Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Offrire denaro per servizio fotografico per abusare della ragazza: è reato? (Cass.9080/21)

5 marzo 2021, Cassazione penale

Il delitto tentato si caratterizza per l'idoneità degli atti univocamente diretti alla commissione del reato e la verifica di questo ineludibile elemento di tipicità non può essere sostituita dall'intenzione del soggetto agente aliunde ricostruita, concorrendo alla configurazione del tentativo soprattutto criteri di natura oggettiva.

La direzione non equivoca degli atti, infatti, non indica un parametro probatorio, ma una caratteristica oggettiva della condotta, nel senso che gli atti posti in essere devono di per sé rivelare l'intenzione dell'agente.

L'accertamento della idoneità degli atti, da compiersi secondo il criterio di prognosi postuma, con riferimento alla situazione che si presentava al momento della condotta, in base alle condizioni prevedibili, va rapportata all'integrazione della condotta quale descritta dalla fattispecie incriminatrice, che nel caso del reato previsto dall'art. 600 bis, secondo comma, cod. pen., postula il compimento di atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e diciotto anni in cambio di un corrispettivo in danaro o altra utilità, anche solo promessi, perseguendosi lo scopo di tutelare il libero sviluppo psicofisico del minore rispetto alla mercificazione del suo corpo a fini sessuali.

Laddove l'agente, senza manifestare le proprie intenzioni, tantomeno quelle di ottenere uno scambio tra prestazione sessuale e denaro o altra utilità, cerchi di precostituirsi le condizioni per trovarsi solo con il minore - pur allettandolo con la promessa di compensi o regali - onde poter tentare un approccio di natura sessuale, la finalità lato sensu predatoria sul piano sessuale non si accompagna ad una condotta oggettivamente idonea ad integrare l'ipotizzato reato di mercificazione del corpo del minore.

Il reato di cui all'art. 609 undecies cod. pen. mira ad anticipare, anche rispetto al tentativo punibile, la tutela del bene protetto dai reati di aggressione sessuale, come questa Corte ha avuto modo di precisare allorquando ha affermato che, in tema di reati sessuali, in forza della clausola di riserva prevista dall'art. 609-undecies cod. pen., il reato di adescamento di minori si configura soltanto quando la condotta non integra gli estremi del reato-fine neanche nella forma tentata e consiste in una condotta a forma libera ("qualsiasi atto") oggettivamente volta «a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce» con il dolo specifico della commissione di uno dei reati sessuali previsti dalla disposizione.

L'offerta di denaro per un servizio fotografico - certamente, come afferma la sentenza, un "pretesto" o, per dirla con le parole usate nell'art. 609 undecies cod. pen., un "artificio" - non corrisponde al fatto tipico previsto dagli artt. 56 e 600 bis, secondo comma, cod. pen., e ciò al di là dell'intenzione dell'agente (che corrisponde al dolo specifico richiesto dal reato di adescamento di minori) e del fatto che la giovane diciassettenne rifiutò la proposta, avendo compreso quali fossero le reali intenzioni dell'uomo («io però ho capito che non si trattava di fotografie ma che voleva pagarmi per fare sesso con me»). La condotta di "adescamento" nella specie posta in essere, tuttavia, non corrisponde alla fattispecie punibile, essendo richiesto che la persona offesa minorenne abbia un'età inferiore ai sedici anni proprio sul presupposto - in qualche modo confermato dalla vicenda in esame - che minorenni più prossimi al raggiungimento della maggiore età abbiano, di regola, gli strumenti per accorgersi delle intenzioni illecite dei predatori sessuali, si da evitare di cadere nelle trappole da costoro ordite.

 


Corte di Cassazione

sez. III Penale, sentenza 16 dicembre 2020 – 5 marzo 2021, n. 9080
Presidente Lapalorcia – Relatore Raynaud

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 21 aprile 2020, la Corte d'appello di Torino, accogliendo parzialmente il gravame proposto dall'odierno ricorrente con riguardo alla riduzione dell'aumento di pena a titolo di continuazione fissato per il delitto di tentata prostituzione minorile contestato al capo 6) dell'imputazione, ne ha per il resto confermato la penale responsabilità in ordine a tale reato ed a cinque reati di violenza sessuale consumata commessi in danno di diverse persone offese.
2. Avverso la sentenza di appello, a mezzo del difensore fiduciario, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, con il primo motivo, l'erronea applicazione dell'art. 600 bis, secondo comma, in relazione all'art. 56 cod. pen. con riguardo al richiamato reato contestato al capo 6) della rubrica.
Si lamenta, in particolare, il difetto del requisito della univocità della condotta compiuta dall'imputato rispetto all'induzione della persona offesa minorenne a concedersi sessualmente a lui verso il corrispettivo della somma di 3.000 Euro. L'offerta della suddetta somma - allega il ricorrente - era stata effettuata (peraltro, solo ironicamente, stante l'evidente incongruità per eccesso) al fine di convincere la minore ad accettare un incontro con lui in una camera di albergo non già per una prestazione di tipo sessuale, bensì per un servizio fotografico. La stessa sentenza impugnata, nel qualificare la proposta di un servizio fotografico alla minore quale pretesto per approfittare sessualmente di lei, tale essendo l'intenzione dell'agente ricostruita dal giudice di merito, avrebbe piuttosto dovuto astrattamente ricondurre la condotta all'ipotesi di reato dell'adescamento di minori di cui all'art. 609 undecies cod. pen., finalizzato al compimento del delitto di tentata prostituzione minorile (qualora, accettando l'incontro per il servizio fotografico, l'imputato avesse poi svelato che la sua vera intenzione era quella di corrispondere la somma per ottenere una prestazione sessuale), salvo poi doverne escludere la configurabilità in ragione del fatto che si trattava di una ragazza diciassettenne.
3. Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta l'erronea applicazione dell'art. 62, n. 6), cod. pen. e la mancanza e contraddittorietà della motivazione per essere stata esclusa la sussistenza dell'invocata circostanza attenuante sul rilievo che il risarcimento del danno non fosse integrale, benché risultasse che tutte le persone offese erano state risarcite dei danni patiti e avevano rilasciato quietanze pienamente liberatorie senza che potesse desumersi la natura transattiva delle stesse.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo di ricorso è fondato.

Questa Corte ha affermato che integra il tentativo del reato di induzione alla prostituzione minorile la condotta di colui che compia atti idonei e diretti in modo univoco ad intrattenere rapporti sessuali a pagamento con persone di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni (Sez. 3, n. 39452 del 27/04/2012, T., Rv. 253401).

E' stata ritenuta tale l'offerta di denaro ad una minore per convincerla a compiere atti sessuali, poi non effettivamente compiuti (Sez. 3, n. 39433 del 14/05/2014, B., Rv. 260601), non potendosi in tal caso dubitare -quantomeno in astratto e fatte salve le particolarità di ogni singolo caso concreto - che la condotta sia idonea e, appunto, diretta in modo non equivoco ad indurre il minore a concedersi sessualmente per denaro.

2. Nel caso di specie, per contro, la stessa sentenza attesta che l'offerta di denaro che il ricorrente fece alla ragazza diciassettenne che aveva incontrato in una precedente occasione con il pretesto di scattarle fotografie in cambio di denaro, usandole poi violenza sessuale, era stata fatta per convincerla a recarsi con lui in una camera di albergo al dichiarato fine di realizzare un servizio fotografico.

La minore aveva rifiutato - come ebbe a dichiarare in sede di s.i.t. - perché aveva capito, anche in relazione a quanto accaduto nel precedente incontro, che l'intento dell'uomo non era quello di scattarle delle fotografie, bensì di consumare con lei rapporti sessuali e ciò le sarebbe stato successivamente confermato dallo stesso imputato.

Come correttamente reputa il ricorrente, però, al di là di quale potesse essere la sua intenzione, sul piano oggettivo la condotta di offerta di denaro era stata ricollegata alla realizzazione di un servizio fotografico e non già ad ottenere una prestazione sessuale, prospettazione, questa, che, stando all'accertamento effettuato dai giudici di merito, l'imputato non aveva fatto alla ragazza.

2.1. Il fatto, pertanto, non può essere ricondotto alla fattispecie ascritta e ritenuta dai giudici di merito, perché il delitto tentato si caratterizza per l'idoneità degli atti univocamente diretti alla commissione del reato e la verifica di questo ineludibile elemento di tipicità non può essere sostituita dall'intenzione del soggetto agente aliunde ricostruita, concorrendo alla configurazione del tentativo soprattutto criteri di natura oggettiva (cfr. Sez. 1, n. 24808 del 16/06/2010, Lazzaro, Rv. 247806). La direzione non equivoca degli atti, infatti, non indica un parametro probatorio, ma una caratteristica oggettiva della condotta, nel senso che gli atti posti in essere devono di per sé rivelare l'intenzione dell'agente (Sez. 1, n. 9284 del 10/01/2014, Losurdo e aa., Rv. 259249; Sez. 1, n. 9411 del 07/01/2010, Musso e a., Rv. 246620).

L'accertamento della idoneità degli atti, da compiersi secondo il criterio di prognosi postuma, con riferimento alla situazione che si presentava al momento della condotta, in base alle condizioni prevedibili (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 36311 del 12/07/2019, Raicevic, Rv. 277032-02; Sez. 2, n. 44148 del 07/07/2014, Guglielmino, Rv. 260855; Sez. 1, n. 32851 del 10/06/2013, Ciancio, Rv. 256991), va rapportata all'integrazione della condotta quale descritta dalla fattispecie incriminatrice, che nel caso del reato previsto dall'art. 600 bis, secondo comma, cod. pen., postula il compimento di atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e diciotto anni in cambio di un corrispettivo in danaro o altra utilità, anche solo promessi, perseguendosi lo scopo di tutelare il libero sviluppo psicofisico del minore rispetto alla mercificazione del suo corpo a fini sessuali (cfr. Sez. 3, n. 33470 del 04/07/2006, Cantoni e aa., Rv. 234787). Laddove l'agente, senza manifestare le proprie intenzioni, tantomeno quelle di ottenere uno scambio tra prestazione sessuale e denaro o altra utilità, cerchi di precostituirsi le condizioni per trovarsi solo con il minore - pur allettandolo con la promessa di compensi o regali - onde poter tentare un approccio di natura sessuale (magari neppure fondato sul consenso prezzolato, come nel caso di specie avvenuto in occasione del primo incontro, in cui si consumò una violenza sessuale), la finalità lato sensu predatoria sul piano sessuale non si accompagna ad una condotta oggettivamente idonea ad integrare l'ipotizzato reato di mercificazione del corpo del minore.
2.2. E' invece corretta la prospettazione del ricorrente circa l'astratta riconducibilità della condotta al delitto di adescamento, tuttavia nel caso sub iudice non configurabile per l'età della giovane.

Ed invero, il reato di cui all'art. 609 undecies cod. pen. mira ad anticipare, anche rispetto al tentativo punibile, la tutela del bene protetto dai reati di aggressione sessuale, come questa Corte ha avuto modo di precisare allorquando ha affermato che, in tema di reati sessuali, in forza della clausola di riserva prevista dall'art. 609-undecies cod. pen., il reato di adescamento di minori si configura soltanto quando la condotta non integra gli estremi del reato-fine neanche nella forma tentata (Sez. 3, n. 8691 del 29/09/2016, dep. 2017, P. e aa., Rv. 269194) e consiste in una condotta a forma libera ("qualsiasi atto") oggettivamente volta «a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce» con il dolo specifico della commissione di uno dei reati sessuali previsti dalla disposizione.

La condotta accertata in fatto dai giudici di merito è perfettamente riconducibile a questo schema.

Nella sentenza impugnata si legge che, anche alla luce di quanto in concreto avvenuto durante il primo incontro tra l'imputato e la ragazza - nel corso del quale, come si è detto, l'uomo aveva sessualmente abusato di lei - «correttamente il primo Giudice ha osservato che la promessa di una somma molto più consistente, per un incontro in una camera d'albergo, non può che essere interpretata come univocamente diretta a convincere la minore...ad accettare l'incontro in un luogo in cui approfittare di lei al fine di compiere altri atti della medesima natura».

Il punto è, tuttavia, che l'offerta di denaro per un servizio fotografico - certamente, come afferma la sentenza, un "pretesto" o, per dirla con le parole usate nell'art. 609 undecies cod. pen., un "artificio" - non corrisponde al fatto tipico previsto dagli artt. 56 e 600 bis, secondo comma, cod. pen., e ciò al di là dell'intenzione dell'agente (che corrisponde al dolo specifico richiesto dal reato di adescamento di minori) e del fatto che la giovane diciassettenne rifiutò la proposta, avendo compreso quali fossero le reali intenzioni dell'uomo («io però ho capito che non si trattava di fotografie ma che voleva pagarmi per fare sesso con me»). La condotta di "adescamento" nella specie posta in essere, tuttavia, non corrisponde alla fattispecie punibile, essendo richiesto che la persona offesa minorenne abbia un'età inferiore ai sedici anni proprio sul presupposto - in qualche modo confermato dalla vicenda in esame - che minorenni più prossimi al raggiungimento della maggiore età abbiano, di regola, gli strumenti per accorgersi delle intenzioni illecite dei predatori sessuali, si da evitare di cadere nelle trappole da costoro ordite.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto - a fronte di una conforme ricostruzione della vicenda avvenuta nei termini più sopra descritti in entrambi i precedenti gradi di giudizio, peraltro celebratosi con rito abbreviato -la sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio limitatamente al reato di cui agli artt. 56 e 600 bis, secondo comma, cod. pen. (capo 6 della rubrica) perché il fatto non sussiste, con conseguente eliminazione della pena di mesi due di reclusione applicata per detto reato a titolo di continuazione (mesi tre, con riduzione per la scelta del rito).
2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per genericità e perché sottopone a questa Corte una non consentita valutazione di merito.
Ed invero, nella giurisprudenza di questa Corte è consolidato il principio giusta il quale, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante di cui all'art. 62, primo comma, n. 6, cod. pen., il risarcimento del danno deve essere integrale, ossia comprensivo della totale riparazione di ogni effetto dannoso, e la valutazione in ordine alla corrispondenza fra transazione e danno spetta al giudice, che può anche disattendere, con adeguata motivazione, ogni dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa (Sez. 2, n. 51192 del 13/11/2019, C, Rv. 278368-02; Sez. 2, n. 53023 del 23/11/2016, Casti, Rv. 268714; Sez. 4, n. 34380 del 14/07/2011, Allegra, Rv. 251508).
La sentenza impugnata - oltre ad attestare, con particolare riguardo al più grave reato di cui al capo 1) dell'imputazione, che l'allegato risarcimento non poteva neppure dirsi provato, poiché non v'era certezza sull'autenticità della firma apposta sulla quietanza prodotta in giudizio - ha ritenuto, per tutti i reati, che alle giovani vittime erano state corrisposte «somme "simboliche"...per nulla satisfattive rispetto al danno, anche morale, sofferto, a fronte di atti di violenza sessuale sicuramente invasivi». La motivazione non è manifestamente illogica e la contestazione mossa sul punto dal ricorrente è del tutto generica e non consente a questa Corte alcun margine di sindacato nei limiti consentiti dall'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo 6 (artt. 56 e 600 bis secondo comma cod. pen.) perché il fatto non sussiste ed elimina la relativa pena di mesi due di reclusione.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.