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Misura cautelare MAE e termini massimi (Cass. 32233/21)

24 agosto 2021, Cassazione penale

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Il d. Igs. n. 10 del 2021 ha apportato significative modifiche al sistema delle misure cautelari in tema di mandato di arresto europeo e, in particolare, sono state eliminate o rimodulate alcune disposizioni che regolavano la perdita di efficacia della
misura cautelare: è stata espunta quella disciplinata dall'art. 13, comma 3, mentre è stata radicalmente modificata quella originariamente contemplata dall'art. 21 - richiamato implicitamente dal ricorrente - (abrogato dall'art. 27) e relativa alla perenzione della misura cautelare per l'inutile decorso dei termini per la decisione.

 

L'introduzione dell'art. 22- bis stabilisce un meccanismo di caducazione della misura custodiale calibrato sull'intera procedura.

Il comma 3 impone all'autorità giudiziaria di compiere una prima valutazione circa la necessità della restrizione qualora la decisione sulla consegna non sia intervenuta entro
i novanta giorni successivi dall'emissione del provvedimento genetico (quaranta nel caso di procedura consensuale).

Più precisamente, è richiesto di verificare se la custodia cautelare sia ancora assolutamente necessaria per scongiurare il pericolo di fuga e se la sua durata sia proporzionata rispetto all'entità della pena irrogata ovvero irrogabile per i fatti alla base
dell'euromandato.

In caso contrario, la misura è revocata ovvero, qualora appaia necessario per garantire che la persona non si sottragga alla consegna, è sostituita con altre meno afflittive, applicate anche cumulativamente.

Successivamente, al comma 4 è previsto un ulteriore accertamento della Corte d'Appello qualora il ritardo nella adozione della decisione definitiva sulla richiesta di
consegna si protragga ingiustificatamente oltre la scadenza del termine di novanta giorni (quaranta nel caso di procedura consensuale) e, comunque, quando sono decorsi novanta giorni dalla scadenza di detti termini senza che sia intervenuta la decisione definitiva sulla consegna.

In tale ipotesi la Corte d'Appello revoca la misura della custodia cautelare; tuttavia, se persiste l'esigenza di garantire che la persona non si sottragga alla consegna, possono
essere applicate, anche cumulativamente, le meno gravose misure di cui agli artt. 281, 282 e 283 c.p.p. e, nei confronti della persona minorenne, la misura di cui all'art. 20, d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448.

Corte di Cassazione

sezione Feriale Penale

Num. 32233 Anno 2021
Data Udienza: 24/08/2021

 
 
SENTENZA
sul ricorso proposto da
AM, nato in Turchia il 06/05/1990
avverso la sentenza emessa pronunciata il 04/08/2021 dalla Corte di appello di Torino;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Pietro Silvestri;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, dott. Giovanni Di Leo, che ha
concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito il difensore, avv. Gian Luca Marta, nell'interesse dell'indagato, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.La Corte di appello di Torino ha disposto la consegna all'Autorità Giudiziaria della  Croazia di AM, sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere e destinatario di un mandato di arresto europeo processuale emesso il 29/03/2021
dall'Autorità giudiziaria indicata per il reato di concorso in favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore del consegnando articolando due motivi.

2.1. Con il primo si deduce la violazione degli artt. 6- 18 bis della legge 22 aprile 2005, n. 69, per non essere pervenuto il testo tradotto del mandato d'arresto e per non essere stato posto il ricorrente in condizione di comprendere la portata dei fatti
contestati e neppure "l'esito dell'udienza richiesta dal Procuratore della Repubblica croato al Tribunale".

2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione degli artt. 17, commi 2 — 2 bis, della legge n. 69 del 2005; si assume che la proroga - disposta il 28 luglio 2021 - del termine di durata della misura della custodia cautelare in carcere cui il ricorrente è
sottoposto sarebbe intervenuta successivamente alla scadenza del termine entro il quale deve essere emessa la sentenza.
Dunque, si assume, la misura in corso darebbe estinta.

CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il mandato di arresto europeo è stato emesso il 29 marzo 2021 e quindi la disciplina applicabile al presente procedimento è quella prevista della legge 22 aprile 2005, n. 69 come modificata dal d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10 (Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato di arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, in attuazione della delega di cui all'art. 6 della legge 4
ottobre 2019, n. 117), entrato in vigore il 20 febbraio 2021.
L'art.28 d.lgs. n.10 del 2021 ha infatti dettato una specifica disciplina transitoria, al fine di individuare i procedimenti che proseguono secondo la normativa precedentemente vigente e quelli soggetti alle modifiche apportate dal d.lgs. n.10 del
2021, che ha introdotto una sostanziale riduzione dei casi di rifiuto della consegna, sia obbligatori che facoltativi, nonché una rimodulazione del contenuto del MAE e dei tempi per la definizione.

Si è previsto, infatti, che i procedimenti relativi alle richieste di esecuzione di mandati di arresto europeo in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. n.10 del 2021 (20 febbraio 2021) proseguono con l'applicazione delle norme anteriormente vigenti, quando a tale data la corte d'appello abbia già ricevuto il mandato d'arresto europeo o la persona richiesta in consegna sia stata già arrestata.

Ciò comporta che la nuova disciplina si applica, come nel caso di specie, alle richieste di mandato di arresto ricevute dalle Corti di appello a partire dal 21 febbraio 2021.


3. Ciò chiarito, il primo motivo è inammissibile per più ragioni.

Nulla è stato dedotto dal ricorrente davanti alla Corte di appello, che peraltro ha spiegato, da una parte, come al mandato di arresto europeo redatto in lingua croata sia stata allegata, tradotta anche il lingua italiana, anche "una relazione sul capo di
imputazione, sui fatti posti a fondamento dell'accusa mossa e sulle prove raccolte a sostegno" e, dall'altra, che il ricorrente è stato pienamente edotto della esistenza del processo e delle accuse a suo carico.

Sotto altro profilo, il motivo è inammissibile perché aspecifico, non essendosi il ricorrente confrontato con la motivazione del provvedimento impugnato.

La Corte di cassazione ha costantemente affermato che la funzione tipica dell'impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si esplica attraverso la presentazione di motivi che,
a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.

Contenuto essenziale dell'atto di impugnazione è infatti il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il
dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta.

Ne consegue che se il motivo di ricorso si limita ad affermazioni generiche, esso non è conforme alla funzione per la quale è previsto e ammesso, cioè la critica argomentata al provvedimento, posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento formalmente "attaccato", lungi dall'essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato.

3. È inammissibile anche il secondo motivo di ricorso.

3.1. Il d. Igs. n. 10 del 2021 ha apportato significative modifiche al sistema delle misure cautelari in tema di mandato di arresto europeo e, in particolare, sono state eliminate o rimodulate alcune disposizioni che regolavano la perdita di efficacia della misura cautelare: è stata espunta quella disciplinata dall'art. 13, comma 3, mentre è stata radicalmente modificata quella originariamente contemplata dall'art. 21 - richiamato implicitamente dal ricorrente - (abrogato dall'art. 27) e relativa alla perenzione della misura cautelare per l'inutile decorso dei termini per la decisione.

Proprio su quest'ultimo versante, si colloca la novità di maggior rilievo che introduce dei termini di durata massima della misura cautelare.

Nell'impianto previgente, infatti, l'art. 21 disponeva che la persona richiesta in consegna dovesse essere rimessa in libertà qualora la Corte d'Appello non avesse deciso entro i termini indicati dagli artt. 14 e 17.

Si era osservato come una simile impostazione non apparisse rispettosa dell'art. 13, comma 5, Cost. poiché in relazione ai segmenti del giudizio di legittimità e dell'eventuale giudizio di rinvio non era previsto un limite temporale alla privazione della libertà personale.

L'introduzione dell'art. 22- bis pone rimedio a tale situazione inserendo un meccanismo di caducazione della misura custodiale calibrato sull'intera procedura.

Il comma 3 impone all'autorità giudiziaria di compiere una prima valutazione circa la necessità della restrizione qualora la decisione sulla consegna non sia intervenuta entro
i novanta giorni successivi dall'emissione del provvedimento genetico (quaranta nel caso di procedura consensuale).

Più precisamente, è richiesto di verificare se la custodia cautelare sia ancora assolutamente necessaria per scongiurare il pericolo di fuga e se la sua durata sia proporzionata rispetto all'entità della pena irrogata ovvero irrogabile per i fatti alla base dell'euromandato.

In caso contrario, la misura è revocata ovvero, qualora appaia necessario per garantire che la persona non si sottragga alla consegna, è sostituita con altre meno afflittive, applicate anche cumulativamente.

Successivamente, al comma 4 è previsto un ulteriore accertamento della Corte d'Appello qualora il ritardo nella adozione della decisione definitiva sulla richiesta di
consegna si protragga ingiustificatamente oltre la scadenza del termine di novanta giorni (quaranta nel caso di procedura consensuale) e, comunque, quando sono decorsi novanta giorni dalla scadenza di detti termini senza che sia intervenuta la decisione definitiva sulla consegna.

In tale ipotesi la Corte d'Appello revoca la misura della custodia cautelare; tuttavia, se persiste l'esigenza di garantire che la persona non si sottragga alla consegna, possono essere applicate, anche cumulativamente, le meno gravose misure di cui agli artt. 281, 282 e 283 c.p.p. e, nei confronti della persona minorenne, la misura di cui all'art. 20, d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448.

3.2. Nel caso di specie, in cui il ricorrente invoca l'applicazione di una norma non più vigente, a fronte di un provvedimento restrittivo emesso il 6 luglio 2021 la decisione definitiva è intervenuta il 24 agosto 2021, dunque entro i novanta giorni successivi all'emissione del provvedimento genetico.

4. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, I. n. 69 del  2005.
Così deciso in Roma, il 24 agosto 2021