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Non dichiara indennità di disoccupazione del figlio nel patrocinio a spese dello stato: assolto (Cass. 46398/18)

12 ottobre 2018, Cassazione penale

In caso di falsa dichiarazione sui redditi rilevanti ai fini del patrocinio dello Stato, non rileva l'ignoranza sui presupposti di fatto che integrano la disciplina del patrocinio a spese dello Stato con riferimento ai soggetti e all’oggetto della dichiarazione di scienza da allegare alla richiesta di ammissione: l’errore può invece assumere rilievo allorquando orienti la dichiarazione in una prospettiva di falsa rappresentazione della realtà, soprattutto quando la stessa si fondi su documenti fiscali allo stesso non riferibili (Cud errato, dichiarazioni IRPEF di terzi, attestazioni di CAF).

 

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 12 giugno – 12 ottobre 2018, n. 46398
Presidente Izzo – Relatore Bellini

Ritenuto in fatto

1. M.G. ricorre avverso la sentenza in epigrafe che in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Palmi aveva rideterminato nei suoi confronti la pena in anni uno di reclusione ed Euro 400 di multa, in relazione al reato di cui all’art. 95 Dpr 115/2002 per avere esposto falsi dati reddituali nella istanza per ottenere l’ammissione al gratuito patrocinio depositata in data 15.12.2010 al Tribunale di Palmi, previo assorbimento del reato di tentata truffa.
2. Il ricorrente deduce vizio motivazionale in relazione alla ritenuta ricorrenza dell’elemento soggettivo del reato, evidenziando che lo stesso, in termini di dolo generico deve essere rigorosamente provato, dovendosi escludere che il falso derivi da semplice leggerezza o da una negligenza dell’agente, potendosi concretizzare in un errore sul fatto che concorre a costituire la norma penale.
Assumeva in particolare che il ricorrente si era limitato a riportare nella richiesta per l’ammissione al gratuito patrocinio i redditi percepiti dal figlio come riportati nella dichiarazione ai fini IRPEF che non comprendeva un importo di circa Euro 4625,00 quale indennità di disoccupazione agricola, di cui peraltro il ricorrente non poteva avere contezza, proprio perché voce rispetto alla quale non aveva alcun diretto controllo.
2.1 Con una seconda articolazione si doleva del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e con un terzo motivo deduceva l’intervenuta causa estintiva del compimento del termine prescrizionale.

Considerato in diritto

1. In relazione al primo motivo di ricorso va evidenziato come sia stato pacificamente acquisito dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema il principio secondo il quale integrano il delitto di cui all’art.95 D.P.R. 115/2002 le false indicazioni e le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione e in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio (sez.U, 27.11.2008, Infanti, Rv. 242152; sez. IV, 18.9.2015, Di Rosa, Rv. 264711).
2. E stato altresì affermato che la responsabilità per il reato in esame non deriva dalla riconosciuta e dichiarata consapevolezza delle conseguenze anche penali della falsità eventualmente contenute nella dichiarazione resa ai fini della ammissione al beneficio, bensì dalla violazione dell’art. 95 D.Lgs. 115/2002 che riconduce la sanzione penale alla falsità totale e parziale, nonché alle omissioni della dichiarazione sostitutiva della certificazione, non potendo neppure di regola assumere rilievo la deduzione di una ignoranza incolpevole, ai sensi dell’art. 47 cod.pen., in quanto gli att.76 e 79, che disciplinano la materia dl patrocinio a spese dello stato e che vengono richiamati dall’art.95 stessa legge, non costituiscono norme extra penali, in quanto non possono ritenersi del tutto estranee al settore di appartenenza, o destinate a regolare rapporti avulsi dalla disciplina penalistica, inserendosi al contrario nello stesso contesto normativo ove è collocata la norma incriminatrice e segnando appunto il confine delle condizioni di reddito oltre le quali, la manifestazione del richiedente è suscettibile di sanzione penale (Sez. IV, 12.2.2015 n. 14011, Bucca, 263013; sez. VI, 31.3.2015, Ceppaglia, Rv. 263808).
3. Nondimeno la stessa manifestazione di volontà deve risultare sorretta dal dolo generico rigorosamente provato che esclude la responsabilità per un difetto di controllo da considerarsi condotta colposa (sez. IV, 11.1.2018 Zappia, Rv. 272192; 4.5.2017 Bonofiglio, Rv. 271051; 15.12.2017, Avagliano, Rv. 271949).
Invero se da un lato l’agente non può invocare, per escludere la colpa, la ignoranza sui presupposti di fatto che integrano la disciplina del patrocinio a spese dello Stato con riferimento ai soggetti e all’oggetto della dichiarazione di scienza da allegare alla richiesta di ammissione, dall’altro l’errore può assumere rilievo allorquando orienti la dichiarazione in una prospettiva di falsa rappresentazione della realtà, soprattutto quando la stessa si fondi su documenti fiscali allo stesso non riferibili (Cud errato, dichiarazioni IRPEF di terzi, attestazioni di CAF).
3.1 Di conseguenza se nessun rilievo esimente può avere l’errore sui componenti del nucleo familiare conviventi dei quali riportare le entrate che concorrono a costituire la soglia legale condizione all’ammissione, ovvero sulla natura dei redditi da considerare ai fini del beneficio (si pensi ai redditi non soggetti a imposizione, quelli occasionali, indennitari, risarcitori, assistenziali, addirittura quelli illeciti), dall’altra può assumere rilievo la inesigibilità della condotta alternativa lecita quando il dichiarante sia tratto in inganno da documenti fiscali, predisposti dalla PA o da terzi, i quali siano tali da ingenerare confusione o errore sulla consistenza della entrata patrimoniale, pure da considerare ai fini della ammissione al beneficio, che non riguardi la persona del dichiarante, a meno che non venga acquisita una prova adeguata in ordine alla consapevolezza dell’istante sul punto.
4. Orbene nel caso in esame il ricorso va accolto atteso che il giudice territoriale ha omesso di considerare, sebbene specificamente sollecitato sul punto, come gli emolumenti percepiti dal figlio del dichiarante nell’anno di imposta di riferimento fossero stati da questi indicati ai fini dell’accesso all’ammissione al beneficio e che il reddito non dichiarato, percepito dal congiunto a titolo di indennità di disoccupazione, non era stato inserito in alcuna dichiarazione fiscale, così che una verifica meramente cartolare delle entrate dei congiunti conviventi nel periodo fiscale di riferimento non avrebbe consentito al M. di acquisire contezza e quindi di riportare una tale voce reddituale.
4.1 Ritiene pertanto la Corte che in assenza della prova della consapevolezza da parte del M. delle effettiva acquisizione da parte del congiunto di tale contributo assistenziale, conoscenza che non può ritenersi presunta in ragione del rapporto di convivenza, trattandosi di beneficio una tantum che afferiva alla persona del figlio e che atteneva a periodo temporale antecedente a quello della richiesta, debba essere escluso nella specie l’elemento soggettivo del dolo generico con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata con conseguente proscioglimento del prevenuto perché il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.