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Misura alternativa nell'UE, si può fare (Cass. 20977/20)

15 luglio 2020, Cassazione penale

In tema di misure alternative alla detenzione è consentita l'ammissione all'affidamento in prova al servizio sociale la cui esecuzione debba svolgersi in uno Stato estero membro dell'Unione Europea dove il condannato abbia residenza legale ed abituale, in conformità a quanto disposto dal decreto legislativo 15 febbraio 2016, n. 38; del resto, la comune adesione all'Unione Europea e al suo ordinamento assicura la reciproca adeguatezza, fra gli Stati, nell'adempimento dei compiti che derivano dal principio di collaborazione.

Permane l'obbligo, a pena di inammissibilità della istanza, per il condannato libero di elezione di domicilio sul territorio nazionale (art. 677 c.p.p., comma 2-bis), ed è evidente che l'eventuale mancata collaborazione, anche conseguente alla assenza dal territorio nazionale, da parte del condannato istante all'indagine dell'Ufficio esecuzione penale esterna potrà concorrere a giustificare il rigetto, nel merito, della richiesta.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

(ud. 15/06/2020) 15-07-2020, n. 20977

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TARDIO Angela - Presidente -

Dott. BIANCHI Luisa - rel. Consigliere -

Dott. BINENTI Roberto - Consigliere -

Dott. APRILE Stefano - Consigliere -

Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.J., nato a (OMISSIS);

avverso l'ordinanza del 13/06/2019 del TRIB. SORVEGLIANZA di FIRENZE;

udita la relazione svolta dal Consigliere BIANCHI MICHELE;

lette le conclusioni del PG Dott. MARINELLI Felicetta che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con istanza depositata in data 14.3.2016 A.J., tramite il difensore di fiducia, premesso di essere stato condannato con sentenza pronunciata in data 27.5.2011 dal giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Pistoia, irrevocabile dal 26.1.2016, alla pena di anni due e mesi due di reclusione e di essere residente in Spagna, dove svolgeva attività imprenditoriale, aveva chiesto al pubblico ministero incaricato dell'esecuzione di essere ammesso alla esecuzione della pena all'estero.

2. Con ordinanza depositata in data 19.6.2019 il Tribunale di sorveglianza di Firenze ha dichiarato la inammissibilità della richiesta, presentata da A.J., di ammissione alla detenzione domiciliare, mentre ha respinto l'ulteriore richiesta di ammissione all'affidamento in prova al servizio sociale.

Le istanze erano state presentate al Tribunale centrale penale di Madrid nell'ambito della procedura instaurata, a seguito dell'originaria istanza dell' A., per l'esecuzione della pena in Spagna.

Il Tribunale di sorveglianza ha osservato che la misura della pena da scontare era ostativa alla concessione della detenzione domiciliare, la cui istanza era quindi inammissibile.

La richiesta di affidamento al servizio sociale non poteva essere accolta risultando il condannato residente all'estero, dove effettivamente si trovava.

Il giudice ha richiamato l'orientamento secondo il quale la misura richiesta è compatibile solo con la presenza e lo svolgimento della stessa nel territorio nazionale, ambito territoriale oltre il quale non può svolgersi la necessaria opera dell'Ufficio esecuzione penale esterna.

3. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di A.J. chiedendo l'annullamento dell'ordinanza impugnata.

Con il primo motivo viene denunciata violazione di legge, in quanto, da una parte, l'ordinamento non stabilisce alcun divieto allo svolgimento di una misura alternativa al di fuori dal territorio nazionale e, dall'altra, l'autorità giudiziaria spagnola aveva manifestato consenso alla esecuzione della misura alternativa in Spagna.

Con il secondo motivo viene denunciato difetto di motivazione in ordine al rigetto della richiesta della difesa di differimento dell'udienza, in modo da consentire al condannato il rientro in Italia.

4. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato e va perciò disposto annullamento, con rinvio, dell'ordinanza impugnata.

1. La decisione impugnata ha motivato il rigetto della istanza di ammissione all'affidamento in prova al servizio sociale sul rilievo che tale misura deve necessariamente svolgersi sul territorio nazionale, dove il condannato non ha residenza e dove non aveva nemmeno indicato un domicilio per lo svolgimento della misura.

Si tratta di principio costantemente affermato dalla giurisprudenza, anche in tempi recenti (Sez. 7, 6.4.2018, n. 3026/19; 7, 13.12.2018, n. 40079/2019; 1, 22.2.2019, n. 28809; 7, 14.3.2019, n. 26831; 7, 9.5.2019, n. 43316; 7, 23.5.2019, n. 32101; 1, 12.12.2019, n. 13420/20), e fondato sul rilievo che l'esecuzione della misura comporta una serie di attività da parte dell'Ufficio esecuzione penale esterna evidentemente non attuabili ove il condannato si trovi in uno Stato estero.

Il Collegio, innanzitutto, rileva che tale argomento giustifica il ricordato principio e quindi rende ragionevole la disparità di trattamento, che ne consegue, tra condannati residenti in Italia e all'estero (Corte costituzionale n. 146/2001).

Peraltro, si tratta di principio che, con riferimento ai casi in cui il condannato sia residente in uno Stato dell'Unione Europea, deve essere rivisto a fronte delle innovazioni normative intervenute in tale ambito negli ultimi anni, come la giurisprudenza ha già segnalato (Sez. 1, 16.5.2018, Rv. 275807; 1, 20.12.2019, n. 3004/20; 1, 25.5.2020, n. 16942).

Il codice processuale ha disciplinato l'esecuzione all'estero delle sentenze di condanna italiane al capo II del titolo IV del libro XI del c.p.p. (artt. 742 e 746), in conformità ai principi espressi dalla Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983 sul trasferimento delle persone condannate, ratificata con L. 25 luglio 1988, n. 334, fra i quali vi è quello (art. 8) secondo cui "L'esecuzione della condanna è regolata dalla legge dello Stato di esecuzione e questo Stato è l'unico competente a prendere ogni decisione al riguardo".

Il Consiglio di Europa (recte: CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA, nota aggiunta) ha quindi pronunciato una serie di decisioni quadro che riguardano i rapporti fra gli Stati aderenti all'Unione Europea ai fini dell'esecuzione di provvedimenti giudiziari, di varia natura.

In particolare, in data 27 novembre 2008 il Consiglio di Europa (recte: CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA, nota aggiunta) ha emesso le decisioni quadro nn. 909 e 947, relative, rispettivamente,l'esecuzione delle condanne a pena detentiva e d'esecuzione dei provvedimenti di sospensione condizionale della pena e di sanzioni sostitutive, alle quali è stata data attuazione, nell'ordinamento interno, con il D.Lgs. n. 161 del 2010 e D.Lgs. n. 38 del 2016.

Il D.Lgs. n. 161 del 2010 ha espressamente derogato alla applicazione delle disposizioni del codice processuale, che comunque sono applicabili, anche a norma del D.Lgs. n. 38 del 2016 (art. 18), solo "Per quanto non previsto nel presente decreto... in quanto compatibili".

Nelle relazioni fra gli Stati aderenti all'Unione Europea, dunque, la materia in esame è disciplinata dai menzionati decreti legislativi, attuativi di normativa Europea.

In particolare, è stata compiuta una considerazione specifica del contenuto dei provvedimenti sanzionatori, distinguendo quelli che applicano una pena detentiva o una misura di sicurezza, a causa di un reato (D.Lgs. n. 161 del 2010) - rispetto ai quali continua ad applicarsi il principio secondo cui l'esecuzione è disciplinata dalla normativa interna dello Stato di esecuzione - e quelli che comminano una pena detentiva o comunque restrittiva della libertà personale con sospensione condizionale oppure una sanzione sostitutiva (D.Lgs. n. 38 del 2016).

Quest'ultimo testo normativo realizza, in coerenza con altri provvedimenti legislativi coevi (D.Lgs. n. 35 del 2016 sulle misure reali, n. 36/2016 sulle misure alternative alla detenzione cautelare, e n. 37/2016 sulle sanzioni pecuniarie), una disciplina specifica della esecuzione all'estero (nella Unione Europea) di decisioni penali aventi contenuto diverso dalla pena detentiva o dalla pena pecuniaria.

Vengono in considerazione, infatti, (art. 2) le condanne a pena detentiva condizionalmente sospesa al momento della condanna con imposizione di obblighi e prescrizioni ("sospensione condizionale"), l'applicazione di "una sanzione, diversa dalla pena detentiva o da una misura restrittiva della libertà personale o dalla pena pecuniaria, che impone obblighi e impartisce prescrizioni" ("sanzione sostitutiva"), le decisioni che prevedono "la liberazione anticipata di una persona condannata dopo che questa abbia scontato parte della pena detentiva, anche attraverso l'imposizione di obblighi e prescrizioni" ("liberazione condizionale").

L'ordinanza impugnata ha preso posizione sulla questione di diritto relativa alla applicabilità della menzionata normativa, che consente l'esecuzione all'estero, nel caso di misure alternative alla detenzione (qual è l'affidamento in prova al servizio sociale), concludendo in termini negativi sia perchè le misure alternative non sono disposte con la sentenza di condanna, ma successivamente, sia perchè l'ammissione a tali misure richiede una istruttoria incompatibile con la residenza all'estero del condannato, sia perchè, infine, le misure alternative alla detenzione sono istituto non assimilabile alla sospensione condizionale della pena nè alle sanzioni sostitutive, i soli disciplinati dal D.Lgs. n. 38 del 2016.

Si tratta degli argomenti, in uno con quello che evidenzia come anche l'attività di controllo nel corso della misura sarebbe preclusa all'Ufficio esecuzione penale esterna, valorizzati dalla giurisprudenza che, anche di recente, ha ribadito l'orientamento contrario alla esecuzione all'estero (anche nell'ambito dell'Unione Europea) delle misure alternative.

Invero, il collegio ritiene che il rilievo, secondo il quale il ruolo dell'Ufficio esecuzione penale esterna, nella fase di ammissione ed esecuzione della misura, è ostativo alla possibilità di esecuzione all'estero, non abbia pregio.

Da una parte, infatti, la necessità che, nella fase istruttoria, l'Ufficio esecuzione penale esterna possa compiere in maniera adeguata gli accertamenti funzionali alla decisione del Tribunale di sorveglianza non è condizionata dalla prospettiva che, in caso di ammissione, la misura venga eseguita all'estero.

Permane l'obbligo, a pena di inammissibilità della istanza, per il condannato libero di elezione di domicilio sul territorio nazionale (art. 677 c.p.p., comma 2-bis), ed è evidente che l'eventuale mancata collaborazione, anche conseguente alla assenza dal territorio nazionale, da parte del condannato istante all'indagine dell'Ufficio esecuzione penale esterna potrà concorrere a giustificare il rigetto, nel merito, della richiesta.

Dall'altra, il controllo sull'osservanza del contenuto prescrittivo della misura attiene all'esecuzione della stessa e costituisce, dunque, l'oggetto della attribuzione allo Stato di esecuzione.

La comune adesione all'Unione Europea e al suo ordinamento assicura la reciproca adeguatezza, fra gli Stati, nell'adempimento dei compiti che derivano dal principio di collaborazione.

La normativa (art. 8) prevede espressamente che lo Stato di esecuzione informa l'autorità giudiziaria italiana dell'avvenuto riconoscimento della decisione, e da tale comunicazione la sorveglianza degli obblighi e delle prescrizioni è assunta dallo Stato di esecuzione; l'autorità giudiziaria italiana "riassume l'esercizio del potere di sorveglianza" nel caso in cui lo Stato di esecuzione comunichi che il soggetto si è sottratto alla esecuzione e nel caso in cui debba considerare la durata e il grado "di osservanza delle prescrizioni e degli obblighi impartiti durante il periodo in cui la persona condannata è stata sorvegliata all'estero".

Quanto al rilievo che valorizza il dato letterale del testo normativo, che non menziona le misure alternative alla detenzione disciplinate dall'ordinamento penitenziario, si osserva che il D.Lgs. n. 38 del 2016 definisce l'ambito della disciplina dettata utilizzando termini che richiamano istituti (sentenza, sospensione condizionale della pena, sanzione sostitutiva, liberazione condizionale) disciplinati dall'ordinamento interno, ma dando ad essi un significato più ampio.

In particolare, la nozione di "sanzione sostitutiva" non viene definita con il richiamo alla disciplina dettata dalla L. n. 689 del 1981, artt. 53 e segg., bensì come "sanzione, diversa dalla pena detentiva o da una misura restrittiva della libertà personale o dalla pena pecuniaria, che impone obblighi e impartisce prescrizioni".

Tale definizione di carattere generale è applicabile anche all'affidamento in prova al servizio sociale che, pur alternativo alla detenzione, ha un contenuto afflittivo che si realizza nella imposizione di obblighi e prescrizioni.

Non ha poi fondamento il rilievo che limita la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 38 del 2016 alle sanzioni disposte con la sentenza di condanna, atteso che solo con riferimento alla sospensione condizionale della pena vi è questa specificazione ("al momento della condanna"), mentre in generale si richiede solo che la decisione sia stata adottata da "un organo giurisdizionale penale" e che abbia un certo contenuto.

Significativo,è, poi, che vi sia espressa menzione dell'istituto della liberazione condizionale, di competenza della magistratura di sorveglianza.

Infine, il D.Lgs. n. 3 del 2016, art. 4, definisce l'ambito di applicazione della disciplina dettata con riferimento alla tipologia degli obblighi e prescrizioni, di cui viene dettata specifica elencazione, che corrisponde a quanto l'ordinamento penitenziario (art. 47 Ord. Pen., commi 6 e 7) prevede per la misura dell'affidamento in prova al servizio sociale (luogo di dimora, libertà di locomozione, lavoro, frequentazione di locali pubblici e persone, attività di riparazione in favore della vittima, assistenza familiare).

Conclusivamente, il collegio ritiene che, a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 38 del 2016, sia consentita l'ammissione all'affidamento in prova al servizio sociale, anche quando l'esecuzione della misura debba svolgersi in Stato estero membro dell'Unione Europea, dove il condannato abbia residenza legale ed abituale, in conformità a quanto disposto dal menzionato decreto legislativo.

2. Va quindi pronunciato annullamento dell'ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Firenze perchè provveda a nuovo esame della istanza della parte, uniformandosi al principio di diritto sopra esposto.

Il secondo motivo di ricorso, relativo al diniego della istanza di rinvio della trattazione per consentire al ricorrente il rientro in Italia, deve intendersi assorbito.

P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Firenze.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2020 - 15 luglio 2020

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2020