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Soccorso in mare è obbligo per comandante di ogni nave Cap Anamur (Tr. Agrigento, 954/2009)

9 ottobre 2009, Tribunale di Agrigento

I poteri-doveri di intervento e coordinamento da parte degli apparati di un singolo Stato nell’area di competenza non escludono (anzi, in un certo senso impongono in base all’obbligo sopra delineato) che unità navali di diversa bandiera possano iniziare il soccorso allorquando lo richieda l’imminenza del pericolo per le vite umane.

L’obbligo di diritto internazionale incombente sul comandante di una nave di procedere al salvataggio (del natante e, quando ciò non sia possibile, delle persone che vi si trovino a bordo) trova, in particolare nel diritto interno, un rafforzamento di tipo penalistico nell’art. 1158 Codice della Navigazione che sanziona penalmente l’omissione da parte del comandante di nave, nazionale o straniera, di prestare assistenza ovvero di tentare il salvataggio nei casi in cui ne sussiste l’obbligo a norma dell’art. 490 del codice medesimo ossia allorquando la nave in difficoltà sia del tutto incapace di effettuare le manovre.

 

 Tribunale di Agrigento

7 ottobre 2009, n. 954 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Agrigento, I Sezione Penale, I Collegio, composto dai Signori magistrati:

dott.ssa Antonina SABATINO Presidente

dott. Paolo CRISCUOLI Giudice

dott. Enzo DAMIZIA Giudice

con l’intervento del Procuratore della Repubblica, dott.ssa Gemma Miliani e dott. Santo Fornasier

e con l’assistenza del Cancelliere Antonino Carcione

ha pronunziato, alla pubblica udienza del 07/10/2009, la seguente

SENTENZA

Nel procedimento penale

contro

1. S.H.F.S. (anziché S, come corretto all’udienza del 15/01/2007) nato a OMISSIS domicilio eletto presso lo studio del difensore avv.to Vittorio Porzio;

Libero-Presente

Assistito e difeso di fiducia dagli avv.ti Vittorio Porzio e Liana Nesta del foro di Napoli presenti;

2.V.D. nato in OMISSIS domicilio eletto presso lo studio dell’avv.to Vittorio Porzio;

Libero-Assente

Assistito e difeso di fiducia dagli avv.ti Giuseppe Arnone e Alex Nagler (foro di Essen, Germania) presente il secondo;

3.E.F.U.B. nato a OMISSIS domicilio eletto presso lo studio dell’avv.to Giuseppe Arnone;

Libero-Presente

Assistito e difeso di fiducia dagli Avv.ti Vittorio Porzio ed Ivan Simenone (foro di Napoli) entrambi presenti:

IMPUTATI

del reato p. c. p. dell’art. 110 c.p. e dell’art. 12 I°, III° e III° bis D.L.vo 286/98 così come modificato dalla Legge 189/2002 perché, in concorso tra loro lo S.H.F.S. nella sua qualità di Capitano della nave Cap Anamur, il V.D. nella sua qualità di Primo Ufficiale e il E.F.U.B. di Presidente dell’organizzazione Cap Anamur, al fine di procurarsi un profitto sia diretto che indiretto – anche consistito nella pubblicità e risonanza internazionale ottenuta ed inoltre un profitto relativo alla vendita ai terzi delle immagini e delle informazioni relative ai fatti per cui è processo – utilizzando la motonave Cap Anamur battente bandiera tedesca nonché prospettando falsamente alle Autorità dello Stato competenti una situazione di emergenza anche sanitaria a bordo della nave, compivano attività diretta a favorire l’ingresso clandestino nel territorio nazionale di 37 cittadini extracomunitario nazionalità mista, consistita nel trasporto nelle acque territoriali italiane e quindi allo sbarco sul territorio nazionale dei 37 clandestini.

Con l’aggravante di avere agito in tre persone riunite nonché con l’aggravante di avere introdotto clandestinamente più di cinque cittadini extracomunitari.

In Porto Empedocle fatti accertati in data 12/07/2004

CONCLUSIONI DELLE PARTI

Il P.M chiede affermarsi la responsabilità per gli imputati E.F.U.B. e S.H.F.S. e, esclusa l’aggravante delle tre persone riunite e concesse le attenuanti generiche, chiede la condanna finale alla pena di anni quattro di reclusione e 400.000,00 euro di multa; chiede l’assoluzione con formula piena dell’imputato V.D. e la confisca della nave in sequestro;

I difensori:

Avv.to Alex Nagler chiede per il proprio assistito assoluzione con ampia formula liberatoria perché il fatto non costituisce reato e comunque per non averlo commesso;

Avv.to Porzio deposita memoria difensiva e chiede l’assoluzione dei propri assistiti perché il fatto non costituisce reato, in via subordinata perché gli atti furono posti in essere in adempimento del proprio dovere ai sensi dell’art. 51 c.p., in via subordinata ritenere la sussistenza dello stato di necessità e in via subordinata chiede l’assoluzione ai sensi dell’art. 530 comma 2 c.p.p.;

Avv.to Ivan Simeone chiede l’assoluzione con formula piena ai sensi dell’art. 530 comma 1° c.p.p. perché il fatto non costituisce reato, in subordine ai sensi dell’art. 530 co. 2 c.p.p. ed in subordine ancora ex art. 530 3° co. c.p.p., si chiede la restituzione della fideiussione e garanzia della nave e deposita memoria;

Avv.to Lina Nesta chiede l’assoluzione ai sensi dell’art. 530 co. 1° perché il fatto non costituisce reato o per non averlo commesso, in subordine ai sensi dell’art. 530 co. 2° c.p.p. ed in estremo subordine ai sensi dell’art. 530 3° comma c.p.p.;

Avv.to Arnone chiede l’assoluzione con formula piena ai sensi dell’art. 530 co. 1° c.p.p. ed in subordine con il riconoscimento dello stato di necessità.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto reso all’esito dell’udienza preliminare del 4 luglio 2006, il G.U.P. presso questo Tribunale disponeva il giudizio nei confronti di S.S.H.F., D.V. e E.F.U.B., imputati, in concorso tra loro, del reato di cui all’art. 12, commi 1, 3 e 3 bis del Decreto Legislativo 286/1998 (e success. modificaz.) come descritto al capo d’imputazione in epigrafe.

All’udienza del 27 novembre 2006, aperto il dibattimento in presenza degli imputati B.E.F.U. e S.H.F.e in contumacia dell’imputato V.D., venivano ammesse le prove come richiesto dalle parti.

All’udienza dell’11 dicembre 2006 veniva acquisita documentazione su richiesta congiunta della parti e venivano escussi i testi della pubblica accusa C.E., A.M., M.C., C.P. e A.S.

All’udienza del 15 gennaio 2007 veniva acquisita la documentazione di cui al verbale di sequestro (documenti in lingua madre relativi alla motonave Cap Anamur, battente bandiera tedesca; tabulati VDR Voyage Data Recorder e mappe nautiche) nonché decreto di archiviazione e ulteriore documentazione prodotta dalla difesa. Quindi, veniva svolto l’esame di G.T. e G.R., testimoni del pubblico ministero.

All’udienza del 29 gennaio 2007 veniva disposto rinvio in ragione del legittimo impedimento a comparire dei difensori.

All’udienza del 26 febbraio 2007 veniva escusso il teste della pubblica accusa C.D.

All’udienza del 12 marzo 2007 il rinvio del procedimento trovava ragione nella diversa composizione del collegio giudicante per legittimo impedimento di due giudici titolari.

All’udienza del 19 marzo 2007 veniva svolto l’esame dei testi della pubblica accusa F.L., L.F., P.I. e A.C. Su consenso delle parti, venivano acquisite le annotazioni di servizio a firma di F.L. e di G.C. del 13 luglio 2004 nonché il verbale di sommarie informazioni rese da L.F.

All’udienza del 16 aprile 2007 veniva disposto rinvio in ragione della diversa composizione del collegio giudicante per legittimo impedimento di un componente.

All’udienza del 28 maggio 2007 venivano escussi i testi A.D.B., F.F. e M.A.S.

All’udienza del 18 giugno 2007 veniva svolto l’esame testimoniale di A.A., A.V., B.R., e L.D.P., ulteriori testi della pubblica accusa.

All’udienza del 9 luglio 2007 venivano escussi i testi S.S., C.S. e I.S., di quest’ultimo veniva acquisito, su concorde richiesta della parti, il verbale di sommarie informazioni rese in data 8 settembre 2004 alla Capitaneria di Porto di Porto Empedocle.

All’udienza del 24 settembre 2007 veniva svolto l’esame di Fe.L. e A.C. (altri testi del pubblico ministero).

All’udienza del 12 novembre 2007 venivano escussi ulteriori testimoni della pubblica accusa I.P., G.A., R.V., G.L.L., e S.F.

All’udienza del 17 dicembre 2007 veniva svolto l’esame dell’imputato S.S.H.F. durante il quale veniva acquisita documentazione prodotta dalla difesa.

All’udienza del 14 gennaio 2008 veniva proseguito l’esame dell’imputato S.H.F.S. e acquista ulteriore documentazione prodotta dai difensori.

All’udienza del 28 gennaio 2008 veniva revocata, su richiesta del pubblico ministero e nella non opposizione dei difensori, l’ordinanza ammissiva di numerosi altri testi della pubblica accusa. Su consenso della parti venivano acquisite: la nota di servizio a firma del tenente di vascello G.M., quella a firma di S.R., capo servizio operazioni della Guardia Costiera e quella a firma di R.M.

All’udienza del 18 febbraio 2008 venivano escussi i testi S.F.L.R.D.R., F.V., L.T. e M.P. Veniva acquisito, su consenso della parti, i testi di vari messaggi relativi alla comunicazioni avvenute via e mail.

All’udienza del 21 aprile 2008 veniva acquisita copia autentica dell’estratto del registro navale. Quindi, veniva svolto l’esame dei testi R.C. e R.M.. In seguito, con il consenso delle parti, si procedeva all’acquisizione dei verbali di sommarie informazioni rese alla Questura di Agrigento nelle date del 12 e del 14 luglio 2004 da: H.R., H.B.E., A.S., S.S., S.W.S. e R.B..; del verbale di sommarie informazioni rese da T.A.al Commissario di P.S. di Porto Empedocle in data 9 agosto 2004 nonché nella relazione di servizio a firma del capo pilota R.C.

All’udienza del 16 giungo 2008 venivano escussi i testi della pubblica accusa C.H. e M.H.

All’udienza del 7 luglio 2008 veniva svolto l’esame di R.B., altro teste della pubblica accusa. Quindi, su consenso della parti, venivano acquisiti il verbale di sommarie informazioni rese da S.S.; il verbale di sommarie informazioni rese da H.B.E. e il verbale di sommarie informazioni rese da H.R. (questi ultimi due verbali già acquisti all’udienza precedente).

All’udienza del 21 luglio 2008 veniva disposto rinvio in ragione della diversa composizione del collegio giudicante per il legittimo impedimento di un componente.

All’udienza del 13 ottobre 2008 il rinvio trovava causa nell’assenza dei testi.

All’udienza del 3 novembre 2008 venivano escussi P.G., teste ammesso su richiesta della pubblica accusa ex art. 195 c.p.p., e B.R.G., teste della difesa. A seguito dell’esame del dottor P. veniva acquisita ulteriore documentazione. Quindi veniva conferito l’incarico peritale avente ad oggetto la traduzione della lingua inglese in lingua italiana della documentazione prodotta.

All’udienza del 16 febbraio 2009 veniva svolto l’esame del perito traduttore K.R. che si riportava alla relazione di perizia acquisita agli atti contenente la traduzione in lingua italiana della documentazione acquisita in lingua madre.

Su richiesta congiunta del pubblico ministero, e dei rispettivi difensori, venivano acquisiti ai sensi dell’art. 513 c.p.p. il verbale di interrogatorio reso dall’imputato E.F.U.B. in data 16 luglio 2004 in sede di udienza di convalida dell’arresto; il verbale di interrogatorio reso dall’imputato V.D. in data 16 luglio 2004 in sede di udienza di convalida di arresto; il verbale di interrogatorio reso dall’imputato E.F.U.B. presso la Questura di Napoli su delega del Pubblico Ministero in data 4 ottobre 2005, il verbale di interrogatorio reso dall’imputato V.D. presso la Questura di Napoli su delega del Pubblico Ministero in data 4 ottobre 2005 e il verbale di interrogatorio reso dall’imputato E.F.U.B. in sede di udienza preliminare in data 9 maggio 2006. Su accordo della parti, venivano acquisiti il verbale di sommarie informazioni rese da C.R. (investigazioni difensive ex. art. 391 bis c.p.p.) con allegate fotografie. Veniva acquista, su richiesta della difesa, la Risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione dei rifugiati a Malta.

All’udienza del 1 aprile 2009 veniva disposto rinvio in ragione della adesione da parte dei difensori della astensione collettiva dalla udienze penali deliberata dall’Unione delle Camere Penali Italiane.

All’udienza del 22 aprile 2009 venivano acquisite, su consenso della parti, la Risoluzione del Parlamento Europeo, sulla gestione dei flussi migratori straordinari a Malta. Quindi, il pubblico ministero formulava e illustrava le proprie conclusioni.

All’udienza del 3 giugno 2009 l’imputato E.F.U.B. rilasciava dichiarazioni spontanee.

Ciascun difensore illustrava e formulava le proprie conclusioni. Gli avvocati Porzio e Simeone depositavano rispettiva memoria difensiva.

Infine, all’udienza del 7 ottobre 2009 il Tribunale emanava sentenza mediante lettura del solo dispositivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Agli imputati S.S.H.F., E.F.U.B. e V.D. è contestato – nelle loro rispettive qualità di capitano della nave “Cap Anamur”, di presidente dell’omonima organizzazione e di primo ufficiale della nave – il compimento di attività diretta a favorire l’immigrazione clandestina mediante il trasporto nella acque territoriali italiane e il successivo sbarco sul territorio nazionale (Porto Empedocle), a bordo della nave suddetta battente bandiera tedesca, di trentasette cittadini extracomunitari di varia nazionalità.

È contestata, in particolare, l’ipotesi criminosa dall’art. 12 commi 1 e 3, Decreto Legislativo 25 luglio 1998, nr. 286 (e succ. modif.) indicandosi, quale dolo specifico della condotta sopra descritta, la finalità degli imputati di procurarsi “un profitto sia diretto che indiretto consistito anche nella pubblicità e risonanza internazionale ottenuta” nonché “nella vendita a terzi delle immagini e delle informazioni relative ai fatti per cui è processo” (così testualmente al capo d’imputazione).

In base all’impianto accusatorio, la condotta di trasporto nel territorio nazionale delle trentasette persone di nazionalità extracomunitaria avveniva mediante la falsa rappresentazione alle autorità dello Stato Italiano di una situazione di emergenza, anche sanitaria, a bordo della nave tale – secondo l’accusa – da indurre le autorità marittime italiane a rilasciare, dopo diversi giorni, l’autorizzazione all’approdo della nave nel porto italiano.

Ebbene, all’esito della istruzione dibattimentale, il Tribunale ritiene di dover pervenire alla dichiarazione di assoluzione degli imputati essendo emerso che la condotta materiale (ossia l’attività diretta a procurare l’ingresso dei 37 cittadini extracomunitari in Italia posta in essere attraverso il trasporto di costoro in acque nazionali e il successivo sbarco) è stata commessa in presenza della causa di giustificazione prevista dall’art. 51 c.p., nelle specie di adempimento di un dovere imposto da una norma di diritto internazionale.

Gli esiti dibattimentali condurranno, al contempo, alla esclusione della sussistenza delle manifestazioni della condotta descritte al capo d’imputazione. Infine, verrà evidenziata l’irrilevanza giuridico-penalistica di procedere all’accertamento della esistenza del dolo specifico contestato.

Deriverà dunque ai sensi dell’art. 530 commi 1 e 3, c.p.p., la pronunzia di proscioglimento perché il fatto non costituisce reato relativamente agli imputati S.H.F.S. e E.F.U.B.

Per quanto concerne la posizione dell’imputato V.D., la pronuncia assolutoria verrà dichiarata, invece, con la formula “per non aver commesso il fatto” non essendo emerso a carico del predetto imputato (primo ufficiale della nave) alcun elemento tale da ritenere sussistente una sua compartecipazione morale o materiale al compimento della condotta.

1. LA RICOSTRUZIONE STORICA DELLA VICENDA. IL FATTO

Al fine di effettuare la compiuta valutazione giuridica del fatto è necessario ripercorrere la vicenda storica che ha visto protagonista la nave Cap Anamur nell’estate dell’anno 2004 nelle acque del Mar Mediterraneo.

La mattina del 12 luglio 2004 la motonave Cap Anamur, battente bandiera tedesca, all’esito di una vicenda di seguito ricostruita, attraccava nel porto di Porto Empedocle, località marittima in provincia di Agrigento che si affaccia nelle acque del mar Mediterraneo nel tratto del Canale di Sicilia.

Il personale della Capitaneria di Porto e gli agenti della Polizia di Stato che attendevano la nave sulla banchina accertavano la presenza a bordo di trentasette cittadini extracomunitari privi di documenti di identità che venivano trasportati nel centro di accoglienza di Agrigento per la identificazione e la conseguente espulsione.

A bordo della nave vi erano l’imputato S.H.F.S., capitano della Cap Anamur; l’imputato E.F.U.B, Presidente del Comitato omonimo; l’imputato V.D., primo ufficiale della nave, e dieci membri dell’equipaggio.

Veniva accertata la presenza a bordo di altre sette persone (passeggeri) sia tedesche che italiane tra cui giornalisti, fotografi e avvocati marittimisti.

I tre imputati venivano tratti in arresto per il reato di favoreggiamento della immigrazione clandestina e la nave veniva sottoposta a sequestro.

Per la ricostruzione storica della vicenda, verranno cronologicamente evidenziati i seguenti aspetti: la natura e gli scopi del comitato “Cap Anamur” e del viaggio della nave; la rotta della motonave; i tempi, luoghi e modalità in cui la Cap Anamur recuperava a bordo trentasette persone; la fase temporale immediatamente successiva al recupero degli extracomunitari; il primo contatto intervenuto tra la Cap Anamur e la autorità marittime italiane con cui il capitano S.H.F.S. chiedeva l’autorizzazione allo sbarco; le comunicazioni intrattenute tra le autorità italiane e la motonave e, infine, la successiva fase in cui la nave – stazionando al limite della acque territoriali italiane (e poi ad un miglio dal porto di Porto Empedocle) a causa del divieto di fare ingresso in acque nazionali – riceveva a bordo la visita di diverse persone (avvocati, giornalisti, fotografi, politici, prelati, etc.) e di personale di organizzazioni umanitarie o ambientaliste (medici di Emergency e altri) fin quando, ottenuta l’autorizzazione, attraccava nel porto di Porto Empedocle.

Al fine della esposizione dei fatti si terrà conto, oltre che dei diversi mezzi di prova (orali e documentali) via via puntualmente richiamati nel corso della narrazione, delle disposizioni testimoniali di C.E. (cfr. verbale fonoregistrato dell’11 dicembre 2006), G.R. (cfr. verbale fon registrato del 15 gennaio 2007), G.T. (cfr. medesimo verbale) e A.C. (cfr. verbale del 24 settembre 2007) operanti della Capitaneria di Porto di Porto Empedocle.

Per quanto riguarda i singoli accertamenti compiuti durante il periodo in cui la Cap Anamur stazionava al limite della acque territoriali e poi a un miglio dal porto si farà riferimento (anche) alle deposizioni del personale operante che monitorava la nave alternandosi al servizio a bordo di motovedette (cfr. deposizioni testimoniali di C.P., maresciallo della Guardia di Finanza di Porto Empedocle, comandante della motovedetta Cap Anamur, pagg. 67 – 74 del verbale fonoregistrato dell’11 dicembre 2006; C.M.S., carabiniere in servizio presso i carabinieri di Porto Empedocle in forza sulla motovedetta CC 26, pagg. 65-66 del verbale fonoregistrato dell’11 dicembre 2006; C.D.M., ispettore in servizio presso la Scuola Nautica della Questura di Agrigento, verbale fono registrato del 26.2.2007; S.A., maresciallo aiutante della Guardia di Finanza di Porto Empedocle, pagg. 74-78 del verbale fono registrato dell’11 dicembre 2006; F.L., comandante della motovedetta CP2093 della Guardia Costiera e annotazioni di servizio a firma di F.L. e di C.G. del 3 luglio 2004 acquisita contestualmente tra le parti all’udienza del 13.3.2007 e di S.C., in servizio presso la Guardia di Finanza – Sezione Operativa Navale di Porto Empedocle, cfr. pagg. 4 e segg. del verbale fonoregistrato del 9 luglio 2007).

a. Il Comitato “Cap Anamur”. Lo scopo del viaggio della nave omonima. La prima parte del viaggio.

Il Comitato (Komitèe) denominato “Cap Anamur” è una organizzazione tedesca con finalità di tipo umanitario fondata nel 1979.

Lo scopo perseguito dall’associazione si realizza attraverso lo svolgimento di missioni in aree del mondo particolarmente disagiate a cui prende parte personale medico, infermieristico e tecnico.

Nell’anno 2003, S.H.F.S., capitano di nave, su proposta di E.F.U.B., presidente del comitato “Cap Anamur”, accettava l’incarico di comandare una nave, acquistata dall’organizzazione e denominata anch’essa “Cap Anamur”, da utilizzare per il trasporto di viveri, medicinali, attrezzatura medica e materiale vivo nell’ambito dei diversi progetti umanitari.

La nave lunga metri 81 circa e avente una stazza lorda di 2605 tonnellate, veniva registrata presso il Registro navale di Lubecca sotto la categoria cd. “Navi Grandi”.

La licenza di navigazione qualifica la nave come “cargo ship” ossia nave da “carico” e, al contempo, come “nave umanitaria” (“rescue and support vessel”).

Tanto risulta, in particolare, dalla licenza di navigazione e dalle fotografie della nave (cfr. documentazione acquista alla udienze del 17.12.2007 e del 21.4.2008).

Dopo essere stata predisposta per lo svolgimento della missione (installazione di container per la realizzazione di strutture ospedalieri e di servizi sanitari nonché per il carico di merce), la Cap Anamur salpava da Lubecca (Germania) in data 15 febbraio 2004 a seguito di inaugurazione cui partecipavano le autorità civili tedesche.

Nel corso della prima parte del viaggio la nave faceva scalo in vari porti: Kiel (Germania), Rotterdam (Olanda), Lisbona (Portogallo), Las Palmas (Isole Canarie), Freetown (Sierra Leone), Monrovia (Liberia), Walvis Bay (Namibia), tutti i luoghi in cui provvedeva a caricare o scaricare il materiale (generi alimentari; letti ospedalieri; autoambulanze; medicinali; jeep fuoristrada; etc.) a seconda delle esigenze.

In data 7 maggio 2004 la nave, a causa di problemi al motore, faceva di nuovo scalo a Las Palmas (Canarie) per effettuare delle riparazioni meccaniche.

In ragione della circostanza che a Las Palmas la nave non otteneva una riparazione completa e del fatto che la successiva tappa della missione fosse Accaba (Giordania), in cui avrebbe dovuto scaricare materiale poi diretto (via terra) a Bagdad (Iraq), la Cap Anamur ripartiva, in condizioni meccaniche non ottimali, in direzione dell’isola di Malta, località che veniva indicata al capitano S.H.F.S. come la sede di una officina portuale più adeguata per portare a termine le riparazioni della nave nell’ambito della rotta verso il Medio Oriente.

La Cap Anamur arrivava a Malta in data 26 maggio 2004 e vi rimaneva fino al 4 giungo 2004. Durante tale periodo la motonave era oggetto di riparazioni e riceveva la visita dell’Ambasciatore tedesco a Malta.

In tale occasione, anche l’imputato E.F.U.B., in qualità del presidente del Comitato, effettuava una visita sulla nave al fine di accertarne lo stato per poi ripartire per la Germania.

Le risultanze suddette sono state riferite dall’imputato S.H.F.S. in modo puntuale e preciso nel corso dell’esame cui si è sottoposto (cfr. verbale fonoregistrato del 17.12.2007 e verbale fonoregistrato del 14.1.2008).

Tali risultanze hanno trovato conferma nella documentazione acquisita agli atti (cfr. lo statuto del Comitato “Cap Anamur”; gli elaborati fotografici raffiguranti le varie operazioni di scarico e carico di merce effettuate dalla nave nelle diverse località; il “cargo manifest” ossia il registro di carico o “lista di carico” e le fatture attestanti le riparazioni effettuate sia a Las Palmas che a La Valletta; documentazione acquisita alle udienze del 17.12.2007 e del 21.4.2008) nonché nelle dichiarazioni testimoniali di R.G.B., infermiera dell’organizzazione Cap Anamur, salita a bordo della nave a Las Palmas in data 2 maggio 2004 (cfr. verbale fono registrato del 3.11.2008).

I medesimi elementi di fatto risultano, in modo conforme, anche dalle dichiarazioni dell’imputato E.F.U.B. rese nel corso degli interrogatori cui si è sottoposto in sede di udienza di convalida dell’arresto, in sede di udienza preliminare nonché davanti alla polizia giudiziaria (cfr. verbali di interrogatorio acquisiti all’udienza del 16.2.2009).

È opportuno sottolineare che a bordo della motonave vi era, sin dalla partenza, da Lubecca, un membro dell’equipaggio, tale D.B., il quale, addestrato ed equipaggiato come operatore di videocamera, aveva il compito di effettuare delle riprese, per la realizzazione di un documentario dal titolo: “Venticinque anni di Cap Anamur” evidentemente destinato al festeggiamento dell’anniversario del Comitato.

Il filmato da analizzare era di proprietà della “Aquino Film”, casa produttrice tedesca per la quale lavorava il giornalista M.H.

Il E.F.U.B. aveva il compito – a lui affidato dal giornalista M.H. alla partenza da Lubecca – di filmare le vicende della motonave durante il viaggio. Dal video realizzato sarebbero tratte poi le scene più interessanti per la realizzazione del film-documentario.

Tanto risulta, oltre che dalle conformi dichiarazioni degli imputati S.H.F.S. e E.F.U.B., dalla deposizione testimoniale di H.M. (cfr. pagg. 44 e segg. del verbale fonoregistrato del 16.1.2008).

A conferma di tali risultanze si pongono le dichiarazioni rese da S.S., giornalista televisivo tedesco (cfr. verbale di sommarie informazioni acquisito, su consenso delle parti all’udienze del 7.7.2008).

b. La rotta della nave nel periodo immediatamente antecedente al recupero delle 37 persone extracomunitarie (prima e seconda decade del mese di giugno)

Sulla base del Data Voyage Recording (una sorta di “scatola nera”) nonché del Log Book (ossia il registro di bordo o il giornale nautico) effettuata da G.T., luogotenente della Capitaneria di Porto (Cfr. documentazione acquisita all’udienza del 16 gennaio 2007 e deposizione di G.T. di cui al verbale fono registrato della medesima udienza), è emersa la seguente ricostruzione della rotta della nave.

È opportuno riportare dettagliatamente i movimenti della nave nel periodo antecedente e in quello susseguente al recupero dei 37 extracomunitari in quanto la rotta della Cap Anamur costituisce un aspetto processuale rilevante sotto diversi profili (in particolare, sussistenza o meno del presupposto della scriminante riconosciuta nonché credibilità o meno delle dichiarazioni rese dagli imputati).

Ebbene, è emerso che la nave ormeggiava nel porto della La Valletta (Malta) del 26 maggio al 4 giugno 2004 (cfr. allegato nr. 1 delle mappe nautiche acquisite all’udienza suddetta).

Dal 4 giugno al 10 giugno la nave procedeva in navigazione in un’area sud-ovest dell’isola di Lampedusa (cfr. allegato nr. 2).

In particolare, risulta che dalle ore 12.00 del 6 giugno fino alle ore 09.00 del 7 giugno la nave fermava le macchine rimanendo alla deriva.

Quindi, la Cap Anamur riprendeva la navigazione fino alle ore 21.00 del 7 giugno per poi fermare nuovamente i motori fino alle ore 9.00 del 8 giugno (cfr., in particolare, allegato n. 2.3).

Dalle ore 10.00 fino alle ore 21.00 dell’8 giugno la nave seguiva varie rotte a velocità diverse restando tuttavia in un’area sita a sud-ovest dell’Isola di Lampedusa (cfr. allegato nr. 2).

Indi la nave fermava nuovamente le macchine rimanendo alla deriva fino alle ore 10.00 del giorno 9 giungo (allegato nr. 2.4).

Da tale momento la Cap Anamur riprendeva la navigazione con rotte e velocità diverse – rimanendo pur sempre nella medesima zona – fino alle ore 22.00 dello stesso giorno.

Quindi, dalle ore 22.00 del 9 giugno fino alle ore 06.00 del 10 giugno, fermava di nuovo i motori (allegati nr. 2.4 e 2.5).

Alle ore 7.00 del 10 giugno la nave riprendeva la navigazione in direzione Malta dove arrivava alle ore 18.00 dello stesso giorno e vi rimaneva sino alle ore 11.00 del 19 giugno ossia quasi per dieci giorni.

Alle ore 10.00 del 19 giugno la nave lasciava il porto de La Valletta e riprendeva il mare con rotte sud, sud-ovest, per poi proseguire verso ovest fino ad arrivare in un tratto di mare a sud di Lampedusa.

In definitiva, è emerso che la Cap Anamur, nel periodo 4 giugno – 19 giugno alternava periodi di permanenza nel porto de La Valletta (Malta) a periodi di navigazione nelle acque del Mediterraneo. La fase di navigazione interessava un tratto di mare circoscritto e veniva alternata da lunghi periodi in cui la nave rimaneva sostanzialmente in posizione di stand-by (tecnicamente “alla deriva”).

Va evidenziato sin da ora che le risultanze processuali hanno fornito una ragionevole spiegazione dei suddetti movimenti apparentemente “anomali” in particolare sulla base delle dichiarazioni rese dall’imputato S.H.F.S. da ritenersi credibili in sé nonché in quanto riscontrate da altri elementi probatori.

c. Il salvataggio delle 37 persone di nazionalità extracomunitaria (20 giugno 2004)

In data 20 giugno 2004 la motonave Cap Anamur avvistava un gommone con 37 persone a bordo e procedeva al loro recupero.

L’avvistamento del natante e del successivo trasbordo degli occupanti sulla Cap Anamur avvenivano nella posizione Lat. 33° 46.5 Nord e Long. 012° 15.2 Est ossia in un tratto di mare in acque internazionali sito a 46 miglia dalla coste della Libia, a 90 miglia dall’Isola di Lampedusa e a 160 miglia da Malta.

Tale risultanza è stata riferita con puntualità dal comandante S.H.F.S. nel corso dell’esame ed è riscontrata dall’analisi del Data Voyage Recording e del Log Book (cfr. deposizione del luogotenente G.T. nonché deposizioni di C.E. e di G.R., ufficiali di Capitaneria di Porto Empedocle).

Orbene, non può dubitarsi che la nave Cap Anamur, in persona del suo capitano S.H.F.S., procedeva, nel luogo e nei tempi sopra indicati, al salvataggio di 37 persone (di nazionalità extracomunitaria) che si trovavano in difficoltà a bordo di un gommone nelle acque del Mar Mediterraneo.

Al riguardo, l’imputato S.H.F.S. ha fornito una ricostruzione precisa e dettagliata dell’avvenimento.

Nel corso dell’esame, l’imputato ha descritto l’esatto momento (ore pomeridiane del 20 giugno) in cui un membro dell’equipaggio della Cap Anamur avvistava il natante in difficoltà a 5/6 miglia dalla motonave e, quindi, avvisava il capitano; la fase in cui gli occupanti il gommone, tutte persone di colore, facevano cenni (sia con la mano che sventolando indumenti, in particolare “un maglione rosso”) per attirare l’attenzione della motonave al fine di essere soccorsi nonché il momento in cui, effettuato l’accosto, si procedeva al trasbordo delle 37 persone sulla motonave Cap Anamur (cfr. pagg. 60 e segg. del verbale fon registrato del 17.12.2007).

Va evidenziato che il natante si trovava in una situazione di obiettiva difficoltà e che, pertanto, le persone a bordo correvano un grave ed evidente pericolo.

Invero, come riferito dal comandante S.H.F.S. – e non vi sono elementi contrari in tal senso – il natante era in balia delle onde e imbarcava acqua.

La linea di galleggiamento era molto bassa in quanto il gommone aveva perso aria e continuava a perderla. Veniva notata, altresì, la fuoriuscita di fumo dal motore.

In ragione di tale situazione, il capitano S.H.F.S. riteneva che l’imbarcazione non sarebbe stata in grado di proseguire la navigazione anche a causa delle avverse condizioni meteo (vento) e, pertanto, disponeva il trasbordo delle 37 persone sulla motonave Cap Anamur. A riscontro delle dichiarazioni rese dall’imputato S.H.F.S., circa l’avvenuto salvataggio (circostanza di fatto non negata da alcuna prova a carico e, peraltro, mai messa in dubbio dalla pubblica accusa) si pongono ulteriori esiti dibattimentali.

Il personale di polizia che ispezionava la nave poi giunta in porto accertava la presenza di un gommone sgonfio di mt. 8 di lunghezza, in parte in gomma in parte in legno, e constatava che il natante non era in buone condizioni (cfr. sul punto, la deposizione dei testi F.F. e M.A.S., entrambi in servizio presso il Gabinetto provinciale della polizia scientifica, di cui al verbale fonoregistrato del 28.5.2007).

Va evidenziato, inoltre, che il membro dell’equipaggio dotato di videocamera effettuava il filmato del recupero dei naufraghi la cui registrazione video veniva successivamente immessa in rete al sito www.capanamur.org e, una volta che la vicenda veniva a conoscenza delle autorità marittime italiane, visionata anche dal personale della Capitaneria di Porto di Porto Empedocle (cfr. esame di A.C., udienza del 24.9.2007)

Anche le dichiarazione rese da alcuni migranti alla polizia giudiziaria collimano con quanto riferito dall’imputato S.H.F.S.

I soggetti extracomunitari escussi a sommarie informazioni hanno riferito, invero, che mentre si trovavano a bordo del gommone con cui erano partiti da diversi giorni dalle coste della Libia con l’intento di raggiungere l’isola di Lampedusa (quale prima località europea), si imbattevano nella nave Cap Anamur a cui chiedevano soccorso anche in ragione delle pessime condizioni meteo marine attirando l’attenzione dell’equipaggio della motonave mediante lo sventolio di camice (cfr. verbali di sommarie informazioni rese da A.S., S.S., S.S.W. e R.B. in data 12 e 14 luglio 2004 alla Questura di Agrigento, acquisiti, su consenso delle parti, all’udienza del 21 aprile 2008).

d. Il periodo compreso tra il salvataggio (20 giugno) e il primo contatto intervenuto tra la Cap Anamur e le autorità marittime italiane (30 giugno): la rotta della nave in questo periodo.

Il capitano S.H.F.S., in qualità di ufficiale della nave, appurava che le persone tratte in salvo erano sprovviste di documenti di identità e prendeva atto che quasi la totalità (35 su 37) dichiarava, in risposta ai questionari fatti loro compilare dal comandante stesso, di provenire dal Sudan.

Nel frattempo, le persone recuperate ricevevano assistenza e cure in particolare da parte della R.G.B., infermiera di bordo.

Il capitano S.H.F.S., come da lui riferito, informava immediatamente dell’avvenuto salvataggio il presidente del comitato Cap Anamur, E.F.U.B., ed entrambi dicevano di trasportare i 37 naufraghi/migranti a Lampedusa (Italia), località ritenuta dagli imputati il porto più “sicuro” secondo la normativa internazionale ovvero un luogo in cui fossero garantiti il rispetto dei diritti dell’uomo, l’assistenza medica e le condizioni legali per il trattamento dei migranti (cfr. esame dell’imputato alle pagg. 70 e segg. del verbale fonoregistrato del 17.12.2007).

Seguivano ulteriori contatti tra S.H.F.S. (a bordo della Cap Anamur) e E.F.U.B.(nella sede del comitato a Colonia) relativi all’individuazione del porto (italiano) ove la motonave avrebbe potuto attraccare.

Invero, secondo quanto riferito dagli imputati, la “soluzione Lampedusa” veniva successivamente scartata in quanto il capitano S.H.F.S. – sulla base della letture della carte nautiche e della c.d. Guida dei Porti (“Port Entry”) trasmessagli via e-mail dalla sede del comitato – constava che il porto dell’isola pelagia non era strutturalmente adeguato per l’ormeggio di una nave delle dimensioni della Cap Anamur.

Anche l’ulteriore scalo marittimo individuato dal Comitato di Porto Pozzallo, riguardo cui il comandante S.H.F.S. aveva inizialmente avuto problemi di individuazione sulla mappa per non aver compreso la dizione al momento della comunicazione, veniva scartato per le medesime ragioni, in quanto (ancor più) inadeguato, sul piano logistico a ricevere l’ormeggio della motonave.

Tali contatti, come riferito dall’imputato S.H.F.S., duravano sostanzialmente un paio di giorni.

Le comunicazioni intervenute tra S.H.F.S. e E.F.U.B. in questa fase (primi giorni successivi al salvataggio) avevano ad oggetto, al contempo, il tentativo di risoluzione della situazione dei naufraghi.

Invero, il capitano S.H.F.S., come da lui riferito, era a conoscenza del fatto – notorio – che in Sudan, paese da cui la stragrande maggioranza dei migranti aveva dichiarato di provenire, fosse in corso un genocidio (cfr. verbale fonoregistrato del 14.1.2008).

La circostanza che le persone tratte in salvo dichiarassero al capitano S.H.F.S. di essere sudanesi è da ritenersi un dato processualmente certo.

Invero, oltre ad essere stata riferita dall’imputato S.H.F.S. in modo credibile, la suddetta rilevanza è ricavabile sia dalle dichiarazioni rese da alcuni migranti (cfr. verbali di sommarie informazioni acquisiti all’udienza del 21.4.2008, in particolare verbale di s.i. rese da B.R.) sia dall’elenco dello sbarco redatto dalla Questura di Agrigento da cui risulta che trentacinque degli extracomunitari dichiaravano di essere sudanesi, uno di provenire dalla Sierra Leone e un altro dalla Nigeria (cfr. con elenco acquisito all’udienza del 14.1.2008).

Mentre la nave proseguiva le manovre di verifica delle riparazioni effettuate a Malta al fine di testarne l’efficacia (sostanzialmente temporeggiando), il E.F.U.B. a Colonia si occupava, tramite il Comitato e il contributo richiesto da associazioni non governative, di verificare l’effettiva provenienza dei migranti e di risolvere la connessa questione della loro destinazione (cfr. pagg. 73 e 74 del verbale fono registrato del 17.12.2007 nonché pagg. 4-5 e 8-9 del verbale fono registrato del 14.1.2008).

In data 28 giugno E.F.U.B., unitamente a cinque giornalisti della televisione tedesca, saliva sulla Cap Anamur, raggiunta con un’imbarcazione salpata dalle coste tunisine, e rimaneva a bordo sino al giorno dell’attracco al fine di occuparsi di persona della vicenda (cfr. esame dell’imputato S.H.F.S. alle pagg. 81-83 nonché verbali di interrogatorio reso dall’imputato E.F.U.B.).

Individuato in Porto Empedocle il porto (italiano) più adeguato sotto il profilo logistico per l’approdo, il Comitato si rivolgeva alla società di management (NSB), la quale in data 30 giugno comunicava via e-mail il nome dell’agenzia marittima che avrebbe curato la procedura burocratica per l’attracco della nave nel porto siciliano (cfr. esame dell’imputato, pag. 85 del verbale fono registrato del 17.12.2007, nonché testo della e-mail, già tradotta in lingua italiana, acquisita alla medesima udienza).

A conferma di quanto esposto dal capitano S.H.F.S. si pone la testimonianza di L.T. (cfr. verbale fonoregistrato del 18.2.2008), il quale ha riferito che in data 30 giugno 2004 veniva in contatto, in qualità di raccomandatario marittimo, dalla Commissione Rifugiati della Nazioni Unite di Roma (a sua volta contattato dal comitato Cap Anamur) al fine di prestare la propria opera per l’ormeggio della motonave nel porto di Porto Empedocle.

È opportuno evidenziare il contenuto delle comunicazioni (via e-mail) intervenute tra l’agenzia marittima del L.T. e la motonave Cap Anamurcon le quali venivano richieste e trasmesse le informazioni (tipologia di nave, lista dell’equipaggio, lista dei passeggeri, ragioni della richiesta di sbarco, etc.) ritenute necessarie al rilascio dell’autorizzazione all’attracco (cfr. messaggi via e-mail in lingua inglese con relativa traduzione in italiano acquisiti all’udienza del 17.12.2007 nonché esame dell’imputato S.H.F.S. alle pagg. 88 e segg. del predetto verbale fonoregistrato).

I primi contatti tra l’agenzia marittima e la Cap Anamur avvenivano nelle ore pomeridiane del 30 giugno 2004 e si caratterizzavano, secondo prassi, dalla richiesta inoltrata all’agente marittimo della motonave di fornire le notizie necessarie alla presentazione della domanda di ormeggio (cfr. messaggio del 30 giugno 2004 ore 16.48). Ebbene, vi è da notare che già con il (primo) messaggio inviato dalla Cap Anamurall’agenzia del L.T. in risposta alla prima richiesta (cfr. messaggio del 30 giugno 2004, ore 17.39), il comandante S.H.F.S., pur non fornendo precisi dettagli sui tempi e modalità del salvataggio, comunicava espressamente che il motivo della richiesta era quello di “sbarcare 37 naufraghi salvati alcuni giorni prima” (give ashore 37 shipwracked persons, which we rescued some days ago). Inoltre, con il medesimo messaggio, il capitano S.H.F.S. trasmetteva (in allegato) l’elenco dei naufraghi e quello dell’equipaggio confidando nel fatto che ulteriori notizie inerenti alla motonave Cap Anamur necessarie per lo sbarco fossero già state comunicate all’agenzia marittima dal comitato Cap Anamur (cfr. testo del predetto messaggio in lingua inglese e relativa traduzione in italiano, ai nr. 183 e 184, della documentazione acquisita all’udienza del 17.12.2007).

A questo punto, il L.T. si rivolgeva all’Agenzia marittima “Tricoli e Naura” di Porto Empedocle, quale rappresentanza di zona, incaricandola di presentare la cd. domanda di accosto alla locale Capitaneria di Porto al fine di organizzare l’attracco, in quanto, ad avviso del raccomandatario marittimo, la nave aveva fornito le informazioni necessarie per l’ormeggio (cfr. pag. 175 della deposizione del L.T. nonché verbale di sommarie informazioni rese da A.T. al Commissariato di Porto Empedocle in data 9.8.2004, acquisito all’udienza del 21.4.2008).

Le comunicazioni tra il L.T. e la Cap Anamur proseguivano anche nella giornata successiva (1 luglio 2004).

Invero, il L.T. – dopo essere venuto a conoscenza, sia tramite il sub-agente A.T. sia attraverso le informazioni ricevute direttamente presso la Capitaneria di Porto Empedocle ove egli si recava personalmente, del fatto che le autorità marittime italiane non avrebbero concesso l’autorizzazione all’ormeggio, contattava via telefono il comandante S.H.F.S. e gli chiedeva di trasmettere per iscritto informazioni più dettagliate circa il salvataggio (cfr. pagg. 152, 153 e 170 della deposizione del teste L.T.).

A seguito di tale (ulteriore) richiesta, il Capitano S.H.F.S. inoltrava un altro messaggio via e-mail (messaggio del 1 luglio 2004 ore 12.24) con cui comunicava il giorno (domenica 20 giugno 2004) e la posizione (33 gradi 46.5987 min Nord, 12 gradi 15,4908 min Est) in cui la Cap Anamur aveva recuperato 37 persone da gommone in difficoltà; le condizioni che avevano imposto il salvataggio nonché le ragioni (sbarcare i 37 naufraghi) per le quali si richiedeva l’ormeggio (cfr. testo del messaggio in lingua inglese e relativa traduzione in italiano nr. 176 e 177 della documentazione acquisita del 17.12.2007; il medesimo testo del messaggio è stato acquisito in lingua italiana anche all’udienza del 18.12.2008 di cui alla produzione documentale della difesa).

Va, altresì, sottolineato che con il messaggio suddetto il comandante S.H.F.S. rappresentava espressamente che la motonave aveva messo al corrente del selvaggio il Comitato Cap Anamur e il German Emergency Doctors; che, a loro volta, questi ultimi avevano avvisato i media tedeschi; che la motonave Cap Anamur prima di “procedere” (evidentemente ad inoltrare alla richiesta di ormeggio n.d.r.) aveva temporeggiato nelle acque del Mar Mediterraneo per completare le verifiche ai motori e che, nel frattempo (in data 28 giugno), il E.F.U.B., in qualità di responsabile del Comitato, era a salito a bordo della Cap Anamur unitamente a cinque giornalisti della televisione tedesca.

Nello stesso messaggio, il capitano S.H.F.S. rappresentava, inoltre, che alcuni naufraghi presentavano “gravi problemi psicologici” e comunicava che per tutte le persone a bordo (in totale 56) la nave aveva a disposizione “soltanto 18 tonnellate di acqua potabile” (cfr. testo del suddetto messaggio).

Le risultanze sopra esposte sono state riferite, altresì, in modo conforme anche dall’imputato E.F.U.B. nel corso dell’interrogatorio a cui si è sottoposto (cfr. in particolare verbale di interrogatorio reso in sede di udienza di convalida dell’arresto del 16 luglio 2004 e verbale dell’interrogatorio reso alla questura di Napoli su delega del PM in data 4 ottobre 2005).

Dalla ricostruzione della rotta effettuata dalla nave nel periodo in esame (cfr. deposizione del teste L.T. già citata), si evince che la Cap Anamur – così come aveva fatto nel periodo antecedente al salvataggio – rimaneva procedeva alternando fasi di navigazione a fasi di stand by (e ciò in linea con quanto riferito dall’imputato S.) sino ad arrivare di nuovo nei pressi di Malta (circostanza quest’ultima che il capitano S.H.F.S. ometteva di rappresentare nelle comunicazioni sopra descritte).

In particolare, è emerso che dalle ore 21.00 del 21 giugno fino alle ore 20.00 del 22 giugno la nave seguiva diverse rotte (cfr. mappa 5).

Quindi fermava le macchine e rimaneva alla deriva fino alle ore 08.00 del 23 giugno.

Poi riprendeva la navigazione fino alle ore 08.00 del 24 giugno allorché fermava nuovamente i motori o, comunque, procedeva a lentissimo moto, rimanendo nella medesima zona.

Dal 24 al 26 giugno, la Cap Anamur rimaneva ancora alla deriva (allegato 6).

In data 25 giugno la nave stazionava nei pressi del porto di Marsaxlokk (Malta).

Alle ore 08.00 del 26 giugno la motonave riprendeva la navigazione con rotte diverse fino alle ore 17 del 27 giugno rimanendo alla deriva – o procedendo a lentissimo moto – fino alle ore 17.00 del 28 giugno (allegati 7 e 7.1).

Alle ore 18.00 del 28 giugno la nave riprendeva a navigare verso nord-est fino alle ore 22.00 dello stesso giorno per poi fermare le macchine rimanendo alla deriva fino alle ore 09.00 del 29 giugno (allegato 8).

Alle ore 09.00 del 29 giugno la Cap Anamur procedeva a lento moto verso nord-est aumentando poi la velocità. Alle ore 22.00 circa del 29 giugno fermava le macchine rimanendo alla deriva fino alle ore 08.00 del 30 giugno (allegato nr.8).

Alle ore 9.00 del 30 giugno procedeva con rotta sud-ovest. Alle ore 12.00 invertiva la rotta puntando verso nord-est, passando alle ore 20.00 a circa 16 miglia da Lampedusa e alle ore 23.00 a circa 17 miglia dall’isola di Linosa.

Dalle ore 23.00 circa del 30 giugno fino alle ore 09.00 del 1 luglio procedeva con rotte diverse verso nord, nord-est fino ad arrivare a circa 17 miglia del porto di Porto Empedocle.

In queste ultime fasi, come sopra detto, la Cap Anamur chiedeva, tramite l’Agenzia Marittima, l’autorizzazione ad attraccare a Porto Empedocle.

e.Il primo contatto tra la Cap Anamur e le Autorità marittime italiane (30 giugno): la richiesta di approdo e l’(iniziale) divieto di fare ingresso in acque nazionali

In data 30 giungo 2004 tramite le agenzie marittime della Capitaneria di Porto di Porto Empedocle veniva a conoscenza, per la prima volta, la motonave Cap Anamur, battente bandiera tedesca, chiedeva l’attracco in porto per lo sbarco di 37 naufraghi recuperati da un’imbarcazione in difficoltà.

Ricevuta tale notizia, il personale della locale Capitaneria di Porto avvisava inizialmente le autorità di pubblica sicurezza (Prefettura e Questura) affinché fossero attivati i servizi per ricevere le persone tratte in salvo (naufraghi).

La centrale operativa della Capitaneria di Porto di Porto Empedocle aveva il primo contatto ufficiale con la Cap Anamur nelle ore serali del 30 giugno 2004 a mezzo Radio Palermo.

Tramite gli agenti marittimi L.T. e A.T. nonché attraverso le comunicazioni via radio con la motonave, il personale della Guardia Costiera – Capitaneria di Porto di Porto Empedocle veniva a conoscenza via via (tra il 30 giugno e il 1 luglio) di ogni informazione inerente la Cap Anamur e, quindi, della richiesta della motonave di attraccare per il 1 luglio al fine di sbarcare 37 immigrati di dichiarata nazionalità sudanese soccorsi in mare a circa 100 miglia dalla costa a sud di Lampedusa.

Tanto risulta dalla deposizione testimoniale di A.M., ufficiale di ispezione della Capitaneria di Porto di Porto Empedocle, dal messaggio fax a firma del A.M. (prot. n. 6951 del 1 luglio 2004) e all’annotazione di servizio del 1 luglio 2004 a firma congiunta di A.M. e S.S. (udienza dell’11.12.2006).

Il Comando Generale della Capitanerie di Porto con sede in Roma, avvisato dalla Capitaneria di Porto, di Porto Empedocle dalla richiesta di approdo della Cap Anamur, provvedeva, secondo prassi, ad effettuare la segnalazione al Ministero dell’Interno e al Comando Generale della Marina Militare (cfr. deposizione del teste L.D.P., capitano di fregata in servizio presso la Sala Operativa del Comando Generale della Guardia Costiera, di cui alle pagg. 30 e segg. del verbale fono registrato del 18.6.2007).

In data 1 luglio 2004 il Comando Generale della Guardia Costiera, su disposizione del Ministro dell’Interno, Servizio Immigrazione e Polizia di Frontiera, diramava, tramite la Capitaneria di Porto, l’ordine di fermare la nave prima che entrasse in acque territoriali italiane così sostanzialmente negandole l’accesso in porto.

Tali emergenze risultano dalla deposizione testimoniale dell’ammiraglio F.L., capo del Reparto Piano Operativi del Comando Generale della Guardia Costiera (cfr. verbale fono registrato del 24.9.2007) nonché dalla deposizione testimoniale di G.P., direttore della Direzione Centrale dell’Immigrazione – Servizio Immigrazione e Polizia di Frontiera del Ministero dell’Interno (cfr. verbale fono registrato del 3.11.2008).

È certamente opportuno evidenziare, sotto il profilo storico della vicenda, le ragioni del divieto di fare ingresso in acque nazionali nonché le modalità del divieto stesso veniva comunicato alla motonave Cap Anamur.

Al momento di esaminare la richiesta di approdo le autorità italiane venivano a conoscenza di notizie tali da indurle a dubitare della veridicità di alcune circostanze di fatto comunicate dal capitano S.H.F.S.

In particolare, le autorità italiane erano convinte che il comandante S.H.F.S. avesse comunicato loro che il salvataggio fosse avvenuto in data 30 giugno e ciò in contrasto con la effettiva data del recupero (20 giugno), come peraltro risultante dal filmate del salvataggio immesso in reste sul sito www.capanamur.org e visionato dal personale della Capitaneria di Porto (cfr. pag. 82 della deposizione di C.A., verbale del 24.9.2007).

La suddetta convinzione (che, come si dirà in seguito, è da ritenersi erronea non risultando alcuna comunicazione nei termini ritenuti dalla autorità italiane) induceva queste ultime a sospettare che il capitano S.H.F.S. avesse prospettato un dato non veritiero al fine di ottenere in modo fraudolento l’autorizzazione allo sbarco.

Invero, le autorità italiane ritenevano che il lasso temporale (di ben dieci giorni) intercorso tra la data (20 giugno) del salvataggio (peraltro verificatosi in un punto più vicino alle coste libiche che a quelle italiane) e la data (30 giugno) in cui il capitano S.H.F.S. aveva comunicato la notizia comportasse, quale conseguenza giuridica sul piano del diritto marittimo, la perdita dello status di naufrago in capo ai 37 migranti (cfr. deposizione testimoniale del dottor P.).

Altro presupposto su cui si fondava il divieto di ingresso in acque nazionali era costituito dal fatto che la autorità italiane veniva a conoscenza della rotta tenuta dalla nave.

Invero, tramite MRCC (Maritime Rescue Coordinator Center), elemento di cooperazione marittima internazionale previsto in forza alla Convenzione di Amburgo del 1979, il Comando Generale della Guardia Costiera apprendeva, dall’omologo maltese, che la motonave Cap Anamur era rimasta “in bacino” a Malta dal 9 al 19 giugno 2004 e che, dopo lo scalo predetto, la nave aveva ripreso la navigazione “in attesa di ordini” ossia senza destinazione.

Alle autorità italiane risultava, quindi, che la Cap Anamur (ritenuta esclusivamente un “mercantile” e non anche una nave umanitaria) era rimasta in zona circoscritta di mare in attesa che l’armatore avesse dato disposizioni per il suo impiego di tipo commerciale (cfr. pagg. 6, 7 e ultima parte della deposizione dell’ammiraglio L.).

Le autorità governative nazionali venivano a conoscenza: a) dei movimenti della nave che si presentavano, almeno in apparenza, “anomali”; b) del fatto che la Cap Anamur durante i dieci giorni intercorsi tra la data del salvataggio (20 giugno) e quella di comunicazione dell’evento (30 giugno) aveva fatto scalo (di nuovo) a Malta e c) del fatto che, ciononostante, il comandante S.H.F.S. non aveva comunicato alle autorità maltesi la presenza di 37 naufraghi a bordo.

In proposito, le autorità maltesi rappresentavano alle autorità italiane di non aver mai ricevuto da parte della Cap Anamur alcuna notizia circa la presenza a bordo dei migranti né alcuna richiesta di aiuto (cfr. note di comunicazione intervenute tra Ambasciata italiana e Malta e Ministero degli Affari Esteri di Malta acquisite all’udienza del 3.11.2008 e relativa traduzione in italiano del testo acquisita mediante relazione peritale all’udienza del 16.2.2009).

Il divieto di ingresso nella acque nazionali veniva comunicato alla Cap Anamur inizialmente (1 luglio 2004) per le vie brevi (sia attraverso la Radio Costiera sia a voce mediante l’invio di motovedette sottobordo) senza neppure esplicitare le ragioni del divieto (come riferito dal capitano S., cfr. pag. 104 del verbale fonoregistrato).

Soltanto successivamente (6 luglio) veniva trasmesso alla Cap Anamur un messaggio con cui venivano esplicitati i motivi del diniego di accosta a Porto Empedocle e di ingresso in acque territoriali (cfr. testo del messaggio del Ministero dell’Interno – Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle Frontiere, acquisito all’udienza dell’11.12.2006 e contenuto in produzione documentale della difesa).

Per questi ultimi aspetti si confronti la deposizione del teste A.M., ufficiale di ispezione presso la Capitaneria di Porto di Porto Empedocle (cfr. pagg. 59 e segg. del verbale fonoregistrato dell’11.12.2006); la deposizione del teste A.A., dirigente dell’Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico (UPGSP) – Squadra nautica – della Questura di Agrigento (cfr. pagg. del verbale fonoregistrato del 18.6.2007) e la deposizione del teste R.B., in servizio presso la Questura di Agrigento (cfr. verbale fono registrato del 7.7.2008).

f. Il periodo finale: dal divieto di entrare in acque nazionali fino all’ingresso (autorizzato) nel porto di Porto Empedocle (1 luglio – 12 luglio 2004)

A seguito – e nel rispetto – del divieto di entrare in acque italiane, la motonave Cap Anamur si fermava rimanendo (tecnicamente effettuando la manovra di “up and down”) a circa 17 miglia da Porto Empedocle ossia in acque internazionali in prossimità del limite delle acque territoriali italiane (pari a 12 miglia dalla linea di costa).

In questa fase la Cap Anamur veniva sottoposta a un costante monitoraggio (24 ore su 24) da parte delle motovedette delle varie forze di polizia (Guardia Costiera, Guardia di Finanza, Marina Militare, Polizia di Stato, Carabinieri) che svolgevano operazioni di vigilanza e di ordine pubblico al fine di tenere sotto controllo la motonave e di verificare il rispetto del divieto ad essa impartito.

Va evidenziato che il divieto di fare ingresso in acque italiane non veniva mai trasgredito dalla motonave né risultano tentativi da parte di quest’ultima di forzare il blocco creato dalle motovedette italiane durante le operazioni di polizia (cfr. pag. 36 della deposizione del teste L.T.; esame dell’imputato S.H.F.S. e decreto di archiviazione relativo al reato di resistenza a pubblico ufficiale acquisito all’udienza del 15.1.2007).

Tale periodo si caratterizzava dal tentativo di risoluzione della questione (diplomatica e giuridica), che non accennava a districarsi, circa l’individuazione dello Stato (Germania, Italia o Malta) competente a trattare le (prospettate) richieste di asilo politico dei 37 migranti.

In questa fase si susseguivano, invero, diversi contatti (sia mediante note di comunicazione ufficiali sia mediante comunicati stampa) a livello politico-diplomatico tra le autorità di governo italiane (Ministero dell’Interno) e le omologhe autorità sia tedesche che maltesi aventi ad oggetto la questione relativa all’individuazione dello Stato competente a ricevere le domande di asilo politico dei 37 migranti: l’Italia, quale Stato costiero; la Germania, quale Stato della bandiera della nave in cui si trovavano i richiedenti asilo; Malta, quale Stato in cui la nave aveva fatto scalo con i naufraghi/migranti a bordo.

La situazione entrava in una fase di stallo poiché ciascuna autorità governativa (quella italiana e quella tedesca) era convinta sostenitrice della competenza dell’altra.

Inoltre, nel momento in cui, a livello politico-diplomatico, le autorità di governo italiana e tedesca prospettavano una possibile competenza maltese, le autorità de La Valletta, a loro volta, respingevano tale soluzione negando sostanzialmente la propria competenza.

In merito a tali aspetti, si vedano la deposizione del dottor G.P. (cfr. pagg. 19. 20 e 26 e 52 del verbale fonoregistrato del 3.11.2008), il comunicato stampa del Ministero dell’Interno tedesco e la comunicazione del Ministero Affari Esteri di Malta (acquisiti all’udienza del 3.11.2008 con relative traduzioni in italiano acquisite mediante relazione peritale all’udienza del 16.2.2009).

Nel tentativo di risolvere la questione intervenivano, anche salendo a bordo della nave, diverse persone.

In particolare, C.H. (cfr. pagg. 3 e segg. del verbale fonoregistrato del 16.6.2008), direttore del C.I.R. (Consiglio Italiano per i Rifugiati) – Associazione ONLUS che si occupa di rifugiati richiedenti il diritto di asilo politico in Italia e in Europa, ha riferito di essere stato contattato – sin dal 24 giugno – dall’associazione gemella tedesca la “Pro Asyl” a sua volta evidentemente stimolata in tal senso dal Comitato Cap Anamur (cfr. esame dell’imputato S.H.F.S. alla pag. 112).

Nell’ambito di tale incarico, il C.H. aveva inizialmente (1 luglio) contatti con il dottor P., direttore del Dipartimento Immigrazione del Ministero degli Interni.

In data 7 luglio C.H. saliva a bordo della Cap Anamur con l’avvocato del CIR G.B.., un interprete di lingua sudanese e S.F.D.R.L.R., avvocato internazional-marittimista appositamente contattato dal CIR al fine di fornire un contributo legale per sbrogliare l’empasse.

In data 8 luglio le richieste di asilo politico compilate da ciascuno dei migranti – previamente avvertiti dal comandante dell’obbligo di dire la verità circa le loro generalità – venivano consegnate all’avvocato G.B. al fine di essere trasmesse in Germania presso l’Ufficio Federale per l’Asilo di Norimberga unitamente ad un elenco nominativo e fotografico dei richiedenti asilo (cfr. esame imputato; documentazione acquisita all’udienza del 14 1.2008).

Attraverso il contributo dei soggetti predetti, il Comitato Cap Anamur tentava di verificare l’esistenza dei presupposti del riconoscimento dello status di rifugiato politico in capo ai 37 migranti e, comunque, di risolvere la questione. Veniva, altresì, prospettata da parte di C.H. e S.F.D.R.L.R., quale soluzione, la possibilità che le richieste di asilo venissero esaminate dalle autorità tedesche chiedendo all’Italia (soltanto) una sorta di salvacondotto per consentire il transito degli extracomunitari nel territorio al fine di raggiungere la Germania (cfr. esame di S.F.D.R.L.R. di cui al verbale del 18.2.2008 ed esame di C.H. di cui al verbale del 16.6.2008).

Le autorità governative tedesche rifiutavano di ricevere le richieste di asilo politico in quanto la nave non avrebbe potuto essere considerata luogo di accettazione delle richieste suddette.

Nel frattempo, la motonave Cap Anamur riceveva, altresì, le visite di giornalisti, politici e prelati i quali, su imbarcazioni veloci, la raggiungevano e salivano a bordo rimanendovi per diverso periodo.

Anche il personale di organizzazioni umanitarie (Emergency) raggiungeva in quei giorni la Cap Anamur provvedendo a portare merce (generi alimentari, acqua etc) e ad offrire assistenza medica ritenendo che le numerose persone presenti a bordo potessero andare incontro con il trascorrere dei giorni a problemi di sostentamento o di tipo sanitario.

A bordo della nave erano giù presenti i cinque giornalisti tedeschi saliti sulla Cap Anamur insieme a E.F.U.B. in data 28 giugno.

In particolare, H.M., giornalista della casa di produzione televisiva “Aquino Film” di Colonia, ha riferito di essere venuto a conoscenza della vicenda della Cap Anamur a seguito di un’intervista che E.F.U.B. aveva rilasciato alla radio tedesca relativamente al salvataggio di 37 naufraghi e di aver quindi deciso di recarsi a bordo della motonave per realizzare il filmato (documentario) sulla vita della nave prendendo contatti con il Comitato Cap Anamur di Colonia.

Il H.M. ha riferito che durante la sua permanenza a bordo (dal 28 giugno al 2 luglio) effettuava riprese video a bordo della nave nonché interviste ai naufraghi (cfr. pag. 44 del verbale fonoregistrato del 16.1.2008).

I cinque giornalisti tedeschi (A.G.B., cameraman della televisione tedesca ZDF; M.H. e C.W.F., giornalisti freelance; H.U.W.H. e L.F.L., giornalisti della ZDF) facevano poi ritorno sulla terraferma (porto di Sciacca) in data 2 luglio 2004 (cfr. deposizione del commissario A.V., dirigente del commissario di Sciacca, di cui alle pagg. 11 e segg. del verbale fonoregistrato del 18.6.2007).

Risulta, altresì, che rilasciava spesso interviste riprese dall’operatore munito di videocamera.

Va detto, inoltre, che diversi filmati riproducenti scene di bordo (in particolare, quello relativo al salvataggio) venivano immessi in rete sul silo www.capanamur.oru (cfr. pag. 83 dell’esame C. di cui al verbale del 24.9.2007).

In data 6 luglio salivano a bordo alcuni giornalisti e fotografi italiani tra cui F.V. del quotidiano “La Repubblica”; M.P. del quotidiano “Corriere della Sera” e R.M. del quotidiano “L’Unità” (escussi come testi in dibattimento) nonché alcuni prelati tra cui padre S.C., frate comboniano e missionario in paesi africani.

Risulta, altresì, che a bordo della nave veniva tenuta giornalmente una conferenza stampa a cui partecipavano il capitano S.H.F.S., E.F.U.B., in qualità di consigliere del comitato Cap Anamur e i vari giornalisti avente ad oggetto l’evoluzione della situazione.

La vicenda della Cap Anamur erano ormai divenuta oggetto di un forte interesse mediatico da parte dell’opinione pubblica sia nazionale che internazionale.

Dalle deposizioni testimoniali delle persone salite bordo sono emerse, in perfetta linea con quanto risulta dall’esame dell’imputato S.H.F.S., le seguenti circostanze di fatto.

I giornalisti, gli avvocati e i prelati avevano contatti con i naufraghi, i quali raccontavano la loro storia manifestando naturalmente l’intenzione di sbarcare.

Dai colloqui intrattenuti con i migranti, anche mediante l’intervento degli interpreti, iniziava a sorgere il dubbio in merito alla circostanza che gli extracomunitari fossero effettivamente sudanesi scaturendone persino una diversità di vedute tra coloro (l’interprete di lingua inglese) che ritenevano che i migranti non provenissero effettivamente dal Sudan e coloro (padre S.C.) che, al contrario, non dubitavano di tale provenienza (cfr. deposizione del teste R.M.., che ha riferito tale circostanza de relato, alle pagg. 35– 36 del verbale fonoregistrato del 21.4.2008) .

La situazione a bordo, inizialmente tranquilla, diveniva, con il passare dei giorni, sempre più difficile da gestire.

Invero, i 37 migranti, non vedendo la fine della situazione nonostante il passare dei giorni iniziavano a mostrare atteggiamenti di nervosismo, frustrazione e tensione: alcuni piangevano, altri sbattevano la testa contro le lamiere (cosi il teste F.V. alle pagg. 94-95 del 18.2.2008).

In particolare, uno dei migrami minacciava di gettarsi in mare salendo sulla balaustra; altri manifestavano l’intenzione di compiere lo stesso gesto in modo da raggiungere la costa a nuoto sperando di essere recuperati da altre imbarcazioni (cfr., in particolare, la deposizione del teste F.V., pag. 105; le deposizioni degli altri giornalisti escussi; l’esame dell’imputato S.H.F.S. e il verbale di dichiarazioni rese da C.R. con relative fotografie acquisite all’udienza del 16.2.2009).

La situazione rischiava di divenire ingovernabile; si temevano, in particolare, comportamenti di insubordinazione o, persino, di rivolta anche in considerazione del numero limitato di membri dell’equipaggio rispetto a quello da migranti.

Ciò induceva il comandante S.H.F.S. a disporre una sorta di coprifuoco (limitazione di orario) e un posto di vigilanza.

Il capitano S.H.F.S. comunicava alle autorità italiane la situazione rappresentando l’impossibilità di garantire la sicurezza a bordo e, pertanto, reiterava la richiesta di fare ingresso nelle acque italiane (11 luglio).

A questo punto, le autorità italiane, ritenendo che il capitano S.H.F.S. avesse rappresentato – oltre che una difficoltà di controllo dei naufraghi – un’emergenza sanitaria e una carenza di acqua e viveri, autorizzava la Cap Anamur ad entrare nelle acque territoriali e ad ormeggiare ad un miglio e mezzo dal porto di Porto Empedocle di modo che fossero effettuati i controlli sanitari attraverso ufficiali medici delle forze italiane (cfr. esame del teste C. di cui al verbale del 24.9.2007).

Il personale sanitario salito a bordo della nave non riscontrava alcuna emergenza sanitario in atto.

Invero, il dottor I.P., medico in servizio presso il CPT (Centro di Permanenza Temporanea) di Agrigento non effettuava alcuna visita medica in quanto nessuno dei passeggeri ne richiedeva l’intervento e, escluso un migrante che soffriva di ipotensione, non riscontrava alcuna situazione tale da richiedere un atto medico urgente (cfr. verbale fonoregistrato del 12.11.2007).

Il fatto che a bordo della nave non vi fosse nessuna emergenza sanitaria è emerso in modo induttivo anche dalla testimonianza di G.L.L., medico in servizio presso la Questura di Agrigento.

Questi, invero, recatosi unitamente ad altri medici del 118 sottobordo alla Cap Anamur per offrire assistenza medica, otteneva risposta negativa in quanto le persone a bordo – tra cui i giornalisti italiani che evidentemente avevano contezza di quanto accadeva sulla nave – riferivano che nessuno aveva necessità di cure mediche (cfr. deposizione di G.L.L., alle pagg. 56 del verbale fonoregistrato del 12.11.2007).

Nello stesso senso la deposizione del dottor S.F., medico dell’elisoccorso intervenuto unitamente al dottor G.L.L. (cfr. pagg. 68 e segg. del medesimo verbale fonoregistrato).

Infine, la dottoressa R.V., a seguito di visita medica da lei effettuata al momento dell’approdo della Cap Anamur, accertava che gli extracomunitari erano in discrete condizioni fisiche non rilevando segni o sintomi di malattia contagiosa o infettiva (così la teste R.V., medico in servizio presso il Centro di Permanenza Temporanea di Agrigento, pagg. 48 e segg. del verbale fonoregistrato del 12.11.2007).

La mattina del 12 luglio 2004 la motonave Cap Anamur, dopo aver ricevuto l’autorizzazione dalla Guardia Costiera, attraccava nel porto di Porto Empedocle.

Al momento dell’arrivo in porto, i migranti e gli altri passeggeri indossavano una maglietta con la scritta “Cap Anamur “ e salutavano festanti le persone presenti sulla banchina del molo. Nell’immediatezza dello sbarco le 37 persone extracomunitarie sprovviste di documenti di identità presentavano richieste di asilo politico dichiarando di essere sudanesi.

Dai controlli eseguiti si accertava che dei 37 migranti (tutti di sesso maschile) trentuno provenivano dal Ghana e sei dalla Nigeria.

Le richieste di asilo politico da migranti venivano quindi respinte dalla Commissione per i Rifugiati dandosi poi corso alle procedure di respingimento degli stranieri.

Tanto risulta dalle deposizioni testimoniali di A.C.; G.R.; C.E., già citate; A.D.B.., ispettore capo della Squadra Mobile di Agrigento (pagg. 6 e segg. del verbale fonoregistrato del 28.5.2007); G.P. (pagg. 34 e segg. del verbale del 3.11.2008); dai certificati anagrafici rilasciati dalle rispettive ambasciate del Ghana e della Nigeria (acquisiti all’udienza del 3.11.2008 con relativo testo tradotto in italiano acquisito all’udienza del 16.2.2009) e dai provvedimenti questorili di espulsione (acquisiti all’udienza dell’11.12.2006).

2. LA VALUTAZIONE GIURIDICA DEL FATTO

a. Il riconoscimento della causa di giustificazione dell’adempimento di un dovere imposto da una norma di diritto internazionale

Il fatto commesso dagli imputati S.H.F.S. e E.F.U.B.(attività diretta a procurare l’ingresso in Italia di 37 stranieri non aventi i requisiti per fare legittimo ingresso nel territorio dello Stato in base agli artt. 4 e 10 D.Lvo 286/1998 e rispetto ai quali non sussisteva alcun presupposto ostativo al respingimento secondo gli artt. 10, comma 4, e 19 del medesimo decreto), idoneo ad integrare la fattispecie criminosa contestata in rubrica sotto il profilo dell’elemento oggettivo del reato, trova, tuttavia, giustificazione nella scriminante di cui all’art. 51 c.p. nella specie di adempimento di un dovere imposto da una norma di diritto internazionale.

L’operatività della scriminante muove dal riconoscimento di un (primo) dato oggettivo: il salvataggio di trentasette persone in pericolo di scomparsa in mare.

Invero, alla luce delle risultanze processuali sopra esposte (cfr. paragrafo 1.c), è da ritenersi certo che il capitano S.H.F.S. – mediante il trasbordo degli occupanti il gommone sulla motonave Cap Anamur – effettuasse un’operazione di soccorso in mare con la conseguenza che le trentasette persone tratte in salvo, ancor prima di essere “migranti” o “richiedenti asilo”, sono in primo luogo “naufraghi”.

In proposito, vanno evidenziate ulteriori risultanze e valutazioni probatorie idonee a non far dubitare dell’avvenuto salvataggio.

La verifica della buona riuscita delle riparazioni meccaniche effettuate a Malta imponeva alla motonave Cap Anamur di lasciare il porto de La Valletta e di procedere alternando fasi di navigazione (a velocità diverse) a fasi di stazionamento (“alla deriva”). Tali manovre, infatti, permettevano di testare l’efficienza dei motori sia sotto sforzo che a velocità ridotta e, al contempo, consentivano il necessario raffreddamento delle macchine (cfr. esame dell’imputato S.H.F.S. alle pagg. 74 e 75 del verbale del 17 dicembre 2007).

Non può dubitarsi dunque che la nave avrebbe dovuto effettuare (ed effettuava) in rodaggio in base alle prescrizioni tecniche imposte dal direttore di macchine per in periodo stimato di cinque giorni e che non avrebbe potuto allontanarsi da Malta per timore di sopravvenienza di nuovi guasti meccanici anche in attesa dell’arrivo di pezzi di ricambio (cfr. esame dell’imputato S.H.F.S. di cui al verbale suddetto nonché fatture delle varie riparazioni effettuate in più giorni).

L’imputato S.H.F.S. ha fornito, inoltre, una plausibile spiegazione relativamente al fatto che la Cap Anamur lasciava il porto de La Valletta senza comunicare il successivo porto di approdo (ulteriore “anomalia” riscontrata dalle autorità marittime italiane al termine della verifica della domanda di accosto inoltrata dalla Cap Anamur).

Invero, il capitano S.H.F.S. ha riferito che, al momento della partenza da Malta in data 19 giugno, la Cap Anamur non indicava alle autorità portuali la prevista destinazione (Accaba, Giordania) limitandosi a rilasciare la dichiarazione “destinazione in alto mare in attesa di nuovo ordine” poiché il Comitato – venuto a conoscenza di situazioni (guerriglia) che non avrebbero consentito, una volta effettuato lo sbarco ad Accaba. Un trasporto sicuro della merce via terra verso l’Iraq – attendeva che la motonave proseguisse nel frattempo le prove tecniche nel Mediterraneo prima di decidere se confermare la destinazione della motonave verso il porto di destinazione già previsto (Accaba) o se, invece, disporre di raggiungere direttamente l’Iraq via mare (cfr. pagg. 56– 57 dell’esame imputato S.H.F.S. di cui al verbale predetto).

La ricostruzione giustificativa suddetta appare ragionevole, si presenta perfettamente coerente con le premesse storiche inizialmente esposte (finalità del Comitato “Cap Anamur”, scopo del viaggio e rotta della nave), è corroborata dalla documentazione in atti (fatture di riparazioni; lista “Cheng”) e non è contrastata da alcuna prova a carico. Inoltre, le dichiarazioni rese dall’imputato S.H.F.S. nel corso dell’esame dibattimentale risultano perfettamente coincidenti con quelle rese dall’imputato E.F.U.B. nei verbali d interrogatorio cui si è sottoposto (cfr. verbali acquisiti all’udienza del 16.2.2009).

Le medesime risultanze sono state, altresì, riferite dall’infermiera di bordo B.R.G., teste della difesa (cfr. pag. 135 del verbale fonoregistrato del 3.11.2008). Infine, elementi di conferma, in particolare circa l’esecuzione delle prove meccaniche, ti rinvengono nelle dichiarazioni rese da H.R., motorista della Cap Anamur, e da E.H.B., altro membro dell’equipaggio della nave (cfr. verbali di sommarie informazioni rese alla Questura di Agrigento in data 19 agosto 2004, acquisiti all’udienza del 21 aprile 2008).

È da escludere allora che i movimenti effettuati dalla Cap Anamur nel periodo temporale prossimo al salvataggio siano sintomatici di un’operazione di “pattugliamento” della motonave nelle acque del Mar Mediterraneo (cfr. pag. 25 della deposizione del luogotenente L.T. nonché deposizione di C.E.).

Una siffatta conclusione apparirebbe pura illazione processuale e, peraltro, non escluderebbe, di per sé sola, la sussistenza delle condizioni oggettive (pericolo di affondamento del gommone e grave pericolo di scomparsa in mare degli occupanti) che imponevano il trasbordo sulla Cap Anamur delle 37 persone occupanti il natante.

Orbene, accertato il primo dato di fatto (il salvataggio), va evidenziata la normativa di riferimento che consente di valutare (e scriminare) la condotta posta in essere dagli imputati dal momento della operazione di soccorso alla decisione e conseguente attuazione di trasportare i naufraghi in territorio italiano.

Va premesso che, in base all’art. 10 della Costituzione, l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.

Tra queste rientrano quelle poste dagli accordi internazionali in vigore in Italia, le quali assumono, in base al principio fondamentale pacta sunt servanda, un carattere di sovraordinazione rispetto alla disciplina interna ai sensi dell’art. 117 Cost., secondo cui la potestà legislativa è esercitata nel rispetto, tra l’altro, dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali.

In primo luogo, va fatto riferimento alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare di Montego Bay del 10 dicembre 1982 (c.d. UNCLOS – United Nations Convention of the law of the sea), ratificata e resa esecutiva in Italia con Legge 2 dicembre 1994, n. 689, che costituisce testo normativo fondamentale in materio di diritto della navigazione. L’art. 98 della Convenzione UNCLOS impone al comandante di una nave di prestare assistenza a chiunque si trovi in pericolo in mare nonché di recarsi il più presto possibile in soccorso delle persone in difficoltà qualora venga informato che tali persone abbiano bisogno di assistenza, nei limiti della ragionevolezza dell’intervento.

Il secondo comma del detto articolo prevede che gli Stati costieri creino e curino il funzionamento di un servizio permanente di ricerca e di salvataggio adeguato ed efficace per garantire la sicurezza marittima e, se del caso, collaborino a questo fine con gli Stati vicini nel quadro di accordi regionali.

La predetta disposizione normativa è espressione del principio fondamentale della solidarietà in mare e rientra – in base all’art. 311 della Convenzione medesima – tra le norme che non possono essere oggetto di deroga da parte degli Stati anche mediante accordi con altri Stati.

Vanno evidenziate altre convenzioni internazionali, egualmente vigenti in Italia, che contengono disposizioni di completamento della norma sopra citata.

L’art. 10 della Convenzione sul soccorso in mare (e nelle acque in genere) del 1989 cd. SALVAGE dispone che “ogni comandante è obbligato, nella misura in cui ciò non crei pericolo grave per la sua nave e le persone a bordo, a soccorrere ogni persona che sia in pericolo di scomparsa in mare. Gli Stati adotteranno tutte le misure necessarie per far osservare tale obbligo”.

Anche la Convenzione cd. SOLAS firmata a Londra nel 1974 e resa esecutiva in Italia con Legge 23 maggio 1980, nr. 313 (e successivi emendamenti) impone al comandante della nave di prestare assistenza alle persone che si trovino in pericolo.

Va considerata, infine, la Convenzione SAR (Search and Rescue) – Convenzione sulla ricerca e il soccorso in mare, adottata ad Amburgo il 27 aprile 1979 e resa esecutiva in Italia con Legge 3 aprile 1989, n. 47.

Tale Convenzione, riguardante la ricerca e il salvataggio marittimo, si fonda sul principio della cooperazione internazionale e stabilisce che il riparto delle zone di ricerca e salvataggio avvenga d’intesa con gli altri Stati interessati.

La Convenzione SAR, a contenuto essenzialmente pubblicistico, trova rispondenza negli articoli 69 e 70 del Codice della Navigazione sul “soccorso a navi in pericolo e a naufraghi” secondo cui “l’autorità marittima che abbia notizia di una nave in pericolo ovvero di un naufragio o di altro sinistro deve immediatamente provvedere al soccorso [...]” e, soprattutto, nella specifica normativa interna di implementazione costituita dal D.p.R. 28 settembre 1994, n. 662 che indica, quale autorità responsabile dell’applicazione della Convenzione, il Ministero dei Trasporti il quale opera di fatto attraverso l’organizzazione affidata al Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto e relative strutture periferiche,

Ebbene, va precisato che, in base alla normativa sopra richiamata, i poteri-doveri di intervento e coordinamento da parte degli apparati di un singolo Stato nell’area di competenza non escludono (anzi, in un certo senso impongono in base all’obbligo sopra delineato) che unità navali di diversa bandiera possano iniziare il soccorso allorquando lo richieda l’imminenza del pericolo per le vite umane.

L’obbligo di diritto internazionale incombente sul comandante di una nave di procedere al salvataggio (del natante e, quando ciò non sia possibile, delle persone che vi si trovino a bordo) trova, in particolare nel diritto interno, un rafforzamento di tipo penalistico nell’art. 1158 Codice della Navigazione che sanziona penalmente l’omissione da parte del comandante di nave, nazionale o straniera, di prestare assistenza ovvero di tentare il salvataggio nei casi in cui ne sussiste l’obbligo a norma dell’art. 490 del codice medesimo ossia allorquando la nave in difficoltà sia del tutto incapace di effettuare le manovre.

Alla luce delle norme suddette, non vi può essere dubbio che l’imputato S.H.F.S., in qualità di capitano/primo ufficiale della Cap Anamur, avesse l’obbligo (giuridico) di trarre in salvo le trentasette persone occupanti il natante in pericolo di affondamento.

A questo punto va precisato che la doverosa operazione di salvataggio non poteva considerarsi esaurita con il trasbordo dei naufraghi sulla nave soccorritrice, ma doveva necessariamente caratterizzarsi (anche) dalla conduzione delle persone soccorse in una “località sicura”.

Invero, secondo l’interpretazione delle norme internazionali sopra richiamate sorretta anche da argomentazioni di senso comune, la nave soccorritrice costituisce un luogo puramente provvisorio di salvataggio in quanto le persone tratte in salvo debbono essere condotte in un luogo (sicuro) della terraferma e la nave soccorritrice deve essere, al contempo, sollevata dall’incombenza di tenere a bordo i naufraghi non appena possono essere intraprese soluzioni alternative.

Tale interpretazione ha trovato, peraltro, uno specifico riconoscimento in altri interventi giuridici.

Con l’entrata in vigore (1 luglio 2006) degli emendamenti all’annesso della Convenzione SAR 1970 e alla Convenzione SOLAS 1974 (e successivi protocolli) nonché con le linee guida adottate in sede IMO (International Maritime Organization) è stato definito chiaramente il concetto di place of safety (località di sicurezza).

Si fa riferimento alla risoluzione MSC (Maritime Safety Committee) 155 del 20 maggio 2004, alla risoluzione MSC 153 del 20 maggio 2004 nonché, per quanto riguarda il requisito di place of safety, alla risoluzione MSC 167 adottata sempre in data 20 maggio 2004 (Guidelines on the treatment of persons rescued at sea).

Il concetto di place of safety è definito come “la località in cui le operazioni di soccorso si considerano concluse e dove la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non sia minacciata; dove le necessità umane primarie (cibo, alloggio, servizi medici) possano essere soddisfatte e possa essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale”.

Le linee-guida stabiliscono, inoltre, che “lo Stato responsabile per la regione SAR in cui sono stati recuperati i sopravvissuti deve occuparsi di fornire un luogo sicuro o di assicurare che tale luogo venga fornito”.

In definitiva, le linee guida chiariscono espressamente che la nave soccorritrice costituisce soltanto un luogo di ricevimento dei naufraghi di natura temporanea e che la nave debba essere sollevata dall’incombenza, insistendo in modo particolare sul ruolo attivo che lo Stato costiero deve assumere per liberare la nave soccorritrice dal “peso” di gestire a bordo le persone soccorse, “peso” che, anche in base ad una valutazione di comunissimo senso, non è indifferente in termini di mantenimento, vitto, assistenza medica, etc.

È parimenti evidente che il fondamento della obbligatorietà giuridica della operazione di salvataggio complessivamente intesa riposi non soltanto sulla esigenza di liberare la nave dal “peso” della gestione dei naufraghi, ma, anche e soprattutto, sulla necessità di garantire a questi ultimi il diritto universalmente riconosciuto di essere condotti sulla terraferma.

Anche prima dell’entrata in vigore degli strumenti internazionali sopra richiamati (emendamenti e linee guida approvati il 20 maggio 2004, vigenti dal 1 luglio 2006 e ratificati dall’Italia) poteva pervenirsi alla medesima conclusione attraverso un’interpretazione logico-sistematica della normativa internazionale sopra esplicitata. Tenute presenti le considerazioni suddette, può passarsi alla valutazione della condotta posta in essere dagli imputati S.H.F.S. e E.F.U.B. successivamente al recupero dei naufraghi.

Al riguardo, va osservato che le persone soccorse (“naufraghi” da condurre in uno località sicura) erano, al contempo, migranti.

Invero, come sopra già esposto, le trentasette persone, tutte di colore e sprovviste di documenti, riferivano al comandante S.H.F.S. di essere salpate dalle coste africane (precisamente dalla Libia) per raggiungere l’isola di Lampedusa quale primo paese europeo e dichiaravano, inoltre, di provenire dal Sudan, paese in cui era noto al capitano S.H.F.S. essere in corso un genocidio.

A prescindere dalla veridicità delle dichiarazioni circa l’asserita provenienza dal Sudan (verifica che non avrebbe dovuto spettare al comandante S.H.F.S. o al E.F.U.B. di effettuare), non può dubitarsi che quelle persone, oltre ad essere naufraghi, erano “migranti” provenienti dalle coste africane.

Ebbene, come riferito dagli imputati, il capitano S.H.F.S. unitamente a E.F.U.B. decidevano di non trasportare i naufraghi/migranti in Libia in quanto, pur essendo quest’ultimo il paese costiero più vicino al punto di salvataggio, ritenevano che in quel territorio non fossero garantiti i diritti fondamentali della persona umana e, al contempo, temevano ripercussioni di tipo ablativo sulla nave.

Inoltre, a “giustificazione” del fatto di non aver condotto i naufraghi a Malta e di non aver avvisato le autorità maltesi della presenza a bordo di costoro si pongono le seguenti risultanze.

Anzitutto, va evidenziato che, una volta esclusa In Libia, Malta non costituiva il porto più vicino al luogo del salvataggio essendo tale l’isola di Lampedusa (Italia).

Va detto, inoltre, che, allorquando la Cap Anamur passava di nuovo nei pressi di Malta in data 25 giugno, si fermava nella zona di ancoraggio denominata Hard Bank situata a 16 miglia dal porto de La Valletta e, quindi, non entrava in acque nazionali maltesi (cfr. nota dell’Ambasciata d’Italia a Malta acquisita all’udienza del 3.11.2008) riprendendo poi la navigazione – e quindi non sostando nella zona predetta – alle ore 08.00 del 26 giugno (come risulta dalla ricostruzione della rotta sopra descritta, cfr. in particolare allegato nr. 7 delle mappe nautiche).

A prescindere da tali circostanze, il capitano S.H.F.S. ha riferito di essere a conoscenza dell’esistenza, a quel tempo, di un trattamento non ortodosso riservato ai migranti che giungevano in territorio maltese (“sapevo che i clandestini, non appena sbarcati, venivano immediatamente incarcerati per un lungo periodo senza subire neppure un processo”).

L’imputato S.H.F.S. ha ritento di aver appreso tali notizie sia tramite E.F.U.B., che in qualità di presidente del Comitato aveva contatti con i padri gesuiti maltesi, sia da un membro dell’equipaggio (B.F.) che gli aveva raccontato del trattamento “non regolare” che aveva interessato alcuni profughi etiopi sbarcati a Malta qualche tempo prima (cfr. pagg. 93 e segg. dell’esame dell’imputato S.H.F.S. verbale del 17.12.2007) Ebbene, il riconoscimento dei predetti (ulteriori) elementi necessari all’operatività della causa di giustificazione de qua non si fonda soltanto su un criterio meramente soggettivo riferibile cioè allo stato d’animo dei soggetti agenti (S.H.F.S. e B.), ma è ricavabile (anche) da dati esterni.

In primo luogo, non risulta che la Libia abbia ratificato la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 28 luglio 1951 (ratificata, invece, dall’Italia con legge 722/1954), né che abbia preso parte alle principali Convenzioni internazionali in materia di diritti umani (Patti Internazionali sui diritti civili e politici, Convenzione ONU contro la tortura o altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti).

Era certamente ragionevole allora ritenere che la Libia non fosse considerato dagli imputati un luogo di sicurezza ove sbarcare i naufraghi/migranti peraltro non risultando al capitano S.H.F.S. che le persone soccorse fossero cittadini di quel paese.

In una tale situazione, il criterio della vicinanza dello Stato costiero all’area di salvataggio cede il passo al criterio del “luogo di sicurezza”.

Per quanto riguarda la situazione maltese, vanno evidenziate le risultanze contenute nelle Risoluzione del Parlamento Europeo sulla gestione dei flussi migratori straordinari a Malta adottata in data 6 aprile 2006 (acquisita all’udienza del 22.4.2009 su richiesta della difesa).

Ebbene, sulla base di una visita effettuata a Malta in data 24 marzo 2006 da una delegazione della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni dell’Unione Europea, è emerso che le condizioni di vita dei migranti e dei richiedenti asilo politico nei centri di detenzione amministrativa di Malta – benché paese membro dell’Unione Europea e aderente alle suddette Convenzioni internazionali – erano [OMISSIS].

Va considerato un ulteriore aspetto.

Ai migranti doveva essere, al contempo, garantito il diritto di essere sottoposti alle verifiche amministrative minime necessarie a stabilirne l’identità e la provenienza nonché ad accertare, anche a seguito della (prospettata) presentazione delle domande di asilo politico, la esistenza (eventuale) di presupposti che avrebbero impedito il respingimento e garantito protezione nel rispetto delle norme del diritto internazionale (cfr. art. 33 della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiali del 1951, già citata, che proibisce il respingimento “refoulement”, diretto o indiretto, di richiedenti asilo), del diritto comunitario (cfr. art 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) e del diritto interno (art. 10, comma 3, Cost. e art. 19. comma 1 e 2, Dlvo 286/1998).

Invero, a prescindere da quale fosse nel caso di specie lo Stato competente a ricevere le domande di asilo politico dei migranti in base alle norme del Regolamento di Dublino II (testo normativo che prevede non soltanto il criterio relativo all’ingresso (illegale) in uno Stato membro, ma più criteri e, per di più, non vincolanti), la situazione di fatto imponeva, comunque, di procedere allo sbarco dei naufraghi in una località più vicina e più sicura della terraferma sollevando la nave soccorritrici dall’incombenza.

La questione relativa alla individuazione dello Stato competente ad esaminare le domande di asilo – la cui presentazione, peraltro, è una circostanza meramente eventuale del fatto contestato – opera su un piano nettamente separato rispetto a quello relativo al riconoscimento della esistenza dei presupposti dell’obbligo giuridico di trasportare i naufraghi in una località più vicina e sicura, previa individuazione di essa da parte del comandante della nave

La risoluzione in un senso o in un altro della predetta questione (Germania, Italia o Malta) non può avere alcuna incidenza sulla esistenza e operatività del suddetto obbligo giuridico di carattere internazionale, il quale, essendo espressione delle convenzioni sopra richiamate, costituisce un dato normativo a cui deve conformarsi anche l’interpretazione delle norme comunitarie (cfr. art. 63, comma 1, del Trattato delle Comunità europee secondo cui la legislazione comunitaria adottata dagli Stati membri dell’Unione deve essere applicata in conformità alla Convenzione di Ginevra e ad altri trattati internazionali).

È evidente che la individuazione dello Stato costiero qualificabile come place of safety non passa attraverso i criteri stabiliti dal Regolamento di Dublino II destinati, invece, alla individuazione dello Stato competente a esaminare le richieste di asilo politico.

Ed allora, anche qualora si ritenesse, in applicazione del criterio del varco (illegale) della frontiera dello Stato membro, che lo Stato competente ad esaminare le domande di asilo presentate da persone soccorse in mare sia quello della bandiera della nave soccorritrice (in quanto la nave è da considerare territorio dello Stato di cui batte bandiera), da ciò non potrebbe derivare automaticamente la conclusione che il territorio di quello stesso Stato costituisca, al contempo, il luogo di sicurezza ove sbarcare i naufraghi/migranti.

Una siffatta conclusione, assolutamente da escludere sulla base della normativa internazionale sopra richiamata, potrebbe condurre, per di più, a situazioni di impossibile risoluzione o persino assurde: si pensi ai casi in cui la nave soccorritrice batta bandiera di uno Stato terzo e quindi non aderente al Regolamento di Dublino ovvero si tratti di nave senza bandiera o con bandiera di convenienza o, ancora, i casi in cui la nave batta bandiera di uno Stato il cui territorio si trovi a notevole distanza dal luogo di salvataggio ovvero sia privo di sbocco marino.

Può concludersi che l’operazione di salvataggio, nel complessivo significato sopra descritto (recupero di naufraghi e conseguente decisione e attuazione di trasportare in un porto italiano) effettuata dagli imputati S.H.F.S. e E.F.U.B.si pone in linea con i presupposti di fatto emersi dall’istruttoria e si inserisce nell’ambito della normativa di diritto internazionale sopra richiamata.

Gli imputati, ritenendo che la Libia (e Malta) non costituissero luoghi sicuri ove sbarcare i 37 naufraghi/migranti e decidendo, in ragione della posizione ove avveniva il soccorso, di trasportarli in territorio italiano, hanno agito nella esecuzione di un dovere fondamentale imposto da una norma di diritto internazionale o – quantomeno – nella ragionevole persuasione di trovarsi nelle condizioni di fatto che imponevano l’adempimento del dovere tramite le modalità esecutive poste in essere.

A questo punto, vanno presi in considerazione ulteriori esiti probatori finalizzati ad evidenziare come – nonostante un comportamento non perfettamente regolare – gli imputati non abbiano, nella esecuzione della condotta, travalicato i limiti della scriminante.

Le risultanze istruttorie escludono la sussistenza di tentativi da parte degli imputati di carpire fraudolentemente l’autorizzazione all’ingresso in acque italiane mediante ingiustificati rifiuti di essere sollevati dall’incombenza di tenere a bordo i naufraghi ovvero mediante la comunicazione di notizie false.

In primo luogo, non risulta che il comandante S.H.F.S. avesse intenzionalmente evitato di essere sollevato dall’incombenza di tenere a bordo i naufraghi.

Le emergenze processuali escludono, invero, che il capitano S.H.F.S. avesse rifiutato di effettuare il trasbordo dei naufraghi su motovedette italiane di cui la Capitaneria di Porto di Porto Empedocle, in persona del comandante G.R., aveva (almeno inizialmente) offerto l’invio in prossimità dell’isola di Lampedusa.

Durante il contatto del 30 giugno 2004 (ore 21,00) tra la Capitaneria di Porto e la Cap Anamur – avvenuto non direttamente, ma tramite “Radio Palermo” – il comandante G.R., dopo aver appreso che la motonave non avrebbe potuto attraccare a Lampedusa, inoltrava la comunicazione contenente l’ordine di fermare la nave (che si trovava a circa 4 ore dall’isola pelagia) invitandola ad attendere l’invio delle motovedette italiane per effettuare il trasbordo dei naufraghi (cfr. pag. 104 della deposizione di G.R.., capo del compartimento marittimo di Porto Empedocle).

La predetta comunicazione inoltrata dal comandante R. all’operatore di Radio Palermo non veniva però trasmessa alla motonave Cap Anamur a causa della interruzione delle comunicazioni radio.

Sul punto, le dichiarazioni degli imputati S.H.F.S. (cfr. pagg. 96 e segg. del verbale fonoregistrato del 17.12.2007) e E.F.U.B.(cfr. verbali di interrogatorio) sono comprovate da diversi esiti istruttori.

L’operatore radio P.I. (cfr. pagg. 15 e segg. del verbale fonoregistrato del 19 marzo 2007) ha riferito che, nonostante vari tentativi effettuati su richiesta della Capitaneria di Porto Empedocle per contattare via radio la motonave, non riusciva a instaurare con la Cap Anamur una comunicazione chiara (“mi è sembrato che avesse inteso le mie chiamate e gli ho dato un canale di lavoro, dove purtroppo non ci siamo sentiti e siamo tornati sul canale 16, il canale internazionale” (pag. 17). Il teste P.I. ha dichiarato che il segnale era evanescente (“un po’ si sentiva, molto piano, un po’ spariva, poi c’erano fruscii e altre navi che chiamavano in concomitanza” (pag. 17) e che, nel momento in cui passava sul canale c.d. di lavoro (ossia il 22) la comunicazione spariva completamente (cfr. pagg. 20 e 21).

Anche A.C. (cfr. pagg. 32 e segg, del verbale fonoregistrato del 19 marzo 2007), altro assistente operativo della stazione di Radio Palermo in servizio dalle ore 23.00 del 30 giugno – orario corrispondente a quello UTC (ore 21.00) delle trascrizioni delle comunicazioni – ha riferito che la linea era molto disturbata e che riusciva a contattare la nave ricevendo in risposta soltanto la posizione e l’intento di essa di dirigersi a Porto Empedocle.

Ebbene, dalla deposizione del teste A.C. e dalla lettura delle trascrizioni delle comunicazioni si evince chiaramente che l’operatore radio riusciva a comunicare alla Cap Anamur la disposizione di procedere verso l’isola di Lampedusa per l’attracco, ma non riusciva a comunicarle l’ulteriore disposizione ricevuta dalla Capitaneria di Porto.

Invero, dopo che la motonave Cap Anamur, in risposta all’invito di approdare nel porto di Lampedusa, comunicava l’impossibilità di attraccarvi (evidentemente per i motivi logistici sopra esposti), il contatto radio si interrompeva nel momento in cui l’operatore invitava la motonave a passare sul “canale sedici” (cfr. trascrizioni delle comunicazioni intercorse tra la stazione Radio Costiera di Palermo e la nave Cap Anamurcon annessa traduzione in lingua italiana acquisite all’udienza dell’1.12.2006).

Ad ulteriore conferma della impossibilità di proseguire le comunicazioni si pone anche la deposizione di I.S., altro operatore radio, il quale ha riferito che, nonostante i numerosi tentativi di instaurare il contatto su vari canali e tramite diversi ripetitori, non riusciva a creare un contatto con la Cap Anamur (cfr. pagg. 10 e segg. del verbale fonoregistrato del 9.7.2007).

Alla luce di quanto esposto deve ritenersi che il capitano S.H.F.S. non veniva a conoscenza della disposizione di dirigere la motonave in prossimità di Lampedusa per effettuare, in alto mare, il trasbordo delle persone salvate su motovedette italiane con la conseguenza che va escluso che l’imputato rifiutasse la possibilità di essere sollevato dall’incombenza di tenere a bordo i naufraghi.

È appena il caso di osservare, inoltre, che appare assolutamente superfluo accertare se la nave potesse o meno attraccare nel porto di Lampedusa sotto l’aspetto logistico (questione, peraltro, non dibattuta sul piano processuale) atteso che un ipotetico ingresso della Cap Anamur nel porto lampedusano – territorio italiano alla medesima stregua di Porto Empedocle – non avrebbe certamente mutato i termini della situazione prospettata nel capo d’imputazione.

In secondo luogo, è da escludere che il comandante S.H.F.S. comunicasse alle autorità marittime italiane, quale data dell’avvenuto salvataggio, quella del 30 giugno anziché quella (effettiva) del 20 giugno.

Il personale della Capitaneria di Porto di Porto Empedocle male interpretava il testo del messaggio fax trasmesso dal Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto – Centrale operativa di Roma (datato 1 luglio 2004 ore 00.07) in cui era scritto “si comunica che comando bordo motonave Cap Anamur ha riferito che alle ore 17.45 in posizione […]” (cfr. protocollo nr. 83T/7917/CO di cui all’allegato 4 della produzione documentale della difesa – udienza dell’1.12.2006).

Invero, ritenendo che, in mancanza dell’indicazione del giorno, l’ora indicata nel testo (“17.45”) non avrebbe potuto riferirsi che al giorno precedente a quello (1 luglio) di inoltro del messaggio, il personale della Capitaneria di Porto incorreva nella convinzione (infondata) che la motonave Cap Anamur avesse comunicato che il salvataggio fosse avvenuto in data 30 giugno (cfr., in particolare, pag. 44 della deposizione del luogotenente G.T. nonché deposizione del comandante in seconda A.C.).

Il fatto che gli imputati avessero comunicato alle autorità marittime italiane, quale data del salvataggio, quella del 30 giugno non risulta da alcun elemento istruttorio.

Non vi è traccia in tal senso nelle comunicazioni intervenute tra la motonave Cap Anamur e Radio Palermo (cfr. la trascrizione in lingua italiana delle conversazioni relative alle predette comunicazioni, testo acquisito all’udienza dell’l 1.12.2006).

Non sono state evidenziate le comunicazioni via Inmarsat (eventualmente) intervenute tra la Centrale operativa (MRCC) del Comando Generale della Guardia Costiera di Roma e la Cap Anamur.

Non risulta, come dichiarato dai testi, alcuna comunicazione diretta tra la Cap Anamur, da una parte, e l’ammiraglio L. o il luogotenente G.T., dall’altra (cfr. pag. 19 della deposizione di L. nonché deposizione di G.T.).

Infine, non è emersa la fonte o le modalità con cui il Comando Generale della Capitaneria di Porto avrebbe appreso la notizia che il salvataggio fosse avvenuto il 30 giugno come riportato nel testo del messaggio protocollo n. 83/7941 del 1 luglio 2004 che il Comando Generale della Guardia Costiera indirizzava al Ministero dell’Interno in cui risulta scritto, in relazione alla Cap Anamur, che come noto “[…] ha raccolto alle ore 19.45 di ieri 30 giugno in posizione […]” (cfr. allegato nr. 7 della produzione documentale della difesa – udienza dell’11.12.2006 nonché pagg. 10. 15. 16 e 17 della deposizione dell’ammiraglio L.).

Va detto, peraltro, che la sussistenza di una comunicazione di siffatto tenore da parte della Cap Anamur sarebbe da escludere in quanto logicamente inconciliabile con altri elementi emersi dall’istruttoria.

Invero, non sarebbe sostenibile che gli imputati S.H.F.S. e E.F.U.B. comunicavano, per la prima volta in data 30 giugno, alle autorità marittime italiane di aver recuperato i naufraghi in data 30 giugno allorquando gli imputati stessi avevano già informato del salvataggio i media tedeschi sin da diversi giorni prima e avevano diffuso in internet il filmato del recupero dei naufraghi riportante chiaramente la data del 20 giugno.

La convinzione delle autorità marittime italiane era probabilmente dovuta alla (iniziale) incompletezza e frammentarietà delle prime notizie comunicate a mezzo posta elettronica in data 30 giugno dal capitano S.H.F.S. mediante l’agenzia marittima dell’A.T.

Non risulta, tuttavia, alcun tentativo da parte degli imputati di trarre inganno le autorità marittime italiane mediante la comunicazione di una falsa data del salvataggio.

In terzo luogo, va escluso che il capitano S.H.F.S. comunicasse alle autorità portuali italiane resistenza a bordo di un’emergenza sanitaria, idrica o di carburante.

Invero, con il messaggio spedito via email datato 1 luglio il capitano indicava che qualche naufrago “presentava gravi problemi psicologici” e indicava un certo quantitativo (18 tonnellate) di acqua potabile a bordo, ma non rappresentava la situazione in termini di impellente urgenza (cfr. testo del messaggio acquisito all’udienza del 17.12.2007).

Nel periodo successivo e fino all’11 luglio il comandante S.H.F.S. si limitava a comunicare alle autorità italiane (soltanto) la difficoltà di gestire le trentasette persone a bordo (“situazione non più sottocontrollo”) evidenziando, in particolare, l’esistenza di problemi connessi alla tenuta psicologica dei naufraghi in ragione di una situazione di fatto che non avrebbe potuto evidentemente proseguire ad oltranza (cfr. messaggi inviati via email acquisiti all’udienza del 17.12.2007),

Va osservato che non esistono elementi di prova circa l’invio di messaggi da parte della Cap Anamur aventi ad oggetto l’espressa prospettazione di un’impellente urgenza dovuta a carenza di acqua o di viveri o a rischi sanitari.

Sul punto, invero, non emergono le fonti da cui il personale della Capitaneria di Porto di Porto Empedocle avrebbe appreso la notizia che il comandante della Cap Anamur rappresentava un’emergenza sanitaria o una carenza (assoluta) idrica o di carburante (cfr., in particolare, pagg. 40-51 della deposizione C. e testo del messaggio, non proveniente dalla Cap Anamur, di cui allegato nr. 19 – udienza dell’11.12.2006).

L’erronea convinzione derivava verosimilmente da una situazione comunicativa certamente caotica che conduceva ad una forzatura interpretativa del testo dei messaggi nonché probabilmente da una “fuga” di notizie non causata ne manipolata dagli imputati. Invero, il teste F.V., giornalista del quotidiano “La Repubblica”, ha riferito di essere venuto a conoscenza, mentre era bordo, del fatto che personale dell’organizzazione “Emergency”, dopo aver visitato la nave, diffondeva ai media la notizia di una situazione disperata a bordo per mancanza di acqua e di viveri e che il capitano, a causa di tale falso allarme, mostrava notevole disappunto senza minimamente “cavalcare” tale situazione (cfr. pagg. 88, 104 e 119 della deposizione V.).

Anche il teste M.P., giornalista del quotidiano “Corriere della Sera”, ha escluso che il comandante S.H.F.S. avesse mai rappresentato un’emergenza idrica o sanitaria (pag. 219) e che tali argomenti venissero menzionati in qualche modo dal capitano (cfr. pag 221 del verbale fonoregistrato del 18.2.2008).

Ulteriori esiti istruttori hanno confermato che gli imputati rappresentavano alle autorità italiane una situazione conforme a quella reale anche sotto il profilo sanitario.

Invero, in ragione di una possibile incidenza della situazione sull’equilibrio psichico dei naufraghi, non poteva escludersi l’insorgenza di problemi di natura psicologica nella specie di forme depressive (cfr. deposizione del dottor I.P., medico presso CPT di Agrigento, salito a bordo della nave, di cui al verbale di udienza del 12.11.2007 e relazione medico-sanitaria a sua firma dell’11.6.2004 acquisita all’udienza predetta).

Anche dalla deposizione del teste G.A., ispettore in servizio presso l’ufficio di Prevenzione del Ministero di Sanità che eseguiva un accesso a bordo, nonché dalla Dichiarazione Marittima di Sanità compilata dal capitano S.H.F.S. alla presenza del predetto ispettore e consegnata a quest’ultimo, è emerso che il comandante dichiarava che il quadro sanitario era discreto limitandosi soltanto ad annotare (o far annotare all’ispettore) che i 37 naufraghi avrebbero potuto presentare problemi di natura psicologica ritenendo “anomala la situazione mentale dei trentasette naufraghi” (cfr. deposizione testimoniale dell’ispettore A., alle pagg. 30 e segg. del verbale fonoregistrato del 12.11.2007 nonché Dichiarazione Marittima di Sanità acquisita alla medesima udienza).

In definitiva, non risulta che il comandante S.H.F.S. avesse prospettato un’emergenza sanitaria, o idrica o di carburante con modalità tali da trarre in inganno le autorità italiane sulla effettiva situazione a bordo al fine di indurle al rilascio del l’autorizzazione all’ingresso in porto della motonave.

Appaiono del tutto irrilevanti allora le seguenti circostanze di fatto riscontrate dagli operanti sanitari o di polizia: inesistenza di emergenza sanitaria; assenza di problemi di salute dei migranti che scendevano dalla nave autonomamente e in discrete condizioni fisiche; presenza a bordo di derrate alimentari (cfr., in particolare, deposizioni di C.E. e di A.M.).

Peraltro, non venendo in rilievo elementi attinenti allo stato di necessità, appare superfluo, se non per la finalità sopra esposta, delineare l’effettiva situazione venutasi a creare a bordo della nave atteso che è stato riconosciuto che il dovere giuridico di sbarcare i naufraghi opera a prescindere dalle loro condizioni di salute.

In definitiva, è emerso che la condotta posta in essere dagli imputati S.H.F.S. e E.F.U.B. non ha travalicato i limiti della scriminante. La condotta, invero, si è sempre mantenuta nell’ambito della risoluzione della vicenda, nel rispetto della normativa vigente e si è allineata all’ordine delle autorità marittime italiane di non entrare in acque nazionali non risultando alcuna trasgressione del divieto (iniziale) di attracco.

È opportuno evidenziare che tale ultimo aspetto può essere valutato esclusivamente al fine di escludere il superamento dei limiti della causa di giustificazione non potendo essere oggetto di un giudizio diverso (sindacato di legittimità).

Invero, la valutazione della sussistenza del reato di cui trattasi prescinde dall’esistenza di un provvedimento di diniego di attracco, dalla sua legittimità e dal fatto che i soggetti agenti lo abbiano o meno trasgredito in quanto, è di tutta evidenza, che l’ordine di non entrare in acque nazionali e di non sbarcare in un porto italiano (atto amministrativo emanato a seguito della domanda di accosto) non costituisce un presupposto dell’illecito penale contestato né tanto meno un elemento costitutivo della fattispecie criminosa di cui all’art. 12 DLvo 286/1998.

Si può ben prescindere pertanto dal sindacare la legittimità del divieto di fare ingresso in acque nazionali impartito dalle autorità marittime italiane alla motonave Cap Anamur .

In conclusione, il solo comportamento “anomalo” posto in essere dagli imputati S.H.F.S. e E.F.U.B. è quello di aver ritardato la comunicazione dell’avvenuto salvataggio di dieci giorni e di aver gestito in questo periodo la vicenda da soli verosimilmente al fine di dare lustro al Comitato Cap Anamur nell’ambito della finalità umanitaria che caratterizzava l’organizzazione.

Invero, non può certamente negarsi che, recuperati i naufraghi, il comandante S.H.F.S. avrebbe dovuto immediatamente (e, comunque, certamente non dopo dieci giorni dall’evento) dirigere la motonave verso il porto da lui ritenuto più sicuro o, quantomeno, considerata la necessità di proseguire le prove meccaniche in mare, comunicare la notizia del soccorso alle autorità dello Stato individuato come place of safety.

Tuttavia, tale anomalia non esclude la sussistenza della causa di giustificazione sopra esposta in quanto non è idonea sul piano probatorio a smentirne il presupposto oggettivo (salvataggio di persone a bordo di un gommone in difficoltà) e non comporta alcun superamento dei limiti di essa rimanendo, comunque, ferma la necessità che i naufraghi/migranti venissero trasportati in un luogo sicuro a prescindere dal periodo di tempo trascorso a bordo della nave soccorritrice.

La sussistenza della scriminante, invero, non può essere negata soltanto sulla base del fatto che S.H.F.S. e E.F.U.B. abbiano voluto gestire autonomamente la vicenda omettendo l’immediata comunicazione alle autorità e arrogandosi la competenza – che certamente non spettava loro – di risolvere la situazione sotto ogni profilo.

Va detto, a chiusura, che il dubbio sulla esistenza della scriminante comporterebbe comunque la pronuncia di assoluzione ai sensi dell’art. 530, comma 3, secondo periodo, c.p.p.

b. L’irrilevanza dell’accertamento circa la sussistenza del dolo specifico.

Alla luce di quanto sinora sopra esposto (esclusione dell’antigiuridicità del fatto) si può certamente prescindere, da un punto di vista logico-giuridico, dall’accertamento dell’esistenza del “profitto” quale oggetto del dolo specifico delineato nel capo d’imputazione.

Va detto, comunque, che le risultanze istruttorie hanno escluso la sussistenza di un vantaggio di tipo strettamente patrimoniale in capo agli imputati S.H.F.S. e E.F.U.B.

In primo luogo, si rileva che il contratto di cessione del filmato (documentario sulla vita di bordo della Cap Anamur) avente un importo di euro 3.210 era stato stipulato esclusivamente tra l’Aquino Film, casa di produzione, e la NDR, emittente radiofonico e televisiva tedesca, e prevedeva l’inserimento del filmato all’interno di un rotocalco di approfondimento da mandare in onda sulla predetta emittente. Va notato che, in base al predetto accordo, il Comitato Cap Anamur non aveva alcun potere decisionale sulla cessione del filmato in quanto le bobine rimanevano di esclusiva proprietà della Aquino Film. Inoltre, va evidenziato che alcun rapporto a titolo oneroso era precedentemente intervenuto tra la predetta casa produttrice e il comitato Cap Anamur (cfr. deposizione del giornalista M.H.).

In secondo luogo, è emerso che i giornalisti e i fotografi saliti a bordo della motonave – venuti a conoscenza della vicenda tramite agenzie di stampa, giornali locali o notizie internet – decidevano di interessarsi del caso, “fiutando” la notizia, nell’ambito del legittimo esercizio del diritto di cronaca.

Non risulta che i giornalisti e i fotografi sia italiani che stranieri ricevessero inviti o sollecitazioni per salire sulla Cap Anamur o che costoro erogassero somme di denaro agli imputati per rimanere a bordo o per effettuare servizi e interviste.

Tanto è emerso dalle deposizioni testimoniali di R.M., M.P., F.V., M.H., dal verbale di dichiarazione rese da C.R. nonché dalle dichiarazioni degli imputati.

Ad onor del vero, non può essere ignorato che la “notizia” avesse trovato iniziale diffusione attraverso l’attività stimolatrice del E.F.U.B. o di membri dell’equipaggio (iniziale comunicazione ai media tedeschi del salvataggio, inserimento in rete di dati, foto e filmati relativi alla vicenda: rilascio da parte del E.F.U.B. dell’intervista all’emittente radiofonica tedesca) e non può negarsi che altre situazioni che vedevano protagonisti gli imputati E.F.U.B. e S.H.F.S. (riprese video di scene riguardanti la vita a bordo dei migranti; rilascio di altre interviste; quotidiane conferenze stampa) fossero idonee a consentire di ottenere un risalto mediatico internazionale e un ritorno pubblicitario per il Comitato Cap Anamur.

Ed allora non potrebbe escludersi che tali utilità possano, in linea teorica, integrare il requisito del “profitto” quale finalità ideologicamente raccordata alla condotta criminosa di cui all’art. 12. comma 3. DLvo 286/1998 atteso che, nell’ampia accezione pacificamente riconosciuta nell’interpretazione giurisprudenziale delle norme penalistiche, il profitto non si esaurisce nell’aspetto squisitamente monetario del vantaggio, ma comprende ulteriori tipologie di benefici nell’ambito di un concetto di utilità molto più ampio di quello economico strettamente inteso.

Tuttavia, il compiuto accertamento processuale in tal senso (diretto a verificare se i predetti vantaggi ci siano stati e se siano stati effettivamente voluti dagli imputati o se, invece, fossero originati esclusivamente dal fisiologico interesse giornalistico che una vicenda del tipo di quella oggetto del procedimento aveva di per se) si presenta superfluo.

Invero, appare del tutto evidente che, una volta che la condotta è depurata di antigiuridicità penale, la finalità che – attraverso il compimento di quella condotta – gli imputati abbiano voluto (eventualmente) conseguire è penalmente irrilevante.

c. La posizione dell’imputato V.D.

Dalle risultanze istruttorie non è emerso alcun elemento a carico dell’imputato V.D. tale da comprovare una sua compartecipazione, morale o materiale, alla commissione della condotta.

Il V.D., primo ufficiale della Cap Anamur, era preposto esclusivamente al carico e alla manutenzione della nave e svolgeva una funzione meramente esecutiva degli ordini emanati dal comandante S.H.F.S. senza avere alcun potere decisionale in merito ad aspetti rilevanti (rotta della nave, comunicazioni, etc).

Nel periodo 20 giugno – 12 luglio 2004 tutte le decisioni venivano assunte esclusivamente dal capitano S.H.F.S. e non risulta che il V.D. effettuasse comunicazioni via radio o di altro tipo o assumesse decisioni circa i movimenti della nave.

Gli esiti probatori non evidenziano alcun ruolo del primo ufficiale nei contatti con le autorità italiane, con i migranti o con i giornalisti, tutti rapporti tenuti e gestiti esclusivamente dagli imputali S.H.F.S. e E.F.U.B.

Può concludersi che l’imputato V.D. non forniva alcun apporto, né morale né materiale, alla commissione del fatto.

Tanto risulta dall’esame dibattimentale dell’imputato S., dai verbali di interrogatorio resi dall’imputato V.D. (acquisiti all’udienza del 16.2.2009) e dalle deposizioni testimoniali delle persone che salivano a bordo o che avevano contatti con la motonave Cap Anamur.

Alla luce di tutto quanto esposto, va pronunciata sentenza di assoluzione, per gli imputati S.H.F.S. e E.F.U.B., in ordine al reato loro ascritto in rubrica perché il fatto non costituisce reato ai sensi dell’art. 530, comma 3, c.p.p.

L’imputato V.D. va invece assolto per non aver commesso il fatto ai sensi dell’art. 530 c.p.p.

Alla pronuncia di proscioglimento consegue la restituzione agli aventi diritto delle cose in giudiziale sequestro (sia probatorio che preventivo) di disporsi al momento del passaggio in giudicato della presente sentenza trattandosi (anche) di cose astrattamente sottoponibili a confisca.

P.Q.M.

Visti gli articoli di legge indicati in epigrafe e l’art. 530 c.p.p.

ASSOLVE

S.S.H.F. e E.F.U.B. in ordine al reato loro ascritto in rubrica perché il fatto non costituisce reato;

ASSOLVE

V.D. in ordine al reato a lui ascritto in rubrica per non aver commesso il fatto;

visti gli artt. 262 e 323 c.p.p.,

ORDINA

il dissequestro di quanto in giudiziale sequestro e ne dispone la restituzione agli aventi diritto.

Visto l’art. 544, 3° comma, c.p.p. indica in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione.

Agrigento, 7 ottobre 2009