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Misure non detentive nell'UE: potere discrezionale del PM? (Cass. 26526/17)

26 maggio 2017

L'attivazione della procedura per l'esecuzione in altro Stato dell'Unione delle misure cautelari non detentive disposte in Italia ai sensi del D.Lgs. n. 36 del 2016 è un provvedimento che attiene alla fase "esecutiva" del procedimento di applicazione delle misure cautelari e spetta solo al PM.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

(ud. 09/03/2017) 26-05-2017, n. 26526

Composta dagli Il1.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUMU Giacomo - Presidente -

Dott. DE SANTIS Anna M. - Consigliere -

Dott. DI PISA Fabio - Consigliere -

Dott. ARIOLLI Giovanni - Consigliere -

Dott. RECCHIONE Sandra - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

D.V., N. IL (OMISSIS);

avverso l'ordinanza n. 2451/2016 TRIB. LIBERTA' di ROMA, del 28/11/2016;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott.ssa Recchione Sandra;

sentite le conclusioni del PG Dott. Gaeta Pietro che conclude per la inammissibilità del ricorso;

uditi il difensore Avv. AI che chiede l'annullamento con rinvio dell'ordinanza o la proposizione di una questione di interpretazione pregiudiziale alla C.G.U.E..

Svolgimento del processo

Il Procuratore di Roma, con provvedimento dell'11 maggio 2016, dichiarava il "non luogo a provvedere" in relazione alla richiesta di trasmissione in (OMISSIS), del provvedimento che aveva applicato al D. le misure cautelari dell'obbligo di dimora e del divieto di espatrio; la richiesta era finalizzata al ottenere l'esecuzione delle misure cautelari presso lo Stato di residenza dell'imputato. Nel provvedimento di reiezione il Procuratore evidenziava che il divieto di espatrio non era incluso nell'elenco previsto dal del D.Lgs. n. 36 del 2016, art. 4, che regolava gli oneri di trasmissione, dato che non si poteva ravvisare alcuna corrispondenza tra tale misura e quella indicata al punto d) di tale articolo che faceva riferimento alle "restrizioni nel lasciare il territorio dello Stato".

A fronte della reiezione la difesa dell'imputato chiedeva alla sezione 9 del Tribunale di Roma, innanzi alla quale pendeva il processo a carico del D., di "dare corso ai sensi del D.Lgs. n. 36 del 2016, alla procedura per l'esecuzione delle misure cautelari dell'obbligo di dimora e del divieto di espatrio" presso lo Stato di residenza dell'imputato.

Con provvedimento del 9 maggio 2016, il Tribunale dichiarava "non luogo a provvedere" evidenziando che il pubblico ministero, autorità competente, si era già pronunciato e che la trasmissione all'estero del provvedimento applicativo non poteva prescindere dalla valutazione dell' incidenza dello stesso sul contrasto alle esigenze cautelari rilevate.

Avverso tale provvedimento veniva proposto ricorso per cassazione: la Corte, con provvedimento del 14 luglio 2016, qualificava il ricorso come appello e lo trasmetteva al Tribunale per il riesame delle misure coercitive competente per territorio.

Il Tribunale rigettava l'impugnazione ritenendo che la trasmissione dell'ordinanza cautelare ai sensi del D.Lgs. n. 36 del 2016, art. 5, fosse di esclusiva competenza del pubblico ministero, sicchè il giudice procedente aveva legittimamente dichiarato il "non luogo a provvedere"; precisava, inoltre, che non esisteva alcun automatismo che imponesse al pubblico ministero di trasmettere la richiesta di esecuzione della misura non coercitiva nello Stato di residenza dell'indagato sulla base della semplice richiesta di quest'ultimo.

2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell'indagato che deduceva:

2.1. vizio di legge e di motivazione: il Tribunale avrebbe riconosciuto in capo al pubblico ministero un inesistente potere discrezionale che inciderebbe in modo illegittimo sulla operatività del D.Lgs. n. 36 del 2016; si rimarcava che in materia di cautele personali esiste una riserva di giurisdizione che impone il controllo del giudice, con conseguente illegittimità della pronuncia di non luogo a provvedere;

2.2. vizio di legge: il pubblico ministero nel caso previsto dal D.Lgs. n. 36 del 2016, art. 5, ha una funzione esecutiva che non prevede l'esercizio di alcuna discrezionalità in ordine alla valutazione della adeguatezza della misura cautelare eseguita all'estero; conseguentemente tale inesistente potere discrezionale non potrebbe essere esercitato neanche dal Tribunale che si sarebbe illegittimamente espresso sul tema della adeguatezza della misura eseguita all'estero;

2.3. vizio di legge: sarebbe stata violato non solo il D.Lgs. n. 36 del 2016, ma anche la Decisione quadro 2009/829/Gai di rango superiore a quella della legge ordinaria che, nella prospettiva del ricorrente, non prevedeva l'esercizio di alcun potere discrezionale nella attuazione dell'obbligo di trasmissione,

2.4. vizio di legge: sarebbe stato violato il D.Lgs n. 36 del 2016, art. 5, che non prevede alcun potere discrezionale in capo al pubblico ministero, che avrebbe poteri esecutivi, ma non valutativi.

2.5. vizio di legge: l'interpretazione proposta dal Tribunale concretizzerebbe una disparità di trattamento in quanto l'afflittività della misura dell'obbligo di dimora sarebbe differente per i cittadini italiani rispetto a quelli che hanno la residenza in altri stati europei.

3. Con motivi aggiunti si ribadivano le ragioni del ricorso e si instava per la presentazione di una questione pregiudiziale alla CGUE rivolta a chiarire l'interpretazione della Decisione quadro 2009/829/GAI.

Motivi della decisione

1. La Procura di Roma aveva rigettato l'istanza del D. di eseguire in (OMISSIS) le misure dell'obbligo di dimora e del divieto di espatrio impostegli in Italia nell'ambito di un procedimento per riciclaggio.

I primi quattro motivi di ricorso si risolvono nella denuncia dell'illegittimità del riconoscimento del potere del pubblico ministero di rigettare l'istanza della persona sottoposta a misure cautelari non detentive di essere trasferita in uno Stato dell'Unione dalla stessa indicato per ivi essere sottoposta ai controlli cautelari. Il ricorrente contestava inoltre: a) l'illegittimità dell'asserita assenza di un controllo del giudice su un provvedimento che incide su una materia, quella delle misure cautelari personali, sottoposta alla riserva di legge e di giurisdizione; b) la contrarietà del provvedimento reiettivo alla normativa sovranazionale e, segnatamente, alla decisione quadro 2009/829/GAI. Si tratta di doglianze infondate.

1.1. Il collegio ritiene che l'attivazione della procedura per l'esecuzione in altro Stato dell'Unione delle misure cautelari non detentive disposte in Italia ai sensi del D.Lgs. n. 36 del 2016, sia un provvedimento che attiene alla fase "esecutiva" del procedimento di applicazione delle misure cautelari.

La natura "esecutiva" del provvedimento giustifica la scelta di affidare la relativa competenza al pubblico ministero, ovvero all'organo cui sono assegnati, ove non diversamente disposto, gli oneri esecutivi dei provvedimenti giurisdizionali, secondo quanto previsto dall'art. 655 c.p.p..

Tale inquadramento esclude ogni automatismo tra richiesta di esecuzione della misura all'estero ed attivazione della relativa procedura: la natura esecutiva del provvedimento del pubblico ministero prevede infatti l'ordinario esercizio di un potere discrezionale, che deve essere esercitato attraverso provvedimenti motivati, sottoposti al possibile controllo sia del giudice dell'esecuzione attivabile attraverso la proposizione del relativo incidente come in tutti i casi in cui al pubblico ministero sono affidate competenze in materia di esecuzione delle misure cautelari (v. Cass. sez. 2 n. 44504 del 3/7/2015, Rv 265103; Cass. sez. 3 n. 26729 del 23/03/2011 Rv 250637).

1.2. La natura discrezionale del provvedimento di esecuzione è stata, originariamente, riconosciuta anche dal legislatore europeo che ha previsto l'esecuzione all'estero come un esito "eventuale", ma non obbligatorio: la decisione quadro stabilisce infatti che la procedura è ad attivazione facoltativa, stabilendo che la decisione sulle misure cautelari "può", e non "deve" essere trasmessa all'autorità competente (in tal senso l'art. 9, p.p. 1 e 3 della Decisione quadro 2009/829/GAI).

Malgrado la chiara indicazione della Decisione quadro in merito alla facoltatività della esecuzione all'estero della misura cautelare non detentiva, il D.Lgs. n. 36 del 2016, non ha indicato i parametri cui deve fare riferimento il pubblico ministero nell'esercizio di tale potere.

Tale difetto di trasposizione impone la individuazione dei parametri che devono guidare i pubblico ministero nell'esercizio del potere affidatogli valorizzando sia la materia su cui incide il provvedimento esecutivo, ovvero quella delle misure cautelari personali, sia le indicazioni della "normativa-madre", ovvero Decisione quadro 2009/829/GAI, che all'art. 5 indica la necessità che la normativa di attuazione non pregiudichi il rispetto dei diritti fondamentali ed i principi giuridici sanciti dall'art. 6 del Trattato sull'Unione europea (che richiama ed assorbe sia i diritti tutelati dalla Convenzione Edu, che quelli garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea), mentre all'art. 3, precisa che l'attuazione della Decisione non deve pregiudicare la tutela della sicurezza pubblica.

Tali indicazioni, contenute nella "matrice" sovranazionale del D.Lgs. n. 36 del 2016, forniscono chiare indicazioni per delimitare l'area entro la quale deve essere esercitato il potere decisionale del pubblico ministero, onerando l'autorità giudiziaria nazionale ad interpretare il diritto interno in modo coerente con tali direttive.

Le Decisioni quadro, sono infatti atti atipici di indirizzo dell'Unione europea (aboliti con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, nel dicembre 2009) che impongono agli Stati un obbligo di risultato, atteggiandosi in modo simile alle fonti tipiche, ovvero alle direttive; tali atti, dal momento in cui scade il termine per la trasposizione, onerano il giudice ad interpretare il diritto interno in modo "conforme" alle linee-guida tracciate dalla Decisione, con il limite del rispetto dei principi generali del diritto (v. sentenze del 16 giugno 2005, Pupino, C-105/03, EU:C:2005:386, punto 44, e del 5 settembre 2012, Lopes Da Silva Jorge, C-42/11, EU:C:2012:517, punto 55, nonchè la sentenza della Grande Sezione dell'8 novembre 2016 nel procedimento a carico di Atanas Ognyanov, p.p. da 61 a 66).

Nel caso di specie, la Decisione quadro 2009/829/GAI indica la necessità di predisporre normative interne che favoriscano la attuazione "diffusa" sul territorio dell'Unione delle misure cautelari non detentive, con il dichiarato intento, tra l'altro, di disincentivare l'applicazione agli stranieri di misure detentive al solo fine di assicurare la loro partecipazione al processo (Considerando n. 5 della Decisione quadro 2009/829/GAI); la normativa europea fa salvi, tuttavia, sia i diritti fondamentali tutelati dall'art. 6 del Trattato sull'Unione, sia la responsabilità degli Stati membri per la garanzia della sicurezza pubblica "interna" ai singoli Stati. Dal tessuto normativo della Decisione quadro emerge pertanto che la tutela dell'interesse individuale della persona sottoposta a cautela a trasferirsi nello Stato di residenza trova un limite nella necessità di garantire la soddisfazione dell'interesse collettivo alla sicurezza pubblica e nella salvaguardia dei diritti fondamentali richiamati dall'art. 6 del Trattato.

Pertanto deve essere valutata la compatibilità del trasferimento con la salvaguardia delle esigenze di tutela della sicurezza, e, segnatamente, con i l'effettività del contrasto alla reiterazione dei reati.

L'onere di tutelare l'interesse collettivo incombe infatti sugli Stati aderenti all'Unione (come ricordato dall'art. 3 della Decisione quadro e dall'art. 2 della Convenzione Edu richiamato dall'art. 6, p. 3 del Trattato sull'Unione e da esso "assorbito"), e si presenta in astratto, salvo valutazioni da effettuare in concreto in relazione ai singoli casi, come prevalente sulle esigenze di tutela dell'interesse individuale della persona sottoposta al vincolo cautelare.

Nel caso di specie, sebbene i reati contestati non si configurino come diretti a ledere il diritto alla vita (con conseguente non pertinenza del richiamo alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo relativa agli oneri di protezione dello Stato sviluppatasi con specifico riguardo alla violazione dell'art. 2 della Convenzione), si verte senz'altro in un ambito materiale in cui è in gioco il contrasto alla reiterazione di gravi reati che incidono sulla sicurezza pubblica, ovvero azioni delittuose mirate al riciclaggio delle risorse economiche illecite della mafia siciliana; nonchè in un campo i cui è vivo l'interesse alla applicazione di misure cautelari che esercitino una concreta efficacia dissuasiva: il che rende sicuramente operativo il limite indicato dall'art. 3 della Decisione quadro che lascia "impregiudicato l'esercizio delle responsabilità incombente agli Stati membri ai fini della protezione delle vittime e dei cittadini in generale" oltre che "della salvaguardia della sicurezza interna conformemente all'art. 33 dell'(ex) Trattato sull'Unione" (art. 3 Decisione quadro 2009/829/GAI).

Alla riconosciuta operatività di tale limite deve aggiungersi che il trasferimento all'estero di una persona attinta da misura cautelare non detentiva non è una fatto "neutro", essendo potenzialmente idoneo ad incidere sulla effettività del provvedimento cautelare e, dunque, proprio sulla salvaguardia dell'interesse collettivo al contrasto della reiterazione di gravi reati ed alla efficace persecuzione degli autori dei delitti.

1.4. Può dunque essere affermato che l'attivazione della procedura per l'esecuzione delle misure non detentive presso lo Stato di residenza della persona sottoposta a cautela è un provvedimento di natura esecutiva, di competenza del pubblico ministero, il cui controllo di legittimità è effettuabile attraverso l'attivazione dell'incidente di esecuzione. Si tratta di un provvedimento discrezionale, che deve dare conto, in coerenza con le indicazioni contenute negli artt. 3 e 5 della Decisione quadro 2009/829/GAI del bilanciamento tra l'interesse della persona sottoposta a cautela a rientrare presso lo Stato di residenza (o altro Stato indicato) e l'interesse collettivo alla tutela della sicurezza pubblica, che informa l'intero sistema cautelare.

1.5.Nel caso di specie risulta il pubblico ministero ha correttamente effettuato il bilanciamento in questione: al D. erano imposti sia l'obbligo di dimora che il divieto di espatrio, cautele evidentemente finalizzate a trattenere l'imputato lontano dalla (OMISSIS), luogo dove, come evidenziava la Procura nel parere del 4 maggio 2016), era stata commessa una parte rilevante della condotta contestata e si trovava il centro degli interessi economici dell'imputato. Come evidenziato dalla Procura, e ribadito dall'ordinanza impugnata, la richiesta avanzata dalla difesa del D. di eseguire le misure in (OMISSIS) urtava con la necessità di evitare la reiterazione di condotte criminose analoghe a quelle per cui si procede, esigenza cautelare ampiamente rilevata nell'ambito della cognizione cautelare, e che si traduceva nella necessità di evitare il rientro dell'imputato nello Stato ove era la sede principale dei suol affari illeciti; si evidenziava cioè l'esistenza di ragioni di interesse pubblico di contrasto alla reiterazione di fatti di riciclaggio ostative alla soddisfazione dell'interesse individuale del D. al rientro in (OMISSIS).

Pertanto l'ordinanza impugnata sia laddove riconosceva la competenza della Procura a decidere sull'attivazione della procedura di esecuzione all'estero delle misure cautelari non detentive, sia laddove confermava la legittimità del provvedimento reiettivo si presenta coerente con le linee ermeneutiche indicate e si sottrae ad ogni censura in questa sede.

1.6. L'interpretazione offerta esime il collegio dall'accogliere l'istanza del ricorrente volta a sollevare una questione di interpretazione pregiudiziale della Decisione quadro 2009/869/GAI di fronte alla Corte di Giustizia dell'Unione europea.

2. L'ultimo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

2.1. Il ricorrente denuncia rillegittimità costituzionale" del provvedimento impugnato e, segnatamente, la violazione dell'art. 3 Cost., nonchè la violazione del divieto di discriminazione contenuto nelle norme della Convenzione europea e del Trattato sull'Unione europea.

Invero la Costituzione, come anche la Convenzione europea dei diritti umani (nella dimensione che filtra dalla giurisprudenza consolidata della Corte di Strasburgo) come anche il Trattato sull'Unione europea, sono norme di rango sovralegislativo che impongono al giudice una operazione di interpretazione conformativa della legge finalizzata a scegliere, tra le letture possibili, quella più aderente al dettato costituzionale o convenzionale.

Residua un'area di rilevanza diretta della violazione costituzionale nella individuazione delle prove inutilizzabili, ovvero di quelle fonti di prova che non sono solo assunte in modo irregolare, ma che risultano raccolte nonostante un espresso divieto legislativo o in violazione di diritti soggettivi tutelati in modo specifico dalla Costituzione, come nel caso degli artt. 13, 14 e 15 Cost., in cui la prescrizione dell'inviolabilità attiene a situazioni fattuali di libertà assolute, di cui è consentita la limitazione solo nei casi e nei modi previsti dalla legge (Cass. sez. un n. 21 del 13/07/1998, Rv. 211196; Cass. sez. un, n. 5021 del 27/03/1996 Rv. 204643).

2.2. Pertanto: fuori dal caso in cui si assuma che una prova è stata assunta violando diritti soggettivi tutelati dalla Carta, la violazione "costituzionale" deducibile in Cassazione si risolve dunque nella denuncia di un eventuale vizio di interpretazione della norma di legge, che si assume non interpretata in coerenza con i principio stabiliti dalle fonti sovraordinate, ma non nella rilevazione "diretta" di un vizio di illegittimità costituzionale del provvedimento impugnato. Il vizio di legittimità costituzionale è, infatti, proprio delle leggi e non dei provvedimenti giurisdizionali; tale vizio, qualora si "ripercuota" su un provvedimento che applica una legge che si assume contraria alla Costituzione può essere denunciato con la proposizione di una specifica eccezione, sollevabile ogni volta che l'interpretazione "orientata" non risulti possibile a causa della rigidità della norma o quando, in materia convenzionale, emerga un conflitto insanabile tra la norma "conformata" sulla base delle indicazioni della Corte Edu e la Carta costituzionale (in tal senso anche Cass. sez. 2, n. 677 del 10/10/2014, Rv 261551).

2.3. Nel caso di specie, si denunciava la disparità di trattamento tra il D. ed i coimputati, sottoposti anch'essi alla misura dell'obbligo di dimora, per loro meno afflittiva, tenuto conto del risalente radicamento in Italia; tale situazione, secondo il ricorrente, contrasterebbe non solo con l'art. 3 Cost., ma anche con le indicazioni della normativa dell'Unione finalizzate a creare uno "spazio unico" che garantisca l'applicazione diffusa delle misure non custodiali sul territorio dei paesi aderenti, al fine di agevolare la riabilitazione sociale dell'imputato.

Si tratta di doglianze inammissibili sia che le si intenda riferite ad una violazione diretta della Costituzione da parte del provvedimento impugnato, sia che le si intenda rivolte a censurare una interpretazione del D.Lgs. n. 36 del 2016, non conforme alle indicazioni della Carta.

La posizione del D., come emerge dagli atti e, segnatamente, dal più volte richiamato parere della Procura emesso in data 4 maggio 2016, si differenzia da quella dei coimputati, essendo a lui specificamente riferita la gestione rumena della attività di riciclaggio; sicchè l'esigenza di evitare l'espatrio, nel caso del D., si traduce essenzialmente nella necessità di evitare il suo rientro in (OMISSIS), esito incompatibile con la salvaguardia della sicurezza pubblica che informa il sistema cautelare, anche nella dimensione che emerge dall'ordinamento c.d. "integrato".

5. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 9 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2017