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Piccolo spaccio può essere abituale (Cass. 5257/16)

9 febbraio 2016, Cassazione penale

Nell'ipotesi di spaccio di lieve entità non ha rilevanza la episodicità o continuità dell'attività criminale.

 

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 10 novembre 2015 ? 9 febbraio 2016, n. 5257
Presidente Carcano - Relatore Di Stefano

Ritenuto in fatto

Con sentenza del 13 febbraio 2015 la Corte di Appello di Napoli ha confermato in punto di responsabilità la condanna di B.C. e S.S. per il reato cui all'art. 73 d.p.r. 309/1990, riducendo in favore del primo la misura della pena. In particolare, la contestazione era riferita all'attività di spaccio svolta dai due ricorrenti, coniugi, visti cedere una dose di cocaina e trovati in possesso di altre 20 dosi della stessa sostanza, oltre a grammi 0,3 di hashish, nel domicilio.
Il primo giudice escludeva la ricorrenza del meno grave reato di cui all'art. 73, comma 5 d.p.r. 309/1990 per la non occasionalità dello spaccio.
La Corte di Appello confermava tale valutazione, valorizzando anche la presenza dei figli minori in occasione della attività di spaccio, concludendo nel senso che si trattava di attività svolta in forma abituale e che si tratta, quindi, di "una condotta tutt'altro che estemporanea ed occasionale e della vicinanza e contiguità del prevenuto ad più ampio circuito delinquenziale ove era possibile procedere agli approvvigionamenti".
Entrambi gli imputati ricorrono contro tale decisione.
S.S. (per la quale sono stati presentati due ricorsi con contenuto sostanzialmente identico) deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione ritenendo la condanna inadeguata ed eccessiva in riferimento ai fatti contestati e comunque erronea per il diniego della ipotesi di cui al comma 5 dell'articolo 73 d.p.r. 309/1990.
B.C., con unico motivo, deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione per essere stata ritenuta la sua responsabilità a fronte di una conclamata ipotesi di mero consumo di stupefacenti e, comunque, per non essere stata applicata l'ipotesi di cui comma 5 dell'articolo 73 d.p.r. 309/1990 .

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato in punto di qualificazione giuridica.
Pur a fronte di argomenti generici svolti nei ricorsi, deve essere rilevata la manifesta erronea qualificazione del reato per essere stata ritenuta integrata la fattispecie di cui al comma 1 dell'art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e non il diverso reato di cui al comma 5 dello stesso articolo.
I giudici di merito escludono che ricorra tale ipotesi "minore" - che si rammenta essere, oggi, forma autonoma di reato - ricorrendo, nel caso di specie, una attività "abituale" e non occasionale e per la contiguità del B. (e quindi della ricorrente che con lui collaborava) "ad un più ampio circuito delinquenziale ove era possibile procedere agli approvvigionamenti".
Si tratta di argomenti non presenti nella norma in questione né in altro modo presupposti.
La differenza fra le due ipotesi di reato dell'art. 73 I. cit. non attengono affatto al carattere occasionale o abituale dello spaccio, in particolare l'ipotesi minore non è affatto condizionata dalla episodicità dell'attività criminale come dimostra il fatto che è prevista, nell'art. 74 d.p.r. 309/1990, la figura della associazione finalizzata alla commissione di reati di cui all"art 73 comma 5.. L'ipotesi di cui al quinto comma dell'articolo 73 si caratterizza per corrispondere al fenomeno criminale "piccolo spaccio" come già affermato da questa Corte (In tema di reati concernenti gli stupefacenti, la fattispecie autonoma di cui al comma quinto dell'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 è configurabile nelle ipotesi di cosiddetto piccolo spaccio, che si caratterizza per una complessiva minore portata dell'attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro nonché di guadagni limitati e che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia superiore - tenendo conto del valore e della tipologia della sostanza stupefacente - a dosi conteggiate a "decine". (Sez. 6, n. 15642 del 27/01/2015 - dep. 15/04/2015, Driouech, Rv. 263068)) e come non può che ribadirsi dovendosi individuare la differenza sostanziale tra il primo ed il quinto comma che giustifica la diversità di reato.
Del resto, se si ritenesse che un reato "autonomo" , quale è l'art. 73, comma 5, sussista non per le sue caratteristiche in sé ma per essere la data condotta "singola" senza collocarsi nel contesto di una condotta abituale, dovrebbe ritenersi che il comma 1 dell'art. 73 sia un reato abituale, ricorrendo, invece, il reato dei comma 5 a fronte di qualsiasi entità del singolo traffico che non abbia caratteri di abitualità; o, comunque, dovrebbe ritenersi l'ipotesi di cui al primo comma quale reato eventualmente abituale con le conseguenze in tema di assorbimento delle ulteriori (pur se numerose e protratte nel tempo) condotte.
Comunque, il reato "minore" sarebbe ben difficilmente configurabile perché la ordinaria finalità dello spaccio, che è il procacciamento di denaro per il suo autore, atteso il minimo profitto della singola vendita al dettaglio, rende quanto mai improbabile che proprio la condotta di piccola cessione non si inserisca in una serie indefinita di simili reati al fine di rendere profittevole l'attività.
E' inoltre erroneo, perché non costituisce affatto una massima di esperienza, al fine di escludere la ipotesi minore del comma 5 dell'art. 73 I. cit., la affermazione in base alla quale la detenzione di 20 dosi da vendere dimostri una significativa "contiguità" ad ambienti criminali presso cui approvvigionarsi. Quest'ultimo è un argomento logico laddove utilizzato, come comunemente si fa nella casistica, in relazione a vicende di acquisti di grossi quantitativi di droga ma, in un contesto di piccole forniture come quello in esame, è una affermazione del tutto inconsistente perché, non essendovi alcun canale di vendita lecito degli stupefacenti, qualsiasi venditore al dettaglio non può che approvvigionarsi da trafficanti, di maggiore o minore cabotaggio.
Il giudice di rinvio dovrà valutare, alla stregua delle indicazioni date e senza utilizzare, se del caso, i medesimi argomenti della sentenza impugnata per il diniego di qualificazione del fatto ai sensi del comma 5dell'articolo 73 I. cit., se ricorra tale ultimo reato o quello in origine contestato.

P.Q.M.

Annulla la ntenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli