L'impossibilità di adempiere agli obblighi di mantenimento verso i familiari imposti dal giudice civile deve essere assoluta, non potendo desumersi automaticamente neppure da una condizione di disoccupazione dell'obbligato: ma il predicato di "assolutezza" non può nemmeno essere calibrato al livello dell'indigenza totale, dovendo essere inteso, piuttosto, secondo un'accezione di tipo assiologico, in coerenza con il generale principio di offensività del diritto penale.
Occorre, cioè, tenere in considerazione i beni giuridici in conflitto, assegnando certamente prevalenza alla tutela della prole e, comunque, del familiare c.d. "debole", in ragione dei doveri di solidarietà imposti dalla legge civile (art. 433 c.c. ss.,), ma individuando il punto di equilibrio tra i medesimi, secondo il canone generale della proporzione e tenendo conto di tutte le peculiarità del caso specifico: importo delle prestazioni imposte, disponibilità reddituali dell'obbligato, necessità per lo stesso di provvedere a proprie esigenze di vita egualmente indispensabili (vitto, alloggio, spese inevitabili per la propria attività lavorativa), solerzia, da parte sua, nel reperimento di possibili fonti di reddito (eventualmente ulteriori, se necessario, rispetto a quelle di cui già disponga), contesto socio-economico di riferimento e quant'altro sia in condizione d'influire significativamente sulla effettiva possibilità di assolvere al proprio obbligo, se non a prezzo di non poter provvedere a quanto indispensabile per la propria sopravvivenza dignitosa.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Sez. VI, Sent., (data ud. 15/06/2022) 05/09/2022, n. 32576
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente -
Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere -
Dott. ROSATI Martino - rel. Consigliere -
Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere -
Dott. D’ARCANGELO Fabrizio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
F.A., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/09/2021 della Corte di appello di Venezia;
visti gli atti del procedimento, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Martino Rosati;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Lori Perla, che ha chiesto di annullare con rinvio la sentenza impugnata;
lette le conclusioni del difensore del ricorrente, avv. AZ, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Attraverso il proprio difensore, F.A. impugna la sentenza della Corte di appello di Venezia del 28 settembre 2021, che ne ha confermato la condanna alla pena di tre mesi di reclusione per il delitto di cui all'art. 570-bis, c.p., nonchè al risarcimento dei danni non patrimoniali in favore della parte civile P.C., disposta dal Tribunale di Treviso con sentenza dell'11 marzo 2019.
2. Il ricorso è sorretto da cinque motivi, con i quali il ricorrente lamenta violazioni di legge e vizi cumulativi od alternativi di motivazione, in relazione ai seguenti profili:
I) nullità di entrambe le decisioni di merito, per violazione dell'art. 520 c.p.p., avendo il Tribunale omesso di disporre la notifica del verbale dell'udienza del 23 marzo 2018, alla quale il Pubblico ministero ha modificato il capo d'imputazione, inserendovi indicazioni non costituenti mere precisazioni o correzioni di errori materiali, come invece erroneamente ha ritenuto la Corte d'appello; inoltre, a seguito di ulteriore interpolazione, avvenuta all'udienza del 28 gennaio 2019, il capo d'imputazione risulterebbe pressochè indecifrabile, con conseguente violazione del diritto di difesa;
II) sussistenza dell'elemento psicologico del reato, avendo l'imputato dato dimostrazione di essersi incolpevolmente trovato in situazione d'indigenza e, quindi, nell'impossibilità assoluta di adempiere agli obblighi impostigli dal giudice civile, essendo stato nelle more licenziato ed avendo intrapreso senza fortuna varie attività lavorative, tanto da essersi trovato costretto a chiedere numerosi prestiti a parenti ed amici per sopravvivere;
III) violazione del principio d'irretroattività delle norme penali incriminatrici, essendo stato l'art. 570-bis c.p., introdotto nel nostro ordinamento soltanto nel marzo 2018, con vigenza dal 6 aprile successivo, mentre i fatti oggetto di addebito risalgono quasi tutti ad un periodo anteriore; tale nuova fattispecie avrebbe ampliato l'ambito di operatività della L. n. 898 del 1970, art. 12-sexies, (in un primo momento individuato dal Pubblico ministero come norma violata), non sussistendo tra le due disposizioni una "progressione criminosa" (testuale);
IV) irrogazione della pena detentiva, anzichè di quella pecuniaria alternativa, e commisurazione della stessa in misura distante dal minimo edittale, nonchè diniego delle attenuanti generiche, avendo la Corte d'appello ignorato elementi invece positivamente valutabili, quali le spontanee dichiarazioni rese dall'imputato al Tribunale;
V) eccessività della somma liquidata a titolo di risarcimento.
3. Ha depositato requisitoria scritta il Procuratore generale, chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, in accoglimento del motivo di ricorso afferente al dolo.
4. Ha depositato conclusioni scritte la difesa dell'imputato, insistendo per l'accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso non è ammissibile.
1.1. Esso, anzitutto, è generico, consistendo nella riproposizione della questione già dedotta con l'appello e risolta dal giudice del gravame, con argomentazioni dalle quali il ricorso si limita a dissentire.
Così come rilevato da quei giudici, infatti, le modificazioni dell'imputazione apportate dal Pubblico ministero all'udienza del 23 marzo 2018 dinanzi al Tribunale sono state essenzialmente di tipo formale (date dei provvedimenti del giudizio civile impositivi degli obblighi, precisazione della norma di legge violata), essendo invece rimasto immutato il fatto oggetto d'addebito: l'inadempimento, cioè, degli obblighi economici di assistenza verso i familiari, imposti dal giudice civile.
Deve, perciò, convenirsi per l'assenza di qualsiasi vulnus per le ragioni difensive, e quindi per l'inesistenza del lamentato difetto di correlazione tra contestazione e decisione, quale conseguenza dell'omessa notifica del relativo verbale d'udienza all'imputato assente.
Giova rammentare che, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione, da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. Vertendosi, infatti, in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia comunque venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, Sentenza n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619).
Nello specifico, peraltro, le modificazioni apportate avevano meglio specificato il capo d'imputazione, in origine abbastanza generico, così ponendosi, semmai, ad ulteriore garanzia del diritto di difesa.
1.2. In secondo luogo, la doglianza è manifestamente infondata.
In tema di nuove contestazioni, la modifica dell'imputazione, non accompagnata dalla notifica dell'estratto del verbale dibattimentale all'imputato contumace o assente, determina una nullità assoluta soltanto quando essa investa il nucleo sostanziale dell'addebito, recando pregiudizio al diritto dell'imputato di individuare con esattezza il fatto contestatogli, sì da impedirgli il pieno esercizio dei diritti difensivi. Al di fuori di tale ipotesi, l'omessa notificazione del verbale di udienza contenente la modifica integra una semplice nullità relativa, perciò non deducibile con l'impugnazione della sentenza, se non eccepita dal difensore presente all'udienza successiva (Sez. 2, n. 35821 del 10/07/2019, Trailo, Rv. 276742; Sez. 2, n. 46342 del 26/10/2016, Furfaro, Rv. 268320).
Nel caso specifico, non soltanto l'ipotetica nullità non è stata tempestivamente eccepita, ma, ad un'udienza ancora successiva, l'imputazione è stata ulteriormente dettagliata e, in questo caso, il verbale è stato correttamente notificato all'imputato: che, dunque, al momento della decisione, aveva ben chiari i termini del fatto contestatogli.
2. Merita di essere accolto, invece, il secondo motivo di ricorso, in punto di dolo.
Correttamente i giudici d'appello hanno richiamato il principio costantemente affermato da questa Corte, secondo cui l'impossibilità di adempiere agli obblighi di mantenimento verso i familiari imposti dal giudice civile debba essere assoluta, non potendo desumersi automaticamente neppure da una condizione di disoccupazione dell'obbligato (nella potendo escludere, in ipotesi, che questi possa godere di rendite finanziarie, dominicali o comunque di introiti diversi dai redditi da lavoro).
Ma il predicato di "assolutezza" non può nemmeno essere calibrato al livello dell'indigenza totale, dovendo essere inteso, piuttosto, secondo un'accezione di tipo assiologico, in coerenza con il generale principio di offensività del diritto penale.
Occorre, cioè, tenere in considerazione i beni giuridici in conflitto, assegnando certamente prevalenza alla tutela della prole e, comunque, del familiare c.d. "debole", in ragione dei doveri di solidarietà imposti dalla legge civile (art. 433 c.c. ss.,), ma individuando il punto di equilibrio tra i medesimi, secondo il canone generale della proporzione e tenendo conto di tutte le peculiarità del caso specifico: importo delle prestazioni imposte, disponibilità reddituali dell'obbligato, necessità per lo stesso di provvedere a proprie esigenze di vita egualmente indispensabili (vitto, alloggio, spese inevitabili per la propria attività lavorativa), solerzia, da parte sua, nel reperimento di possibili fonti di reddito (eventualmente ulteriori, se necessario, rispetto a quelle di cui già disponga), contesto socio-economico di riferimento e quant'altro sia in condizione d'influire significativamente sulla effettiva possibilità di assolvere al proprio obbligo, se non a prezzo di non poter provvedere a quanto indispensabile per la propria sopravvivenza dignitosa.
Una siffatta disamina non è stata compiuta dal giudice di merito, al quale occorre, pertanto, rimettere gli atti affinchè vi provveda, dovendo perciò annullarsi con rinvio, sul punto, la sentenza impugnata.
3. Non essendo ancora risolto, per quanto s'è appena detto, il profilo della colpevolezza, gli ulteriori motivi di ricorso debbono conseguentemente ritenersi assorbiti, attenendo alla qualificazione del fatto (per la quale il tema del dolo si pone in termini identici, quale che sia la fattispecie da applicarsi), al trattamento sanzionatorio ed agli obblighi risarcitori verso la parte civile.
Su di essi, dunque, non v'è necessità di trattenersi.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Venezia.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 15 giugno 2022.
Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2022