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Nomina del difensore e amminsitratore di sostegno (Cass. 3659/18)

25 gennaio 2018, Cassazione penale

 In tema di nomina del difensore fiduciario, ove l'indagato (o l'imputato) sia sottoposto all'istituto dell'amministrazione di sostegno, ove la nomina del difensore di fiducia venga effettuata dall'amministratore dell'imputato espressamente autorizzato in tal senso dal giudice tutelare, non sussiste alcuna violazione del diritto di difesa.

La semplice sottoposizione dell'imputato all'istituto dell'amministrazione di sostegno non determina automaticamente l'incapacità del medesimo a partecipare scientemente al processo ( art. 70 c.p.p. ), atteso che quest'ultima è diversamente disciplinata rispetto alla mancanza di imputabilità ( art. 86 c.p.p. ) costituendo stati soggettivi che, pur accomunati dall'infermità mentale, operano su piani del tutto diversi e autonomi: ne consegue che, solo ove sia stata in concreto accertata l'incapacità dell'imputato-amministrato di partecipare coscientemente al processo, il giudice è tenuto disporre, ai sensi dell'art. 71 c.p.p. , la sospensione del processo

Il mancato esercizio da parte del giudice della facoltà di sostituire il difensore d'ufficio per giustificato motivo, prevista dall'art. 97 c.p.p. , comma 5, non comporta (come desumibile dalla chiara indicazione può essere sostituito) alcuna conseguenza processuale; ne consegue che l'inosservanza della predetta disposizione processuale non dà luogo ad alcuna nullità.

(si veda peraltro la sentenza della Cassazione 41432/16 sulla necessità di una presenza effettiva del difensore).

 SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III PENALE

Sentenza 14 novembre 2017 - 25 gennaio 2018, n. 3659

REPUBBLICA ITALIANA

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSI Elisabetta - Presidente -

Dott. SEMERARO Luca - Consigliere -

Dott. SCARCELLA Alessio - Rel. Consigliere -

Dott. ANDRONIO Alessandro - Consigliere -

Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

P.R., n. (OMISSIS);

avverso la sentenza della Corte d'appello di TRIESTE in data 17/03/2016;

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Scarcella Alessio;

udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa Filippi P., che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;

udite, per le parti civili, le conclusioni del difensore, Avv. A. Verallo in sostituzione dell'Avv. C. Tapparo, che si è richiamato alle conclusioni scritte ed alla nota spese che deposita.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 17.03.2016, depositata in data 1.06.2016, la Corte d'appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza del tribunale di Udine del 21.07.2011, appellata dal P.G. presso la Corte d'appello, dichiarava il P. colpevole dei reati di violenza sessuale continuata ed aggravata ai danni di tre minori, due dei quali non avevano ancora compiuto all'epoca dei fatti gli anni dieci e, il terzo, non ancora quattordicenne, reati commessi secondo le modalità esecutive e spazio - temporali meglio descritte nei capi di imputazione, in relazione a fatti contestati come commessi in epoca antecedente e prossima al (OMISSIS) (capo a) e fino al (OMISSIS) (capo b), condannandolo alla pena di 4 anni di reclusione, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e dell'attenuante del vizio parziale di mente, dichiarate prevalenti sulle contestate aggravanti e ritenuta la continuazione tra gli episodi ascritti, oltre alle pene accessorie di legge ed al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili.

2. Contro la sentenza emessa dalla Corte d'appello di Trieste ha proposto ricorso per cassazione il P., a mezzo del difensore di fiducia iscritto all'albo ex art. 613 c.p.p. , deducendo tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p. , lett. b) e c) per violazione di legge in relazione agli artt. 70 e 96 c.p.p. , nonchè in relazione all'art. 24 Cost. , e CEDU, art. 6.

In sintesi, sostiene la difesa del ricorrente che questi non avrebbe mai potuto nominare il proprio difensore di fiducia, in quanto il processo è iniziato in primo grado con la nomina a difensore dell'avv. F. Vespasiano, con mandato sottoscritto dall'amministratore di sostegno all'epoca nominato nel sig. Ma.Cl.; quest'ultimo era stato nominato in data (OMISSIS) e nel relativo verbale di nomina, si attribuiva all'amministratore di sostegno anche la facoltà di nominare un difensore a beneficio del ricorrente nell'odierno procedimento penale; sostiene la difesa del ricorrente che detto mandato abilitava l'amministratore di sostegno solo a concludere con un legale un contratto di difesa in tale procedimento penale, ma non avrebbe potuto autorizzarlo a sottoscrivere la nomina di un difensore in quel procedimento in luogo dell'amministrato; la nomina del difensore di fiducia, infatti, e la elezione di domicilio, costituiscono atti di natura personalissima dell'imputato, sicchè, ove egli non sia in condizioni di effettuare consapevolmente la scelta, questi non avrebbe nemmeno potuto essere processato, sicchè il processo avrebbe dovuto essere sospeso ex art. 70 c.p.p. ; in definitiva, sostiene la difesa del ricorrente, che ove si fosse accertato che difettavano le condizioni di partecipare scientemente al processo, quest'ultimo avrebbe dovuto essere sospeso, laddove, ove si fosse invece accertato che questi fosse stato capace, allora la nomina del difensore di fiducia avrebbe dovuto essere effettuata unicamente dall'imputato e non dall'amministratore di sostegno; ciò comporta, a giudizio della difesa, la radicale nullità di tutti gli atti processuali posti in essere successivamente alla "nomina", ivi inclusa la sentenza impugnata, violandosi anche la CEDU, art. 6, per essere stato privato della facoltà di scegliersi un proprio difensore di fiducia, atteso che, ove tale diritto fosse stato esercitato personalmente, il processo avrebbe potuto avere altra istruttoria ed altri esiti.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p. , lett. c), per violazione di legge in relazione all'art. 157 c.p.p..

In sintesi, sostiene la difesa del ricorrente che la citazione dell'imputato in grado di appello è stata notificata al domicilio eletto con la nomina a difensore sottoscritta dall'amministratore di sostegno di allora; essendo illegittimo, per le ragioni indicate al primo motivo, il mandato rilasciato all'Avv. Vespasiano, in cui era indicata anche l'elezione di domicilio, quest'ultima non potrebbe avere alcuna efficacia, con conseguente nullità delle notifiche eseguite ai sensi dell'art. 157 c.p.p. , comma 8-bis.

2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p. , lett. b) e c), per violazione di legge in relazione agli artt. 96 e 97 c.p.p. , e art. 24 Cost.

In sintesi, sostiene la difesa del ricorrente che attesa la dichiarazione di rinuncia al mandato dell'Avv. F. Vespasiano, il Presidente della Corte d'appello aveva provveduto a nominare quale nuovo difensore d'ufficio l'Avv. M. Perna, mai presentatosi ad alcuna delle udienze in cui si era celebrato il processo di appello; in tal fase processuale, si era altresì disposta la rinnovazione dell'istruttoria con l'ammissione di una perizia, svolgendosi anche una serie di udienze, a nessuna delle quali ha mai partecipato l'avvocato nominato d'ufficio; si sostiene che la Corte d'appello avrebbe dovuto nominare un difensore d'ufficio "stabile ed efficiente", sostituendo quello nominato e rimasto sempre assente, in quanto il motivo di sostituzione era ampiamente giustificato.

Motivi della decisione

3. Premessa la ritualità dell'avviso dell'odierna udienza al difensore fiduciario, eseguita nei termini, con l'indicazione del r.g. impugnazione davanti a questa Corte nonchè con l'indicazione degli estremi della sentenza impugnata (ciò che rende irrilevante l'indicazione erronea nell'avviso del cognome dell'imputato come Pu. anzichè P.), osserva il Collegio che il ricorso, con cui si svolgono esclusivamente censure afferenti alla violazione della legge processuale, è infondato e dev'essere rigettato.

4. La questione giuridica su cui il Collegio è chiamato a pronunciarsi è se l'imputato, assistito da un amministratore di sostegno, conservi - in presenza di un decreto del giudice tutelare che autorizzi l'amministratore di sostegno a nominare un difensore ad assisterlo in un determinato procedimento penale in cui l'amministrato è sottoposto - il proprio diritto di nomina del difensore di fiducia, ove, a tal uopo, vi abbia provveduto, in forza dell'autorizzazione del giudice, l'amministratore di sostegno; la soluzione di tale questione, ovviamente, riflette le proprie conseguenze anche sulla ritualità della notifica eseguita al domicilio eletto presso il difensore fiduciario nominato dall'amministratore di sostegno.

La questione dev'essere risolta negativamente.

5. Al fine di rendere intelligibile la soluzione cui è pervenuto il Collegio, si osserva. L'amministrazione di sostegno - introdotta nell'ordinamento dalla L. 9 gennaio 2004, n. 6, art. 3 - ha la finalità di offrire a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire, distinguendosi, con tale specifica funzione, dagli altri istituti a tutela degli incapaci, quali l'interdizione e l'inabilitazione, non soppressi, ma solo modificati dalla stessa legge attraverso la novellazione degli artt. 414 e 427 c.c. Rispetto ai predetti istituti, l'ambito di applicazione dell'amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. Appartiene all'apprezzamento del giudice di merito la valutazione della conformità di tale misura alle suindicate esigenze, tenuto conto essenzialmente del tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario e considerate anche la gravità e la durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell'impedimento, nonchè tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie (Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n. 22332 del 26/10/2011, Rv. 619848).

6. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 440/2005, ha avuto, in particolare, modo di chiarire che "la complessiva disciplina inserita dalla L. n. 6 del 2004 sulle preesistenti norme del codice civile affida al giudice il compito di individuare l'istituto che, da un lato, garantisca all'incapace la tutela più adeguata alla fattispecie e, dall'altro, limiti nella minore misura possibile la sua capacità; e consente, ove la scelta cada sull'amministrazione di sostegno, che l'ambito dei poteri dell'amministratore sia puntualmente correlato alle caratteristiche del caso concreto. Solo se non ravvisi interventi di sostegno idonei ad assicurare all'incapace siffatta protezione, il giudice può ricorrere alle ben più invasive misure dell'inabilitazione o dell'interdizione, che attribuiscono uno status di incapacità, estesa per l'inabilitato agli atti di straordinaria amministrazione e per l'interdetto anche a quelli di amministrazione ordinaria".

7. La persona beneficiaria non è, quindi, considerata dal legislatore incapace di intendere e di volere, essendo estranee in linea di principio all'istituto dell'amministrazione di sostegno specifiche situazioni di infermità mentale che rendano la persona totalmente incapace.

L'art. 409 c.c. , ha, infatti, cura di precisare che il beneficiario "conserva" la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno. Questo significa che la capacità di agire residua della persona con disabilità consta di una semplice "limitazione", escludendosi dalla stessa solamente gli atti che, a tenore di decreto, possono essere compiuti unicamente dall'amministratore di sostegno. In ogni caso, la nomina dell'amministratore di sostegno non richiude il beneficiario nello status di amministrato di sostegno.

8. E' opportuno osservare che la valutazione della congruità e conformità del contenuto dell'amministrazione di sostegno alle specifiche esigenze del beneficiario appartiene all'apprezzamento del giudice il quale deve tenere conto essenzialmente del tipo di attività che deve essere compiuta per conto dell'interessato, della gravità e durata della malattia o della situazione di bisogno in cui versa l'interessato, nonchè di tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie (v. Cass. Civ. nn. 13584/2006, 22332/2011); fermo restando che l'ambito dei poteri dell'amministratore deve puntualmente correlarsi alle caratteristiche del caso concreto (v. Corte cost. n. 440/2005 cit.).

Vi è, quindi, un onere di valutare l'eventuale conformità dell'amministrazione di sostegno alle esigenze del destinatario, alla stregua della peculiare flessibilità del nuovo istituto, della maggiore agilità della relativa procedura applicativa, nonchè della complessiva condizione psico-fisica del soggetto e di tutte le circostanze caratterizzanti il caso di specie.

9. Dal momento che l'amministratore di sostegno può essere autorizzato al compimento di atti sia in rappresentanza esclusiva del soggetto sia in sua assistenza, non può, invero, non considerarsi che nella fattispecie in esame, secondo quanto si evince dal verbale di giuramento dell'allora amministratore di sostegno, Ma.Cl., formato in data (OMISSIS), che, a parte alcune attribuzioni che esulano dal procedimento conclusosi con la condanna dell'attuale ricorrente, all'amministratore di sostegno era stata, specificamente, attribuita "la facoltà di conferire mandato a difesa per rappresentanza penale del beneficiario nel procedimento penale n. 2025/08 r.g.n.r. della Procura della Repubblica di Udine e/o nomina di periti per difesa".

Il difensore di fiducia del ricorrente (che anche in questa fase di legittimità è stato nominato dall'amministratore di sostegno, giusta quanto disposto dal giudice tutelare del tribunale di Udienza che, con decreto del 22.07.2016, autorizzava con efficacia immediata l'amministratore di sostegno succeduto, Avv. Me., a nominare all'amministrato un difensore di fiducia per questa fase di legittimità nell'avv. Missera, sottoscrittore del ricorso unitamente all'imputato ed all'amministratore di sostegno, non svolge tuttavia censure avverso il provvedimento con cui il (OMISSIS) all'allora amministratore di sostegno venne conferita la facoltà di nominare un difensore fiduciario all'amministrato (nè documenta eventuali impugnazioni avverso detto decreto di nomina, essendo noto che l'art. 720 bis c.p.c., commi 2 e 3, prevedono, in materia di amministrazione di sostegno, un sistema di impugnazioni articolato su due rimedi: precisamente, il decreto del giudice tutelare è reclamabile davanti alla corte d'appello ai sensi dell'art. 739 c.p.c. ; il decreto con cui la corte d'appello decide sul reclamo è a sua volta ricorribile in cassazione, così come stabilisce lo stesso art. 720 bis c.p.c., u.c.). Nè, del resto, questa Corte, in considerazione del proprio, limitato, ambito cognitivo in questa sede di legittimità, può spingersi sino a sindacare tale provvedimento autorizzativo (come non potrebbe farlo con quello che in data (OMISSIS) ha consentito la nomina fiduciaria al nuovo amministratore di sostegno), trattandosi di valutazione di esclusiva spettanza del giudice tutelare cui, come già detto in precedenza, compete di conformare i poteri dell'amministratore e le limitazioni da imporre alla capacità del beneficiario in funzione delle esigenze di protezione della persona e di gestione dei suoi interessi patrimoniali, ricorrendo eventualmente all'ausilio di esperti e qualificati professionisti del settore (v., in termini: Sez. 1, Sentenza n. 17962 del 11/09/2015, Rv. 637102 - 01).

10. Alla luce di quanto sopra, dunque, essendo stato autorizzato dal giudice tutelare l'amministratore di sostegno dell'epoca alla nomina di un difensore fiduciario per il procedimento penale in questione, del tutto legittima era stata l'investitura quale difensore di fiducia del ricorrente dell'Avv. F. Vespasiano, che ha provveduto ad assisterlo giudizialmente in quel processo. Nessuna violazione del diritto di difesa può dirsi dunque intervenuta, nè tantomeno della norma processuale evocata ( art. 96 c.p.p.). E' ben vero che il diritto di nominare un difensore è strettamente personale e riservato al solo imputato (o indagato), salvo quanto eccezionalmente previsto dall'art. 96 c.p.p. , comma 3, ove si configura un'ipotesi di legittimazione alla designazione fiduciaria in capo a soggetti diversi dal diretto interessato. L'interposizione dei prossimi congiunti nell'atto di nomina del patrocinatore del soggetto arrestato, fermato o in stato di custodia cautelare, risulta contemplata sia al fine di sopperire alle difficoltà pratiche che la persona in vinculis può incontrare nell'individuazione di un legale di fiducia, sia per scongiurare possibili suggerimenti o condizionamenti (Rei. testo def., 175).

La disciplina processuale dettata dall'art. 96 c.p.p. , tuttavia, dev'essere contemperata con la disciplina civilistica dettata in relazione alla particolare figura del soggetto "amministrato" e, in particolare, in ossequio alle disposizioni previste dagli artt. 412 e 413 c.c.. Dette disposizioni, infatti, confermano il regime di protezione dianzi delineato per evitare che il beneficiario danneggi sè stesso con atti che non passino per il filtro dell'amministrazione di sostegno e l'autorizzazione del Giudice tutelare. Nella specie, dunque, il giudizio preventivo svolto dal giudice tutelare, tenuto conto del grado di "capacità" dell'amministrato-imputato, era stato espresso nel senso di conformare i poteri dell'amministratore attribuendogli espressamente la facoltà di nominare un difensore fiduciario all'amministrato nel presente procedimento, in quanto ritenuto necessario in relazione alla capacità del beneficiario in funzione delle esigenze di protezione di quest'ultimo, garantendogli una scelta del professionista maggiormente idoneo a curarne gli interessi nel processo penale, come avvenuto del resto nel corso del giudizio.

Non può quindi ritenersi violato nè l'art. 96 c.p.p. , nè l'art. 24 Cost. , nè la CEDU, art. 6. A tal ultimo proposito, va del resto ricordato che è la stessa Corte Costituzionale ad aver delimitato il diritto all'assistenza di un difensore di propria scelta, riconosciuto dalle disposizioni pattizie (CEDU, art. 6, lett. c), e Patto ONU, art. 14, lett. d), affermando che "nè la legge processuale nè, tantomeno la Costituzione assicurano incondizionatamente all'imputato il diritto ad essere assistito da un determinato difensore: se ciò fosse, non potrebbe mai farsi ricorso...alla sostituzione del difensore non comparso" (Corte Cost., sentenza 31 maggio 1996, n. 175).

11. Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto:

"In tema di nomina del difensore fiduciario, ove l'indagato (o l'imputato) sia sottoposto all'istituto dell'amministrazione di sostegno, ove la nomina del difensore di fiducia venga effettuata dall'amministratore dell'imputato espressamente autorizzato in tal senso dal giudice tutelare, non sussiste alcuna violazione del diritto di difesa; ne consegue che, competendo al giudice tutelare conformare i poteri dell'amministratore, eventualmente attribuendogli espressamente la facoltà di nominare un difensore fiduciario all'amministrato nel processo penale ove ritenuto necessario in relazione alla capacità del beneficiario in funzione delle esigenze di protezione di quest'ultimo, la nomina fiduciaria eseguita dall'amministratore garantisce al beneficiario la scelta del professionista maggiormente idoneo a curarne gli interessi nel processo".

12. Nè, peraltro, può ritenersi che sia stata violata la previsione dell'art. 70 c.p.p.

Ed infatti, si è già chiarito supra che la persona beneficiaria dell'amministrazione di sostegno non è considerata dal legislatore incapace di intendere e di volere, essendo estranee in linea di principio all'istituto dell'amministrazione di sostegno specifiche situazioni di infermità mentale che rendano la persona totalmente incapace. La capacità processuale dell'imputato consiste nella partecipazione cosciente, cioè nella percezione da parte dello stesso del senso degli avvenimenti in corso, del fatto oggetto del processo, e delle conseguenze dell'eventuale assoluzione o condanna.

Si tratta di situazioni (imputabilità ex art. 85 c.p. , capacità/incapacità di partecipare al processo penale ex art. 70 c.p.p. ) del tutto distinte ed autonome l'una dall'altra (si veda, ad Sez. 1, n. 1381 del 06/03/1995 - dep. 17/05/1995, Insana, Rv. 201279; Sez. 3, n. 23215 del 26/03/2003 - dep. 27/05/2003, PM in proc. Cusano, Rv. 225375). Si tratta di stati soggettivi accomunati dall'infermità mentale, ma che operano su piani diversi e con finalità diverse che, per quanto riguarda l'art. 70 c.p.p. , sono la possibilità di autodifesa quale garanzia del giusto processo presidiata dall'art. 24 Cost.. Da qui, dunque, la conseguenza che solo una volta che sia stata accertata l'incapacità dell'imputato di partecipare coscientemente al processo, il giudice deve disporre, ai sensi dell'art. 71 c.p.p. , la sospensione del processo (sempre che l'imputato non debba essere prosciolto o non debba essere pronunziata sentenza di non doversi procedere: v., Sez. 5, n. 47455 del 17/11/2004 - dep. 07/12/2004, P.M. in proc. Velardinelli, Rv. 230418). Ne discende, dunque, l'erroneità del presupposto interpretativo da cui muove la difesa del ricorrente-amministrato nel caso in esame, in quanto la circostanza che la nomina fiduciaria fosse stata eseguita dall'amministratore di sostegno in luogo dell'amministrato-imputato, non determinava automaticamente la incapacità processuale di quest'ultimo, essendo del resto facoltizzato il giudice ("se occorre", recita l'art. 70 c.p.p. , comma 1) a disporre anche di ufficio, perizia solo quando "vi è ragione di ritenere che, per infermità mentale (sopravvenuta al fatto: v. Corte cost., sentenza 7-20 luglio 1992, n. 340, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma, limitatamente alle predette parole), l'imputato non è in grado di partecipare coscientemente al processo". Ciò significa che, non essendo stata tale incapacità processuale evocata nel giudizio di merito - e nessun elemento la difesa del ricorrente documenta a sostegno di tale assunto - la relativa doglianza, in sede di legittimità, oltre che generica, si appalesa infondata in quanto basata su una mera "supposizione", non provata, dell'esistenza di tale stato di incapacità processuale (ciò, del resto, lo si evince anche dal tenore dell'impugnazione, in cui - v. pag. 3 - la difesa del ricorrente afferma "qualora si fosse accertato che mancavano le condizioni di "partecipare scientemente al processo", lo stesso andava sospeso", con ciò esprimendo una mera ipotesi, non supportata dal alcun elemento).

13. Deve, quindi, essere affermato il seguente principio di diritto:

"La semplice sottoposizione dell'imputato all'istituto dell'amministrazione di sostegno non determina automaticamente l'incapacità del medesimo a partecipare scientemente al processo ( art. 70 c.p.p. ), atteso che quest'ultima è diversamente disciplinata rispetto alla mancanza di imputabilità ( art. 86 c.p.p. ) costituendo stati soggettivi che, pur accomunati dall'infermità mentale, operano su piani del tutto diversi e autonomi: ne consegue che, solo ove sia stata in concreto accertata l'incapacità dell'imputato-amministrato di partecipare coscientemente al processo, il giudice è tenuto disporre, ai sensi dell'art. 71 c.p.p. , la sospensione del processo".

14. Non miglior sorte merita il secondo motivo, con cui si deduce la violazione dell'art. 157 c.p.p. , per la notifica della citazione per il giudizio d'appello, domicilio eletto presso il difensore fiduciario nominato dall'amministratore di sostegno dell'epoca.

Accertata la ritualità e la legittimità della nomina fiduciaria per le ragioni esposte in precedenza, perde infatti di spessore argomentativo quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente-amministrato, circa la presunta nullità della notifica.

Deve, peraltro, aggiungersi che la correttezza di tale assunto e confortata anche dalla lettura data ad una questione analoga da parte della Corte costituzionale. Per inquadrare correttamente la vicenda giurisdizionale presupposta occorre infatti richiamare i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza 11 marzo 2009, n. 116, nella quale veniva esaminata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 166 c.p.p., sollevata dal Tribunale di Trieste, con ordinanza emessa il 21/05/2008, in riferimento all'art. 3 Cost. , e art. 111 Cost. , commi 1 e 3, nella parte in cui la norma censurata non prevedeva che le notifiche ai soggetti sottoposti ad amministrazione di sostegno venissero effettuate nei confronti dell'amministratore nominato (cfr. C. cost., n. 116 dell'11/03/2009, in C.E.D. Cass., n. 33351).

Secondo il Tribunale di Trieste, la disciplina dell'amministrazione di sostegno, introdotta dalla L. 9 gennaio 2004, n. 6 , non era qualitativamente diversa dagli strumenti approntati dal codice civile in materia di sostegno a soggetti deboli, quale l'interdizione e l'inabilitazione, in ragione del fatto che la differenza tra tali istituti non si fondava sulla gravità dell'infermità mentale del soggetto assistito. Ne conseguiva che la limitazione operata dall'art. 166 c.p.p. , ai soli casi di interdizione e inabilitazione, con riferimento all'assistenza del soggetto processuale debole nella fase della notificazione, si poneva in contrasto con i principi affermati nell'artt. 3 Cost. , e art. 111 Cost. , commi 1 e 3.

Alla questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Trieste la Corte costituzionale rispondeva negativamente, affermando un principio di carattere generale, applicabile alle ipotesi di notifiche eseguite nei confronti di soggetti processuali deboli, che deve ritenersi estensibile al caso di specie, individuandosi, con la pronunzia richiamata, i parametri in base ai quali devono essere effettuate le notifiche nei confronti degli imputati interdetti o inabilitati. Con la sentenza n. 116 del 2009, la Corte costituzionale, con specifico riferimento alla posizione del soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno, affermava la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 166 c.p.p., censurato in riferimento all'artt. 3 Cost. , e art. 111 Cost. , commi 1 e 3, nella parte in cui non prevedeva che le notifiche ai soggetti sottoposti ad amministrazione di sostegno siano effettuate "all'amministratore nominato, contrariamente a quanto sarebbe previsto per il tutore dell'interdetto e il curatore dell'inabilitato" (cfr. C. cost., n. 116 dell'11/03/2009, cit.).

Nel valutare la doglianza in esame, invero, occorre tenere presente, nel rispetto di quanto affermato dalla Corte costituzionale (cfr. C. cost., n. 116 dell'11/03/2009, cit.), che se è certamente vero che la disposizione dell'art. 166 c.p.p. , prevede, per l'imputato interdetto, la notificazione degli atti processuali nei confronti del suo tutore, tale norma non prende affatto in considerazione l'ipotesi dell'amministrazione di sostegno, in cui versa l'attuale ricorrente, della quale, difatti, la giurisprudenza di questa Corte non si è mai espressamente occupata (si v., da ultimo, con riferimento al soggetto inabilitato: Sez. 1, n. 18141 del 22/03/2017 - dep. 10/04/2017, G, Rv. 269636).

In ipotesi di questo genere, si prevede solamente che, nel caso in cui il processo penale venga sospeso dal giudice perchè lo stato mentale dell'imputato è tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento, ai sensi dell'art. 71 c.p.p. , comma 1, le notificazioni debbano essere effettuate anche al curatore speciale nominato sulla base della stessa disposizione.

Pertanto, per potere effettuare le notifiche integrative previste dall'art. 166 c.p.p. (norma in astratto applicabile al caso di specie), occorre che l'imputato sottoposto ad amministratore di sostegno si trovi nelle condizioni di infermità mentale previste dall'art. 71 c.p.p. , comma 1. In altri termini, il presupposto per l'esecuzione della notificazione integrativa prevista dall'art. 166 c.p.p. , per il curatore speciale dell'imputato sottoposto ad amministrazione di sostegno è costituito dall'esistenza di una condizione patologica tale da compromettere la sua partecipazione cosciente al processo penale che lo riguarda, dovendosi ribadire, in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale, che questa procedura comunicativa rafforzata presuppone in capo agli imputati (sia inabilitati che amministrati) che "il loro stato mentale sia tale da comprometterne effettivamente la loro piena e consapevole partecipazione al processo" (cfr. C. cost., n. 116 dell'11/03/2009, cit.).

Ne discende che, nel caso in esame, tenendo conto di tale principio e della condizione di amministrato del P., rispetto al quale non emergeva una condizione di infermità mentale rilevante ai sensi dell'art. 71 c.p.p. , comma 1, la notifica della citazione per il giudizio di appello al domicilio eletto presso il difensore di fiducia nominatogli dall'amministratore di sostegno era da considerarsi assolutamente rituale.

Questa ragione processuale impone di pervenire ad un giudizio di infondatezza anche per il secondo motivo di ricorso.

15. Deve, infine, esaminarsi l'ultimo motivo di ricorso, con cui si censura la nomina, quale difensore d'ufficio, a seguito della rinuncia al mandato da parte del difensore di fiducia, dell'Avv. M. P. da parte del Presidente della Corte d'appello. Non essendosi mai presentato detto legale nel corso del giudizio di secondo grado, in cui si era svolta anche attività istruttoria ex art. 603 c.p.p. , ne sarebbe derivata una violazione del diritto di difesa, avendo presenziato alle udienze un sostituto volta per volta nominato ex art. 97 c.p.p. , comma 4. La Corte d'appello, in altri termini, avrebbe dovuto nominare un difensore d'ufficio "stabile ed efficiente", sostituendo il legale nominato d'ufficio mai comparso.

Anche tale motivo è privo di pregio.

L'art. 97 c.p.p. , infatti, prevede che "l'imputato che non ha nominato un difensore di fiducia o ne è rimasto privo è assistito da un difensore di ufficio". La legge processuale non attribuisce alcuna facoltà discrezionale al giudice in tale nomina, ma prevede una ben determinata procedura, stabilendo al comma 2 della richiamata disposizione che "Il difensore d'ufficio nominato ai sensi del comma 1 è individuato nell'ambito degli iscritti all'elenco nazionale di cui all'art. 29 disp. att. c.p.p. I Consigli dell'ordine circondariali di ciascun distretto di Corte d'appello predispongono, mediante un apposito ufficio centralizzato, l'elenco dei professionisti iscritti all'albo e facenti parte dell'elenco nazionale ai fini della nomina su richiesta dell'autorità giudiziaria e della polizia giudiziaria. Il Consiglio nazionale forense fissa, con cadenza annuale, i criteri generali per la nomina dei difensori d'ufficio sulla base della prossimità alla sede del procedimento e della reperibilità". L'art. 97 c.p.p.  comma 4, poi, con una disposizione di valenza generale (cioè applicabile tanto al difensore di fiducia che a quello di ufficio nominato a norma dell'art. 97 c.p.p. , commi 2 e 3), stabilisce poi che quando è richiesta la presenza del difensore e questi non è stato reperito, non è comparso o ha abbandonato la difesa, il giudice designa come sostituto un altro difensore immediatamente reperibile per il quale si applicano le disposizioni di cui all'art. 102 c.p.p.. Non va infine, trascurato che (art. 97 c.p.p., comma 5) il difensore di ufficio ha l'obbligo di prestare il patrocinio e può essere sostituito solo per giustificato motivo, cessando dalle sue funzioni (art. 97 c.p.p. , comma 6) se viene nominato un difensore di fiducia.

16. Così richiamata la disciplina processuale vigente, deve rilevarsi l'assoluta ritualità della procedura seguita dalla Corte d'appello. Il Presidente della Corte, come riconosciuto dallo stesso difensore del ricorrente nell'atto di impugnazione, a seguito della rinuncia al mandato del difensore fiduciario, ha provveduto alla designazione di un nuovo difensore di ufficio nella persona dell'Avv. M. Perna; quest'ultimo, per quanto dedotto in ricorso, non si sarebbe mai presentato nel corso delle udienze tenutesi del giudizio di appello, così determinando la Corte territoriale alla nomina del "sostituto" ai sensi del richiamato art. 97 c.p.p. , comma 4.

La difesa del ricorrente si duole per non aver provveduto il giudice di merito alla nomina di un nuovo difensore d'ufficio che garantisse "stabilità ed efficienza", ricorrendo le condizioni per la sua sostituzione. E' ben vero, come anticipato, che l'art. 97 c.p.p. , comma 5, dopo aver stabilito il principio che il difensore di ufficio ha l'obbligo di prestare il patrocinio, prevede anche la "possibilità" della sua sostituzione, condizionandola però all'esistenza di un "giustificato motivo".

Alla locuzione "giustificato motivo" può, è vero, ricondursi il prolungato e persistente inadempimento ai doveri dell'ufficio, configurabile nella concreta mancata attivazione di alcuna incombenza difensiva (Sez. 1, n. 24582 del 28/05/2009 - dep. 15/06/2009, Adil e altro, Rv. 243820; Sez. 3, n. 25812 del 07/06/2005 - dep. 14/07/2005, Vitale, Rv. 231816; Sez. 1, n. 1616 del 02/12/2004 - dep. 20/01/2005, P.M. in proc. Abdellah, Rv. 230651; Sez. 3, n. 24334 del 11/05/2004 - dep. 28/05/2004, Fiderio, Rv. 228974; Sez. 2, n. 48238 del 20/11/2003 - dep. 17/12/2003, Palmieri, Rv. 227083; Sez. 2, n. 9815 del 05/12/2001 - dep. 11/03/2002, Lu Zhong Q, Rv. 221520; Sez. 5, n. 8002 del 19/05/1998 - dep. 07/07/1998, Bortolan A, Rv. 211483; Sez. 1, n. 6493 del 10/02/1998 - dep. 03/06/1998, Esposito G. e altri, Rv. 210759, ove si è precisato che in tali casi la sostituzione può avvenire anche attraverso un provvedimento implicito di dispensa dall'incarico, quale la nomina di un diverso difensore d'ufficio nel decreto di irreperibilità), spettando comunque al difensore, ricevuta la comunicazione relativa l'attribuzione dell'incarico, avvertire l'Autorità giudiziaria dell'impossibilità di adempiere all'incarico affinchè la stessa provveda alla sostituzione (art. 30 disp. att. c.p.p. ) nel rispetto dei turni di reperibilità predisposti.

Tuttavia, e ciò assume valenza dirimente nel caso in esame, il mancato esercizio della "facoltà" prevista dall'art. 97 c.p.p. , comma 5 (come desumibile dalla chiara indicazione "può essere sostituito") non comporta alcuna conseguenza processuale, tant'è che la stessa giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che l'inosservanza dell'art. 97 c.p.p. , comma 5 non dà luogo ad alcuna nullità (Sez. 6, n. 17554 del 26/04/2006 - dep. 22/05/2006, Di Carlo, Rv. 234507; Sez. 1, n. 4347 del 06/10/1994 - dep. 23/11/1994, Motisi, Rv. 199484), così come non si configura alcuna nullità nel caso di omessa indicazione, da parte del giudice, delle ragioni che hanno determinato la sostituzione, non prescrivendo la legge tale indicazione (Sez. 6, n. 4321 del 08/11/1994 - dep. 13/12/1994, Patanè, Rv. 199882).

17. Deve, quindi, essere ribadito il seguente principio di diritto:

"Il mancato esercizio da parte del giudice della facoltà di sostituire il difensore d'ufficio per giustificato motivo, prevista dall'art. 97 c.p.p. , comma 5, non comporta (come desumibile dalla chiara indicazione può essere sostituito) alcuna conseguenza processuale; ne consegue che l'inosservanza della predetta disposizione processuale non dà luogo ad alcuna nullità".

18. Alla stregua di quanto sopra il ricorso deve essere, conclusivamente, rigettato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al pagamento delle spese relative all'azione civile, liquidate in misura media in base ai criteri di cui al D.M. n. 55 del 2014 per l'ammontare in dispositivo indicato.

19. Deve, infine, rilevarsi che, in caso di diffusione del presente provvedimento, devono essere omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, in quanto imposto dalla legge, trattandosi di violenza sessuale, peraltro a danno di minori.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili D.S.T. e S.P., nella qualità di esercenti la potestà genitoriale nei confronti dei figli minori S.G., S.C. e S.E., che liquida in Euro 4.500,00, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria, il 25 gennaio 2018.