Condanna per lesioni colpose per chi lascia il proprio cane libero di circolare all'interno della “area cani” nonostante un estraneo avesse manifestato l'intento di avvicinarsi e accarezzarlo per la violazione di regole di generica prudenza, considerando che, in presenza di un altro animale nell'area di sgambamento nonché del relativo accompagnatore, la proprietaria del pitbull avrebbe dovuto fronteggiare la situazione con maggiore cura e cautela attuando una vigilanza stretta e una presenza dominante sul cane.
Corte di cassazione
sez. IV penale, ud. 6 marzo 2024 (dep. 10 marzo 2025), n. 9620
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Roma, in funzione di giudice di appello, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia con la quale il 19 giugno 2024 il Giudice di Pace di Roma ha dichiarato F.A. responsabile del reato di cui all'art. 590 cod. pen. per aver cagionato a C.M., entrato all'interno dell'area cani di via (OMISSIS) insieme al suo cucciolo di cane di piccola taglia, lesioni personali consistenti in morso di cane, ferite multiple, sospetta frattura composta falange intermedia quinto raggio mano destra, giudicate guaribili in 15 giorni; commettendo il fatto perché, quale proprietaria di un cane maschio di razza Pitbull, per imprudenza, imperizia e negligenza, non adottava misure idonee, quali assicurarlo al guinzaglio, atte a impedire che l'animale, lasciato libero di circolare all'interno dell'area cani nonostante fosse diffidente con le persone, mordesse C.M.. Fatto commesso in (OMISSIS) il (OMISSIS).
2. F.A. propone ricorso censurando la sentenza, con il primo motivo, per inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza con riferimento alla partecipazione del pubblico ministero al procedimento. Secondo la difesa, nel procedimento camerale non partecipato la mancata partecipazione del rappresentante della pubblica accusa in appello integra un'ipotesi di nullità di ordine generale ai sensi dell'art. 178, comma 1 lett. b), cod. proc. pen., trattandosi di adempimento formale necessario, e la mancata partecipazione del Procuratore generale alla discussione costituisce una palese violazione del contraddittorio. Nel caso di specie, la difesa ha tempestivamente eccepito tale nullità con la memoria di replica trasmessa via PEC alla cancelleria del Tribunale il 13 dicembre 2024, ma il Tribunale ha del tutto trascurato tale eccezione.
Con il secondo motivo, deduce violazione dell'art. 606 lett. b) ed e), cod. proc. pen. con riferimento alle Ordinanze Ministeriali 3 marzo 2009 e 6 agosto 2013 e al Regolamento Comunale sulla tutela degli animali del 24 ottobre 2005. Secondo la difesa, la sentenza si fonda su un'interpretazione della normativa del tutto errata in quanto il Regolamento Comunale approvato il 24 ottobre 2005 prevede che, nelle aree appositamente attrezzate, i cani possono essere condotti senza guinzaglio e senza museruola, mentre guinzaglio e museruola devono essere adottati per i cani di indole aggressiva. Da ciò deriva che nessun obbligo giuridico è configurabile a carico dell'imputata, non essendo certificato che il cane potesse essere definito ex ante come aggressivo, né potendo estendersi le limitazioni previste per gli animali aggressivi a quelli descritti come diffidenti. Inoltre, l'Ordinanza 3 marzo 2009 del Ministero del lavoro ha abrogato la lista delle razze pericolose di cui alla precedente ordinanza ministeriale e ha istituito un registro dei cani aggressivi tenuto presso le ASL a cura dei servizi veterinari sulla base delle condizioni psicofisiche del singolo animale. Da ciò deriva che l'identificazione di un cane di indole aggressiva non può dipendere dalla razza. La sentenza impugnata ha, invece, desunto l'obbligo di tenere il cane al guinzaglio dall'essere di razza «rinomatamente aggressiva».
Con il terzo motivo deduce violazione dell'art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all'art. 538 cod. proc. pen. La difesa contesta il punto della decisione che ha confermato le statuizioni civili. Sebbene con l'appello la difesa avesse invocato il ridimensionamento della condanna al risarcimento del danno, il Tribunale ha ignorato tale motivo. Non si comprende sulla base di quale argomento il giudice abbia determinato la somma di euro 2.000 quale danno da reato in contraddizione con la descrizione della condotta della persona offesa come “non appropriata“, “maldestra“, “sconsiderata“. A sostegno della motivazione il giudice di primo grado ha indicato una massima delle Sezioni Civili inconferente, in quanto riferita al principio civilistico di cui all'art. 2052 cod. civ., non applicabile al caso di specie, connotato dall'imprevedibilità del fatto del terzo, idonea a interrompere il nesso causale in quanto la persona offesa ha posto in essere un comprovato abuso di confidenza.
Con il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 590,62 bis e 133 cod. pen. Il Tribunale, riguardo al trattamento sanzionatorio, ha affermato che il Giudice di Pace si sarebbe attestato sul minimo edittale previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza alla contestata aggravante, sebbene il giudice di primo grado si sia limitato ad applicare le circostanze attenuanti generiche senza alcun giudizio di comparazione, in difetto di contestazione di circostanze aggravanti. Inoltre, la condanna a euro 400 di multa non rappresenta il minimo edittale in quanto l'art. 590, comma 1, cod. pen. prevede, per l'ipotesi di lesioni personali lievi, la sanzione della multa fino a euro 309.
3. Il difensore della parte civile ha depositato memoria.
4. All'odierna udienza, disposta la trattazione orale ai sensi degli artt. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n.137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n.176, 16 d.l. 30 dicembre 2021, n.228, convertito con modificazioni dalla legge 21 maggio 2021, n.69, 35, comma 1, lett. a), 94, comma 2, d. lgs. 10 ottobre 2022, n.150, 1, comma 1, legge 30 dicembre 2022, n.199 e 11, comma 7, d.l. 30 dicembre 2023, n.215, le parti hanno rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe.
Considerato in diritto
1. Occorre premettere che i profili di censura con i quali la difesa tende a dimostrare il vizio di motivazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non sono ammissibili in quanto, in base al disposto dell'art. 606, comma 2-bis, cod. proc. pen. «Contro le sentenze di appello pronunciate per reati di competenza del giudice di pace, il ricorso può essere proposto soltanto per i motivi di cui al comma 1, lettere a), b) e c)». Dei motivi di ricorso concernenti il vizio di cui all'art. 606, comma 1 lett. e), non potrà, pertanto, tenersi conto.
2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto generico.
Con particolare riguardo al deposito delle conclusioni scritte nel procedimento c.d. cartolare, si è di recente precisato che «nel rito a trattazione scritta, i termini per il deposito delle conclusioni delle parti, pur in mancanza di espressa indicazione, devono ritenersi perentori, essendo imprescindibilmente funzionali a consentire il corretto svilupparsi del contraddittorio, sicché il deposito tardivo esime il giudice dal tenere conto delle conclusioni ai fini della decisione, fermo restando che l'imputato non può limitarsi a lamentare un generico pregiudizio del proprio diritto di difesa, dovendo dedurre un'effettiva incidenza delle conclusioni intempestive rispetto all'esito del giudizio. (Fattispecie relativa ad inosservanza del termine per il deposito delle conclusioni del Procuratore generale presso la Corte di appello, previsto dall'art. 23 bis, comma 2, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176)». Ad analoga conclusione deve giungersi, a maggior ragione, nel caso di omesso deposito delle conclusioni da parte dell'organo della pubblica accusa. Nel caso in esame il difensore si è limitato ad allegare il mancato deposito delle conclusioni del Procuratore generale, con eccezione generica che il giudice di appello non era tenuto a rigettare espressamente, potendosi essa ritenere implicitamente rigettata.
3. Il secondo motivo, nella parte in cui viene dedotta l'erronea interpretazione della normativa, è infondato.
Va premesso che la disposizione sulla quale si fonda il giudizio di responsabilità è l'art. 590 cod. pen. Quanto alla natura colposa della condotta del ricorrente, essa è da ricondurre all'inosservanza di norme cautelari afferenti al governo e alla conduzione dei cani, volte a prevenire, neutralizzare o ridurre i rischi per la pubblica incolumità, specificamente declinate in relazione alle potenzialità lesive dell'animale, con richiamo alla norma di cui all'art. 672 cod. pen., che sanziona a livello amministrativo l'incauta custodia di animali e che positivizza il generale dovere di diligenza e prudenza che l'ordinamento pone in capo a chiunque abbia il dominio di un animale dotato di capacità lesiva, sancendo l'assunzione di una posizione di garanzia rispetto alla possibilità del verificarsi di eventi dannosi, corredata da una serie di obblighi, divieti e modelli comportamentali la cui violazione determina responsabilità giuridica a vari livelli (amministrativo, civile e penale).
La censura muove dal presupposto che il giudice di merito avrebbe ritenuto violata la specifica regola cautelare di condurre il cane al guinzaglio e con museruola nell'area c.d. di sgambamento, ma tale assunto non trova conforto nella lettura della sentenza impugnata, né di quella di primo grado.
Il Giudice di Pace ha, in particolare, addebitato alla F.A. di «non aver vigilato con la richiesta attenzione sul proprio cane», facendo riferimento alla razza Pitbull solo per evidenziare che si tratta di cani che impongono un «onere di custodia e vigilanza accentuato». Nella sentenza di primo grado si è, con chiarezza, affermata la violazione di regole di generica prudenza considerando che, in presenza di un altro animale nell'area di sgambamento nonché del relativo accompagnatore, la proprietaria del cane avrebbe dovuto fronteggiare la situazione con maggiore cura e cautela attuando una vigilanza stretta e una presenza dominante sul cane.
Il giudice di appello ha, per altro verso, addebitato all'imputata di aver lasciato il cane libero di circolare all'interno dell'area cani nonostante si trattasse di cane di indole da lei stessa definita ‘diffidente' e nonostante un estraneo avesse manifestato l'intento di avvicinarsi e accarezzarlo.
A ciò va aggiunto che, nelle more dell'emanazione di una disciplina normativa organica in materia, il Ministero della Salute pubblica e periodicamente proroga ordinanze contingibili e urgenti concernenti disposizioni di natura cautelare a tutela dell'incolumità pubblica dall'aggressione dei cani; il primo provvedimento in materia è l'Ordinanza del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali del 3 marzo 2009 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 23 marzo 2009, n. 68; da ultimo, con Ordinanza del 6 agosto 2024 è stata prorogata l'Ordinanza 6 agosto 2013, in vigore all'epoca del fatto. Obiettivo dichiarato di tale disciplina di rango secondario, secondo quanto si legge nel preambolo, è quello di «rafforzare il sistema di prevenzione del rischio di aggressione da parte di cani basato non solo sull'imposizione di divieti e obblighi per i proprietari e detentori di cani ma anche sulla formazione degli stessi per migliorare la loro capacità di gestione degli animali».
Si tratta, dunque, di una disciplina che non sostituisce ma integra le disposizioni di rango ordinario che impongono obblighi cautelari ai custodi di cani; a conferma della natura meramente integrativa delle norme contenute nell'ordinanza, la cui applicazione viene invocata dalla difesa per l'effetto abrogativo della c.d. black list delle razze di cani da considerare a priori aggressivi, l'art. 1 dispone quanto segue: «1. Il proprietario di un cane è sempre responsabile del benessere, del controllo e della conduzione dell'animale e risponde, sia civilmente che penalmente, dei danni o lesioni a persone, animali o cose provocati dall'animale stesso. 2. Chiunque, a qualsiasi titolo, accetti di detenere un cane non di sua proprietà ne assume la responsabilità per il relativo periodo. 3. Ai fini della prevenzione di danni o lesioni a persone, animali o cose il proprietario e il detentore di un cane adottano le seguenti misure: a) utilizzare sempre il guinzaglio a una misura non superiore a mt 1,50 durante la conduzione dell'animale nelle aree urbane e nei luoghi aperti al pubblico, fatte salve le aree per cani individuate dai Comuni; b) portare con se' una museruola, rigida o morbida, da applicare al cane in caso di rischio per l'incolumità di persone o animali o su richiesta delle autorità competenti; c) affidare il cane a persone in grado di gestirlo correttamente; d) acquisire un cane assumendo informazioni sulle sue caratteristiche fisiche ed etologiche nonché sulle norme in vigore; e) assicurare che il cane abbia un comportamento adeguato alle specifiche esigenze di convivenza con persone e animali rispetto al contesto in cui vive».
Il testo normativo specifica, dunque, quali siano i principali obblighi cautelari che incombono sul custode di un cane e, come si desume dal tenore letterale della disposizione, non limita tali obblighi all'utilizzo del guinzaglio o della museruola, onde anche sotto tale profilo la censura risulta infondata, avendo ignorato che la regola di generica prudenza violata è stata desunta, nel caso concreto, dal fatto che la stessa proprietaria del cane fosse ex ante consapevole dell'indole diffidente del cane e ciò nonostante ha omesso di adottare qualsivoglia cautela all'arrivo della persona offesa con il suo cane di piccola taglia all'interno dell'area di sgambamento. Tanto più in quanto la persona offesa si era avvicinata imprudentemente all'animale, tendendo le braccia, in una situazione nella quale il comportamento del cane non poteva considerarsi imprevedibile. La F.A., si legge nella sentenza, proprio perché conscia del carattere diffidente del proprio animale e della potenzialità lesiva del medesimo, avrebbe dovuto prevedere e prevenire la reazione del Pitbull ponendogli la museruola o attestandosi quanto meno a una distanza ravvicinata, in modo da intervenire immediatamente e bloccarlo in caso di aggressione.
In definitiva, la culpa in vigilando del proprietario del cane è stata correttamente identificata quale violazione di una regola cautelare non positivizzata desumibile da una massima di esperienza, legata non tanto alla razza del cane quanto piuttosto alla eventualità che un cane diffidente reagisca in maniera aggressiva all'avvicinamento di terzi estranei. Si tratta di argomenti coerenti con il principio secondo il quale «in tema di colpa, allorquando risulti ex ante l'inefficacia preventiva delle regole cautelari positivizzate, il gestore del rischio è tenuto a osservare ulteriori regole cautelari non positivizzate, preesistenti alla condotta ed efficaci a prevenire l'evento, individuate alla luce delle conoscenze tecniche scientifiche e delle massime di esperienza» (Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Castaldo, Rv. 281997 – 13).
4. Il terzo motivo è inammissibile.
Secondo quanto si evince dalla pronuncia di primo grado, la liquidazione del danno per la malattia certificata in euro 2000 è accompagnata dal riferimento all'impossibilità di valutare l'esatta entità del danno civile. Coerentemente, il giudice penale ha rimesso «le parti al giudizio civile per la valutazione di danno e graduazione del concorso nella sua causazione». Si tratta, a ben vedere, della liquidazione di somme a titolo di provvisionale ai sensi dell'art. 539, comma 2, cod. proc. pen., con conseguente inammissibilità di ogni censura sul punto. E' principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione che la statuizione che assegna la provvisionale abbia tra le proprie caratteristiche quelle della precarietà (essendo destinata a essere travolta o assorbita dalla decisione conclusiva del processo e quindi insuscettibile di passare in giudicato: ex multis Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, P.C. e G., Rv. 261536 – 01; Sez. 4, n. 36760 del 04/06/2004, Cattaneo, Rv. 230271 - 01); della discrezionalità nella determinazione dell'ammontare senza obbligo di specifica motivazione (Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D.G., Rv. 263486 – 01; Sez. 5, n. 32899 del 25/05/2011, Mapelli, Rv. 250934 - 01; Sez. 6, n.49877 del 11/11/2009, Blancaflor, Rv. 245701 - 01; Sez. 5, n. 40410 del 18/03/2004, Farina, Rv. 230105); della non impugnabilità con il ricorso per cassazione (Sez U, n. 2246 del 19/12/1990, dep.1991, Capelli, Rv. 186722 – 01; Sez. 4, n.34791 del 23/06/2010, Mazzamurro, Rv. 248348 - 01; Sez. 4, n.36760 del 04/06/2004, Cattaneo, Rv. 230271 - 01; Sez. 5, n.40410 del 18/03/2004, Farina, Rv. 230105 - 01), da ciò desumendosi l'inidoneità di tale pronuncia a condizionare le statuizioni civili concernenti l'entità del danno definitivamente risarcibile. Ne consegue che nessun obbligo motivazionale incombeva, sul punto, al giudice di appello.
5. Il quarto motivo di ricorso è fondato. La sentenza incorre in violazione di legge nella determinazione del trattamento sanzionatorio. Non risulta contestata alcuna circostanza aggravante che possa aver determinato un giudizio di bilanciamento con le circostanze attenuanti generiche e la pena massima edittale prevista dall'art. 590, comma 1, cod. pen. è pari a euro 309. Per tali ragioni, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo esame sul punto al Tribunale di Roma. L'accoglimento del ricorso proposto dall'imputato, limitato al solo motivo relativo al trattamento sanzionatorio, con contestuale rigetto di quelli afferenti alla sua penale responsabilità, importa la condanna del predetto al pagamento delle spese di assistenza e di rappresentanza sostenute, nel grado di giudizio, dalla parte civile, liquidate come in dispositivo (Sez. 4, n. 19748 del 17/04/2024, Buccolieri, Rv. 286517 – 02).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio al Tribunale di Roma in diversa persona fisica per nuovo giudizio sul punto.
Rigetta il ricorso nel resto e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese in favore di C.M., liquidate in complessivi euro tremila oltre accessori come per legge.