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Patrocinio a spese dello Stato, non ogni falsità è reato (Cass. 20836/19)

15 maggio 2019, Cassazione penale

Solo la falsità, commissiva od omissiva, di una dichiarazione riguardante gli elementi reddituali del soggetto o le modifiche di essi intervenute nel tempo integra la fattispecie delittuosa dell’art. 95 TU spese di giustizia, non già qualunque altra omissione o falsa dichiarazione, quale, nella specie, quella relativa alla condizione di sorvegliato speciale, cui può conseguire la richiesta di informazioni da parte del magistrato ai sensi dell’art. 96, comma 3, ovvero la revoca del beneficio ad istanza dell’ufficio finanziario ai sensi del combinato disposto degli artt. 98 e 112 del citato D.P.R., ma non la condanna per il reato de quo.

 

Corte di Cassazione

sez. IV Penale, sentenza 16 aprile – 15 maggio 2019, n. 20836
Presidente Piccialli – Relatore Menichetti

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza in data 17 aprile 2018 la Corte d’Appello di Catanzaro confermava la condanna resa dal Tribunale di Cosenza nei confronti di D.V.A. , quale responsabile del reato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 in relazione all’art. 79, lett. c) del medesimo decreto, per aver attestato falsamente nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, compilata ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio e presentata il 5.11.2012, di non essere titolare di beni e di non essere sottoposto a misure di prevenzione, pur disponendo di redditi ed essendo sorvegliato speciale.
2. La Corte territoriale, ripercorrendo la vicenda come ricostruita dal primo giudice, in base alle risultanze probatorie costituite da documenti e prova testimoniale, rilevava che l’imputato era stato sottoposto a misura di prevenzione personale e patrimoniale, essendogli stata applicata la sorveglianza speciale di P.S. con decreto divenuto definitivo il 20.3.2011 e la misura della confisca con provvedimento emesso il 20.10.2010. Riteneva quindi integrati l’elemento soggettivo ed oggettivo del reato ed escludeva la sussumibilità del fatto accertato nell’ipotesi di cui all’art. 131 bis c.p..
3. Ha proposto ricorso l’imputato, tramite il difensore di fiducia, per due distinti motivi.
Con il primo deduce violazione delle norme sostanziali penali contestate. Sostiene che la norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 si riferisce all’ipotesi in cui un’omissione possa produrre una variazione di reddito, ipotesi che non sussiste nel caso di specie in quanto il D.V. non era titolare di beni beni, per essere stato privato del suo patrimonio a partire dal 22.1.2011, e non percepiva alcun reddito fin dal 2007. Richiama sul punto la Circolare 10 gennaio 2018 del Dipartimento per gli Affari di Giustizia, che nel fornire indicazioni operative in relazione al D.P.R. citato (art. 83 bis in tema di liquidazione degli onorari) non fa alcun riferimento all’applicazione delle misure di prevenzione.
Con il secondo motivo si duole del mancato riconoscimento dell’esimente dell’art. 131 bis c.p., ed in subordine del diniego delle circostanze attenuanti generiche e chiede una mitigazione della pena.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato ed impone le considerazioni che seguono.
2. Al D.V. è stata contestata la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 in relazione all’art. 79 lett.c) per aver attestato falsamente - nella dichiarazione sostitutiva di certificazione compilata ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato – di possedere le condizioni di reddito previste dalla legge ed in particolare di non essere titolare di beni immobili o di beni mobili registrati e di non essere sottoposto a misura di prevenzione, e ciò pur disponendo di redditi ed essendo sottoposto sorveglianza speciale giusta decreto divenuto definitivo il 20 marzo 2011.
Il citato art. 95 punisce la falsità o le omissioni nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, nelle dichiarazioni, nelle indicazioni e nelle comunicazioni previste dall’art. 79, comma 1, lett. b) c) e d).
L’art. 79, nel dettare il contenuto dell’istanza, prevede al comma 1 lett. c) la dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell’interessato, attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell’art. 76 (che fa rinvio alla dichiarazione dei redditi IRPEF).
3. Nel caso di specie i giudici di merito hanno ritenuto integrata la fattispecie di reato in discorso, pur dando atto - sotto il primo dei profili del capo di incolpazione - che l’ultimo reddito dell’appellante risaliva all’anno 2007 e che l’istanza di ammissione al patrocinio dei non abbienti era stata presentata in data 5 novembre 2012, allorquando era intervenuta la confisca dei beni con provvedimento già emesso il 20 ottobre 2010 e divenuto definitivo il 22 gennaio 2011, agli inizi cioè dell’anno di riferimento della dichiarazione sostitutiva di certificazione, precedente quello di presentazione della istanza.
Risulta pertanto - per quanto accertato nel giudizio di primo grado e confermato in sede di appello - che il richiedente, nell’anno precedente quello di presentazione della istanza, non era più titolare di beni nè percettore di reddito alcuno e dunque la pronuncia di condanna non si confronta con la documentazione che si attesta versata in atti e si pone al di fuori della ipotesi oggetto di incriminazione.
4. Quanto al secondo profilo - avere omesso di riferire della sottoposizione alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale - occorre tenere conto dei principi di diritto contenuti nella sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 6591 del 27 novembre 2008, Infanti (Rv.242152), che ha composto il contrasto creatosi sulla seguente questione: "se il reato previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 sia integrato da falsità od omissioni nelle dichiarazioni o comunicazioni per l’attestazione di reddito necessarie per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato o il mantenimento del beneficio, anche se il reddito accertato non dovesse superare la soglia minima prevista dalla legge".
Ciò perché la Sez.5, con sentenza n. 16338 del 12/5/2006, Bevilacqua (Rv.234124), aveva escluso la configurabilità del reato, in caso di falsa dichiarazione attestante comunque un reddito inferiore a quello fissato quale soglia di ammissibilità al beneficio, mentre questa Sezione Quarta, in plurime pronunce, aveva fatto proprio il principio di cui alla sentenza della Sez.3, n. 28340 del 20/6/2006, Contino (Rv.236267), che, in senso opposto, aveva affermato che l’ammissibilità al beneficio non escludeva la punibilità del reato di pura condotta, come era desumibile dall’aggravamento di pena quando la falsità fosse stata determinante per l’ammissione.
In particolare, nella sentenza Bevilacqua si era ritenuto che la norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 è speciale rispetto a quella dell’art. 483 c.p. e, nel rinviare all’art. 79, comma 1, lett. b) c) e d), incorpora nella fattispecie criminosa solo alcune condotte di alterazione del vero, quelle cioè che si riassumono nella falsa attestazione di avere un reddito complessivo inferiore a quello fissato dal legislatore quale soglia di ammissibilità, ovvero nella negazione o nascondimento di mutamenti significativi per esso intervenuti, ai fini della valutazione dell’eventuale superamento della stessa soglia: di conseguenza non rileva qualsiasi infedele attestazione, ma solo quelle che abbiano, quale conseguenza, l’inganno potenziale o effettivo del destinatario della dichiarazione sostitutiva (lett. c) e tra esse non rientrano quelle che occultino redditi il cui ammontare non implichi superamento del limite, che esclude il diritto all’ammissione (una sorta di falso innocuo).
Nella sentenza Contino invece si era ravvisato il reato in parola, in caso di falsa attestazione, anche qualora il reddito realmente percepito avesse consentito ugualmente l’ammissione del soggetto beneficiario al gratuito patrocinio e ciò per molteplici ragioni: anzitutto perché la disciplina in materia esclude ogni discrezionalità da parte del soggetto da ammettere al beneficio, e poi perché il falso ha ragione propria di punibilità nell’oggetto giuridico "pubblica fede", tanto che l’art. 95 prevede quale elemento psicologico del reato il dolo generico e configura "l’ottenimento o il mantenimento" del beneficio solo come circostanza aggravante, che comporta, in caso di condanna, la revoca del beneficio già concesso, revoca prevista parallelamente dall’art. 112 per l’omissione di comunicazioni in termini di eventuali variazioni dei limiti di reddito, per quanto non tali da implicare il superamento delle condizioni per il mantenimento.
Vi era stato poi un terzo orientamento, per così dire intermedio, costituito da Sez. 4, sentenza n. 41306 del 10/10/2007, Scumaci (Rv.237732), secondo cui la dichiarazione sostitutiva di cui all’art. 79, richiamata nell’art. 95, concerne solo i redditi e non più i diritti reali su immobili o mobili registrati, di talché il reato non sussiste se in proposito è falsa.
5. Con la richiamata sentenza Infanti le Sezioni Unite di questa Corte (decidendo su una fattispecie di reato in cui era stato omesso il riferimento alla esistenza di diritti reali su un immobile) - dopo aver richiamato il contenuto della dichiarazione indicato dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 79, i poteri di indagine del magistrato prima della decisione sull’istanza di ammissione al patrocinio (art. 96) e la successiva verifica da parte dell’ufficio finanziario (art. 98) - hanno affermato che "l’incriminazione del reato di pura condotta, commissivo od omissivo che sia, si incardina sulla capacità contributiva e si correla con il dovere di lealtà del singolo verso le istituzioni, funzione accentuata dal collegamento del dovere di attestazione nell’istanza alla dichiarazione IRPEF dell’anno precedente, che può non essere stata rilasciata, e quindi dalla possibilità di respingere la stessa istanza allo stato per le attività, le condizioni di vita personali e familiari, ed il tenore di vita di chi chiede l’ammissione al beneficio"....ed "è dunque esclusa qualsiasi esenzione categorica di legge (innocuità), fuori del parallelo con quanto è dovuto nella dichiarazione IRPEF".
La conclusione cui è giunto il Supremo Consesso è che "la specifica falsità nella dichiarazione sostitutiva (artt. 95 e 79 lett. c) è connessa all’ammissibilità dell’istanza e non a quella del beneficio, perché solo l’istanza ammissibile genera l’obbligo del magistrato di decidere in merito, allo stato. L’inganno potenziale, della falsa attestazione di dati necessari per determinare al momento dell’istanza le condizioni di reddito, sussiste quand’anche le alterazioni od omissioni di fatti veri risultino poi ininfluenti per il superamento del limite di reddito, previsto dalla legge per l’ammissione al beneficio. Pertanto la questione riceve risposta affermativa (si ricorda che la questione era: se il reato previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 sia integrato da falsità od omissioni nelle dichiarazioni o comunicazioni per l’attestazione di reddito necessarie per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato o il mantenimento del benefico, anche se il reddito accertato non dovesse superare la soglia minima prevista dalla legge), nel senso che il reato di pericolo si ravvisa se non rispondono al vero o sono omessi in tutto o in parte dati di fatto nella dichiarazione sostitutiva, ed in qualsiasi dovuta comunicazione contestuale o consecutiva, che implichino un provvedimento del magistrato, secondo parametri dettati dalla legge, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni previste per l’ammissione al beneficio".
6. Da tale pronuncia è stato tratto il seguente principio di diritto: "Integrano il delitto di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio".
Da tale principio questo Collegio non intende certo discostarsi, ma rimarcarne la valenza nell’ottica del procedimento nel quale è stato affermato, come risposta cioè ad una questione ben precisa, attinente alle sole dichiarazioni del soggetto richiedente il beneficio rilevanti sotto lo specifico profilo delle condizioni di reddito previste per l’ammissione dall’art. 79 lett. c) del citato D.P.R..
Ne deriva che solo la falsità, commissiva od omissiva, di una dichiarazione di tal genera - riguardante, si ripete, gli elementi reddituali del soggetto o le modifiche di essi intervenute nel tempo - integra la fattispecie delittuosa dell’art. 95, non già qualunque altra omissione o falsa dichiarazione, quale, nella specie, quella relativa alla condizione di sorvegliato speciale, cui può conseguire la richiesta di informazioni da parte del magistrato ai sensi dell’art. 96, comma 3, ovvero la revoca del beneficio ad istanza dell’ufficio finanziario ai sensi del combinato disposto degli artt. 98 e 112 del citato D.P.R., ma non la condanna per il reato de quo.
Errata in diritto è dunque l’affermazione dei giudici di appello secondo i quali qualunque falsa indicazione od omissione anche parziale dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, pur se non attinente ai redditi, integri il reato in parola.
7. Per le esposte considerazioni la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.