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Minore consenziente, ma indotta a farsi ritrarre in pose erotiche: è reato (Cass. 26862/19)

18 giugno 2019, Cassazione penale

La 'produzione' di materiale pedopornografico e la 'pubblicazione' di detto materiale rientrano in fattispecie di reato diversi.

L'agente può rendersi responsabile del delitto di produzione di materiale pedopornografico anche nel caso in cui faccia sorgere nel minore il proposito, prima assente, di realizzare materiale pedopornografico, ovvero rafforzi un proposito già esistente, ma non ancora consolidato, sebbene la condotta materiale sia posta in essere dal solo minore.

La condotta di produzione di materiale pedopornografico 'utilizzando' un soggetto minorenne può assumere anche la forma dell'istigazione o dell'induzione: insomma, l'utilizzazione' del minore può manifestarsi non solo quando l'agente realizzi egli stesso la condotta di produzione di detto materiale (ad esempio, scattando le fotografie di chiaro contenuto erotico), ma anche quando induca o istighi il minore a compiere l'azione vietata. In casi del genere, il minore diventa una sorta di 'autore mediato' che attua la condotta oggetto di incriminazione non per una sua libera scelta, ma perchè in balia della volontà dell'agente.

Qualora le immagini o i video abbiano per oggetto la vita privata sessuale nell'ambito di un rapporto che, valutate le circostanze del caso, non sia caratterizzato da condizionamenti derivanti dalla posizione dell'autore, ma siano frutto di una libera scelta - come avviene, per esempio, nell'ambito di una relazione paritaria tra minorenni ultraquattordicenni - e siano destinate ad un uso strettamente privato, dovrà essere esclusa la ricorrenza di quella 'utilizzazione' che costituisce il presupposto dei reati sopra richiamati.

Il discrimine fra il penalmente rilevante e il penalmente irrilevante in questo campo non è il consenso del minore in quanto tale, ma la configurabilità dell'utilizzazione, che può essere esclusa solo attraverso un'approfondita valutazione della sussistenza in concreto dei presupposti sopra delineati'.

CORTE DI CASSAZIONE

SEZ. III PENALE - SENTENZA 18 giugno 2019, n.26862 - Pres. Di Nicola – est. Corbetta

Svolgimento del processo

 

1. Con l'impugnata sentenza, in parziale riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di Milano e appellata dall'imputata, la Corte di appello di Milano assolveva R.M.M.A. dal reato di cui all'art. 81 cpv. c.p., art. 600 ter c.p., commi 1 e 6, L. n 104 del 1992, art. 36 contestato al capo B), perchè il fatto non sussiste e, per l'effetto, riduceva a sette anni di reclusione la pena inflitta per il delitto di cui all'art. 600 bis, comma 1, nn. 1 e 2, art. 602 ter, comma 6 e L. n 104 del 1992, art. 36, commesso in danno della figlia, contestato al capo A), nel resto confermando la sentenza di primo grado.

2. Avverso l'indicata sentenza, propongono ricorso per cassazione sia il P.G. territoriale, sia l'imputata a mezzo del difensore di fiducia.

3. Il ricorso del P.G. è affidato a un motivo, con cui deduce la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione all'art. 600 ter c.p., comma 1. Assume il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe erroneamente assolto l'imputata dal delitto di pornografia minorile, che si realizza con la semplice immissione in rete delle immagini pedopornografiche, ed essendo irrilevante l'accordo tra la madre e la figlia, una volta accertato l'incidenza causale della condotta della prima sulla partecipazione della minore all'attività pornografica. Invero, per la sussistenza del reato è sufficiente la condotta di 'utilizzazione', che si sostanzia in un approfittamento fisico e/o morale, ossia di sfruttamento della condizione di inferiorità e immaturità del minore ai fini di mercificazione della sua immagine. La Corte territoriale, inoltre, in maniera contraddittoria avrebbe ritenuto, per un verso, che l'imputata 'abbia lei prodotto e pubblicato il materiale pedopornografico', e, per altro verso, che la persona offesa abbia autonomamente realizzato le fotografie in questione.

4. Il ricorso dell'imputata è articolato in un unico, complesso, motivo, con cui deduce la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione alla conferma del giudizio di responsabilità per il delitto continuato di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione della figlia, contestato al capo A). Ad avviso della ricorrente, in primo luogo, vi sarebbe una contraddizione logica tra l'assoluzione dell'imputata dal delitto di cui al capo B) e la conferma del giudizio di responsabilità per il delitto di cui al capo A), stante il rapporto di stretta strumentalità tra i fatti in esame. Inoltre non vi sarebbe prova che gli accordi tra i clienti e la minore si siano concretizzati in prestazioni sessuali, essendovi anche un contrasto tra il narrato della minore, la quale ha riferito di essere prostituita per una settimana, e le intercettazioni telefoniche che, invece, darebbero conto di un'attività durata più di un mese. La ricorrente, inoltre, contesta il giudizio di attendibilità della minore, in quanto non si sarebbe tenuto conto di alcune contraddizioni, quali: la circostanza che la minore, nel 2013, abbia riferito al p.m. che la madre le avesse solo proposto di prostituirsi, tanto che il p.m. chiese l'archiviazione del procedimento; la minore ha riferito che la madre le aveva confidato che si sarebbe prostituita da quando aveva sette anni, circostanza falsa perchè all'epoca la minore si trovava in Ecuador, mentre la madre aveva una relazione sentimentale stabile; la teste C. ha riferito che la minore le confidò di aver subito abusi sessuali dal padre e dal fratello maggiore della famiglia affidataria, mentre le minore medesima aveva raccontato al p.m. di esser stata abusata dal solo R.C.D.. La Corte territoriale, inoltre, avrebbe erroneamente stimato l'attendibilità del teste H., sebbene costui non fosse convinto della veridicità delle affermazioni della minore, tanto che fece una segnalazione anonima alla polizia. Ancora, le intercettazioni telefoniche, da cui emergerebbe l'effettività dell'attività della prostituzione, sarebbero smentite dalla deposizione del teste V., il quale ha escluso la sussistenza di riscontri in ordine al fatto che la minore facesse prestazioni sessuali. La motivazione sarebbe inoltre contraddittoria laddove afferma:

a) che la madre avrebbe inteso difendere la minore dalla modalità con cui la figlia portava a casa ragazzi sconosciuti, che non avrebbero pagato la prestazione sessuale, e non dall'attività di prostituzione;

b) che la condotta di induzione sarebbe provata dalle stesse dichiarazioni spontanee dell'imputata, la quale ha riferito che la figlia si sarebbe prostituita per lei a fine 2015 per permetterle di tornare in Italia, ciò che contrasterebbe con il fatto secondo cui la minore avrebbe saputo a sette anni che la madre si prostituiva e, quindi, che vivesse di quel profitto. Ancora, la Corte d'appello ha ritenuto che la madre avrebbe fatto assumere alla figlia dei tranquillanti prima di compiere l'attività di meretricio, mentre le testi Ca. e C. hanno riferito che alla minore erano stati prescritti degli psicofarmaci che doveva assumere quotidianamente a mezzo della madre. Quanto, poi, al telefono cellulare, il teste M. ha riferito di aver acquistato la relativa scheda alla minore, pregandola di non utilizzarla in maniera impropria, ciò che contrasta con la volontà della madre che aveva procurato alla figlia detto cellulare finalizzato alle inserzioni su internet. Ulteriori incongruenze si ravvisano nel fatto che, mentre secondo i giudici di appello, la minore consegnava alla madre 50 Euro per ogni prestazione sessuale, dalle intercettazioni emerge che il corrispettivo era nettamente superiore; anche la dichiarazione secondo cui la madre restituiva alla minore 10 Euro è frutto di una rielaborazione del ricordo, in quanto il teste Ca. ha affermato di aver aiutato economicamente l'imputata, la quale, a sua volta, consegnava dieci Euro alla figlia. Altrettanto contraddittoria, infine, sarebbe l'affermazione secondo cui l'imputata, da una parte, si sarebbe rivolta alla neuropsichiatra e alla testimone di Geova nella speranza di far trovare un equilibrio personale alla figlia, e, dall'altra, l'avrebbe comunque indotta all'attività di prostituzione.

5. In data 18/04/2019 il difensore dell'imputato ha depositato memoria, con cui insistente nell'accoglimento del ricorso e chiede il rigetto del ricorso proposto dal P.G.. 

Motivi della decisione

1. Il ricorso promosso dal P.G. è fondato.

2. Va, anzitutto, osservato che, per quanto emerge dall'imputazione di cui al capo B), alla Ro. sono contestate due distinte condotte: la 'produzione' di materiale pedopornografico ad oggetto la foto della figlia minorenne ritratta nuda in pose erotiche, fatto punito ai sensi dell'art. 600 ter c.p., comma 1, n. 1, e la 'pubblicazione' di detto materiale su tre diversi siti internet per incontri erotici, fatto che rientra nella previsione dell'art. 600 ter c.p., comma 3.

I rapporti tra le due fattispecie sono regolati dalla clausola di sussidiarietà contenuta nel comma 3, che dichiara la propria applicabilità 'al di fuori delle ipotesi di cui al comma 1 (...)'. Di conseguenza, se l'autore del materiale pedopornografico provvede anche alla divulgazione di detto materiale risponderà della più grave fattispecie di cui al comma 1; per contro, se l'agente si limita a divulgare il materiale pedopornografico, alla cui realizzazione non ha prestato alcun contributo nè materiale, nè morale, egli sarà chiamato a rispondere della meno grave ipotesi di cui al comma 3.

3. Va, inoltre, ricordato che, la condotta di produzione di materiale pedopornografico 'utilizzando' un soggetto minorenne può assumere anche la forma dell'istigazione o dell'induzione.

In altri termini, l' 'utilizzazione' del minore può manifestarsi non solo quando l'agente realizzi egli stesso la condotta di produzione di detto materiale (ad esempio, scattando le fotografie di chiaro contenuto erotico), ma anche quando induca o istighi il minore a compiere l'azione vietata. In casi del genere, il minore diventa una sorta di 'autore mediato' che attua la condotta oggetto di incriminazione non per una sua libera scelta, ma perchè in balia della volontà dell'agente.

L'agente, pertanto, può rendersi responsabile del delitto di cui all'art. 600 ter c.p., comma 1, n. 1 anche nel caso in cui faccia sorgere nel minore il proposito, prima assente, di realizzare materiale pedopornografico, ovvero rafforzi un proposito già esistente, ma non ancora consolidato, sebbene la condotta materiale sia posta in essere dal solo minore.

L'accertamento dell'influenza causale dell'istigazione è questione di fatto, che il giudice deve accertare in concreto, secondo lo schema della conditio sine qua non: occorre, cioè, appurare, alla luce delle circostanze che caratterizzano il singolo caso concreto e valutate con l'aiuto di appropriate massime di esperienze o di leggi della psicologia, che, in assenza della condotta istigatoria, il minore non avrebbe realizzato il fatto di reato con quelle specifiche modalità, con riguardo, cioè, ai mezzi, alle connotazioni di tempo e di luogo, ecc.

4. Quest'interpretazione trova conferma nel più recente orientamento assunto dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 51815 del 31/05/2018 - dep. 15/11/2018, le quali, nel risolvere un contrasto sorto a proposito della portata applicativa reato di produzione di materiale pedopornografico, di cui all'art. 600-ter c.p., comma 1, in motivazione hanno fornito un'interpretazione della condotta di 'utilizzazione del minore' in linea con le conclusioni sopra affermate.

Ai fini che qui rilevano, le Sezioni Unite hanno chiarito che il nuovo inquadramento sistematico della fattispecie in esame, per effetto delle modifiche introdotte, da ultimo, con la L. n. 172 del 2012, 'induce a valorizzare, allo scopo di evitare l'incriminazione di un comportamento evidentemente privo di rilevanza penale, il concetto cardine di 'utilizzazione del minore', enfatizzandone la portata dispregiativa, nel senso che esso implica una 'strumentalizzazione' del minore stesso. Deve dunque intendersi per 'utilizzazione' la trasformazione del minore, da soggetto dotato di libertà e dignità sessuali, in strumento per il soddisfacimento di desideri sessuali di altri o per il conseguimento di utilità di vario genere; condotta che rende invalido anche un suo eventuale consenso'.

Le Sezioni Unite hanno inoltre chiarito che, 'qualora le immagini o i video abbiano per oggetto la vita privata sessuale nell'ambito di un rapporto che, valutate le circostanze del caso, non sia caratterizzato da condizionamenti derivanti dalla posizione dell'autore, ma siano frutto di una libera scelta - come avviene, per esempio, nell'ambito di una relazione paritaria tra minorenni ultraquattordicenni - e siano destinate ad un uso strettamente privato, dovrà essere esclusa la ricorrenza di quella 'utilizzazione' che costituisce il presupposto dei reati sopra richiamati'. Di conseguenza, 'il discrimine fra il penalmente rilevante e il penalmente irrilevante in questo campo non è il consenso del minore in quanto tale, ma la configurabilità dell'utilizzazione, che può essere esclusa solo attraverso un'approfondita valutazione della sussistenza in concreto dei presupposti sopra delineati'.

Per concludere sul punto, deve perciò affermarsi il principio secondo cui risponde del delitto di pornografia minorile, punito dall'art. 600 ter c.p., comma 1, n. 1, colui che, pur non realizzando materialmente la produzione di materiale pedopornografico, abbia istigato il minore a farlo, essendo tale condotta di istigazione una forma di manifestazione dell'utilizzazione del minore, implicante una strumentalizzazione del minore stesso.

5. Venendo al caso in esame, la Corte territoriale non si è attenuta ai principi ora evocati, avendo escluso la sussistenza del reato solo perchè l'imputata non aveva lei stessa prodotto e pubblicato il materiale pedopornografico riguardante la figlia, pur dando atto, però, di talune circostanze fattuali che, per contro, parrebbero indicative di una strumentalizzazione della minore, avendo l'imputata, come si legge nella motivazione, 'favorito l'attività (di prostituzione della figlia, n. d.r.) procurandole un cellulare (intestato al M.) da utilizzare per le inserzioni su internet' (p. 10), nonchè 'suggerito alla figlia di non mettere il volto sulle fotografie di internet' (p. 10). Più in generale, si deve osservare che, come si dirà oltre, l'imputata ha indotto, favorito e sfruttato la figlia a esercitare l'attività di prostituzione, attività che lei medesima svolgeva da tempo e che pubblicizzava su siti internet, dove erano postate fotografie che la ritraevano in atteggiamenti erotici: gli stessi siti sui quali era stata poi pure pubblicata la foto della figlia minore in atteggiamenti pornografici. Di conseguenza, stante il carattere di strumentalità tra l'attività di prostituzione, a cui la minore era stata avviata dalla madre, e la produzione del materiale pedopornografico poi divulgato sui siti internet per incontri erotici, occorrerà valutare se la produzione e/o la pubblicazione di detto materiale sia stata attuata dalla minore in totale. autonomia - ossia di propria iniziativa e senza l'intervento di terzi - in relazione tanto alla fase ideativa, quanto alla fase esecutiva, ovvero sia configurabile una condotta causale dell'imputata, che abbia strumentalizzato la minore, utilizzandola nella produzione di materiale pedopornografico poi divulgato (ciò che integra l'ipotesi di cui all'art. 600 ter c.p., comma 1, n. 1), oppure, in alternativa, nella sola pubblicizzazione di detto materiale (fatto riconducibile nell'art. 600 ter c.p., comma 3).

La sentenza deve perciò essere annullata per nuovo esame sul punto, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano la quale, in applicazione dei principi sopra indicati, dovrà verificare, in primo luogo, se la minore abbia posto in essere in totale autonomia, sotto il profilo sia volitivo-ideativo che esecutivo, le condotte di produzione e di divulgazione del materiale pedopornografico; in caso negativo, dovrà verificare se le condotta dell'imputata sia rilevante ai fini della sola divulgazione ovvero anche della produzione di detto materiale.

6. Il ricorso dell'imputata è infondato.

7. In premessa, vale osservare che, con riferimento al delitto di cui al capo A), si è in presenza di una 'doppia conforme' statuizione di responsabilità, il che limita all'evidenza i poteri di rinnovata valutazione della Corte di legittimità, nel senso che, ai limiti conseguenti all'impossibilità per la Cassazione di procedere ad una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perchè è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori, si aggiunge l'ulteriore limite in forza del quale neppure potrebbe evocarsi il tema del 'travisamento della prova', a meno che il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano. Non è, però, questo il caso: la ricorrente, infatti, non lamenta che i giudici del merito abbiano fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, ma pretende una diversa lettura degli elementi probatori, che non ha spazio nel giudizio di legittimità.

Invero, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene alla ricostruzione dei fatti, nè all'apprezzamento del giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell'atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv, 251760).

8. Così definito il perimetro del controllo riservato a questa Corte, si osserva che la motivazione della sentenza impugnata è adeguata e immune da vizi logici e giuridici, avendo dato risposta a tutte le censure proposte in sede di appello e, almeno in parte, riproposte in questa sede.

8.1. Invero, con riguardo al delitto di cui al capo A), i giudici di merito sono pervenuti all'affermazione della penale responsabilità dell'imputata sulla base di una corretta valutazione del materiale probatorio puntualmente indicato, costituito sia da prove documentali (quali la foto n. 27, pubblicata su siti internet per incontri erotici, ritraente la minore con allegato il numero di telefono intestato al M. ma in uso alla minore medesima), sia dalle risultanze delle intercettazioni ambientali e, soprattutto, telefoniche degli apparati in uso alla minore (in cui costei informa i clienti sul prezzo e sulla natura delle prestazioni e sul luogo di incontro: tel. n. 166, 171, 172, 173 e 192 del 29/08/2016) e alla madre (in cui, tra l'altro, l'imputata offre ai clienti la prestazione di due persone, una delle quali viene indicata come 'l'amica piccola', al prezzo di 300 Euro: tel. n. 149 del 20/09/2016 e n. 98 de 28/09/2016), sia da prove dichiarative, rappresentate dalle deposizioni del teste di p.g. V., della minore e del compagno di costei, il quale fu colui che sporse la denuncia, nonchè dalle ammissioni dell'imputata medesima.

8.2. La Corte territoriale, quindi, ha confutato le censure mosse dalla ricorrente, logicamente osservando che il frammento della deposizione del teste V., il quale ha riferito di non avere verificato le prestazioni della minore - circostanza ampiamente valorizzata nel ricorso - va associata al fatto che il teste ha pure riferito di non aver potuto predisporre nell'appartamento delle telecamere; dall'intero complesso della deposizione emerge, invece, che il teste ha potuto verificare la corrispondenza tra le telefonate di appuntamento e l'arrivo in casa di uomini, ma non ha anche potuto verificare materialmente le prestazioni della minore, la cui effettività, peraltro, emerge dal chiaro contenuto delle telefonate sopra indicate.

8.3. La Corte territoriale, parimenti, non ha ravvisato alcuna contraddizione tra la segnalazione del 2013, in cui la minore riferì che la mamma la faceva prostituire, mentre al p.m. dichiarò che glielo aveva solo proposto, logicamente osservando, per un verso, che detta segnalazione è molto stringata, sicchè non è possibile dedurre l'esatto contenuto del narrato della minore; per altro verso, che, in ogni caso, la circostanza rilevante è che una bambina di dodici anni avesse segnalato di essere stata coinvolta in una situazione di prostituzione della madre.

8.4. L'atteggiamento della madre nei confronti della figlia è stato spiegato dalla Corte di appello, in maniera non manifestamente illogica, con il fatto che ella voleva proteggerla dalla modalità con cui portava a casa gente sconosciuta, evitando che venisse abusata quando, come era accaduto, stava dormendo e quindi era incosciente; nondimeno, l'imputata, esercitando da tempo la prostituzione in casa, aveva creato un modello di vita alla figlia, che era stata poi indotta ad esercitare quella medesima attività a partire dal 2016, come riferito dalla minore medesima, laddove ha raccontato di avere accondisceso alla proposta della mamma perchè le aveva chiesto di 'aiutarla'.

8.5. La Corte territoriale ha adeguatamente vagliato le dichiarazioni della minore, ritenute attendibili con apprezzamento fattuale logicamente motivato, valorizzando: la circostanza che non fu la minore a sporgere denuncia nei confronti della madre; il fatto che la minore, nel raccontare l'accaduto, si era mostrata, per un verso, sofferente, perchè comprendeva che dalle sue accuse era derivata la carcerazione della madre, e, per altro verso, equilibrata nel riferire di aver 'dovuto' parlare perchè non ce la faceva più a vivere in quella realtà. Parimenti, la Corte territoriale ha adeguatamente scandagliato le dichiarazioni rese dal teste Herricluez, il ragazzo che, da metà del 2016, ebbe una relazione sentimentale con la minore e di cui raccolse le confidenze; invero, la Corte di appello ha dato atto che il teste, pur essendo risultato poco credibile in ordine allo svolgimento della prima serata trascorsa presso l'abitazione dell'imputata, per un verso, si è mostrato attendibile quando ha riferito di non aver mai visto la minore prostituirsi, con ciò dimostrando di volere essere preciso nel distinguere tra quanto appreso da altri e quanto direttamente percepito; per altro verso, ha fornito una circostanza puntualmente riscontrata, laddove ha raccontato di avere personalmente sentito l'imputata fornire al telefono informazioni sul prezzo delle prestazioni sessuali, prezzo coincidente con gli importi che emergono dalle telefonate intercettate.

8.6. Quanto agli ulteriori rilievi difensivi, essi rivestono un ruolo del tutto marginale e secondario e sono stati implicitamente disattesi dall'analitico apparato motivazionale che, come si è indicato, in maniera logica e aderente alle univoche emergenze processuali, ha dato conto dalle ragioni poste a fondamento del giudizio di penale responsabilità dell'imputata per il delitto di cui all'art. 600 ter c.p..

9. Il ricorso dell'imputata, pertanto, deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente

P.Q.M.

 Annulla l'impugnata sentenza limitatamente al reato di cui al capo B) e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta il ricorso d R.M.M.A., che condanna al pagamento delle spese processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.