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Polonia, condizioni di detenzione sufficienti per MAE (Cass. 10726/22)

23 marzo 2022, Cassazione penale

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Il pericolo di trattamenti degradanti, prima previsto dall'art. 18, lett. h), legge n. 69 del 2005, oggi non è più contemplato tra i motivi  di rifiuto obbligatorio della consegna previsti dall'art. 18, ma tale motivo di rifiuto obbligatorio della consegna continua ad essere operante, in virtù della clausola generale contenuta nel novellato art.2 legge n. 69 del 2006 sussistendo quindi una continuità normativa tra l'abrogato art.18, lett.h), legge n. 69 del 2005 ed il novellato art.2 della medesima legge.

Non si tratta, tuttavia, di una norma processuale la cui inosservanza è sanzionata con la nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, bensì di una norma di cui il giudice deve tenere conto ai fini della legittimità stessa della consegna la cui inosservanza è, dunque, deducibile ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. 

A fronte di una specifica motivazione che eclude  la sussistenza di condizioni sistemiche e generalizzate di detenzione inumane o degradanti all'interno degli istituti penitenziari polacchi, basandosi sui dati emergenti dalla consultazione di fonti aperte qualificate e la cui attendibilità non è oggetto di alcuna censura va dichiarata inammissibile la richiesta di cassazione della sentenza che dispone la consegna nell'ambito di un MAE polacco.

Le ragioni che inducono a ritenere che la consegna metterebbe in pericolo la vita o la salute del consegnando non sono annoverate dall'art. 18 della legge n. 69 del 2005 tra le cause di rifiuto della consegna, ma attengono alla fase esecutiva della stessa e possono essere fatte valere mediante istanza alla Corte d'Appello, ai sensi dell'art. 23, comma 3, della medesima legge, in quanto costituiscono una condizione personale soggetta a modificazione, anche repentina, nel corso del tempo e, pertanto, non utilmente rappresentabile nelle fasi procedimentali anteriori all'esecuzione del provvedimento di consegna.

 

   Corte di Cassazione

Sez. VI 6 penale

Num. 10726 Anno 2022
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: TRIPICCIONE DEBORA
Data Udienza: 23/03/2022   

 

SENTENZA

sul ricorso proposto da
D.J., nato a Roma **/1984
avverso la sentenza emessa il 3 febbraio 2022 dalla Corte di appello di Venezia;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del Consigliere Debora Tripiccione;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Ciro Angelillis, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. udito il difensore, avv. AB, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.


RITENUTO IN FATTO


 1.Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Venezia ha disposto la consegna di JD  all'Autorità giudiziaria polacca in esecuzione del mandato di arresto europeo processuale emesso il 21 dicembre 2021 relativo all'applicazione della custodia cautelare in carcere per tre mesi per i reati di associazione per delinquere e traffico di sostanze stupefacenti. La sentenza ha, inoltre, subordinato la consegna alla condizione che il D. , cittadino italiano, dopo essere stato sottoposto a processo, sia rinviato in Italia per scontare la pena o la misura di sicurezza privativa della libertà personale eventualmente applicata dall'Autorità Giudiziaria polacca.

 2.Propone ricorso per cassazione il difensore di Jan D.  articolando cinque motivi di ricorso.

Con il primo motivo di ricorso deduce il vizio di cui all'art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. per l'inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 2 della legge 22 aprile 2005, n. 69. Lamenta il mancato rigetto della richiesta di consegna in considerazione delle condizioni delle carceri polacche quali emergono dal Rapporto sulla Polonia del 28 ottobre 2020 del Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti del Consiglio d'Europa e dal rapporto redatto dal Comitato contro la tortura dell'Organizzazione delle Nazioni Unite reso all'esito della settima visita periodica in Polonia il 29 agosto 2019. In particolare, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata, il primo rapporto, pur riferendosi alla detenzione pre-cautelare, descrive le persistenti e sistematiche violazioni dei diritti delle persone private della libertà personale da parte delle Forze dell'Ordine.

Il secondo rapporto riferisce, invece, le carenze della situazione carceraria polacca, quanto ai rischi di essere ristretti in celle di dimensioni inferiori ai tre metri quadri. Sotto altro profilo, deduce, inoltre, di avere già riferito, in sede di udienza di convalida, in merito alla piena collaborazione prestata dal ricorrente nel corso delle indagini, al fatto che, nonostante detta collaborazione, lo stesso è stato recluso nel medesimo istituto penitenziario ove erano ristretti i soggetti interessati dalle sue dichiarazioni ed alle violenze e minacce subite.

Con il secondo motivo deduce il vizio di cui all'art. 606, comma 1, lett. c) cod.proc. pen. per l'inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 2 e 16 della legge 22 aprile 2005, n. 69 in relazione all'omessa richiesta di informazioni integrative sulle condizioni delle carceri polacche, sullo specifico istituto cui sarebbe stato destinato il ricorrente, sul regime di detenzione (semi aperto o aperto) e sullo spazio minimo disponibile nella cella.

Con il terzo motivo deduce il vizio di cui all'art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. per l'inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 2 della legge n. 69 del 2005 in relazione all'omessa sospensione del procedimento in attesa che la Corte di Giustizia si pronunci sull'ordinanza di rinvio pregiudiziale n. 216 del 2021 emessa dalla Corte costituzionale stante la sferocitosi da cui risulta affetto il ricorrente sin dalla giovane età, l'intervento di splenectomia subito ed i recenti attacchi epilettici.

Con il quarto motivo deduce il vizio di cui all'art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. per l'inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 18-bis, comma 1, lett. a), legge n. 69 del 2005 in considerazione del fatto che dallo stesso mandato di arresto risulta che il reato contestato alla lettera E, n. IV (fornitura da Lubin a Treviso di una quantità non inferiore a venti grammi di metanfetamina) è stato commesso in parte in Italia.

Con il quinto motivo deduce il vizio di cui all'art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. per l'inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 18-bis, comma 1, lett. b) e 16, legge n. 69 del 2005 in relazione all'omessa richiesta di informazioni alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Treviso in merito alla pendenza del procedimento penale per detto reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza dei motivi dedotti.

2. Va, innanzitutto, premesso che, a seguito delle modifiche introdotte dal d. Igs. 2 febbraio 2021 n. 10 all'art. 22 della legge 22 aprile 2005, n. 69, il ricorso per cassazione avverso le sentenze che decidono sulla richiesta di esecuzione di un mandato di arresto europeo è oggi consentito solo per i motivi, contestualmente enunciati, di cui all'art. 606, comma 1, lett. a), b) e c), cod. proc. pen.

Ciò premesso, il primo motivo di ricorso, con il quale si deduce il vizio di cui all'art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., non supera il vaglio di ammissibilità per la sua carenza di specificità, posto che né nella rubrica né nelle ragioni poste a fondamento della censura il ricorrente ha provveduto ad indicare quale sarebbe la norma processuale, prevista a pena di nullità, inammissibilità, o di decadenza, asseritamente violata e lo specifico atto affetto da tale vizio o quello da cui si ritiene derivino le predette conseguenze giuridiche.

Va, infatti, considerato che, benché per effetto delle modifiche introdotte dal citato d.lgs. n. 10 del 2021, il pericolo di trattamenti degradanti, prima previsto dall'art. 18, lett. h), legge n. 69 del 2005, oggi non sia più contemplato tra i motivi  di rifiuto obbligatorio della consegna previsti dall'art. 18, questa Corte ha condivisibilmente affermato che tale motivo di rifiuto obbligatorio della consegna continua ad essere operante, in virtù della clausola generale contenuta nel novellato art.2 legge n. 69 del 2006, in base al quale «L'esecuzione del mandato di arresto europeo non può, in alcun caso, comportare una violazione dei principi supremi dell'ordine costituzionale dello Stato o dei diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione, dei diritti fondamentali e dei fondamentali principi giuridici sanciti dall'articolo 6 del trattato sull'Unione europea o dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, e dai Protocolli addizionali alla stessa». Per tale ragione, si è affermato che sussiste una continuità normativa tra l'abrogato art.18, lett.h), legge n. 69 del 2005 ed il novellato art.2 della medesima legge (Sez. 6, n. 14220 del 14/04/2021, Zlotea, Rv. 280878 - 03).

Non si tratta, tuttavia, di una norma processuale la cui inosservanza è sanzionata con la nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, bensì di una norma di cui il giudice deve tenere conto ai fini della legittimità stessa della consegna la cui inosservanza è, dunque, deducibile ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.

Osserva, inoltre, il Collegio che il motivo in esame non supererebbe, comunque, il vaglio di ammissibilità anche nell'ipotesi in cui si volesse ritenere che il ricorrente abbia erroneamente qualificato il motivo in esame, deducendo, in realtà, una violazione o erronea applicazione di norma sostanziale.

Dall'esame delle ragioni poste a fondamento del ricorso risulta, infatti, evidente che il ricorrente non si duole affatto della violazione o erronea applicazione dell'art. 2 della legge n. 69 del 2005 quanto, piuttosto, della motivazione che la Corte di appello ha posto a fondamento della ravvisata insussistenza di un rischio di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti.

A fronte, infatti, di una specifica motivazione con la quale la sentenza impugnata ha escluso la sussistenza di condizioni sistemiche e generalizzate di detenzione inumane o degradanti all'interno degli istituti penitenziari polacchi, basandosi sui dati emergenti dalla consultazione di fonti aperte qualificate (in particolare il rapporto del CPT - European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment - pubblicato nel 2018 ed il rapporto dell'Associazione Antigone pubblicato nell'ottobre 2019), la cui attendibilità non è oggetto di alcuna censura da parte del ricorrente, quest'ultimo si limita ad insistere sulla valenza dimostrativa della documentazione prodotta, nonostante, questa, secondo quanto argomentato dalla Corte territoriale riguardi, in un caso, le condizioni relative alla fase precautelare, mentre, nell'altro, non evidenzia una situazione talmente generalizzata da legittimare un rifiuto della consegna.

Va, peraltro, aggiunto che la sentenza impugnata richiama un recente arresto di questa Corte in cui, in un caso analogo a quello di specie, si è affermato che i rapporti del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa, pur riportando talune condizioni di difficoltà, non hanno evidenziato condizioni generalizzate di trattamenti inumani o degradanti e che la stessa Corte EDU ha riscontrato criticità solo con riferimento alle condizioni detentive dei detenuti pericolosi (Sez. 6, n. 8081 del 25/2/2021, Kalwajtys).

3. Parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso posto che la possibilità di richiedere informazioni integrative, ai sensi dell'art. 16 della legge n. 69 del 2005, costituisce una facoltà rimessa alla discrezionalità del giudice, al cui mancato esercizio, proprio a cagione di tale caratteristica, non è ricollegata alcuna sanzione processuale rilevante ai fini del vizio dedotto dal ricorrente.

Tale violazione potrebbe, invece, rilevare ai fini della violazione dell'art. 2 della legge n. 69 del 2005 solo nel caso in cui, una volta accertata, attraverso documenti affidabili, l'esistenza di un rischio sistemico di trattamenti inumani e degradanti da parte dello Stato membro, sia stata omessa la necessaria verifica in merito al trattamento detentivo del consegnando.

Invero, come chiarito dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea nella sentenza emessa nella causa C-218/18, invocata dallo stesso ricorrente, solo ove l'autorità giudiziaria dell'esecuzione disponga di elementi oggettivi, attendibili, precisi e debitamente aggiornati, attestanti l'esistenza di carenze sistemiche o generalizzate delle condizioni di detenzione negli istituti penitenziari dello Stato membro emittente, deve procedere ai necessari accertamenti e chiedere all'autorità giudiziaria dello Stato emittente le informazioni sulle condizioni di detenzione nell'istituto penitenziario nel quale sarà recluso il consegnando al fine di valutare se esistano seri e comprovati motivi di ritenere che, a seguito della sua consegna al suddetto Stato membro, questo correrà un rischio reale di essere sottoposto ad un trattamento inumano o degradante.

4. Anche il terzo motivo non supera il vaglio di ammissibilità posto che, nel denunciare il vizio di cui all'art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. con riferimento all'art. 2 della legge n. 69 del 2005, in relazione al quale si richiamano le considerazioni già esposte nel paragrafo 2, nella sostanza censura la motivazione concernente la irrilevanza delle condizioni di salute del consegnando.

Al riguardo, peraltro, la Corte territoriale ha fatto buon governo del principio, qui ribadito, secondo cui le ragioni che inducono a ritenere che la consegna metterebbe in pericolo la vita o la salute del consegnando non sono annoverate dall'art. 18 della legge n. 69 del 2005 tra le cause di rifiuto della consegna, ma attengono alla fase esecutiva della stessa e possono essere fatte valere mediante istanza alla Corte d'Appello, ai sensi dell'art. 23, comma 3, della medesima legge, in quanto costituiscono una condizione personale soggetta a modificazione, anche repentina, nel corso del tempo e, pertanto, non utilmente rappresentabile nelle fasi procedimentali anteriori all'esecuzione del provvedimento di consegna (Sez. 6, n. 7489 del 15/02/2017, Yassir Farag Abdo, Rv. 269110)

5. Il quarto ed il quinto motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente in quanto tra loro logicamente connessi, sono inammissibili per difetto di specificità.

In particolare, con riferimento al quarto motivo, si richiamano le considerazioni espresse al paragrafo 2 in relazione alla natura del vizio dedotto ed alla mancata specificazione delle norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilízzabilità inammissibilità e decadenza che si assumono violate.

Vanno, inoltre, considerati sia il carattere facoltativo del motivo rifiuto invocato (art. 18-bís, legge n. 69 del 2005), che l'insufficienza, secondo l'ermeneusi adottata da questa Corte con riferimento al motivo di rifiuto obbligatorio previsto prima della riforma del 2021 dall'art. 18, lett. p) legge n. 69 del 2005, ma egualmente estensibile anche all'ipotesi in esame, della insufficienza del solo dato relativo alla commissione dei fatti in parte nel territorio dello Stato, o in altro luogo allo stesso assimilato, essendo necessario che per il fatto oggetto di mandato di arresto europeo risulti già endente un procedimento penale (Sez. 6 , n. 2959 del 22/01/2020, Rv. 278197 - 02; Sez. 6, n. 15866 del 04/04/2018, Spasiano, Rv. 272912) ovvero una situazione oggettiva, dimostrata dalla presenza di indagini sul fatto oggetto del mandato di arresto, sintomatica dell'effettiva volontà della Stato di affermare la propria giurisdizione (Sez. 6, n. 27992 del 13/06/2018, Rv. 273544).

In particolare, quanto alla pendenza del procedimento penale, venendosi così al quinto motivo di ricorso, la Corte territoriale ha rilevato la carenza di alcuna evidenza in merito alla pendenza di un procedimento penale a carico del ricorrente che, peraltro, anche con il ricorso in esame non si è premurato di corredare l'enunciazione del motivo dall'allegazione di specifiche circostanze di fatto.

Va, inoltre, aggiunto, che, quand'anche dovesse risultare la contemporanea pendenza di un procedimento penale per il medesimo fatto, il conflitto di giurisdizione tra i due Stati potrà trovare la propria soluzione nel meccanismo disciplinato dalla
decisione quadro 2009/948/GAI e dal d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 29, anche al fine di evitare una violazione del principio del ne bis in idem sancito dall'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.

6. All'inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Inoltre, il ricorrente va condannato al pagamento della somma di euro tremila da versare in favore della cassa delle ammende, non
potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).


P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, legge n. 69/2005.


Così deciso il 23 marzo 2022 (deposito 24 marzo 2022)