I limiti di pena per l'applicazione delle sanzioni sostitutive di pene detentive brevi introdotte dalla riforma Cartabia sono riferiti alla pena inflitta con la sentenza di condanna e non all'eventuale residuo di pena in concreto da scontare in caso di presofferto cautelare.
Corte di Cassazione
sez. I, ud. 12 ottobre 2023 (dep. 19 gennaio 2024), n. 2356
Presidente Boni – Relatore Aliffi
Ritenuto in fatto
1. Con L'ordinanza indicata nel preambolo, la Corte di appello di Messina ha rigettato l'istanza con cui S.F. aveva chiesto sostituirsi la pena di anni 3 e mesi 9 di reclusione inflitta con la sentenza in data 5 ottobre 2020, irrevocabile il 7 marzo 2023 con il lavoro di pubblica utilità.
A ragione osserva che ricorrono, a mente dell'art. 95 d.lgs., 10 ottobre 2022, n. 150, le condizioni per l'applicazione del nuovo regime delle pene sostitutive, sia pure limitatamente alla detenzione domiciliare, posto che la pena inflitta dal giudice della cognizione è superiore a tre anni di reclusione, quindi superiore a quello fissato dall'art. 53, comma 1, l. 24 novembre 1981, n. 689 per il lavoro di pubblica utilità. Non rileva, invece la pena da scontare a seguito del presofferto a qualunque titolo. Tuttavia, la detenzione domiciliare sostitutiva non può essere concessa perché inadeguata in applicazione dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen., per la gravità del fatto e la capacità a delinquere.
2. Ricorre per cassazione - a mezzo del difensore di fiducia avv. S.S. - S.F. articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo deduce violazione di legge, sostanziale e processuale, nonché vizio di motivazione in relazione agli artt. 56 e 59 della legge n. 689 del 1981 e 20 bis cod. pen.
Lamenta che il Giudice dell'esecuzione, senza svolgere l'attività istruttoria prevista dall'art. 56, comma 2, cit., abbia considerato ostativo ai fini della concessione della detenzione domiciliare sostitutiva l'unico precedente a pena sospesa, non solo commesso in epoca risalente, l'anno 2007, ma di indole diversa rispetto a quello oggetto dell'ultima condanna, trascurando, per di più, che il condannato, durante i lunghi periodi di custodia cautelare patiti in entrambi i procedimenti, si è sempre attenuto alle prescrizioni impostegli e che attualmente si trova in una situazione, personale e finanziaria, completamente diversa da quella dell'epoca in cui ha violato la legge penale.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge, sostanziale e processuale, nonché vizio di motivazione in relazione agli artt. 3,27 Cost., 53, comma 1, l. n. 689 e 59, comma 1, della legge n. 689 del 1981 e 20 bis e 535 bis cod. pen.
Lamenta che l'ordinanza impugnata, aderendo all'interpretazione meramente letterale dell'art. 53 cit., abbia considerato rilevante, ai fini dell'accesso alle pene sostitutive, la pena inflitta dal Giudice della cognizione e non quella in concreto da espiare.
Al contrario, la Corte di appello, operando come giudice dell'esecuzione, avrebbe dovuto prendere in considerazione il residuo segmento di pena ancora da espiare, come determinato nell'ordine di esecuzione del pubblico ministero procedente, e non quella inflitta in sentenza, anticipando, così come è previsto per il Giudice della cognizione dall'art. 20 bis cod. pen., le valutazioni del magistrato di sorveglianza chiamato ad applicare le misure alternative alla detenzione.
Il legislatore non ha preso in espressa considerazione l'ipotesi che il condannato alla pena sostituiva abbia già scontato una parte della pena in custodia cautelare. Tale omissione impone di applicare, analogicamente ed in favor rei, i principi previsti dalla normativa in materia di misure alternative alla detenzione ed in particolare dall'art. 47, comma 3 bis, Ord. pen. tale disposizione consente la concessione dell'affidamento in prova anche al condannato che deve espiare una pena residua rientrante nel limite fissato per accedere al beneficio. Nella specie, pertanto, S.F., in ragione della pena residua da scontare poteva essere ammesso anche alla pena sostituiva del lavoro di pubblica utilità.
Considerato in diritto
Il ricorso è passibile di rigetto.
1. Stante il suo carattere processuale e potenzialmente assorbente, va, innanzitutto, preso in esame il secondo motivo.
Ritiene il Collegio che la tesi del ricorrente secondo cui ai fini dell'accesso alle pene sostitutive e dei limiti fissati dall'art. 20-bis cod. proc. pen., il giudice procedente deve prendere in considerazione la pena residua da scontare in concreto è infondata.
1.1. Il d.lgs. n 150 del 2022 ha modificato il regime sanzionatorio ed in particolare il comparto delle pene sostitutive. Il nuovo testo dell'art. 20-bis cod. pen. (introdotto dall'art. 1, comma 1, lett. a, del d.lgs. n. 150) prevede quali pene sostitutive delle pene detentive brevi:
- la semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva, che possono essere applicate dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all'arresto non superiori a quattro anni (art. 20-bis, comma secondo, cod. pen.).
- il lavoro di pubblica utilità sostitutivo, che può essere applicato dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all'arresto non superiori a tre anni (art. 20-bis, comma terzo, cod. pen.);
- la pena pecuniaria sostitutiva, che può essere applicata dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all'arresto non superiori a un anno (art. 20-bis, comma quarto, cod. pen.).
Si tratta di pene in evidente rapporto di accessorietà rispetto a quelle principali; basta pensare che la mancata esecuzione delle sanzioni restrittive della libertà personale o la violazione delle loro prescrizioni comporta, in ultima istanza, il recupero in toto o in parte della pena detentiva originaria.
Sempre nell'ottica della tendenziale equiparazione al regime delle pene principali, l'ambito applicativo delle pene sostitutive delle pene detentive brevi-esteso a quattro anni di pena detentiva applicabile - coincide con quello della sospensione dell'ordine di esecuzione ai sensi dell'art. 656, comma 5, cod. proc. pen., con la chiara finalità di anticipare ad una fase precedente a quella di competenza della magistratura di sorveglianza l'accesso alle misure diversa da quelle carcerarie.
L'art. 95 del d.lgs. n. 150, muovendo dalla natura pacificamente sostanziale delle modifiche normative riguardanti il sistema sanzionatorio e della conseguente applicabilità retroattiva delle disposizioni più favorevoli al reo, reca la disciplina transitoria in materia di pene sostitutive introdotta a fronte di un intervento di riforma giudicato «di portata ampia e sistematica».
In quest'ottica, la disposizione in esame prevede che le norme previste dal Capo III della legge n. 689 del 1981 (come modificate dall'art. 71 del d.lgs. n. 150), se più favorevoli all'agente, si applicano anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello alla data di entrata in vigore del decreto (postergata fissata dalla legislazione successiva nel 30 dicembre 2022) e che il condannato a pena detentiva non superiore a quattro anni, all'esito di un procedimento pendente innanzi la Corte di cassazione all'entrata in vigore del decreto, può presentare istanza di applicazione di una delle pene sostitutive di cui al Capo III della legge n. 689 del 1981 al giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 666 cod. proc. pen. entro trenta giorni dalla irrevocabilità della sentenza. Nel giudizio di esecuzione si applicano, in quanto compatibili, le norme del Capo III della legge n. 689 del 1981 e del codice di procedura penale relative alle pene sostitutive. In caso di annullamento con rinvio provvede il giudice del rinvio. Si consente, inoltre, l'immediata applicazione della nuova pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, senza attendere l'adozione del decreto attuativo di cui all'art. 56-bis della legge n. 689 del 1981.
1.2. Nel nuovo regime le pene sostitutive:
- possono essere applicate soltanto dal giudice della cognizione nel caso di condanna a pena che non superi i limiti previsti dall'art. 20-bis cod. proc. pen.;
- non possono essere condizionalmente sospese;
- una volta divenuto definitivo il titolo che le applica, la loro esecuzione non può essere sospesa in conformità al meccanismo previsto dall'art.656, comma 5 cod. proc. pen. per le pene detentive, anche se costituenti residuo di maggiore pena, non superiori a quattro anni, al fine di consentire al condannato di presentare entro trenta giorni può essere presentata istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessarie, volta ad ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione dì cui agli articoli 47,47 ter e 50, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e di cui all'articolo 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, ovvero la sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'articolo 90 dello stesso testo unico. In questo senso depone il chiaro testo dell'art. 67 della legge n. 689 del 1981 che esclude espressamente l'applicabilità delle misure alternative alla detenzione in favore del condannato cui sia applicata una pena sostituiva, salvo il caso dell'art. 47, comma 3-ter, Ord. pen.
1.3. Nel sistema delineato dalla novella i limiti fissati dall'art. 20-bis cod. proc. pen. per l'accesso alle diverse pene sostitutive non possono che essere riferiti in via esclusiva alla pena che il giudice infligge con la sentenza di condanna.
Nessuna rilevanza assume, a questo specifico fine, l'eventuale presofferto a titolo di custodia cautelare.
Non solo difetta una disposizione esplicita analoga a quella contenuta nell'art. 656, comma 5, cod. proc. pen. ("residuo di maggiore pena") e nelle disposizioni dell'ordinamento penitenziario che disciplinano le misure alternative alla detenzione, ma, soprattutto, sul piano sistematico e pratico, non possono essere attribuiti al giudice della cognizione chiamato ad applicare le pene sostitutive compiti e poteri in tema di determinazione della pena effettiva da scontare che presuppongo necessariamente l'esistenza di un titolo definitivo ed il formale inizio della fase esecutiva. Ciò non significa che la pena sostitutiva applicata in sede cognitiva dovrà essere scontata in aggiunta al presofferto a titolo di custodia cautelare. Infatti, nella fase esecutiva, il periodo di custodia cautelare eventualmente presofferto dovrà essere scomputato dalla pena sostitutiva a contenuto detentivo entro i limiti fissati dell'art. 657 cod. proc. pen.
1.4. Non vi è ragione per non applicare gli esposti principi anche all'ipotesi eccezionale in cui l'applicazione delle pene sostitutive è attribuita al giudice dell'esecuzione investito dalle istanze di sostituzione avanzate dai condannati ai sensi della disciplina transitoria prevista dall'art. 95 d.lgs. n. 150 del 2022.
Tenuto della ratio sottostante alla disciplina transitoria che, come spiega la relazione illustrativa, è quella di consentire l'applicabilità delle nuove pene .sostitutive anche ai procedimenti non ancora definiti ma pendenti innanzi alla Corte di cassazione nel rispetto del principio di retroattività della lex mitior ed evitare il rischio di una dichiarazione di illegittimità costituzionale, è conseguenziale ritenere che il giudice adito, per quanto formalmente operi nella fase esecutiva, deve porsi retrospettivamente nella stessa posizione del giudice della cognizione, preliminarmente verificando se nel relativo processo il condannato, tenuto conto della pena inflittagli ed a prescindere dalla pena residua da scontare, avrebbe potuto accedere alla pena sostituiva nell'osservanza dei limiti fissati dall'art. 20 bis cod. pen., all'epoca non vigente, ma i cui effetti favorevoli retroagiscono. Solo se la verifica ha esito positivo e se sussistono gli altri presupposti potrà accogliere l'istanza ed applicare la pena sostituiva richiesta.
Va, pertanto formulato il seguente principio di diritto:
"ai fini dell'applicazione delle sanzioni sostitutive di pene detentive brevi ai sensi dell'art. 20-bis cod. pen., come introdotto dal d.lgs., 10 ottobre 2022, n. 150, i limiti di pena sono riferiti alla pena inflitta con la sentenza di condanna anche se l'istanza di sostituzione sia rivolta al giudice dell'esecuzione secondo la disposizione transitoria di cui all'art. 95 dello stesso decreto legislativo".
1.5. La Corte distrettuale ha, in conclusione, correttamente ritenuto valutabile solo la richiesta di applicazione della pena sostitutiva della detenzione domiciliare posto che la pena inflitta, superiore a tre anni di reclusione al limite imposto per il lavoro di pubblica utilità.
2. Il secondo motivo, relativo alla detenzione domiciliare sostitutiva, non supera il vaglio di ammissibilità perché, pur strutturato come denuncia di violazioni di legge e vizio di motivazione, si risolve nella sollecitazione di apprezzamenti estranei al giudizio di legittimità da sovrapporre a quelli, non manifestamente illogici, del giudice del merito.
All'ordinanza impugnata che ha ritenuto ostativi all'applicazione della detenzione domiciliare sostitutiva la gravità dei fatti, la misura della pena inflitta, assai distante dal minimo edittale, e l'elevata capacità a delinquere di S.F., già condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di due anni per il reato di intermediazione finanziaria, commesso nell'anno 2007 nell'ambito della medesima attività imprenditoriale da cui è scaturita la contestazione di bancarotta fraudolenta, oggetto della condanna in esecuzione, il ricorrente continua ad opporre elementi fattuali prospettati come favorevoli ma già presi in esame e valutati come recessivi (la risalenza nel tempo e la limitata gravità dell'unico precedente penale e l'osservanza delle prescizioni in costanza di applicazione della misura cautelare), senza nemmeno confrontarsi con l'argomento, ritenuto decisivo per la decisione negativa, secondo cui la detenzione domiciliare non sarebbe idonea ad impedire al prevenuto di continuare a svolgere, direttamente o per interposta persona, l'attività di trader abusivo con modalità telematiche in occasione della quale ha commesso i reati per i quali è stato condannato.
3. Al rigetto consegue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.