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Padre in custodia cautelare, salvo assoluta impossibilità della madre (Cass. 54449/18)

5 dicembre 2018, Cassazione penale

Il ruolo paterno nell'educazione della prole è quello di mera supplenza: quindi vi è incompatibilità con il carcere per il padre solo se la madre sia in condizioni fisiche, psicologiche od esistenziali tali da non poter prestare assistenza ai minori.

Quanto al concetto di "assoluta impossibilità" della madre di dare assistenza alla prole, questa ricorre soltanto nei casi in cui la madre della prole del detenuto si trovi nella situazione non potere, neanche volendo, prendersi cura dei figli, così da giustificare il sacrificio all’interesse generale della tutela della collettività mediante la rinuncia ad applicare la misura carceraria nei confronti dell’altro genitore.


Vi è "assoluta impossibilità" della madre di perdersi cura dei figli solo nel caso in cui la madre sia affetta da una grave malattia o sia ricoverata in ospedale e non possa accudire i figli o si trovi all’estero e non possa fare rientro in Italia né portare con sé i figli per motivi indipendenti dalla propria volontà, ma non nei casi di mera "difficoltà" nella gestione della prole.

Corte di Cassazione

VI Penale, sentenza 25 ottobre – 5 dicembre 2018

n. 54449
Presidente Mogini– Relatore Bassi

Ritenuto in fatto

1. Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Catanzaro, sezione specializzata per il riesame, ha rigettato l’appello cautelare ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen. avverso le ordinanze del 12 febbraio e del 6 aprile 2018, con cui il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro ha rigettato le istanze di sostituzione della misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, motivate ai sensi dell’art. 275, comma 4, cod. proc. pen., in considerazione dello stato di gravidanza "a rischio" della moglie del G. , madre di prole di età inferiore ai sei anni.
2. Con atto a firma del difensore di fiducia, G.V. ricorre avverso il provvedimento e ne chiede l’annullamento per violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione all’art. 275, comma 4, cod. proc. pen..

Considerato in diritto

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2. Sotto un primo - assorbente - aspetto, va rilevato che, come confermato anche dal difensore del G. all’odierna udienza, medio tempore risulta essere "fisiologicamente" venuta meno la dedotta causa di impossibilità della moglie del G. a prestare assistenza alla prole, di tal che - quand’anche il ricorso fosse accolto con annullamento con rinvio della decisione - la norma invocata non potrebbe comunque trovare applicazione nel giudizio di rinvio, per insussistenza dei presupposti di fatto. Il che rende di luminosa evidenza la carenza d’interesse al ricorso.
3. Ad ogni modo, il ricorso è (rectius era) manifestamente infondato.
3.1. Nel ritenere insussistenti i presupposti per applicare il disposto dell’art. 275, comma 4, cod. proc. pen., il Collegio della cautela ha evidenziato come la moglie del G. non versi in una situazione di permanente inabilità di provvedere ai bisogni primari dei figli, di tal che non ricorre la condizione di "assoluta impossibilità" di accudire la prole richiesta dall’art. 275, comma 4, cod. proc. pen..
3.2. Giova notare come, avendo riguardo alla ratio della disposizione in oggetto, il ruolo paterno risulti circoscritto all’ambito di una mera supplenza, onde l’incompatibilità con il carcere sorge in capo a questi soltanto ove la madre sia in condizioni fisiche, psicologiche od esistenziali tali da non poter prestare assistenza ai minori.
Nulla quaestio quanto alla prima ipotesi di supplenza del padre prevista dalla norma legata all’avvenuto decesso della genitrice, in quanto derivante da una situazione che non presenta di per sé alcun dubbio ermeneutico.
Quanto al concetto di "assoluta impossibilità" della madre di dare assistenza alla prole - invece suscettibile di una lettura più o meno ampia -, ritiene la Corte che l’aggettivazione utilizzata dal legislatore a corredo del situazione requisito ("assoluta"), lo stretto collegamento di tale ipotesi alla situazione "radicale" di impossibilità di accudimento legata all’intervenuto decesso della madre nonché la natura eccezionale della disposizione - in quanto derogatoria, sebbene in bonam partem, ai principi di adeguatezza e proporzionalità nella scelta della misura - impongano di ritenere che la condizione ostativa all’applicazione della misura di maggior rigore possa ravvisarsi soltanto nei casi in cui la madre della prole del detenuto si trovi nella situazione non potere, neanche volendo, prendersi cura dei figli, così da giustificare il sacrificio all’interesse generale della tutela della collettività mediante la rinuncia ad applicare la misura carceraria nei confronti dell’altro genitore.
3.3. Siffatta situazione potrà ricorrere nel caso in cui la madre sia affetta da una grave malattia; sia ricoverata in ospedale e non possa accudire i figli; si trovi all’estero e non possa fare rientro in Italia né portare con sé i figli per motivi indipendenti dalla propria volontà, ma non nei casi di mera "difficoltà" nella gestione della prole.
Situazione di impossibilità di prendersi cura dei figli che il Collegio della cautela ha ineccepibilmente argomentato non ricorrere nel caso deciso con le ordinanze oggetto di ricorso.
4. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in duemila Euro.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..