dal Consiglio Notarile in allegato alla memoria istruttoria del 23 gennaio 2016, diretti a comprovare la scorretta conservazione dell'atto di divisione dei beni immobili di proprietà dei signori G. del 31 luglio 2013. Tali documenti erano stati trasmessi dall'Agenzia delle Entrate di Firenze al Consiglio Notarile in data posteriore all'udienza di discussione del procedimento cautelare dell'i ottobre 2015, e dunque in violazione dell'art. 329 c.p.p., in tema di segreto istruttorio, nonchè della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 22, comma 4, in tema di accesso a documenti amministrativi. La Corte d'Appello ha invece considerato lecita l'acquisizione delle informazioni trasmesse dall'Agenzia delle Entrate, pur essendo le stesse inerenti all'indagine penale in corso relativa alla vicenda della divisione G., escludendo la violazione dell'art. 329 c.p.p., e dell'art. della L. n. 241 del 1990, art. 22, ed invece invocando l'applicazione dell'art. 93 bis della legge notarile, dell'art. 129 disp. att. c.p.p., e della L. n. 241 del 1990,art. 22, comma 5.

Il reclamante, aveva, ancora, criticato il difetto di proporzionalità della sospensione inflitta, per l'assenza di qualsivoglia reiterazione dell'illecito concernente la tardiva registrazione degli atti soggetti a trascrizione/iscrizione nei registri Immobiliari; come anche per la non ravvisabilità di una sistematica emissione di fatture irregolari per l'esposizione di spese-anticipazioni non giustificate.

Quanto alla sanzione della destituzione per violazione dell'art. 142, lett. d), legge notarile, per aver sostituito l'originale dell'atto di divisione G. del 31 luglio 2013 - al fine di modificare l'importo dei valori assegnati ai singoli lotti e quello complessivo dell'imponibile da assoggettare a tassazione -, il notaio C. aveva prospettato alla Corte d'Appello una ricostruzione alternativa dei fatti e denunciato la mancata audizione dei fratelli G..

La Corte di Firenze ha, per contro, ravvisato la violazione dell'art. 147, lett. a, legge notarile, in relazione all'art. 2671 c.c., comma 1, in quanto, dagli esiti dell'ispezione, il notaio C. era risultato solito trascrivere gli atti nei registri immobiliari tra il ventesimo e il trentesimo giorno dalla loro stipula, ponendo così a rischio il cliente, a nulla rilevando l'obiezione secondo la quale il termine di tre giorni, richiamato dal provvedimento sanzionatorio, non sarebbe menzionato dalla legge. I giudici del reclamo non hanno poi reputato sproporzionata ed eccessiva l'inflitta sanzione della sospensione, essendo stato comprovata la sussistenza in capo al notaio C. di almeno altri due procedimenti disciplinari conclusi con l'irrogazione di sanzioni. La Corte d'Appello ha pure rilevato come dagli accertamenti ispettivi fosse emersa, nelle fatture rilasciate ai clienti, una esposizione sistematica di spese sproporzionate e abnormi, esenti in quanto tali da imposizione, onde far apparire minori importi per onorari, in tal modo realizzando illeciti concorrenziali, punibili ai sensi dell'art. 147, lett. c, legge notarile.

Da ultimo, quanto alla sanzione della destituzione, i giudici del reclamo hanno ritenuto non sostenibile la versione difensiva delle vicende della "divisione G." offerta dal notaio C., versione smentita dal contenuto delle allegate e-mail intercorse tra i G. ed il notaio nel settembre e nel novembre del 2013, nonchè coerente con quanto dichiarato da Sergio G. all'Agenzia dell'Entrate il 10 settembre 2015: il notaio aveva, dunque, stipulato l'atto di divisione originale per l'importo di Euro 880.000,00, inviato all'Agenzia delle Entrate il modello unico informatico recante l'importo di Euro 480.000,00, in maniera da trattenere indebitamente Euro 4.000,00 dell'imposta di registro versata dai clienti; una volta scoperto, il notaio avrebbe dapprima parlato nella e-mail del 20 settembre 2013 di un "errore materiale di battitura", poi invitato le parti, in successiva e-mail dell'8 novembre 2013, a sottoscrivere un nuovo atto di divisione, falsamente retrodatato, recante il minor importo di Euro 480.000,00, restituendo ai clienti la somma di Euro 4.000,00.

Il controricorrente ha presentato memoria ai sensi dell'art. 378 c. p.c..

Motivi della decisione

I. Il primo motivo di ricorso del notaio C.S. censura la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 1913, artt. 30, 31 e 33, e dell'articolo unico della L. n. 45 del 1983, per non avere la Corte di Appello colto quelli che sono gli effetti della dispensa volontaria, che comporta la cancellazione dal ruolo di notaio e non può perciò non far decadere il procedimento disciplinare. Si conclude dal ricorrente, a sostegno della pretesa declaratoria di cessazione della materia del contendere, che "la fuoriuscita dell'incolpato dai ruoli notarili ha come conseguenza il venir meno di ogni interesse alla prosecuzione del giudizio disciplinare, che tanto per il Notaio quanto per l'organo richiedente, nasce e vive soltanto nell'ambito e per le finalità del rapporto in essere, con la conseguenza che una volta cessato quest'ultimo, deve terminare anche il primo perchè a quel punto è insuscettibile di spiegare alcuno degli effetti suoi propri".

I.1. Il primo motivo di ricorso del notaio C.S. è infondato.

E' corretta la decisione della Corte d'Appello, secondo cui la dispensa dall'esercizio della funzione notarile, che ha riguardato il dottor C. (decreto Ministero della G.zia 6 settembre 2016), non determina la cessazione della materia del contendere della presente controversia in materia di impugnazione dei provvedimenti disciplinari pronunciati dalla Commissione amministrativa regionale di disciplina.

Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, applicando, con gli opportuni adattamenti, anche al procedimento disciplinare notarile il principio utilizzato in sede di procedimento disciplinare nei confronti di magistrati, ha affermato che la cessazione dal servizio per collocamento a riposo, dovuto al raggiungimento del limite di età, del notaio sottoposto a procedimento disciplinare, sopravvenuta prima del passaggio in giudicato della pronunzia che applica la sanzione disciplinare, comporta la cessazione della materia del contendere e, quindi, anche l'inammissibilità, per sopravvenuto difetto di interesse, del ricorso per cassazione proposto contro la sentenza emessa in sede di reclamo dalla Corte di appello, con conseguente caducazione della sentenza stessa (così Cass. Sez. 6 - 3, 13/03/2012, n. 4001; Cass. Sez. 2, 11/05/ 2015, n. 9481; Cass. Sez. 2, 29/11/2016, n. 24244; Cass. Sez. 2, 05/05/2016, n. 9041).

Tale interpretazione trae origine dalla considerazione che la definitiva cessazione dal servizio, prima del passaggio in giudicato della pronuncia che ha applicato la sanzione disciplinare, impedisce irritrattabilmente alla decisione di incidere sulle vicende di un rapporto ormai esaurito, in quanto il potere disciplinare, coordinato alla necessità di mantenere l'ordine nell'istituzione, non ha ragione di esplicarsi se non in costanza del rapporto di servizio (cfr. essenzialmente Cass. Sez. U, 08/08/1991, n. 8639; Cass. Sez. U, 26/05/1995, n. 5806; Cass. Sez. U, 19/12/2009, n. 26811; Cass. Sez. U, 12/02/2010, n. 3245; Cass. Sez. U, 01/12/2010, n. 24304).

L'articolo unico della legge 18 febbraio 1983, n. 45, dispone, allora, che "i notai dichiarati decaduti ai sensi della L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 30, comma 1, come modificato dalla L. 30 aprile 1976, n. 197, art. 10, e L. 10 maggio 1978, n. 177, art. 6, e quelli dispensati per rinuncia ai sensi della medesima L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 31, sono, a loro domanda, riammessi all'esercizio della professione con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro della giustizia, a condizione che non abbiano compiuto il 65 anno di età, e vengono ammessi a concorrere alle sedi vacanti secondo i criteri previsti dalla citata L. 30 aprile 1976, n. 197".

La giurisprudenza amministrativa ha, peraltro, sostenuto che la dispensa per rinuncia dalle funzioni, ex art. 31 legge notarile, incide unicamente sul concreto esercizio di dette funzioni e non sullo status di notaio, che, una volta conseguito, permane seppure in uno stato di quiescenza. Tant'è che la riammissione ex L. 18 febbraio 1983, n. 45, all'esercizio professionale dei notai dichiarati decaduti o dispensati non corrisponde ad una vera e propria nuova nomina (Consiglio di Stato, sez. IV, 25/05/1996, n. 788). In sede di riammissione nel notaio già dispensato per rinuncia, la P.A. non ha, quindi, gli stessi poteri previsti per l'ammissione, allorchè il potere dell'Amministrazione può evitare l'assegnazione della funzione notarile a persona senza requisiti; invece, dopo l'ammissione all'esercizio dell'attività professionale, il relativo iniziale interesse del soggetto si trasforma in un vero e proprio diritto soggettivo ad esercitare la funzione notarile, essendo tipicamente disciplinate dalla legge le fattispecie di cessazione, destituzione, riammissione. Consiglio di Stato, sez. IV, 22/03/2007, n. 1392, negava, in particolare, che il Ministero potesse rifiutare la riammissione di un notaio dispensato dal servizio su sua domanda a seguito di condanna penale, altrimenti consentendosi surrettiziamente all'amministrazione di irrogare al professionista "una sanzione disciplinare, in assenza del dovuto procedimento a suo tempo non attivato".

Deve quindi affermarsi che la dispensa per rinuncia ex art. 31 legge notarile, la quale venga disposta nei confronti di un notaio in pendenza del giudizio di impugnazione di un provvedimento disciplinare pronunciato dalla Commissione amministrativa regionale di disciplina, e comunque prima del passaggio in giudicato della pronuncia sulla sanzione disciplinare, non comporta la cessazione della materia del contendere e, quindi, l'inammissibilità dell'impugnazione per sopravvenuto difetto d'interesse, in considerazione dell'incidenza di detta sanzione su posizioni inerenti al quiescente status del notaio dispensato per rinuncia.

II. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 1913, art. 92, in quanto, dalla lettura del verbale dell'adunanza consiliare del 17 settembre 2015, risulta che la delibera di promovimento dell'azione disciplinare è stata assunta con il consenso dei quattro notai assenti contattati telefonicamente, consenso non manifestato nel concerto di tutti gli altri presenti, bensì singolarmente. Testualmente il verbale recitava: "Per quanto possa occorrere il Presidente fa presente di aver contattato telefonicamente i consiglieri assenti... i quali hanno manifestato piena adesione..." Ciò avrebbe comportato per il ricorrente la nullità dell'intero procedimento, non esistendo "nell'ordinamento italiano una votazione "per quanto occorrer possa" o il "parere espresso ma non rilevante"".

II.1. Il secondo motivo di ricorso è infondato. La L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 92, stabilisce che "per la validità delle deliberazioni del Consiglio, è necessario l'intervento della maggioranza dei suoi membri. Le deliberazioni sono prese a maggioranza di voti dei presenti....".

E' stato accertato dalla Corte d'Appello che la delibera del 17 settembre 2015 del Consiglio Notarile dei Distretti di Firenze, Pistoia e Prato fu adottata con l'intervento di sette consiglieri su undici, all'unanimità dei presenti.

I Collegi e i Consigli centrali degli ordini professionali in generale, come pure, ove non altrimenti disposto, i collegi disciplinari locali dei predetti ordini professionali, in considerazione della natura amministrativa e non giurisdizionale, sono organi collegiali a composizione variabile e non collegi perfetti (Cass. Sez. 3, 14/04/2005, n. 7765). Al Consiglio notarile spetta, tra l'altro, l'iniziativa del procedimento disciplinare (art. 153, lett. b, legge notarile), la quale è quindi frutto della pronuncia di organo collegiale, che esige, come requisito di validità, la regolare costituzione di tale organo, con la preventiva convocazione di tutti i suoi componenti, anche se poi non si richiede la partecipazione del plenum, essendo sufficiente la presenza di un numero almeno pari alla metà dei consiglieri. Sulla validità della deliberazione del consiglio notarile non spiega, quindi, rilievo la circostanza che il relativo verbale, come nella specie, dia indicazioni sulla manifestazione di "adesione" proveniente da alcuni consiglieri non intervenuti fisicamente nel luogo dell'adunanza, ma consultati telefonicamente, essendo sufficiente che da esso emerga il rispetto delle prescrizioni fissate dall'art. 92 della legge notarile, e, cioè, l'intervento della maggioranza dei componenti del consiglio e l'adozione della deliberazione medesima a maggioranza di voti.

III. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell'art. 329 c.p.p., in combinato disposto con l'art. 129 disp. att. c.p.p., e con la L. n. 89 del 1913, art. 93 bis.

Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 22, e dell'art. 331 c.p.c..

Nel terzo e nel quarto motivo, esposti unitariamente dal ricorrente, si assume, con riferimento all'inutilizzabilità dei documenti dal n. 1 al n. 4 prodotti dal Consiglio Notarile davanti alla CO.RE.DI. con la memoria del 23 gennaio 2016, che, a differenza di quanto affermato dalla Corte di Firenze, non esisterebbe alcuna incompatibilità tra l'art. 329 c.p.p., e l'art. 129 disp. att. c.p.p.; l'acquisizione di atti penali coperti dal segreto istruttorio non sarebbe g.ficata nemmeno dall'art. 93 bis legge notarile, nè si tratterebbe di "documenti amministrativi".

III.1. Terzo e quarto motivo di ricorso vanno esaminati congiuntamente, perchè connessi, e si rivelano infondati.

L'art. 93 bis, introdotto dalla D.Lgs. 1 agosto 2006, n. 249, art. 10, nei suoi primi due commi, in base alla formulazione (qui operante ratione temporis) antecedente alle modifiche apportate dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 139, lett. c, prevede che:

Il Consiglio notarile distrettuale vigila sull'osservanza, da parte dei notai iscritti al collegio, dei principi e delle norme di deontologia professionale elaborati dal Consiglio nazionale del notariato secondo quanto previsto secondo quanto previsto dalla L. 3 agosto 1949, n. 577, art. 2, comma 1, lett. f) e successive modificazioni.

2. Al fine di controllare il regolare esercizio dell'attività notarile, consigli notarili distrettuali, tramite il presidente o un loro componente, delegato dal consiglio, possono:

a) effettuare accessi agli studi ed esaminare atti, repertori, indici, registri, libri e documenti contabili del notaio;

b) esaminare gli estratti repertoriali conservati presso gli archivi notarili distrettuali con facoltà di ottenerne copia, dandone preventivo avviso ai notai interessati;

c) assumere informazioni presso le amministrazioni e gli uffici pubblici".

La L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 139, lett. c, ha poi introdotto il comma 2 bis, secondo cui:

L'Agenzia delle entrate trasmette al Consiglio nazionale del notariato, esclusivamente con modalità telematiche entro il secondo mese successivo a quello di scadenza, le informazioni sugli omessi e ritardati versamenti richiesti ai notai con avviso di liquidazione.

Questa Corte (Cass. Sez. 2, 05/05/2016, n. 9041; Cass. Sez. 2, 06/12/2016, n. 24962; Cass. Sez. 2, 19/05/2017, n. 12683) ha già avuto occasione di ribadire come il Consiglio notarile, quando assuma l'iniziativa del procedimento disciplinare, sia portatore di un interesse all'esatta applicazione della sanzione, che gli deriva dalla spettanza in capo all'Ordine del compito di elaborare i principi di deontologia professionale (la cui enunciazione è rimessa istituzionalmente al Consiglio nazionale del Notariato dalla L. 3 agosto 1949, n. 577, art. 2, lett. f), e di vigilare che tali regole siano osservate insieme a quelle poste dal legislatore. Peraltro, il potere disciplinare del Consiglio notarile non si esercita attraverso un'attività giurisdizionale, avendo tale funzione natura amministrativa, in quanto svolta, nei confronti di appartenenti ad un gruppo organizzato, da un organo che ne è diretta emanazione ed opera al suo interno, per violazione di interessi propri dello stesso, mentre l'intervento della giurisdizione avviene successivamente all'esercizio del potere disciplinare del gruppo, a garanzia esclusiva dei singoli, ed ha luogo mediante l'esame dell'atto che ha definito il procedimento disciplinare.

La struttura del procedimento disciplinare normativamente adottata col D.Lgs. 1 agosto 2006, n. 249, in relazione alla professione notarile, risulta, peraltro, ispirata, già nella sua fase amministrativa, dai sovraordinati principi del giusto processo, in quanto poggiante su una rigida divisione tra fase pre-procedimentale e procedimento disciplinare vero e proprio: al Consiglio Notarile (oltre che al Procuratore della Repubblica ed al Capo dell'archivio notarile) è affidato il compito della richiesta di apertura del procedimento disciplinare rivolta alla Commissione regionale di disciplina, che si connota per la contestazione del rilievo disciplinare all'incolpato, l'illustrazione delle prove raccolte e la domanda di una sanzione. Questa fase non pone già l'esigenza di garanzie di difesa, non essendo ancora pendente un procedimento disciplinare. Spetta, invece, alla Commissione di procedere all'istruzione nel contraddittorio con l'incolpato (il quale può esaminare tutti gli elementi acquisiti nella fase pre-procedimentale), e, all'esito, di decidere, come organismo terzo ed imparziale, sulla fondatezza dell'addebito. In tale fase opera con pienezza il principio del contraddittorio, con facoltà per le parti di farsi assistere da un difensore, di presentare memorie e indicare i mezzi istruttori di cui intendono avvalersi. Il collegio assume, anche d'ufficio, tutte le prove ritenute rilevanti ai fini della decisione.

Non v'è perciò dubbio che le potestà ispettive attribuite ai consigli notarili distrettuali dall'art. 93-bis, comma 2, legge notarile, siano espressamente funzionali alle attribuzioni, ad essi spettante per legge, di controllo del regolare esercizio dell'attività notarile, nonchè di eventuale promovimento dell'azione disciplinare, esplicandosi in attività sottoposte al sindacato del giudice ordinario (Cass. Sez. 3, 02/09/2013, n. 20054). Si tratta, quindi, di un'attività istruttoria preliminare, affidata al Consiglio notarile, volta ad individuare il fatto oggetto dell'addebito, le norme che si assumono violate e a formulare le conclusioni, senza che si ponga l'esigenza di garanzie di difesa, non essendo ancora pendente un procedimento disciplinare.

Ne consegue che gli atti acquisiti dal Consiglio notarile ai sensi dell'art. 93 bis, l. not., quali quelli, nelle specie, trasmessi dall'Agenzia delle Entrate, trovano in tale norma la loro speciale e compiuta disciplina, e, seppur derivanti da indagini preliminari svolte in sede penale, possono essere utilizzati come elementi di giudizio dalla Commissione regionale di disciplina, dopo che siano stati sottoposti in contraddittorio all'incolpato, senza che rilevino sull'efficacia probatoria dei documenti trasmessi, e tanto meno sulla validità del provvedimento disciplinare emesso, nè i limiti del segreto istruttorio imposto dall'art. 329 c.p.p., i quali sono dettati a tutela della riservatezza delle indagini penali, e non già dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, nè i limiti generali stabiliti dalla L. n. 241 del 1990, in materia di diritto di accesso ai documenti amministrativi.

IV. Il quinto motivo di ricorso lamenta la violazione degli artt. 2671 e 2697 c.c., e della L. n. 89 del 1913, art. 144, nonchè l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ("mancata prova dell'organo incolpante"), per avere la Corte di Firenze, nel ritenere sussistente la condotta di sistematica tardiva registrazione degli atti, omesso di indicare quale danno o pericolo di danno nel caso concreto sarebbe occorso alla clientela. Neppure il Consiglio notarile avrebbe dimostrato l'esistenza di precedenti condanne disciplinari per fatti della stessa indole.

IV.1. Anche il quinto motivo di ricorso è infondato.

Questa Corte, a proposito dell'art. 2671 c.c., ha affermato come il legislatore - stabilendo, nell'art. 2671 c.c., comma 1, che il notaio o altro pubblico ufficiale che ha ricevuto o autenticato l'atto soggetto a trascrizione, ha l'obbligo di curare che questa venga eseguita "nel più breve tempo possibile" - ha certamente escluso la predeterminazione, per tale adempimento, di un termine unico, applicabile in tutti i casi, con la conseguenza che, dovendo il notaio usare, nell'assolvimento dell'obbligo suddetto, quella particolare sollecitudine imposta dall'importanza della formalità e dall'esigenza della più pronta tutela dell'interesse delle parti, indipendentemente da una esplicita richiesta delle stesse, spetta al giudice del merito di stabilire di volta in volta tenendo conto della particolarità del caso concreto, della natura dell'atto e di ogni altra utile circostanza attinente sia ai tempi ed ai mezzi di normale impiego per l'esecuzione della trascrizione sia alle evenienze non imputabili al notaio - se l'indugio frapposto dal professionista g.fichi l'affermazione della sua responsabilità verso il cliente, tenuto conto che detta responsabilità ha natura contrattuale e che il notaio è tenuto ad espletare l'incarico che le parti gli affidano con la diligenza media di un professionista sufficientemente preparato, secondo quanto dispone l'art. 1176 c.c., comma 2, (Cass. Sez. 3, 12/05/1990, n. 4111; Cass. Sez. 3, 27/11/2012, n. 20995; Cass. Sez. 3, 21/06/2012, n. 10297).

La Corte d'Appello di Firenze, basandosi sulle risultanze del verbale ispettivo, ha affermato che la sistematica trascrizione degli atti eseguita dal notaio C. tra il ventesimo ed il trentesimo giorno dalla stipula, seppur nel rispetto del termine indicato dal D.Lgs. 31 ottobre 1997, n. 347, art. 6, comma 1, ai fini dell'adempimento delle imposte ipotecaria e catastale, concretasse violazione dell'art. 147, lett. a), della legge notarile. Tale conclusione è conforme alla interpretazione che questa stessa Corte ha adottato per fattispecie analoghe. Così Cass. Sez. 2, 07/05/2018, n. 10872, secondo la quale l'art. 2671 c.c., impone comunque che il notaio proceda all'adempimento "il più presto possibile... senza andare oltre il tempo tecnico strettamente necessario", essendo lo scopo della norma "fin troppo ovvio: ridurre al minimo il rischio di fraudolente seconde alienazioni del venditore, che, ove anteriormente trascritte, pregiudicherebbero il primo legittimo acquisto. Il notaio ove, per eccesso di stipule e/o per una non adeguata organizzazione dello studio, violi non occasionalmente la prescrizione (secondo un giudizio discrezionale di merito) incorre nella ipotesi disciplinare. L'illecito in parola resta integrata per il solo fatto del non episodico od occasionale ritardo, senza che occorra accertare la verificazione di un danno per le parti stipulanti" (si veda anche in senso analogo Cass. Sez. 2, 17/11/2015, n. 23491).

Correttamente, perciò, la Corte di Firenze ha ravvisato al riguardo la responsabilità disciplinare del notaio L. n. 89 del 1913, ex art. 147, comma 1, lett. a), norma che configura come illecito, a forma libera, condotte che, seppur non tipizzate, siano comunque idonee a ledere la dignità e la reputazione del notaio, nonchè il decoro ed il prestigio della classe notarile, il cui contenuto è integrato dalle regole di etica professionale e la cui individuazione in concreto è, peraltro, rimessa agli organi di disciplina (Cass. Sez. 2, 28/08/2015, n. 17266; Cass. Sez. 3, 12/11/2013, n. 25408).

E' altrettanto costante l'interpretazione secondo cui, allorchè il notaio sia richiesto della preparazione e della stesura di un atto pubblico di trasferimento immobiliare, la sua opera non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti, ma si estende a tutte quelle attività preparatorie e successive necessarie perchè sia assicurata la serietà e la certezza dell'atto giuridico da rogarsi ed, in particolare, la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dai contraenti; sotto il profilo deontologico, è innegabile l'importanza che va poi assegnata alla tempestività di tali prestazioni accessorie.

Non emergono dalla motivazione della Corte d'Appello, che trae fondamento dalle emergenze documentali delle attività ispettive, violazioni nelle regole di distribuzione dell'onere probatorio, nè omesso esame di fatti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Neppure rileva, sul piano della verifica della sussistenza dell'illecito disciplinare, ove si ravvisa la violazione di obblighi deontologici, l'obiezione che alcun cliente abbia in concreto subito danno dall'operato del notaio.

Quanto all'esistenza di precedenti condotte disciplinarmente sanzionate, l'ordinanza impugnata ha fatto circostanziato riferimento a due procedimenti del 2010 e del 2014, in ordine ai quali il ricorrente oppone soltanto una inammissibile generica negazione.

V. Il sesto motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 147 legge notarile e del D.P.R. n. 633 del 1972,art. 15, nonchè l'omesso esame della documentazione fiscale e non, prodotta dal ricorrente. La Corte di Firenze non avrebbe dato risposta alle doglianze del notaio C., che dimostravano come tutte le spese e le anticipazioni non imponibili imputate ai clienti nelle fatture ritenute fittizie, erano, invece, giustificate; così come la Corte di Appello non avrebbe considerato che il notaio ha diritto di vedersi riconosciuto dal cliente quanto abbia anticipato per il compimento dell'opera del letturista.

V.1. Il sesto motivo di ricorso è inammissibile. L'ordinanza impugnata, mediante argomentata specificazione degli elementi di fatto riscontrati in sede di ispezione, ha addebitato al notaio C. la condotta consistita nella reiterata emissione di fatture irregolari a fronte di anticipazioni di spese inesistenti, la quale integra la fattispecie di illecita concorrenza di cui all'art. 147, lett. c), della legge notarile, in relazione all'art. 14 del codice deontologico - che include la suddetta condotta tra le ipotesi tipiche di illecita concorrenza (Cass. Sez. 2, 31/01/2017, n. 2526). Il motivo in esame, invece, adducendo circostanze fattuali, quali l'erronea valutazione della documentazione allegata e la cattiva interpretazione degli elementi concreti della vicenda, si pone ben al di fuori del vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione dell'art. 147 legge notarile e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 15, in quanto si riduce a sostenere l'erronea ricognizione da parte della Corte del merito della fattispecie concreta attraverso le risultanze di causa, nonchè a contrapporre una propria ricostruzione dei fatti diversa rispetto a quella desumibile dalla motivazione dell'ordinanza impugnata. Nè, ai fini del riformulato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vengono individuati fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo, specificati in ricorso nel rispetto delle previsioni dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, limitandosi il ricorrente a sollecitare un nuovo esame di elementi istruttori inerenti a fatti comunque presi in considerazione dalla Corte d'Appello (cfr. Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).

VI. Il settimo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 1913, art. 142, e dell'art. 2697 c.c.. L'ottavo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., nonchè l'omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, nella specie le istanze istruttorie. Settimo ed ottavo motivo di ricorso sono esposti promiscuamente dal ricorrente sotto una comune rubrica. Con riferimento alla vicenda sanzionata con la destituzione (relativa all'atto di divisione dei fratelli G. del 2013), la Corte di Firenze avrebbe violato il diritto di difesa e sarebbe incorsa nell'omesso l'esame di fatti decisivi per il giudizio, non ammettendo le prove testimoniali dedotte dal reclamante sulla varie fasi della vicenda.

VI.1. Il settimo e l'ottavo motivo di ricorso, che possono trattarsi congiuntamente, sono in parte inammissibili e comunque sono infondati.

La Corte d'Appello, sulla base delle comunicazioni telematiche acquisite agli atti e delle dichiarazioni rese da Sergio G. all'Agenzia dell'Entrate, ha accertato che il notaio C., dopo aver stipulato l'atto di divisione del 31 luglio 2013 per l'importo di Euro 880.000,00, e dopo aver invece inviato all'Agenzia delle Entrate il modello unico informatico recante l'importo di Euro 480.000,00, aveva invitato le parti a sottoscrivere un nuovo atto di divisione, falsamente retrodatato e recante il minor importo di Euro 480.000,00, al fine di sostituire l'atto iniziale voluto dai condividenti. In ciò è stata ravvisata la condotta, sanzionata con la destituzione dall'art. 142, lett. d, legge notarile, della dolosa mancata conservazione da parte del notaio di atto da lui ricevuto. Essendo i fatti emergenti dalle prove documentali acquisite, la Corte di Firenze ha ritenuto superflua l'audizione dei signori G..

Il settimo e l'ottavo motivo di ricorso propongono di dare alle vicende, così come sintetizzate, una diversa significatività, evidenziando come il notaio avesse comunque sempre conservato l'originale stipulato il 31 luglio 2013, e contengono perciò critiche alla valutazione delle risultanze istruttorie ritenute dalla Corte di Firenze idonee a sorreggere la motivazione, senza tuttavia scalfire la congruenza dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova. Nessuna delle censure avanzate, come nessuna delle circostanze che si volevano dimostrare con testimoni, elencate a pagina 54 di ricorso, rivelano, tuttavia, la sussistenza di un nesso eziologico tra i vizi denunciati e la pronuncia emessa in concreto, dimostrando che le prove omesse avrebbero potuto determinare con certezza un esito diverso della controversia sul punto in esame.

VII. Il ricorso viene dunque rigettato. Le spese del giudizio di cassazione vanno regolate secondo soccombenza in favore del controricorrente Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze, Pistoia e Prato, nell'importo liquidato in dispositivo.

Sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater all'art. 13, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - dell'obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione integralmente rigettate.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida, rispettivamente, in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2018